Se è vero, come disse August Comte, che la demografia è il destino, allora il futuro dell’Europa appare decisamente allarmante. Nessuna società, infatti, può pretendere di perpetuarsi mantenendo per decenni tassi di natalità bassi come quelli attuali, soprattutto se ai suoi confini premono popolazioni, come quelle islamiche, con una fertilità nettamente superiore. I demografi spiegano che occorrono almeno 2,1 figli per donna per stabilizzare la popolazione nel tempo, ma l’Europa è ben al di sotto di questa media da almeno 25 anni: in Spagna è di 1,1; in Germania e in Italia è di 1,3; in Francia è di 1,7 solo grazie all’apporto dei numerosi immigrati islamici. Per contro, il 40 percento della popolazione araba ha meno di 14 anni, e i tassi di natalità sono ben più elevati: per fare alcuni esempi, è di 3,2 figli per donna in Algeria; 3,4 in Egitto e Marocco; 5,2 in Iraq; 5,5 in Palestina; 6,1 in Arabia Saudita; 6,6 a Gaza. Secondo lo storico inglese Niall Ferguson gli islamici, grazie alla maggiore fertilità e alla massiccia immigrazione, sono destinati entro un centinaio d’anni a prendere il sopravvento in Europa. Anche Bernard Lewis, uno dei maggiori studiosi del mondo arabo, in una intervista rilasciata il 28 luglio 2004 al giornale tedesco Die Welt ha previsto l’entrata dell’Europa nell’area di civilizzazione islamica entro la fine del secolo attuale. I nostri pronipoti che vivranno in questa non tanto futura “Eurabia” potrebbero diventare minoranze assediate nel proprio paese, come è successo ai serbi del Kosovo, e ridotti allo stato di dhimmi, cittadini di seconda classe. Il commissario europeo Frits Bolkestein (l’autore della coraggiosa direttiva sulla liberalizzazione dei mercati con cui spera di ridare vitalità al Vecchio Continente) ha ripreso questa dichiarazione del professor Lewis, suscitando grande clamore, in un discorso tenuto il 6 settembre dell’anno scorso all’università di Leiden: “Un crescente numero di paesi europei sta diventando multietnico come conseguenza della continua crescita delle comunità islamiche - disse Bolkestein in quell’occasione - e in alcune grandi città la maggioranza dei residenti avrà origini non europee. In aggiunta, la popolazione dell’Europa sta cominciando ad invecchiare, mentre la popolazione del Nordafrica e del Medio Oriente è in rapida crescita. Bernard Lewis sostiene che l’Europa diventerà parte del Maghreb, l’Occidente arabo, perché l’immigrazione e la demografia puntano verso questa direzione. Io non so se tutto questo si verificherà, ma se lo scenario si rivela corretto, allora la liberazione di Vienna [dall’assedio turco] sarà stato vano. Gli Stati Uniti rimangono giovani e dinamici, e saranno l’unica superpotenza. La Cina diventerà un gigante economico. L’Europa sarà islamizzata”. La preoccupazione di Bolkestein sembra purtroppo confermata dai calcoli delle Nazioni Unite, che prospettano una perdita per l’Europa di almeno cento milioni di abitanti da qui alla metà del secolo. Già oggi diciotto paesi d’Europa contano ogni anno più morti che nascite. L’Inghilterra, l’Irlanda e la Francia saranno forse gli unici paesi a non perdere popolazione, pur subendo un forte invecchiamento, mentre la situazione appare critica per la Germania, l’Italia e la Spagna. Di questo passo infatti la Germania è destinata a perdere l’equivalente della intera popolazione della ex Germania Est nei prossimi cinquant’anni, con un calo da 82 milioni a 59 milioni di abitanti, salvo l’immigrazione. Nello stesso periodo la popolazione italiana scenderà da 58 a 41 milioni. Nel 2050, infatti, appena il 2 percento degli italiani avrà meno di cinque anni, ma ben il 42 percento avrà più di sessant’anni; si prevede inoltre che a quella data il 60 percento degli italiani sarà privo di fratelli, sorelle, cugini e zii. La Spagna zapateriana e almodovariana, con il tasso di natalità più basso del mondo (1,1 figli per donna), sembra la nazione più determinata a scomparire dalla faccia della terra. Eppure alla morte di Franco, solo trent’anni fa, ogni donna spagnola aveva mediamente 3 figli: “In una generazione - ha osservato il sociologo madrileno Victor Perez Diaz - siamo passati da una società nella quale le famiglie di otto o addirittura dodici bambini non erano inusuali, ad una società nella quale le coppie senza figli sono comuni e dove la decisione di