Cari amici... confesso che su molte cose nutro dubbi. Ma il papa e' stato da sempre universale?
Copio ed incollo un messaggio che ho letto su un forum ortodosso:
PAPA, EPISCOPATO, PIETRO, APOSTOLATO.
(Qualche appunto)
Spesso esiste una grande confusione nel mondo cattolico riguardo alla
funzione del papa e dell’episcopato, al ruolo di Pietro e al senso
dell’attività di un apostolo, l'apostolato.
Questa confusione nasce perché si cerca sempre di leggere con gli occhi di
“poi” quello che è successo “prima”.
Per cercare di avere un poco di chiarezza iniziamo a considerare
l'attività di san Pietro.
San Pietro ha nel vangelo un ruolo specifico ma non è dichiarato
“superiore” a tutti. Quando qualcuno chiede a Cristo “chi sarà tra noi
superiore nel regno dei Cieli?” Cristo lo rampogna severamente e risponde
in modo paradossale: “Chi è il primo si faccia ultimo!”.
In base a ciò è quindi molto difficile pensare che Pietro fosse stato il
primo e il “super partes” nel collegio apostolico.
Questo avvalora la lettura ortodossa e patristica del famoso passo in cui
Cristo dice "tu sei Pietro e su questa pietra (= cioè la fede di Pietro)
edificherò la mia chiesa".
Pietro, come ogni apostolo, si è recato in ogni parte della terra a
predicare il vangelo. Non era legato ad un luogo preciso. Per questo la
liturgia bizantina (ma anche quella romana) lo definisce dottore
“ecumenico”, dell’Ecumene, ossia di tutta la terra allora conosciuta.
L’episcopato, subentrato all’azione degli apostoli, è, invece, legato
strettamente ad un luogo, ad una chiesa di recente fondazione.
Sant’Ignazio era, infatti, vescovo della chiesa di Antiochia. Al
contrario, l’Apostolo Pietro, che fondò la chiesa ad Antiochia, non vi
rimase ma viaggiò in Occidente per morire a Roma dove nacque un’altra
chiesa.
Alla morte di Pietro, la chiesa di Roma ebbe il suo vero primo vescovo: Lino.
Al “dottore universale”, l’apostolo fondatore, subentrò nei luoghi da lui
toccati, la struttura episcopale.
Riguardo a quest’ultima realtà alcuni studiosi sostengono che esistessero
comunità cristiane primitive dove l’episcopé (l’ufficio del vescovo ossia
di colui che sta sopra gli altri a sorvegliare la vita ecclesiale) non
fosse retto da una sola persona ma da un collegio di presbiteri. Se ciò
fosse vero confermerebbe l’idea che il vescovo non è SIGNIFICATIVO per se
stesso ma perché è la bocca della Chiesa, un’impostazione che si riscontra
anche in papi come Gregorio Magno e in chi a Gregorio scriveva per cercare
di sapere cosa ne pensasse LA CHIESA DI ROMA su un determinato problema.
Il vescovo o il papato primitivo non ha nulla di originale da dare o da
dire PER SE STESSO (al di fuori della sua azione sacramentale) ma è
significativo perché testimonia la fede della sua Chiesa e la sua
esperienza in Cristo.
Tutto questo non esiste nel Concilio Vaticano I o viene fortemente
reinterpretato in chiave ideologica dove il papa finisce per avere un
valore per se stesso (EX SESE si dice) indipendentemente dai fedeli a lui
sottomessi.
La confusione tra Pietro e il papa comincia a nascere e si determina
forzatamente in un periodo in cui la sede romana deve dibattersi tra mille
problemi e cercare di farsi largo in un mondo feudale che la vuole
definitivamente assorbire.
L’autorità del papa in quanto discendente di Pietro diviene sempre più
importante. Il suo stesso titolo cambierà: in un primo momento è detto
“vicario di Pietro”, poi diviene “viario di Cristo”.
Ma quando si giunge a questo secondo titolo si giunge pure all’apogeo
dell’autorità papale.
Il papa rivendica il titolo di “vicario di Pietro” già nel primo millennio
per giustificare l’origine apostolica della sua chiesa e della sua
autorità ben sapendo che esistevano chiese (Costantinopoli) che erano
importanti per un motivo prevalentemente politico (“poiché è la sede
imperiale”, recita il primo Concilio Ecumenico).
Così, all’importanza politica il papa sottolinea il valore più grande
dell’importanza apostolica.
Questo era certamente molto utile e si giustificava in un periodo in cui
le maggiori sedi imperiali affondavano nelle eresie imposte
dall’imperatore (monotelismo, iconomachia).
Si giustificava un po’ meno quando si era in una situazione di pace
ecclesiale e di ortodossia dove ogni vescovo legittimo era anche colui
che, nella vera fede quale suo fondamento, reggeva la Chiesa di Cristo.
Il titolo “vicario di Pietro” rimase e si trasformò in “vicario di Cristo”
quando il valore e l’autorità papale aumentarono a dismisura.
Tale aumento non si determinò sempre per un desiderio di potere. Spesso si
determinò per contrastare altri poteri che tentavano di soffocare la Chiesa.
Così se Gregorio Magno non voleva sentirsi definire “papa universale”, nel
secondo millennio divenne proibito pensare che un papa non fosse
universale.
Ad un male esterno (il feudalesimo) si combatteva con un altro male
(l'assolutismo ecclesiale) che rimase e si radicò.
Il modo mutato di considerare l’autorità papale s'impose definitivamente
con il concilio vaticano I (1868-1870) dopo essere stato oggetto di lunghe
dissertazioni e controversie in campo teologico e canonistico. Già prima,
comunque, si era ben delineato, soprattutto dopo i concili di Costanza
(1414) e di Basilea (1431-1439). La sconfitta del conciliarismo (= il
concilio è superiore al papa) proposta da questi due concili fu sancita
dal concilio di Trento (1545-1563) che fissò per sempre l'autorità papale
nel Cattolicesimo nel senso oggi conosciuto.
È logico che, da allora, si sia stabilizzata una lettura che confonde e
sovrappone il papa a Pietro, l’episcopato all’azione di un Apostolo.
Tuttavia il titolo “vicario di Cristo” tende a superare anche il
riferimento al semplice Pietro facendolo divenire quello che Caterina da
Siena affermò già nel XIV secolo: “il dolce Cristo in terra”.