MAURIZIO BLONDET
--------------------------------------------------------------------------------
Dov’è finito Osama? Salvo errori, è quasi un anno che lo sceicco del terrore non dà notizie di sé. Né un video, né un messaggio registrato. Ma soprattutto, nemmeno una e-mail o un colpo di telefono.
Questo è sicuro, perché satelliti spia e sistemi di controllo e ascolto informatico come il celebre Echelon a disposizione degli Usa, che sono in grado di intercettare ogni chiamata sospetta fatta da cellulari e a maggior ragione da satellitari, non hanno mai sentito la sua voce. Mai più dal dicembre 2001, quando la voce di Bin Laden fu colta dalle parti di Tora Bora in Afghanistan, l’ultima ridotta dei talebani sotto attacco americano: ma da quell’accerchiamento, Osama e il non meno celebre mullah Omar sono riusciti a fuggire. Da allora, nessuna chiamata diretta. Ma se non comunica, come fa Bin Laden a guidare i suoi terroristi? Come governa quella rete mondiale chiamata Al Qaeda? Perché gli attentati attribuiti ad Al Qaeda in tutto il mondo, da Londra a Bali a Sharm el-Sheik, richiedono un’organizzazione pesante e costosa, più di quanto crediamo noi non addetti ai lavori: selezione e preparazione dei “suicidi”; trasporto di tonnellate di esplosivo attraverso varie frontiere; pagamento di complici e di rivoluzionari di professione; trasferimenti di grosse somme. Come si fa, senza una telefonata?
Mistero. Nemmeno la taglia di 25 milioni di dollari messa sulla sua testa è stata d’aiuto. Si ritiene che l’emiro che ha dichiarato guerra all’Occidente “crociato” se ne stia, acquattato e silenzioso, nel Waziristan: l’aspra, montagnosa vastissima zona tra Afghanistan Pakistan e Beluchistan. Una vasta terra senza legge, abitata da feroci tribù, fanaticamente islamiche, che proteggono Osama e i suoi guerrieri superstiti da Tora Bora.
Un’area senza frontiere ufficiali, da cui quindi si può passare facilmente in Pakistan o in Afghanistan. Un’area dove già le truppe dell’impero britannico non entravano, sulla base di accordi stretti con le tribù locali. Quel santuario, e quegli accordi, sono stati violati dall’esercito pakistano, nel marzo 2004, proprio per cercare Osama e i suoi: e la conclusione è stata un disastro militare. Il presidente pakistano Musharraf, sulla base di notizie che segnalavano nel Waziristan meridionale “600 stranieri” dunque gente di Bin Laden, ha allestito una spedizione di 70 mila uomini. Il corpo di spedizione ha accerchiato la zona; ma si è trovato accerchiato da una forza definita “ragguardevole” di “elementi tribali locali”. C’è stata una vera battaglia, e l’esercito regolare pakistano vi ha perso un centinaio di uomini. Si è appurato poi che i “600 stranieri” erano per lo più mujaheddin afgani, uzbechi, ceceni e huiguri (i musulmani cinesi). Tra loro è Bin Laden? Non si sa.
Ma restano forti dubbi. Dovuti alla malattia renale di cui Osama soffre. Ha bisogno di dialisi, due o tre volte al mese. E, come dice un celebre medico indiano, Sanjai Gupta, «le macchine per la dialisi, i reni artificiali, hanno bisogno di elettricità, di acqua pulita, di materiale sterile di consumo», tutte cose che non dev’essere facile trovare in Waziristan. «E senza queste cose essenziali si rischiano gravi infezioni», dice il dottor Gupta. E se Osama Bin Laden non fa la dialisi? «È improbabile che sopravviva più di qualche giorno, al massimo una settimana».
Dobbiamo immaginarsi un Osama che si trascina per le montagne del Waziristan il proprio rene artificiale, il generatore di corrente, e medici e infermieri? Si dice sia molto ricco, ma la sua ricchezza non va sopravvalutata: il suo patrimonio, valutato 20-30 milioni di dollari, da tempo dev’essere prosciugato da cinque anni di costosa latitanza. Ora, poi, c’è stato il terremoto: quel disastroso sisma che ha colpito il Kashmir ha colpito anche il Waziristan. Osama può essere morto?
La sua morte è stata annunciata più volte. Lo disse il presidente Musharraf nel dicembre 2001: «Osama è probabilmente morto nel bombardamento di Tora Bora» del dicembre 2001.
Il 26 ottobre 2002, Al Majallah, un settimanale arabo che si pubblica a Londra, se ne uscì con il testamento di Osama, datato 14 dicembre 2001. Il 26 dicembre 2001 il giornale egiziano assicurava di sapere dei funerali di Bin Laden. Il 26 aprile 2002, un capo talebano raccontava che Bin Laden era morto per complicazioni polmonari. Il 7 ottobre Hamid Garzai, il governatore dell’Afghanistan sotto protettorato americano, dice che «Osama è probabilmente morto». Il 16, lo ripetono fonti israeliane dello spionaggio, aggiungendo che era già stato scelto il suo successore.