avere un secondo figlio viene lungamente e seriamente meditata”. Il grande scrittore G.K. Chesterton diceva che chi si dimentica i propri antenati si curerà ben poco dei propri discendenti: e difatti gli spagnoli, rifiutando platealmente le proprie radici cattoliche in favore di una nuova etica laicista ed edonista, hanno rinunciato anche a riprodursi. Il risultato è che la popolazione spagnola calerà da 40 milioni a 31,3 milioni da qui al 2050, con un aumento degli ultrasessantacinquenni del 117 percento. Nel 1950 la Spagna aveva il triplo della popolazione del Marocco, ma alla metà del secolo gli abitanti del Marocco saranno il 50 percento in più degli spagnoli. A quel punto la Spagna, se non altro per mantenere in piedi la propria economia e assistere la propria popolazione anziana, dovrà per forza far entrare milioni di musulmani e farsi islamizzare. Cinque secoli dopo la Reconquista culminata con la presa di Granada il 2 gennaio 1492, le parti si invertono e, come ha scritto Fouad Ajami sul Wall Street Journal, saranno i Mori a ridere per ultimi: negli ultimi trent’anni a Granada i musulmani sono passati da zero a quindicimila, e hanno già iniziato a chiamare questa città-simbolo “capitale islamica dell’Europa”. È inevitabile che i vuoti demografici delle società decadenti vengano colmati da popolazioni straniere con più alti tassi di fecondità e maggiore fiducia nel futuro. In ultima analisi, infatti, sono le crisi esistenziali interne a determinare la scomparsa di una civiltà, non le cause esterne. Nel quinto secolo i barbari abbatterono l’impero romano non grazie ad una qualche superiorità militare, ma perché col tempo si insediarono al posto degli infecondi ed edonisti cittadini romani nei territori dell’impero spopolati a causa del crollo verticale della natalità. Anche i musulmani che alla metà del settimo secolo occuparono parti del senescente impero bizantino si limitarono in realtà a migrare in territori ormai semidisabitati, più che a conquistarli militarmente, come dimostrano le ricerche svolte dagli storici Yehuda Nemo e Judith Koren nel libro Crossroad to Islam (Prometheus, 2003). I popoli che si disprezzano al punto di non voler più generare dei discendenti finiscono dunque con l’abbandonare le proprie campagne e le proprie città ai nuovi arrivati che ne prendono il possesso. Cosa potrebbe succedere allora dopo la metà del secolo, quando i musulmani inizieranno a diventare maggioranze numeriche nei paesi europei? È facile prevedere che non rimarranno tranquilli a farsi dissanguare economicamente per tenere in piedi gli stati sociali sulla via della bancarotta, utili solo per assistere e mantenere legioni di anziani (e forse detestati) europei senza figli. Tenteranno piuttosto di imporsi politicamente, come sempre è avvenuto nella logica e nella tradizione islamica. Sarebbe dunque da imprevidenti escludere, tra gli scenari futuri, un conflitto di civiltà che abbia il proprio epicentro in Europa. Il rischio è che a fronteggiarsi si trovino da un lato gli europei invecchiati, ridotti di numero, spiritualmente fiaccati dalle tutele assistenziali, rovinati economicamente dal crollo degli insostenibili welfare state, demotivati e inebetiti da decenni di propaganda “politicamente corretta”; e dall’altro masse di giovani musulmani, combattivi ed esaltati, desiderosi di rivincita dopo secoli di sconfitte. D’altro canto, le crisi di civiltà sono sempre rivelate da una sfida proveniente dall’esterno. Oggi l’Europa faticherebbe a riconoscere la propria decadenza demografica, economica e culturale se non vi fosse il catalizzatore rappresentato dalla sfida lanciata all’Occidente dall’islamismo radicale e da una epocale migrazione di masse musulmane nel Vecchio Continente. Da un certo punto di vista si potrebbe parlare di sfida provvidenziale, senza la quale gli europei sarebbero rimasti nel proprio torpore invece di riscoprire la propria identità, affrontare la realtà e prendere le adeguate contromisure. Gli europei rimangono ancora nettamente in vantaggio per quanto riguarda la scienza, la tecnologia, l’economia, la forza militare e le libertà individuali. Tuttavia il mondo islamico conserva qualcosa che l’Europa ha perduto: il desiderio di avere figli e di espandere le proprie famiglie, la propria civiltà, la propria cultura, la propria religione.
Guglielmo Piombini