Piero Vassallo
04/11/2005
La famiglia, fondamento della societa'
Estinte le ideologie e sprofondato l'illuminismo in quella che Shakespeare chiamava «cadaverica immensità della notte buia», sulla scena contemporanea si affrontano i loro incerti ectoplasmi, una destra comunitaria e una sinistra «liberal».
Prive di sicure ascendenze filosofiche e di espliciti riferimenti alla storia, le fazioni superstiti tentano di qualificarsi piantando i paletti che dovrebbero segnare la distanza dall'ingombrante passato ideologico.
Se non che una destra avventizia ed esangue recupera i cascami del nazionalismo ottocentesco e del comunitarismo democristiano per proporli, quali antidoti al «pensiero unico» e quali baluardi contro il fantasma del «questore universale» e contro il consumismo.
Intanto una sinistra senza pensiero delizia i nemici del «male americano» magnificando i radiosi orizzonti del cosmopolitismo interculturale, del «potlac» e del lassismo «liberal chic».
I tamburi del «talk show» rullerebbero felicemente a sostegno della nuova sinistra, universale, tollerante e buona, se, nella nebbia generale, fosse possibile stabilire con certezza dove sta la sinistra bella e dove la bieca destra.



La luna ideologica ha, infatti, abbandonato il pozzo delle identità granitiche e delle certificazioni indeclinabili.
Inutilmente i portatori delle altezzose suggestioni anticristiane, che ancora dominano la vita culturale dell'Occidente, stanno tentando di ricostruire la scena nella quale la fatale guerra tra i due blocchi giustificava l'esclusione tassativa del pensiero intitolato alla terza via.
Alla commedia degli inganni la storia non consente di replicare in modo serio.
Il vuoto ermetico in cui si agitano le attonite controfigure delle ideologie dimostrano che il cristianesimo è l'unica radice atta a conservare in vita la civiltà dell'Occidente.
La civiltà, dopo tutto.
E' infine consentito intraprendere una «terza via», equidistante dall'atomismo «liberal» e dal comunitarismo: il percorso segnato dall'antropologia tradizionale, che studia l'uomo concreto, plasmato dallo svolgimento provvidenziale della storia.

L'uomo che è irriducibile alle categorie zoologiche, nelle quali vorrebbe costringerlo e mortificarlo l'ecologismo estremo, incarnazione crepuscolare del pensiero moderno.
Fondata sul sano realismo, l'antropologia tradizionale ha conquistato la sua autorità mediante l'osservazione imparziale dei segni, che costringono a riconoscere la singolare specificità della natura umana e l'eminenza della sua organizzazione sociale.
Ora, in mezzo a tali segni, i più eloquenti sono la lunga permanenza (fino a dieci volte superiore a quella degli animali) della prole in uno stato di quasi completa inettitudine e l'incremento che la durata del periodo d'inettitudine infantile subisce in ragione del progresso della scienza e della tecnologia.
Questi segni fanno intendere che l'uomo, oltre che sociale e razionale, è un animale «tradizionale», e che la dignità della sua vita dipende dalla trasmissione («trans-datio») del patrimoni di cultura, memoria storica e scienza accumulato attraverso le generazioni.



Davanti a quest'evidenza Enrique Gil y Robles era obbligato ad ammettere che nelle famiglie la tradizione coincide con la continuità della vita.
«L'uomo, ha scritto un geniale interprete della tradizione cattolica, l'italo ispanico Francisco Elias de Tejada y Spinola, può trasmettere insegnamenti ereditati da altri uomini, mentre l'animale non può trasmettere ai suoi congeneri quello che ha appreso. L'uomo è sociologicamente tradizionalista, mentre l'animale è schietta natura senza storia». (1)
Di qui la costruzione sul fondamento del realismo antropologico di quella dottrina sociale cattolica, che riconquista credibilità e autorità dopo gli esiti catastrofici del pensiero astratto.
Nel citato saggio sulle tre vie della politica, confutando le fragili argomentazioni dei sociologi da «talk show» e dei teologi da salotto, De Tejada ha dimostrato l'irreparabilità degli errori che si sono contrapposti durante il XX secolo: «mentre il liberalismo fa girare la vita politica intorno all'individuo, aspirando ad eliminare sia la società che lo Stato, e il totalitarismo concentra tutto nello Stato, che assorbe sia l'individuo che la società, il tradizionalismo pone la società nel centro della scena politica, affermando l'indipendenza della società dallo Stato e basandosi su di essa per la realizzazione concreta dell'esistenza terrena degli individui». (2)



