...un mesetto fà avevo postato questo fatto della difesa s.p.a. con il titolo MILITARIZZAZIONE,e qualcuno ci ridicolizzava sopra...va bè pazienza,...a ognuno il suo mestiere...
DANKO L'IRRIDUCIBILE!! SALUTI PROLETARI!!
Difesa Servizi s.p.a.
romperelerighe | 25 Novembre, 2009 11:40
Il business militare tra rifiuti, cioccolatini e nucleare
Un'analisi approfondita delle nuove tendenze del militarismo in Italia
Negli ultimi anni, le forze armate hanno goduto di uno spazio sempre maggiore sulla scena pubblica e sono state chiamate a svolgere numerose funzioni, sia all’estero che in Italia; è del tutto evidente che questa tendenza non è destinata ad invertirsi nel prossimo futuro, tutt’altro.
Forti di questa consapevolezza, i vertici dell’esercito hanno reagito immediatamente e con fermezza ai tagli che l’ultima finanziaria prevede per il settore Difesa (2,6 miliardi di euro in meno, nell’arco dei prossimi tre anni), avanzando proposte, per bocca del ministro La Russa, che consentano di mantenere intatti i propri livelli d’efficienza e i propri standard operativi.
Nasce così, in primis, la “Commissione di Alta Consulenza per la ridefinizione del sistema di Sicurezza Nazionale”, con il compito di formulare una bozza per una legge di riordino del modello di difesa, ossia per valutare proprio come consentire ai militari di operare nel migliore dei modi nei nuovi scenari in cui si troveranno impegnati, nonostante possibili ristrettezze finanziarie dovute alla contingenza storica.
Nonostante non sia ancora pronto il documento che questa commissione doveva elaborare, è facile immaginare gli ambiti d’intervento individuati come prioritari; istruttiva in questo senso la relazione del consigliere militare della presidenza della Repubblica e del consiglio supremo di Difesa, Rolando Mosca Moschini, che nel dicembre 2008 al Centro Alti Studi per la Difesa ha elencato i maggiori rischi dei prossimi anni.
Primo: “…un movimento eversivo transnazionale su scala globale, un fenomeno estremamente ampio, complesso e articolato, che coinvolge tutte le entità statuali, sia sul piano dei rapporti nell’ambito della comunità internazionale, sia per quel che riguarda la situazione interna.”
Secondo: ”La crescita della disuguaglianza, ovvero il persistere delle attuali profonde discriminazioni che convergono sull’Europa dall’esterno, quale fattore di tensione con il mondo del sottosviluppo, e, dall’interno, di ciascuno dei suoi stati membri, anche in conseguenza del sempre più pervasivo fenomeno dell’immigrazione.”
Terzo rischio: “Ambientale e delle risorse primarie, con le modificazioni climatiche, la progressiva desertificazione dei suoli, il moltiplicarsi delle catastrofi e il diffondersi delle carestie e della fame”.
Il primo pericolo individuato da Mosca Moschini richiama l’attenzione da una parte sulla resistenza esterna che, attualmente, soprattutto in Afghanistan e Iraq, tiene in scacco gli eserciti alleati e dall’altra sui movimenti rivoluzionari, d’opposizione reale e di contestazione che, all’interno, mettono in discussione la politica o l’esistenza dell’autorità.
Il secondo rischio messo in evidenza rappresenta invece un’esplicita dichiarazione, da parte dei vertici della Difesa, di consapevolezza del fatto che la povertà e le disuguaglianze sociali ed economiche sono destinate ad approfondirsi, tanto nei paesi “sottosviluppati” quanto in quelli occidentali, e che con esse continueranno a crescere i flussi migratori di uomini e donne in fuga da guerre, fame e miseria.
E’ facilmente prevedibile quale sarà il compito dei militari di fronte a questi due fenomeni perturbatori della tranquillità sociale.
A suggerircelo è l’attuale militarizzazione, per quanto ancora embrionale, delle nostre città, soprattutto se letta sulla base degli scenari prospettati dagli analisti Nato per i prossimi anni.
