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Di Paolo Carotenuto
Il disegno di legge costituzionale, di iniziativa governativa, recante "Modifiche alla Parte seconda della Costituzione", è ormai giunto alla conclusione del suo iter parlamentare. Già approvato due volte alla Camera ed una al Senato, così come prevede l’articolo 138 della Costituzione*, il testo sarà sottoposto nuovamente al voto dei senatori per poi passare all’eventuale referendum. La norma inserisce importanti novità che mutano significativamente l’architettura dello Stato, facendo sparire il bicameralismo perfetto, rafforzando i poteri del premier, riformando i criteri di nomina del Csm e della Corte Costituzionale, modificando le prerogative del Capo dello Stato, ma soprattutto introducendo la tanto contestata “devolution”.
Con questa riforma le Regioni avranno potere legislativo esclusivo per l’assistenza e l’organizzazione sanitaria; l’organizzazione scolastica, la gestione degli istituti scolastici, la definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della regione; la polizia amministrativa regionale e locale. E’ stata prevista tuttavia una clausola di interesse nazionale: il Governo può bloccare una legge regionale se ritiene che questa pregiudichi l’interesse nazionale e potrà invitare la Regione a cancellarla e, ove la risposta sarà negativa, la questione sarà sottoposta al Parlamento in seduta comune che avrà quindici giorni di tempo per annullarla.
Il clima di grande tensione che avvolge ogni tentativo di riforma e proposta di legge da parte dell’esecutivo ha aperto un dibattito sulla devolution fuorviante e discutibile, puntando solo e unicamente a creare confusione. L’opposizione ha così dichiarato guerra totale alla proposta preannunciando di replicare l'ormai consueto atteggiamento ostruzionistico al Parlamento.
La ragione addotta è che così si sfascia l’Italia, perché si creeranno differenze nell’erogazione dei servizi e nella disponibilità di risorse. Come se oggi, con lo Stato centralistico, i servizi sanitario e scolastico nazionali, le scuole e gli ospedali fossero uguali per tutti.
Una delle principali accuse ascoltata all’infinito in questi giorni è che in questo modo si vuole ridurre la sanità meridionale al disastro. Peccato che si ignori un piccolo aspetto: i malati del Sud che vanno a farsi curare al Nord sono già tantissimi oggi senza devolution. La destinazione delle risorse sarà decisa, come sempre, attraverso la legge finanziaria e l’auspicabile riforma federale della fiscalità (che è separata dalla riforma costituzionale) è stata rivendicata, fino a ieri, soprattutto dalle amministrazioni di sinistra.
Tra l’altro molti osservatori politici ritengono che l’approvazione della devolution comporterà la sepoltura definitiva dei grandi tesori nascosti e non sfruttati del Sud, finendo col premiare l’egoismo del Nord ricco ai danni del Mezzogiorno già svantaggiato.
Un punto di vista inaccettabile se si pensa che proprio la devolution offrirà la possibilità al Mezzogiorno di perseguire una propria di via sviluppo attraverso la semplificazione delle procedure, con l’eliminazione di tutti quei vincoli burocratici che oggi hanno smorzato ogni possibilità di crescita e di iniziativa. Grazie alla devolution le Regioni del Sud potranno finalmente utilizzare più agevolmente e più convenientemente le risorse che sono loro attribuite dallo Stato e dalla Comunità Europea. Tra l’altro le accuse di una politica nord-centrica dell’esecutivo trova ampie smentite dalla realtà dei fatti che in questi anni ha visto un forte impegno del Governo nel concedere incentivi alle imprese del Sud o a quelle che installano propri stabilimenti nel Mezzogiorno e non è un caso se proprio nel Mezzogiorno si è registrato negli ultimi anni il più alto numero di nuove imprese.
Una riforma che, semmai, mostra di non essere ancora completa e traccia solo le premesse per quel federalismo fiscale da tutti auspicato. Del resto il federalismo fiscale e l’autonomia regionale sono elementi che non possono prescindere l’uno dall’altro e favoriscono l’affermazione di principi di responsabilità, efficienza ed efficacia, vera leva fondamentale per il riscatto e la crescita delle Regioni del Mezzogiorno.
Inoltre, i timori di una moltiplicazione dei costi derivanti dal decentramento e quindi di un consequenziale incremento smisurato della spesa pubblica, lasciano grandi perplessità soprattutto alla luce dei trasferimenti di competenze già attuati in alcuni specifici settori e che si sono conclusi senza particolari problemi di risorse, uomini e competenze (come ha recentemente testimoniato il presidente della Regione Basilicata, Filippo Bubbico relativamente al settore della viabilità, ndr). Ciò sta a dimostrare che quando le procedure sono trasparenti e sorrette da una precisa volontà politica, non siamo per forza condannati all’inefficienza e in una realtà come quella meridionale dove l’inclinazione alla stessa è stata sempre molto forte, questa trasformazione può offrire lo spunto per una maggiore responsabilizzazione.
Con la devoluzione la Casa delle Libertà vuole cambiare innanzitutto questo sistema di rapporti fra i livelli di potere sul quale si sono cristallizzate piccole e grandi rendite di posizione politica e amministrativa, una sorta di sistema burocratico diffuso dai costi esorbitanti ma dall’efficienza in termini di servizi offerti a dir poco impalpabile. Appare dunque strumentale denunciare il pericolo di distruzione dell’Italia per difendere l’inefficienza, l’accentramento forzoso e altri poteri un tempo forti che ora hanno i giorni contati. Piuttosto bisognerà vedere se l’applicazione pratica corrisponderà agli obiettivi prefissati, con il rischio che sembra essere proprio l’opposto rispetto a quello paventato dagli ipercritici, restando sospesi in una Italia tra propositi federalisti e tendenze di ritorno al centralismo sul piano fiscale.