Inattuale ed emarginato durante gli anni bui dell'infatuazione sessantottina, il pensiero tradizionalista oggi incontra il pensiero corrente tra le righe dell'arroventata delusione moderna.
I continui appelli al «nuovo», le legittime proteste dei garantisti e la larga adesione alla formula «più società meno Stato», accentuano il mortificante disorientamento e l'incertezza seguiti alla catastrofe delle ideologie, disagi epocali, che trovano una chiara soluzione soltanto nella dottrina tradizionale rivalutata e approfondita dai grandi testimoni del Novecento cattolico, Giorgio Del Vecchio, Giuseppe Capograssi, Antonio Messineo, Pedro Galvao de Sousa, Dario Composta, Raimondo Spiazzi, Sergio Cotta e, appunto, De Tejada.
Il fatto è che l'antropologia cattolica non nasce da astrazioni solitarie, ma dalla realtà storica, banco di prova delle verità rivelate da Dio e delle verità razionali attinte da pensatori rigorosi.
Non è il manufatto di ideologi incapsulati nel vuoto cartesiano, ma l'autobiografia dell'uomo concreto.



In piena sintonia con Del Vecchio e Capograssi, Tejada ha affermato che «la società e non lo Stato è il veicolo della tradizione. Perché la società è una totalità di vita e lo Stato un potere ordinatore di comando. Nella società, nella vita sociale, entrano elementi religiosi, culturali, economici. Nello Stato, invece, interviene solamente il potere. Lo Stato risponde alla necessità della sicurezza collettiva, la società all'intera vita umana nelle connessioni degli uomini con i propri simili. Connessioni ordinate, regolate, equilibrate in se stesse. La società è un ordine vitale, nei due aspetti delle necessità materiali e di quelle spirituali ... Lo Stato è il potere che ordina, ma non potrà mai sopprimere e assorbire gli elementi che ordina». (3)
Il cammino sulla «terza via» incomincia necessariamente dalla definizione della famiglia, quale cellula fondamentale e insostituibile del consorzio umano e «primo antichissimo principio di tutta l'umanità». (4)
Costituito da un uomo e da una donna per procreare ed educare i figli, il nucleo familiare ha un ruolo insostituibile nella trasmissione del sapere necessario alla vita e perciò esige la tutela e il sostegno della legge e del potere civile.



A nessuno deve essere consentito di attentare alla sacralità dell'unione familiare mediante l'allestimento delle parodie pederastiche o la sequela delle mostruose procedure biologiche, praticate per realizzare il concepimento di figli conformi al desiderio inumano di genitori imbecilli.
Ora è evidente che le condizioni ottimali alla formazione umanistica di una gioventù capace di progredire ordinatamente sono offerte da un ambiente familiare indenne dai turbamenti dell'ateismo, dell'anarchia e dell'oscenità.
«Questa e non altra, conclude Vico, dopo aver decriptato i documenti della mitologia classica, è certamente l'umanità, la quale sempre e dappertutto resse le sue pratiche sopra questi tre sensi comuni del genere umano; primo che ci sia Provvidenza; secondo che si facciano certi figliuoli con certe donne, con le quali siano almeno i principii d'una religion civile comuni; perché da' padri e dalle madri con uno spirito i figliuoli si educhino in conformità delle leggi e delle religioni, tra le quali sono essi nati; terzo che si seppelliscano i morti». (5)



La conclusione di Vico smentisce l'utopia libertina e abbatte i castelli innalzati nell'aria fritta dal «radical chic», dimostrando la loro impossibilità: «Onde non solo non fu al mondo nazion d'atei, ma nemmeno alcuna nella quale le donne non passino nella religione pubblica de' loro mariti… molto meno vi fu alcuna che usò la Venere canina o sfacciata». (6)
Di qui l'obbligo di rivendicare, senza giri di parola e rossori politicamente corretti, la perpetua indissolubilità del matrimonio quale strumento indispensabile di uno sviluppo civile conforme al diritto di natura.
In una fase della storia culturale europea, segnata dall'insorgenza dei socialisti e dei nichilisti, alleati contro l'ordine sociale cristiano, Leone XIII, confutando la torbida e ingannevole teoria del libero amore, dimostrò, appunto, che «l'esigenza del diritto naturale, si fonda principalmente sopra l'unione indissolubile dell'uomo e della donna». (7)

