«Sorprese» sui registi della rivolta in Francia
Maurizio Blondet
09/11/2005
FRANCIA - C'è una regia occulta dietro le banlieues in fiamme?
Dalil Boubakeur, l'imam di Parigi (un moderato) ha risposto al corrispondente de La Stampa: «voglio essere cauto, perché la polizia non ha detto nulla, e bisogna aspettare la fine delle inchieste. Dico questo: aspettatevi che alla fine, su queste manovre oscure, ci saranno molte sorprese».
E' la risposta che deve accontentare anche i molti lettori che ci chiedono di dire «chi c'è dietro» l'incendio delle banlieues.
Né dalla polizia, né dai servizi francesi (né l'una né gli altri hanno fama di loquacità) filtra alcuna indiscrezione.
Se mai filtrerà (non lo crediamo probabile).
Certo, come dice l'imam Boubakeur, è forte l'impressione che i disordini, così violenti e di lunga durata, siano organizzati, e questo inquieta molto non solo l'imam, ma anche il governo.
L'imam sa qualcosa, se parla di «sorprese» prossime.
Ma di che sorprese si tratta?
L'amico Wayne Madsen, ex agente della NSA divenuto giornalista investigativo, ci vede lo zampino dei neocon americani: è noto che Wolfowitz e gli altri, in odio a Chirac che si è opposto alla loro aggressione all'Iraq, avrebbero tutto l'interesse a un «regime change» a Parigi.
A Madsen qualche agente della DST ha detto che, per esempio, i servizi francesi tenevano regolarmente sotto controllo il telefono di Richard Perle, il neocon consulente del Pentagono, vicino a Wolfowitz e al Likud, che ha una casa in Provenza; e regolarmente passavano le intercettazioni all'FBI. Segno che Parigi sa di chi non fidarsi.
Non a caso i giornali neocon americani hanno subito parlato di «scontro di civiltà», sottolineando la matrice islamica delle bande giovanili; Mark Steyn (ebreo neocon del Chicago Chronicle) ha evocato la battaglia di Tours (732 dopo Cristo) tra i cavalieri di Carlo Martello e i Mori; nell'evidente evocazione dello «scontro di civiltà», e della «strategia della tensione» contro il terrore islamico.
In realtà, tale matrice è da escludere; gli imam dei quartieri coinvolti hanno addirittura emanato una fatwa contro le violenze, inascoltati.
I violenti sono soprattutto ragazzini negri africani e caraibici, figli di genitori per nulla musulmani, nati a Brazzaville, ad Antananarivo o a Basse-Terre.
Madsen addita, fra l'altro, ipotetici legami fra la destra di Le Pen e certi islamici convertiti, come il neonazista svizzero Achmed Huber (Al-Takwa), che avrebbe legami con «Al-Qaeda» ossia (dato che Al Qaeda è una sigla della CIA) con gli ambienti americo-israeliani dietro alle provocazioni e strategie della tensione globali.
Ma c'è un dettaglio che non quadra del tutto con l'ipotesi di Madsen.
La rivolta delle banlieues sta distruggendo politicamente Nicolas Sarkozy, il candidato premier promosso dai neocon, e neocon lui stesso: ebreo turco «convertito» (probabilmente un Dunmeh), Sarkozy ha assunto il profilo di «destra americanista» del ricettario neocon (quello che Ferrara espone in Italia): tolleranza zero, privatizzazioni, abbandono dello stato sociale, «valori di civiltà cristiana» e tutto l'artificioso bric-à-brac pensato dalla propaganda del Likud per trascinare i cristiani nella crociata anti-islamica. Ma anche da qui non sono da escludere «sorprese».
Una cosa sembra di capire: nei disordini, la guida tattica della guerriglia è in mano alle bande degli spacciatori, quella realtà sul margine tra criminalità e teppismo che realmente «controlla il territorio» in vaste plaghe del degrado post-moderno: non esclusa la Calabria, o i licei di Milano, dove bande di piccoli prepotenti rapinano (il cellulare) e angariano i compagni deboli o anche solo con zainetti non griffati.
Nelle banlieues, i criminali sembra paghino alcuni danneggiamenti: un tanto ad auto incendiata.
Non vanno sottovalutati i meccanismi sociali patologici della banda giovanile, che è il vero modello di riferimento in quei quartieri.
Le Monde intervista tre ragazzine negre di Aulnay-sous-Bois, che spiegano: «un ragazzo, quando è nella banda, può fare qualunque cosa, anche tirare le Molotov. Da solo, non lo farebbe mai».
Ma in gruppo è diverso: «è in gioco la loro reputazione, è la loro fierezza». Chi rifiutasse di partecipare sarebbe emarginato ed espulso, etichettato come «canard» e «bouffon»: «la vergogna. Anche le ragazze, a quel punto, possono maltrattarti».
Nel gruppo, «basta che uno ti dica: non avrai spago (paura)?, e tu lo devi fare, se no sei un bouffon. Nel quartiere, è la morte».
Precisa descrizione della «libertà» e della «identità» che si ritrova nella banda giovanile semi-delinquenziale: una catena, una schiavitù del conformismo, più pesante di ogni costrizione della legge.
Maurizio Blondet
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