Nel rapporto ufficiale “Urban operation in the year 2020” si prevede infatti un diffondersi e intensificarsi di conflitti e rivolte nelle diverse regioni del globo e sono indicate le metropoli come teatri principali di queste sollevazioni: di conseguenza, ampio spazio è dedicato alla necessaria riorganizzazione tecnica, operativa e strategica delle forze armate per comprendere, controllare e reprimere efficacemente la rabbia, le capacità organizzative e gli attacchi dei nemici in contesti urbani.
Esemplare dell’impegno con cui le forze armate si stanno preparando ad affrontare questi conflitti, in cui i soldati saranno impegnati spesso contro folle agitate o in rivolta, è l’attenzione dedicata ad armamenti adeguati a questi scenari.
Diverse sono le armi classificate come non-letali progettate e realizzate dall’industria bellica negli ultimi anni per funzioni specificatamente anti-sommossa: mine “non letali” (contenenti sostanze irritanti o che azionano meccanismi immobilizzanti), laser a bassa energia (possono accecare individui e sensori in modo temporaneo o permanente), schiume paralizzanti, supercaustici (in grado di produrre incalcolabili sofferenze), stimolazioni e illusioni ottiche (armi che emettono impulsi luminosi ad alta intensità e luci stroboscopiche, note anche come Dream Machine, in grado di disturbare il sistema nervoso centrale causando vertigini, disorientamento e nausea), sistemi acustici a infrasuoni e a ultrasuoni (la nuova generazione di armi acustiche può generare onde traumatiche di 170 decibels in grado di danneggiare organi, creare cavità nei tessuti del corpo umano e causare traumi da onde d’urto potenzialmente letali), armi a microonde (Active DenialSystem, come il cosiddetto Pain Ray, “raggio del dolore”, usato per garantire l’ordine pubblico ma suscettibile d’essere impiegato con un’aumentata potenza e letalità), supercolle (fucili “lancia-colla” e barriere adesive), reti, cannoni ad acqua elettrizzata, munizioni di gomma e plastica (tra le altre sono state progettate munizioni a “doppio uso”, che a seconda della velocità con cui vengono sparate possono essere letali o “non letali”), Beanbag (munizione particolare la cui pallottola è costituita da un contenitore caricato con pallini ottenuti da legumi secchi).
Il terzo rischio paventato da Mosca Moschini racchiude anch’esso un’implicita ammissione da parte delle autorità: affermare di fatto che le catastrofi “naturali” sono destinate, nel prossimo futuro, a moltiplicarsi vuol dire riconoscere la loro prevedibilità, ossia il loro dipendere da cause sociali.
Si tratta di una chiara ammissione di consapevolezza che le cause di questi eventi dipendono dalla sempre più selvaggia distruzione del nostro pianeta, progettata e condotta dall’attuale organizzazione socio-economica.
Un esempio su tutti, l’uragano Katrina che nell’agosto 2005 ha distrutto la città di New Orleans e causato migliaia di morti e centinaia di migliaia di sfollati tra le fasce più povere della popolazione; ebbene, andando a ricercare le condizioni che permettono la nascita degli uragani, si scopre che essi hanno origine da acque calde, con temperature superiori a 26 gradi.
E’ facilmente prevedibile allora che a causa del surriscaldamento del pianeta e del progressivo scioglimento dei ghiacciai dovuti all’effetto serra, eventi di questo tipo si moltiplicheranno e intensificheranno la propria forza distruttiva.
Sempre soffermandoci sull’uragano Katrina, è interessante notare come è stata gestita dai militari, nell’immediato, la drammatica emergenza verificatasi: alla disperazione e alla rabbia dei superstiti, che hanno iniziato a saccheggiare negozi alla ricerca soprattutto di generi alimentari e di prima necessità, gli Stati Uniti hanno risposto inviando migliaia di soldati della Guardia Nazionale e reintroducendo le legge marziale, che autorizza a sparare a vista.
Sembra poi che anche metà dei poliziotti disponibili siano stati sollevati dai compiti di ricerca e assistenza, per partecipare alla caccia contro queste bande di saccheggiatori.
