Attentato ad Amman: per i russi è israeliano Post #1 di 1

Maurizio Blondet
17/11/2005
AMMAN - L'esibizione alla TV giordana della signora Rishawi in veste di terrorista mancata, che docilmente mostra come indossava la cintura esplosiva, non convince parecchi esperti osservatori: la prima sceneggiata pubblica di questo genere.
Convince poco la figura di uno dei terroristi morti suicidi nell'attentato, Safah Mohammed Ali: secondo gli americani era stato da loro catturato a Falluja nel novembre del 2004 (durante i feroci bombardamenti), ma poi rilasciato perché non ritenuto pericoloso. Di fatto, secondo l'imam che guidava spiritualmente i gruppi di Falluja durante gli attacchi USA ricorda che Safah faceva parte della Brigata Bandiere Nere: un gruppo sospetto, più criminale che politico, noto soprattutto per rapire camionisti e «contractor».
Uno come Safah, se davvero fosse stato preso con le armi in pugno, avrebbe dovuto essere portato ad Abu Ghraib, e sottoposto al noto trattamento (torture e stupro), anziché essere rilasciato.

Altri dubbi restano sulla notizia (affermata, poi smentita da Haaretz) secondo cui turisti israeliani presenti ad Amman sarebbero stati evacuati ore prima.
E ancor più dubbi nascono dalle foto degli alberghi devastati, che mostrano chiaramente come le esplosioni siano avvenute in alto, avendo squarciato i controsoffitti.
Come se le bombe fossero state nascoste dietro i pannelli.
Questo particolare è confermato da Fadi al-Kessi, il disc jockey del Radisson presente nella sala della festa di nozze al momento delle esplosioni.
«Le luci della sala dov'era in corso la festa si sono spente per secondi, forse un secondo prima dello scoppio», ha raccontato alla Associated Press: «benchè ci fosse luce elettrica nel corridoio e nella lobby…poi un enorme boom. Mi è parso che l'esplosione venisse dal soffitto» (1).
Ancor più sospetto il fatto che il giovane re di Giordania Abdullah abbia approfittato della strage per fare un brutale rimpasto ai piani alti del potere: undici alti ufficiali dell'intelligence giordana, fra cui il suo capo, Saad Kheir, hanno dato le dimissioni (o sono stati dimessi) proprio mentre ad Amman sbarcava John Negroponte, il supercapo dell'intelligence USA



Il re ha sostituito il dimissionato con Marouf Al-Bakhit, ambasciatore giordano in Israele.
Il russo Shamil Sultanov, membro della Commissione Affari Internazionali alla Duma, ha sottolineato come questo rimaneggiamento rafforzi Abdullah: «anzitutto», ha detto Sultanov parlando alla radio russa Mayak l'11 novembre (2), «ricordiamoci che la Giordania è un elemento chiave per gli interessi americani. La posizione del nuovo re Abdullah II, che fra l'altro è metà inglese, è molto difficile per via delle contraddizioni sorte negli ultimi sei mesi tra lui e il vecchio gruppo di potere giordano. Quello che è accaduto ha dato un ottima occasione ad Abullah per fare dei cambiamenti nel suo entourage, per dirla con tatto, e rafforzare la sua autorità personale».
Non a caso Abdullah si è affrettato a varare leggi speciali anti-terrorismo, sul modello di quelle di Tony Blair e di Bush in USA, che di fatto aumentano il controllo del suo regime su ogni aspetto della vita del Paese.
Sultanov (ex KGB) ha anche rilevato quella che chiama la «connessione israeliana» negli attentati di Amman.
«Abu Mazen [il capo dell'Autorità Palestinese] è molto malato. E parecchi credono che il suo partito, Fatah, non può vincere con lui come leader, e sicuramente non vincerà le elezioni parlamentari che avverranno fra pochi mesi. Sicchè per moltissimi attori, gli americani, Israele, Sharon, l'Egitto, [Muhammad] Dahlan [attualmente ministro degli Affari Civili dell'Autorità Palestinese] sarebbe il politico migliore per rimpiazzare Abu Mazen. In questo senso gli attentati di Amman, e in modo particolare l'uccisione negli attentati di Bashir Nafi, il capo dell'intelligence militare palestinese nei Territori, è secondo me il passo che ha aperto la strada a Dahlan».



Dunque gli attentati «islamici» sarebbero stati perpetrati da una parte per rafforzare Abdullah, ma mettendogli attorno un gruppo di governo più filo-israeliano?
E nel frattempo per togliere di mezzo personalità palestinesi fedeli ad Abu Mazen?
Risponde, alla radio Mayak, il russo Vladimir Akhmedov, «esperto di Medio Oriente» (ex KGB anche lui): «è assolutamente vero che in Medio Oriente è in corso un difficile e complesso processo per sostituire le elites dirigenti…E gli USA interferiscono in questi processi sia con la diplomazia sia, come in Iraq, con la forza. Sicchè il rapporto bilanciato civili-militari in questi Stati è sconvolto. E la Giordania paga un alto, altissimo prezzo per la sua politica nel Medio Oriente, una politica che è dettata in larga misura dalla pura e semplice posizione geostrategica del Paese, circondato com'è da vicini potenti come Israele, Siria, Iraq e Arabia Saudita».