Queste voci trovavano la loro ragione nel lunghissimo silenzio che Osama conservò anche allora: dal dicembre 2001 all’ottobre 2004. Un silenzio punteggiato di messaggi radio e video trasmessi da Al Jazeera, comprovati l’uno dopo l’altro falsi o incerti. Solo il 26 ottobre 2004 arrivò il nuovo video di Bin Laden, dove l’emiro minacciava ancora una volta gli Stati Uniti. Usciva in una coincidenza sospetta: pochi giorni prima delle elezioni Usa che hanno riconfermato Bush come presidente. Negli ambienti diplomatici si malignò: Osama ha aiutato la campagna di Bush. Insomma, anche quello poteva essere un falso.
E sicuramente lo era il primo video, quello dove Osama Bin Laden, ricevendo ospiti in un casolare apparentemente in Afghanistan, “confessa” di essere la mente dell’11 settembre, o meglio ringrazia Allah per il mega-attentato al World Trade Center e loda gli attentatori suicidi. Un video che gli americani dicono di aver trovato in una casa di Jalalabad, a metà dicembre 2001.
Ma ci sono troppe cose che non quadrano. Il “Bin Laden” che vi appare è più grosso e massiccio, e soprattutto più scuro, dell’ascetico emiro del terrore. E questo “Bin Laden” cita per nome alcuni dei 17 terroristi islamici kamikaze che sono poi risultati vivi, ed estranei ai fatti. Infatti, della prima lista di “suicidi” che l’Fbi diramò 48 ore dopo l’11 settembre, ben nove nomi erano sbagliati: per lo più piloti di linee aeree islamiche, saudite e marocchine, che stavano lavorando regolarmente quel giorno fatale, e si premurarono di avvisare le ambasciate Usa dell’errore. È almeno strano che il “Bin Laden” del video commetta lo stesso errore dell’Fbi.
Certo è che la figura di Osama sembra svanita. Sulla scena appare ora, nei video, Al Zawahiri: un egiziano e non un saudita, che in qualche modo si esibisce come se il capo di Al Qaeda fosse lui. In una lettera “intercettata” dagli americani, Al Zawahiri rimprovera con tatto Al Zarkawi, il tagliagole che opera in Iraq, dei suoi eccessi e delle sue stragi. «Dobbiamo cercare l’appoggio delle masse», dice il nuovo imam di Al Qaeda. Lettera vera? Falsa?
C’è il sospetto che certi messaggi siano fabbricati. E c’è chi si è preso la briga di comparare le date dei messaggi di Bin Laden, Al Zarkawi e Al Zawahiri con la curva della popolarità di Bush secondo i sondaggi. Ogni volta che la popolarità cala, ecco un nuovo messaggio di Al Qaeda.
Ha rafforzato il sospetto un’incauta frase pronunciata da Bush il marzo 2002: «Francamente, di Osama mi occupo poco». I soliti maligni dicono: per Bush, la cattura di Osama sarebbe una disgrazia, perché dovrebbe dichiarare vinta e finita la «guerra mondiale al terrorismo», ritirarsi dall’Iraq e dall’Afghanistan, e affrontare la sua opinione pubblica che si sta chiedendo se il costo e le vite spese in questa impresa valevano la pena.
La difesa d’ufficio è quella di Blair: «Al Qaeda non è un’organizzazione, ma è un metodo di azione». Insomma, anche se Osama fosse catturato, il terrorismo islamico non finirebbe; perché Al Qaeda è un marchio, un “franchising” (sic) di cui i più diversi terroristi islamici si ammantano per le loro imprese, che progettano in modo autonomo e perpetrano per conto loro.
Sicché, periodicamente, gli americani sentono il bisogno di assicurare che loro, Osama, continuano a cercarlo. Il 20 giugno scorso Porter Goss, il capo della Cia, ha detto: «Abbiamo un’idea precisa di dove si trovi», ma non possiamo prenderlo per via di «ostacoli posti dal rispetto di Stati sovrani». Pochi mesi prima, a marzo, Zalman Khalilzad (americano nonostante il nome: è il plenipotenziario di Bush per l’Afghanistan) ha assicurato: «Osama Bin Laden non si trova in Afghanistan». Dove si trova allora? L’accenno a sovranità da rispettare di Porter Goss fa pensare al Pakistan, o all’Arabia Saudita. I due regimi, ovviamente, negano.
«Lo cercan qua, lo cercan là», ironizzava il britannico Independent il 4 agosto 2004: «Osama è scomparso dall’orizzonte della sorveglianza elettronica americana, la più sofisticata che il mondo abbia mai conosciuto». E faceva un po’ di spettrali conti sugli uomini su cui Osama può oggi contare. Dalla guerra contro i Talebani, si calcola che 3.400 fedeli di Bin Laden siano stati uccisi, su un totale di forse quattromila. Del nucleo iniziale di Al Qaeda, gli restano forse 600 uomini, forse solo 200; e non passa settimana in cui gli americani non annuncino la cattura di «un capo di Al Qaeda». Devono essere rimasti in pochi. Eppure nel solo Iraq, Al Qaeda aveva speso, nel 2004, ben 180 terroristi suicidi. Da dove viene quest’abbondanza di votati alla morte? Mistero. Resta la domanda: dov’è Osama? Che fa?
Maurizio Blondet
--------------------------------------------------------------------------------


[Data pubblicazione: 20/11/2005]