Spostando l’attenzione su una vicenda a noi più vicina, geograficamente e cronologicamente, il terremoto dell’Aquila dell’aprile scorso, non può non colpire la gestione centralizzata dell’emergenza, resa possibile grazie al lavoro congiunto di sbirri, militari e protettori civili, che hanno controllato la vita degli sfollati nelle tendopoli in ogni suo aspetto.
Dalle gestioni delle tendopoli stesse, in cui per entrare era richiesto un documento d’identità e che con un vero e proprio coprifuoco venivano chiuse a una certa ora della notte; dal divieto di discutere collettivamente e distribuire volantini, se non autorizzati dal comitato centrale della protezione civile; dall’impossibilità in alcuni casi di cucinare autonomamente fino all’imposizione di particolari regimi alimentari che favorissero la calma e la passività degli sfollati.
Un’emergenza gestita militarmente, in cui la vita quotidiana di migliaia di uomini e donne è stata impregnata dall’odore stantio della gerarchia e della burocrazia da caserma, in cui ogni autonomia è considerata un pericolo e la silenziosa obbedienza una virtù.
Che il modello Aquila sia stato un progetto studiato a tavolino ed esportabile, soprattutto dopo la sperimentazione avvenuta nel capoluogo abruzzese, ad altre situazioni simili, è fuor di dubbio, anche alla luce delle dichiarazioni successive alla tragedia di Messina dell’ottobre scorso, in cui più volte e da più parti si è accennato di voler utilizzare questo modello per la gestione degli sfollati.
Altro fenomeno degno di attenzione osservando la gestione post-terremoto dell’Aquila è sicuramente quello dello sciacallaggio: nonostante i casi reali di persone sorprese a frugare tra le macerie e le case abbandonate siano stati pochissimi, per alcuni giorni questo “enorme” problema è stato al centro dell’attenzione di mass media locali e nazionali.
In questo modo l’attenzione di molti sfollati è stata distolta dai vari corresponsabili della tragedia, e la diffidenza e la paura hanno sostituito in molti i sentimenti di solidarietà che spontaneamente erano sorti; a farne le spese soprattutto gli stranieri, immediatamente identificati come potenziali sciacalli; a trarne giovamento, naturalmente, le autorità che hanno avuto un ulteriore pretesto per militarizzare ulteriormente il territorio e le tendopoli e per applicarvi una disciplina da caserma.
Niente di nuovo, si è trattata della semplice riproposizione di un meccanismo ben collaudato a livello nazionale grazie all’isteria sicuritaria indotta negli ultimi anni.
Dopo un sommario accenno ai campi in cui le forze armate si troveranno ad essere impegnate nei prossimi anni, torniamo alla questione iniziale di come i vertici militari riusciranno a garantire standard operativi efficaci, nonostante possibili riduzioni della spesa destinata alla difesa.
La proposta presentata dal ministro La Russa e contenuta nel ddl 1373 è di enorme portata e prevede la costituzione della Difesa Servizi s.p.a., una società con un solo azionista, il ministero della difesa, che non può cedere azioni, né essere quotata in borsa, e che nascerebbe con un capitale iniziale di un milione di euro.
Diversi gli ambiti in cui questa s.p.a. potrebbe svolgere le proprie attività e allungare i propri tentacoli, con l’obiettivo di rimpinguare le proprie casse.
In primis, la gestione commerciale dei loghi delle forze armate che, ahinoi, negli ultimi anni hanno registrato un boom di vendite.
Attualmente, la ditta concessionaria di tutti i loghi è la Plg che ricava dalle vendite dei prodotti il 35% degli utili; il restante 65% va nelle tasche delle varie ditte produttrici, che attualmente sono circa una ventina.
La tipologia dei prodotti è ampia, si va dai capi d’abbigliamento alle calzature, dagli orologi ai prodotti alimentari, dagli articoli di cancelleria per le scuole ai deodoranti, dopobarba, profumi etc.
Tanto per elencare alcune tra le ditte che hanno scelto di fregiarsi dei loghi dei torturatori della Folgore, del Battaglione San Marco e della Brigata Sassari, si può citare la Dufour che ha in progetto di produrre tavolette di cioccolato e uova di pasqua, l’American Eagle che produrrà scarpe e la società Officina della Moda che ha intenzione di aprire una catena di negozi con l’insegna Esercito Italiano.
