Anche nazisti proibirono Coca Cola
Buone ragioni per difendere la bibita
Da Il Riformista di giovedì 17 novembre
Ha precorso il "glocal", felice incontro tra global e local, rappresentando una terza via etica per le multinazionali nel mondo tra il neo-colonialismo di McDonald's e il protezionismo d'anciene régime di Bové. Anche perché ha praticato standard di comunicazione aziendale tra i più trasparenti. Ha inserito nell'economia di mercato il concetto di "classico", che fidelizza il consumatore e fissa un canone duraturo nel tempo, mettendo assieme Smith e Winckehnann. Ha diffuso una bevanda igienica in paesi dove l'acqua non è potabile. E dove i diritti dei trabajadores non esistono è riuscita a far rispettare dei livelli decorosi di lavoro. Non è la rivoluzione francese - figlia di quella americana - ma la Coca Cola: libertà di bere sinuosamente vestita in bottigliette e lattine rosse. viene miscelata con
il rum per il "Cuba libre" anche al Leoncavallo di Milano. Ma ai comunisti italiani di Roma non va giù (acidità di stomaco?) e adesso anche al centrosinistra di Torino.
Nicola Lagioia ha scritto per Fazi un'incredibile, ma rigorosissima, storia alla caffeina di Babbo Natale (collana "Le Terre", di Gabriele Pedullà) con una tesi ardita: l'icona pop di Santa Claus è stata inventata dalla Coca Cola per aggirare una legge del 1931 che proibiva, a causa della caffeina, l'utilizzo di immagini pubblicitarie in cui bambini bevevano la Coca-Cola: «Ma non ha dato avvio a un processo di scristianizzazione già in atto da qualche secolo rispetto al suo alter ego San Nicola, semmai l'ha cristallizzato, rendendolo definitivo. Le multinazionali che producono merci destinate a un largo consumo non sono propriamente "cattive". La loro natura darwiniana impone una crescita continua e una progressiva "evangelizzazione" dei fedeli consumatori». La strategia della Coca Cola è «vincente» perché entra nei nuovi territori rispettando le culture locali. A Cork in Irlanda, ricorda Lagioia, gli stabilimenti furono benedetti da un vescovo cattolico, mentre a Bagkok vennero "santificati" da monaci vestiti di arancione.
Lagioia mette in guardia da rischiosi e paradossali "compromessi storici" cui è condannata una lotta ideologica contro la Coca Cola quale presunta bandiera del consumismo americano: «Quando scoppiò la seconda guerra mondiale la Germania decise di chiudere le fabbriche tedesche di Coca Cola. Ma poi preferirono convertirle e riciclarle, secondo canoni propri: nacque così la Fanta, la bibita ariana, bionda come i tedeschi e come le birra. Prima della Fanta, in Germania le pubblicità della compagnia di Atlanta mostravano la Coca Cola accompagnata dalla svastica».
Troppo spinose le battaglie del grano contro la Coca Cola. Sia in termini nazionalisti che salutisti: «Nelle Olimpiadi del 1936, a Berlino, una delle bevande più consumate da atleti, spettatori, autorità, fu proprio la Coca Cola. E Robert Woodruff, il presidente della Compagnia, non fu molto turbato dal fatto che una fetta per nulla trascurabile del proprio fatturato fosse prodotta in un paese che calpestava ormai ogni principio democratico quanto dalla circostanza che l'atteggiamento maniacale del Fuhrer rispetto al cibo avesse costretto gli imbottigliatori a far applicare su ogni bottiglia di Coca Cola l'avvertenza "kaffeinhaltung" («contiene caffeina»). Sì quindi al boicottaggio della Coca Cola, se proprio si vuole, ma per coerenza si facciano pure circolare petizioni per l'abolizione delle Olimpiadi».
Per Tommaso Pincio, scrittore Einaudi e critico letterario di Alias, l'inserto del Manifesto, la Coca Cola «certo non sarà proprio buona come Babbo Natale, ma rispetta gli standard etici di lavoro. Cosa che molte altri multinazionali non fanno. È ridicolo attaccarla. Una cazzata, una battaglia di retroguardia. La Coca Cola è modernariato».
«C'è molta nostalgia verso il mondo della Coca Cola - prosegue Pincio - che d'altronde ha co struito il suo mito su valori tradizionali. Quando negli Usa fecero un nuovo modello troppo dolce, la gente andava a comprare la bevanda nei luoghi più sperduti, dove ancora c'era il vecchio prodotto. Secondo una suggestiva teoria complottistica la stessa Coca Cola avrebbe immesso il nuovo prodotto sapendo che non sarebbe piaciuto ai consumatori. Per rilanciare il vecchio, diventato classico. Un concetto introdotto per la prima volta». La Coca Cola, tanto per chiarire, è sempre presente nei romanzi di Pincio, da Lo spazio sfinito all'ultimo La ragazza che non era lei (Einaudi), che parte da un fast food dove una ragazza, in un ritratto alla Hopper, beve Coca Cola. «Non bisogna confondere la Coca Cola con il McDonald's dove pure è molto venduta, mentre nel resto dell'America si beve soprattutto la Pepsí, che è molto più aggressivo come prodotto rispetto alla Coca Cola, che difende i valori di una volta, quelli familiari, gli affetti, i doni. La Coca Cola rimane un prodotto tra i tanti che McDonald's, il vero nemico per i noglobal, offre. Non c'è nessun concetto di colonizzazione nelle fabbriche che la Coca cola ha aperto nel mondo».
La Mecca Cola? «Una battaglia persa, come fu il Chinotto, che tra l'altro ora è della Fanta. Insomma da questo ragionamento non se ne esce. II consumo etico non riguarda la diffusione di un prodotto nel mondo. Contano le condizioni di lavoro. La Coca Cola le rispetta».
II "casus belli" alla Coca Cola è stato un presunto coinvolgimento, indiretto, della Coca Cola nella morte di alcuni sindacalisti colombiani. Ma proprio un giovane scrittore colombiano, Efraim Medina Reyez invita a non fare confusione tra i problemi interni alla Colombia e le campagne politiche contro la Coca Cola. Mentre Paco Ignacio Taibo II, scrittore che vive in Messico, co-autore del romanzo del Subcomandante Marcos, non può fare a meno di berla.