Non a caso i romani costruirono la loro esemplare legislazione fondandola sulla teoria che attribuisce alla dignità del matrimonio solenne, definito appunto «coniugium stabile» e «omnis vitae consortium», l'origine della distinzione della società umana dal branco.
Il Vangelo ha elevato alla dignità di sacramento l'istituto del matrimonio, confermando e chiarificando il diritto naturale e facendo dell'indissolubilità la condizione indispensabile all'esistenza stessa del matrimonio.
San Tommaso sostiene pertanto che il matrimonio sarebbe invalido se nel consenso che lo stabilisce si esprimesse un'intenzione contraria alla fedeltà al vincolo indissolubile. (8)
Pio XI, quasi riprendendo la dottrina romana del «coniugium stabile», ha rammentato che «la natura assolutamente peculiare e speciale di questo contratto lo rende totalmente diverso, non solo dagli accoppiamenti fatti per cieco istinto naturale fra i bruti, in cui non può esservi ragione o volontà deliberata, ma altresì da quegli instabili connubi umani, che sono disgiunti da qualsivoglia vero ed onesto vincolo di volontà e destituiti di qualsivoglia diritto di domestica convivenza». (9)



D'altra parte Vico, attraverso la penetrante, originalissima lettura della mitologia classica è giunto alla conclusione che il progresso dell'umanità ebbe inizio dai matrimoni: «la pietà co' matrimoni è la scuola dove s'impararono i primi rudimenti di tutte le grandi virtù». (10)
Per comprendere l'ufficio della famiglia nello sviluppo dell'ordine civile, occorre rammentare che, in origine, come adesso, l'alternativa al matrimonio stabile era costituita dalla nefanda comunione delle donne e dei figli.
La mitologia intorno alla felicità procurata dal libero amore ha origine, appunto, dalla opinione (prima nutrita e poi abbandonata da Platone) che attribuiva agli uomini dell'età dell'oro (e non agli uomini avviliti dal vizio) l'uso comune delle donne e l'allevamento collettivo dei figli.
Vico, sfatando la ridicola leggenda dell'età dell'oro e riportando il platonismo nel solco della sua originaria intenzione religiosa, ha aperto la via al rinnovamento della scienza antropologica.



Dopo la parentesi dell'illuminismo, la cultura deve misurarsi nuovamente con i pensieri dell'avanguardia antropologica ispirata da Vico.
Mediante una lettura originalissima della mitologia classica, Vico ha dimostrato, che la civiltà dell'Occidente, ha avuto inizio dalla fondazione delle famiglie: «la prima umana società conciliata dalla religione fu quella de' matrimoni, che dovett'essere di certi uomini che per timore di una divinità si ritrassero dal divagamento ferino». (11)
L'infanzia eroica del genere umano si svolge nella cerchia gelosa dei nuclei familiari: «dai Greci fu detta Era, dalla quale, scrive Giambattista Vico, debbono essere stati detti essi eroi, perché nascevano da nozze solenni». (12)
Se non che le famiglie obbediscono ad un impulso naturale, che le spinge ad uscire dal loro chiuso per «spiegare» il diritto naturale e dare vita all'ordine civile: «quindi nello stato delle famiglie tal diritto monastico, con le occasioni delle necessità o utilità familiari, siasi spiegato in diritto naturale iconomico. Dipoi, diramati i ceppi in più famiglie, alle occasioni delle comuni bisogne delle intiere attenenze, ossia delle case antiche ovvero tribù, le quali furono innanzi delle città e sopra le quali sorsero le città - le quali case, prima e propriamente, da' latini si dissero gentes - siasi il diritto iconomico propagato in un diritto naturale delle genti prima e propriamente così dette, che i latini dissero gentes maiores». (13)

Dallo sviluppo dei primi nuclei familiari, dalla opposizione della religiosità al disordine comunistico, hanno avuto origine tutte le altre società naturali (tribù, villaggi, compagnie d'impresa, corporazioni, centri di cultura, città) che rappresentano la crescente complessità della storia:
Ultima società è lo Stato, che si costituisce, appunto, per coordinare la vita delle comunità naturali che hanno raggiunto un alto grado di complessità.
Grazie alla interpretazione vichiana della mitologia, è evidente un'altra verità che oggi risulta decisiva: la società non riceve l'impulso a progredire dalla cupidigia e dall'odio di classe ma dalla religione e dal desiderio di emulare le virtù delle famiglie «eroiche».
Un solido punto d'appoggio per la politica conforme al tradizionalismo, è il paradosso in forza del quale la virtù esercita il suo primato anche nelle società dominate dalla smania del successo e corrotte dall'avidità dei beni materiali che lo significano.
Quantunque disonesto e insolente, nessun uomo sopporta infatti che il suo successo sia attribuito alla disonesta fortuna e all'assenza di merito.
All'avanguardia oggi si trova nuovamente il pensiero cattolico.
Non senza scandalo degli opinionisti e dei teologi da palcoscenico, ma nella piena fedeltà alla tradizione vincente, la Chiesa odierna ricorda insistentemente che i cattolici non possono contrastare il principio dell'indissolubilità del matrimonio, e della fedeltà alla parola data davanti all'altare.