Attualmente, non potendo emettere fatture, il ministero della Difesa viene ripagato dalla Plg con permute di servizi e beni; una volta costituitasi la Difesa Servizi, invece, il ministero potrà attraverso essa essere remunerato economicamente o gestire direttamente i propri loghi e intascarne quindi i profitti.
Oltre ai margini di guadagno destinati a crescere, la commercializzazione di questi loghi è un valido mezzo di pubblicità e un modo per rendere ancor più familiare l’immagine delle forze armate, soprattutto tra i giovani.
Tralasciando in questo scritto le conseguenze del ruolo di vero e proprio general contractor che la Difesa Servizi rivestirà nel settore degli approvvigionamenti per l’esercito e soprattutto delle armi, i maggiori guadagni che la costituzione di questa s.p.a. consentirà vengono dall’immenso patrimonio immobiliare della Difesa.
Nel marzo 2009, La Russa si trovava a Cannes, al Mipim, il principale salone internazionale della proprietà immobiliare, per mostrare la propria mercanzia ai futuri acquirenti: attraverso la Difesa Servizi, il ministero potrà infatti affittare o vendere i propri immobili a privati senza l’autorizzazione, finora vincolante, di altri ministeri e goderne interamente i frutti.
Da un punto di vista economico, si tratta di un patrimonio immobiliare ricchissimo: numerosissime sono le caserme, gli uffici, i palazzi storici, gli aeroporti etc. che, anche in seguito alla fine della leva obbligatoria, sono ormai inutilizzati; in molti casi poi si tratta di aree e edifici di notevoli dimensioni, che sorgono nei centri storici o in prossimità di essi, cosa che non fa che aumentarne il valore di mercato: venderli perchè diventino grandi alberghi o residenze di lusso non sarà assolutamente difficile.
Nei fatti, si tratta probabilmente di una delle più grandi privatizzazioni e svendite del patrimonio pubblico mai realizzate in Italia, che, oltre a finanziare il Ministero della Guerra, avrà altre nefaste implicazioni per la libertà e la vita di noi tutti.
Come suggerisce infatti il generale Castagnetti, capo di stato maggiore dell’esercito, perché non utilizzare, per affrontare l’emergenza carceri, il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere o altre strutture militari idonee, ormai pressoché inutilizzate?
Come non pensare poi al terrificante sogno di Maroni di veder sorgere in ogni regione della penisola un lager per immigrati, utilizzando proprio le caserme inutilizzate?
E’ facile prevedere che questo desiderio del ministro dell’interno troverà l’incondizionato sostegno del collega La Russa, che oltre alle motivazioni politico propagandistiche di tutto il governo avrà indiscutibili interessi economici a far sì che questo progetto si realizzi.
Carceri e Cie dunque, ma non solo, la nascente s.p.a. potrà infatti trarre profitti da altri impianti che, a detta delle autorità stesse, sono di importanza strategica per il paese.
Si legge a pagina 3 della brochure presentata al Mipim da La Russa:
“La Difesa Servizi S.p.a. consentirà di snellire le procedure attualmente in vigore in materia di compravendita, permuta e impiego industriale delle aree di interesse per la produzione di energia”.
Confrontiamo questa affermazione con quanto contenuto nel ddl 1195 che si occupa “delle misure necessarie a reintrodurre il nucleare in Italia”, e in specifico con quanto affermato nell’art.22, dall’eloquente titolo “valorizzazione di immobili militari”:
“Il Ministero della difesa, allo scopo di soddisfare le proprie esigenze energetiche, nonché per conseguire significative misure di contenimento degli oneri connessi e delle spese per la gestione delle aree interessate, può affidare in concessione o in locazione o utilizzare direttamente, in tutto o in parte, i siti militari, le infrastrutture e i beni del demanio militare o a qualunque titolo in uso o in dotazione alle Forze armate, compresa l’Arma dei carabinieri, con la finalità di installare impianti energetici destinati al miglioramento del quadro di approvvigionamento strategico dell’energia, della sicurezza e dell’affidabilità del sistema, nonché della flessibilità e della diversificazione dell’offerta, nel quadro degli obiettivi comunitari in materia di energia e ambiente”.