A questo proposito, Akhmedov ha ricordato il recente discorso del presidente siriano Bashar al Assad: «egli ha detto chiaro che l'assassinio di Hafik Hariri [l'ex presidente del Libano] è stato un elemento di pressione sulla Siria. I siriani non c'entrano con quel delitto. Credetemi: sono un esperto di Medio Oriente. Se i siriani volevano esercitare qualche pressione o influenza su Hariri, avrebbero avuto mille altri mezzi. E nella 'grande Siria' [che comprende il Libano, ndr.] tutti si conoscono a vicenda molto bene. Sanno che puoi essere nemico oggi, e amico domani. Perciò non ricorrono ai mezzi estremi» […]
«Secondo la mia personale opinione, sono stati gli americani a liberarsi di Hariri. Anzi i bersagli erano due. Il primo, il presidente siriano Assad, e il secondo, Chirac. Ciò perché Hariri era un amico intimo di Chirac, molto intimo. Non passava un mese senza che i due si incontrassero. E chi sa di politica dovrebbe capire che cosa significa una così stretta amicizia. Sicché hanno voluto rovinare i rapporti tra Chirac e il mondo arabo; e in questo ci sono riusciti. Ma non sono riusciti nel secondo scopo; non sono riusciti a forzare la Siria a capitolare» (3).



Sia o no plausibile questa analisi russa, va notato che Mosca ha indurito e reso più esplicite le sue accuse alle intromissioni americane nel «suo» cortile islamico.
«Russia e Uzbechistan uniscono gli sforzi per respingere l'aggressione esterna degli Stati Uniti»: così la Pravda titola il resoconto della recente visita ufficiale di Islam Karimov, il presidente uzbeko, a Mosca.
Putin e Karimov hanno firmato un accordo militare di reciproca assistenza in caso di «aggressione esterna».
Ed hanno chiarito: «un'invasione militare dell'Uzbechistan non è veramente possibile, ma gli USA cercheranno invece di organizzarvi un colpo di Stato».
Nel trattato, salutato da Karimov come «un livello di rapporti con la Russia totalmente nuovo», i due Stati si sono accordati nell'uso vicendevole di «installazioni militari nei loro territori».



E l'analista strategico russo Andrei Grozin, del Dipartimento Asia Centrale del CIS Institute di Mosca, ha spiegato: «un gruppo di senatori USA ha già minacciato di portare Karimov sotto processo internazionale per il suo rifiuto di collaborare nell'inchiesta sui fatti sanguinosi di Andijan. E USA e Unione Europea hanno lanciato una guerra mediatica contro l'Uzbechistan».
Un vero intervento militare contro Karimov è escluso: l'Uzbechistan è lo stato più esteso dell'Asia centrale, ed ha il 50% della popolazione totale dell'area.
Ma Grozin non esclude un colpo di stato manovrato dagli americani: evidentemente a Mosca si valutano le «pressioni» occidentali sull'Uzbechistan, al pari di quelle sulla Siria, come parte dello stesso «processo per sostituire le classi dirigenti» con altre più favorevoli agli interessi israelo-americani.
E Grozin (KGB) ha accennato a questo proposito a «un certo centro anti-terrorismo nella Shanghai Cooperation Organization» che si occupa proprio di questo.
La Shanghai Organization è un trattato economico fra Cina, Russia e quattro Paesi dell'Asia centrale, fra cui l'Uzbechistan.
In quella sede, il «terrorismo» da contrastare è palesemente quello USA - israeliano.



Frattanto un altro dei Paesi membri, il Kazakhstan, sta ingaggiando una curiosa battaglia legale contro un avversario improbabile: MTV, la TV che trasmette in tutto il mondo videoclip di musica rock e pop.
Il ministro degli esteri kazako ha minacciato di querelare il comico Sacha Baron Cohen, che da MTV ridicolizza il Kazakhstan da settimane, dipingendolo come uno Stato di bovari ubriaconi, che bevono vino fatto di urina di cavallo (nella realtà, i mongoli bevono un alcolico fatto di latte di cavalla) e mangiano cani.
«Non escludo che Cohen lavori agli ordini politici di qualcuno», ha detto il portavoce del ministro.
Ed effettivamente, ci si domanda che senso ha fare dello spirito sul Kazakhstan, e con tanta insistenza.
Va detto che Cohen, per le sue scenette anti-kazake, è stato insignito di un premio a Lisbona. Perché?



Forse può aiutare a capire che MTV è nato come un veicolo per diffondere il «modo di vita americano» capace, con la sua incessante esibizione di pop e rock, di influenzare vaste masse nel mondo: la si vede in Cina e in India, poiché trasmette da costosi satelliti.
MTV è controllata dalla multinazionale Viacom, il cui capo, il miliardario Sumner Redstone (alias Murray Rothstein) ha il controllo di 12 network televisivi, di 12 radio, della Paramount Pictures e delle case editrici Simon & Schuster e Prentice & Hall.
Appartiene a Viacom anche il marchio Blockbuster, che ha 4 mila negozi in franchising sul pianeta; senza contare i numerosi parchi tematici e gli studi di produzione, che forniscono soap operas ai tre principali network Usa.
Redstone - Rothstein, padrone della Viacom al 76%, è un sionista sfegatato.

Maurizio Blondet




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Note
1) «Jordan Security aide and 10 others design», Associated Press, 15 novembre 2005.
2) «Israeli connection in the recent Amman bomb», Radio Mayak, 13 novembre 2005 (tradotto in inglese dalla BBC Monitoring).
3) «Russia and Uzbekistan join efforts to repulse external aggression from USA», Pravda, 15 novembre 2005.
4) «Kazakhstan threats to sue MTV spoof presenter», Mosnews, 15 novembre 2005.