Sono lontani i tempi del trionfalismo laico, quando il dissenso cattolico era incensato perfino da alcuni vescovi conformisti - tra di loro ci fu chi dichiarò addirittura il rispetto per i fedeli divorzisti «per motivi di libertà di coscienza, di pace sociale e di valutazioni politiche contingenti».
Il vento della storia occidentale, ultimamente, soffia in senso favorevole alla ragione cattolica.
Della stagione dei viscidi compromessi e delle umilianti abdicazioni rimane soltanto la memoria dei fedeli coraggiosi, che osarono opporsi all'imperiosa deriva della mondanità.
Fra di loro Nino Badano, che scriveva nelle pagine intrepide della rivista di Giovanni Volpe, «La Torre»: «il matrimonio è indissolubile, non solo come sacramento, ma come istituzione naturale; solo una donazione perenne dei coniugi garantisce alla famiglia l'adempimento della sua funzione sociale, soprattutto educativa. La famiglia unita è necessaria al bene della società. Per le sue rovinose conseguenze il divorzio è una piaga. Il cristiano, come cittadino, ha il dovere di proporre e difendere il suo modello di famiglia, perché deve partecipare alla costruzione di un retto ordine civile, partecipazione urgente quando la famiglia è insidiata da una permissiva, che favorisce il coniuge colpevole e non tutela i diritti dei figli, degli innocenti e dei deboli».

Nell'età del disincanto ideologico, a parlare in difesa del matrimonio indissolubile sono i dati statistici, che compongono il ritratto angosciante di una società smembrata e moralmente esausta.
Ogni anno il decano della Sacra Rota, monsignor Mario Francesco Pompedda, espone al Papa un bilancio penoso: affievolimento delle difese morali, incoscienza del peccato grave, ostinato rifiuto della scelta che comporta un impegno vincolante nella buona e nella cattiva sorte, obliqua concezione della libertà.
Gli atti delle cause matrimoniali, quadretti di ordinaria disumanità e di disgregazione sociale, potrebbero ispirare una collana di romanzi neri - alla Houllebecq - tanta è la stupida ferocia che in essi si registra.
Prima del dogma, è l'esperienza comune a certificare che nessuna società sopravvive senza rispettare la parola data in materia grave come l'unione matrimoniale.
A chi ha il coraggio di consultarli, gli atti della Sacra Rota svelano la minaccia che il divorzismo porta nel cuore della convivenza civile: la sopraffazione del divertimento sulla vita, dello stato d'animo sulla ragione, della libidine sul diritto.



Troppo facilmente l'unione familiare si spezza a causa di risibili e demenziali conflitti sulle vacanze, sulla festa del sabato sera, sulle compagnie d'evasione, sulle strategia da seguire nell'ascesa all'effimero.
Il processo di secolarizzazione, iniziato sotto i lumi del razionalismo e proseguito attraverso le serenate romantiche, psicoanalitiche e sessantottine al libero amore e alla famiglia allargata, ha dato luogo ad una preoccupante e dispendiosa malattia sociale.
La sterminata solitudine della folla contemporanea invoca esempi di moralità accettata e vissuta eroicamente.
Il forte richiamo della Chiesa all'indissolubilità del matrimonio, sottolinea il fatto che il futuro della civiltà occidentale si guadagna o si perde nelle famiglie.
La fermezza dei princìpi cristiani rinvia sempre all'insegnamento della carità, secondo cui l'uomo non esiste per la legge, ma la legge per l'uomo. Nella luce della dottrina di Cristo, il secondo nome della solidarietà verso il prossimo è coerenza di vita e fermezza dei princìpi.
Sarebbe facile compiacere e benedire, in nome della tradizione cristiana, la volontà di ripudiare il coniuge non più amato, per unirsi con l'oggetto dell'amore avventizio e fittizio.



