Polemiche sulla riforma
La laicità dello Stato viene minacciata da chi strumentalizza i vescovi
Nessuno può stupirsi che vi siano voci di dissenso o di perplessità sul testo di riforma costituzionale votato dal Senato. Intervenire su un materia di questa delicatezza e complessità - considerando oltretutto che una ipotesi di riforma è presente nella vita politica italiana da più di vent'anni, un tempo dunque sufficiente ad orientare le idee di ciascun soggetto politico e civile - non può che provocare reazioni di ogni genere, positive, quanto negative.
Per questo il referendum sarà un passaggio cruciale per capire davvero quale sia il sentimento profondo del popolo italiano: crediamo che tutte le forze politiche vi si rimetteranno interamente.
Che poi possano esserci dei problemi di comprensione del testo di riforma è, purtroppo, un problema reale, come abbiamo avuto modo di far osservare già nelle sedi di competenza. Rispetto ad un testo costituzionale estremamente chiaro e lineare, quale era la Carta del 1947, si è adottato, nelle due riscritture recenti, in quella del 2001 e in quella del 2005, un linguaggio molto più elaborato e di più difficile interpretazione. Questo è un vero punto debole della riforma, perché una Costituzione deve essere, nella formulazione dei suoi articoli, chiara ed esaustiva fin dal primo momento. Al contrario le due ultime versioni della Carta possono provocare, oltre il dissenso, perfino una possibilità di equivoco sulla materia. Il primo caso è quello che hanno sollevato i vescovi per ciò che concerne la sanità regionale. A nostro modo di vedere il principio di sussidiarietà dovrebbe evitare ogni squilibro, ma capiamo che vi possa essere questa obiezione, anche per la complessità del testo. Una Costituzione prevede infatti, oltre l'applicazione, anche l'interpretazione: del resto, problemi in proposito vi sono sempre stati.
Quello che invece non possiamo capire è l'atteggiamento che la sinistra ha verso le obiezioni dei vescovi: se si condividono, esse sono apprezzate e ben gradite. Se non si condividono, rappresentano un'ingerenza nei confronti della laicità dello Stato. La nostra idea è che, in questa maniera, chi mina davvero la laicità dello Stato non siano i vescovi, che hanno diritto di pensare e dire quello che preferiscono, ma chi li strumentalizza a seconda delle proprie necessità politiche, dando loro un risalto che di per sé non acquisirebbero.
Roma, 18 novembre 2005