In questi ultimi giorni due sono gli aspetti su cui conviene soffermarsi per fare qualche riflessione al di fuori e al di sopra dei soliti schematismi: la questione sudamericana ed il ruolo di un uomo come il presidente venezuelano Chavez; la caotica situazione delle periferie delle città francesi e l’atteggiamento del ministro degli interni Sarkozy. Le due cose, apparentemente lontane l’una dall’altra, hanno in realtà, nella loro causa primigenia, un denominatore comune che è il malessere, fortemente incline a sfociare in pura ribellione, che il degrado di un mondo sempre più diviso tra troppo ricchi e troppo poveri va portando come dote alle generazioni attuali e future. Non v’è alcun dubbio che se il fattore scatenante può essere individuato nella rabbia di milioni di diseredati di qua e di la dell’oceano, è pur vero, comunque, che i due fenomeni vanno debitamente pesati e contestualizzati. Cosa vuol dire; vuol dire che se le due questioni possono vantare un retroterra molto simile, non significa necessariamente che entrambe debbano avere lo stesso diritto di rispettabilità agli occhi di chi – come noi – analizza certe cose da un punto di vista decisamente eterodosso rispetto al pensiero unico dominante. Una cosa, infatti, sono le proteste più o meno violente delle masse sudamericane di diversi stati nazionali contro le iniziative di politica commerciale statunitense, iniziative che hanno come obbiettivo quello di assediare economicamente l’intero subcontinente; ben altra cosa sono le devastazioni gratuite, frutto di istinti puramente rabbiosi, che alcune migliaia di nordafricani, figli di neoimmigrati o seconde generazioni di quei <<francesi>> dell’impero d’oltremare, vanno producendo in mezza Francia. Perché le due cose sono concettualmente diverse tra loro e la prima merita grande rispetto, mentre la seconda assolutamente no? In Sudamerica sta accadendo che movimenti popolari trasversali ed interclassisti, che hanno visto in Chavez il conducator, l’uomo capace di alzare la testa con orgoglio contro lo strapotere delle multinazionali del petrolio, hanno trovato nelle forti difficoltà economiche il comune denominatore per urlare tutta la loro rabbia contro quelle centrali di comando mondialiste che vogliono definitivamente strangolare ed asservire in nome del profitto intere comunità umane di milioni di persone. Al contrario, le bande di disperati e delinquenti che incendiano e devastano le periferie cittadine di Francia sono animati dall’odio tipico di chi non ha ma vorrebbe avere; di chi vede lo sfavillio ed il benessere del modello turbocapitalista passargli sotto gli occhi tutti i giorni e non poterlo realizzare; di chi ragiona con l’istinto della predazione e del teppismo puro e semplice, stile tanto peggio tanto meglio.
Oltreoceano troviamo milioni di uomini e donne che, andando oltre gli schemi del vecchio nazionalismo, hanno trovato in un neocomunitarismo latinoamericano fortemente anti-USA una valida ragione per coagularsi e dire un deciso no alle politiche iperliberiste che vogliono affamare e distruggere le economie più deboli del pianeta; di questo movimento più o meno spontaneo che tocca il Brasile, come l’Argentina, il Venezuela, come l’Uruguay, Chavez è l’uomo guida perché tutti gli hanno riconosciuto (e non potevano non farlo) il coraggio fisico (proprio questo) e politico di andare contro i padroni del mondo; cosa che, dagli anni ’70 ad oggi, per le ragioni imposte dalla guerra fredda, decine di generali ultragallonati si sono sempre ben guardati dal fare. Chavez, con quella dose di pragmatismo che non guasta mai, è uno che interpreta un ruolo che altri fin ora hanno rifiutato; è uno che sa parlare alla gente e sa toccare le corde giuste; è uno che guarda avanti e non pensa che il Mondo postcomunista debba per forza essere unipolare, fatto di tanti piccoli satelliti-colonia che girano intorno alla stella-padrone.
Ma torniamo all’Europa, alla Francia e al Ministro Sarkozy. Il ruolo del ministro francese, se avvicinato a quello del sudamericano, denota tutta la senescenza della politica europea, una politica erede del liberalismo ottocentesco che ha nei suoi meccanismi preordinati l’obbligo politicamente corretto di capire, studiare e prevenire i tanti guasti del sistema e poi obbliga il ministro di turno a vestire i panni del gendarme (e non potrebbe essere altrimenti viste le devastazioni) per tenere a bada le schegge impazzite del sistema e – diremmo noi - a causa del sistema .
Riteniamo che su queste cose e su quello che va profilandosi di qua e di la dell’oceano ci sia molto da meditare e discutere.
da socialismonazionale.net