Quale trasgressione non può essere giustificata da un falso ideale?
Scroscerebbero gli applausi, se la Chiesa cattolica si arrendesse allo spirito del tempo e vezzeggiasse gli ideali conformi al comandamento usa e getta.
Un cristianesimo conciliante e «carino», oltre tutto, non subirebbe la temibile concorrenza delle religioni alternative, che promettono baldoria in terra e felicità nell'alto degli improbabili cieli.
Ma la fede cristiana è una porta stretta: chi l'attraversa deve scegliere la vita difficile, il pericoloso mare della seconda navigazione, dove si corre il rischio dell'odio nutrito dai disertori, che hanno i piedi piantati nella terra del timore.
Usata dalla fermezza, l'antropologia cattolica può aprire quella via di libertà, che lo smarrimento degli ideologi cerca a tastoni nella notte del politichese.
La dottrina tejadiana, ad esempio, fa costante riferimento alla storia della cristianità, che ha riconosciuto il primato della società sullo Stato, al punto di ordinare le monarchie (quella ispanica, in special modo) nel riconoscimento dell'autonomia che compete alle società formate dalla storia, ed escludendo perciò le ingiustizie e le oppressioni che hanno afflitto le nazioni cattoliche governate dai giacobini e dai liberali secondo i criteri del centralismo burocratico e dell'uniformismo giuridico.
Malgrado il chiasso babelico sollevato dai contestatori neopagani allo sbaraglio e dagli innovatori da bar, l'attualità del pensiero tradizionale, la sua piena conformità alle profonde aspirazioni dei popoli delusi dal moderno, oggi sono incontestabili.



L'opera tejadiana ha liberato il tradizionalismo dalle gabbie incapacitanti dell'archeologia e gli ha impresso la forma di una scuola d'avanguardia, che interviene efficacemente nel dibattito postmoderno, contribuendo all'impegno della gerarchia per la riaffermazione dell'antropologia cattolica. (14)
Senza ombra di dubbio oggi la scuola tejadiana rappresenta l'avanguardia del movimento tradizionale ed una fra le più vitali e attrezzate agenzie culturali operante nella fluida area della destra italiana.
L'efficacia della presenza tradizionalista è misurata dalla risonanza delle sue iniziative e dalla riconosciuta indipendenza delle sue iniziative, conseguenti ad un organico progetto di cultura politica e perciò mai condizionate dalla cultura dei partiti.
Dopo gli anni plumbei dell'egemonia progressista, l'espansione del movimento fondato da de Tejada apre uno spiraglio alla speranza nel futuro.
Nel solco del tradizionalismo hanno messo radici gruppi autorevoli e influenti, che gestiscono un'università della filosofia politica, promuovono importanti convegni di studi, gestiscono case editrici e librerie, pubblicano autorevoli riviste, e collaborano con quotidiani a larga diffusione.
La strada da percorrere è lunga e ardua, ma, grazie a Dio, la costituzione di una vasta area tradizionalista non è più un progetto inattuabile.

Piero Vassallo




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Note
1) «Liberalismo, totalitarismo, tradizionalismo», in «Traditio», anno I, Genova giugno 1978.
2) Ibidem.
3) Ibidem.
4) «Scienza Nuova» prima, II, VI, edizione a cura di Francesco Flora, Mondatori, Milano, 1957, volume I, pagina 797.
5) «Scienza Nuova» prima, I, I, edizione a cura di Francesco Flora, opera citata, volume I, pagina 762.
6) Ibidem.
7) «Quod apostolici muneris», 28 Dicembre 1878.
8) Summa Theologica, III Suppl., q. 49, a. 3.
9) «Casti connubii», 31 Dicembre 1930.
10) «Scienza Nuova» seconda, II, IV, edizione delle Opere a cura di Francesco Flora, opera citata, volume I, pagina 233.
11) «Scienza Nuova» prima, II, VI, edizione delle opere a cura di Francesco Flora, opera citata, volume I, pagina 796.
12) «Scienza Nuova» seconda, II, IV, edizione a cura di Francesco Flora, opera citata, volume I, pagina 232.
13) «Scienza Nuova» seconda, II, V, edizione a cura di Francesco Flora, opera citata, volume I, pagina 794 - 795.
14) E' opportuno rammentare che il Papa Benedetto XVI ha dichiarato senza mezzi termini che l'influsso delle idee diffuse dalle agenzie culturali controllate dai sedicenti progressisti offusca l'identità dei cattolici. Confronta. «Il sale della terra», Cinisello Balsamo, Paoline, 1997.




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