In sostanza, da una parte viene sancita la possibilità di utilizzare aree militari per la costruzione di centrali nucleari, e dall’altra, attraverso la Difesa Servizi, si rende remunerativa questa eventualità per le forze armate.
L’uso delle aree militari viene inoltre concesso, oltre che ad impianti energetici, anche ad impianti legati allo smaltimento dei rifiuti: significativo, in quest’ambito, il precedente di qualche anno fa quando in piena emergenza rifiuti nel napoletano tonnellate di ecoballe vennero stipate all’interno della base militare di Persano, in provincia di Salerno.
Il cerchio sembra chiudersi.
Dopo aver decretato che le future nocività, considerate di importanza strategica nazionale, potranno essere difese militarmente dai “nostri” soldati, come è già avvenuto per la discarica di Chiaiano, con questi ultimi disegni di legge le autorità hanno stabilito la possibilità di costruire direttamente in aree militari discariche, inceneritori e centrali nucleari con i relativi depositi di scorie.
In questo modo viene ridotta a zero la già debole influenza decisionale delle amministrazioni locali, dato che le aree militari non sono sotto la competenza degli enti locali; e soprattutto si organizza la difesa preventiva contro le prevedibili reazioni e lotte delle popolazioni locali, degli oppositori alle nocività e di compagni e compagne.
Davanti al quadro che emerge dagli elementi fin qui delineati, ci sembra importante condividere alcune riflessioni, che possano essere di stimolo per le future battaglie.
E’ evidente, come detto, la centralità che le forze armate stanno raggiungendo sul fronte interno nel controllare e reprimere ampie fasce della popolazione, a dimostrazione di come le autorità intendono affrontare le emergenze sociali e “naturali” che si presenteranno loro: militarmente.
E i militari, nonostante la sfacciata propaganda di regime, non fanno volontariato, né conducono operazioni umanitarie; i soldati, banalità delle banalità, da sempre vengono addestrati per una sola, terribile, attività, quella di combattere le guerre.
Dalle già menzionate dichiarazioni di Mosca Moschini, dal breve accenno sul rapporto Nato e dalla lettura delle precedenti proposte di legge, non ci sembra ci siano molti dubbi su quali saranno gli scenari, gli obiettivi, e i nemici della guerra che, all’interno, i soldati saranno chiamati a combattere.
La guerra si svolgerà nelle nostre città, contro quanti davanti all’evidente e progressivo peggiorare delle condizioni di vita non si lasceranno ingannare dalla propaganda statale che li invita ad addossare ogni colpa ad immigrati, rom e ad altre categorie di poveri (lavavetri, mendicanti, senzatetto etc.), ma indirizzeranno la propria rabbia contro i reali responsabili del comune sfruttamento.
Questa guerra, poi, sarà combattuta proprio davanti a quelle caserme e aree militari che saranno scelte per ospitare i vari impianti di morte d’importanza strategica nazionale; a difenderli le “nostre” truppe, schierate contro tutti quegli uomini e quelle donne che non accetteranno passivamente la costruzione di discariche, inceneritori, centrali nucleari etc.
A ben vedere, quella che stiamo tratteggiando è, come quelle combattute in Iraq e Afghanistan, una guerra in difesa della democrazia; in difesa cioè di quel particolare regime di governo, basato da sempre su enormi disuguaglianze sociali ed economiche, in cui alcuni impongono ai più le proprie decisioni, grazie proprio alla minaccia o all’utilizzo concreto della forza.
Davanti a una guerra democratica, che ha messo da parte ogni distinzione, ed è pronta a caratterizzare con la propria distruttività la vita di milioni di persone, tanto all’esterno quanto all’interno dei confini nazionali; davanti a una democrazia di guerra che si sta rapidamente strutturando a livello culturale, legislativo, e appunto, militare, per prevenire, reprimere e incarcerare pratiche e progetti di lotta reali; è necessario che quanti hanno a cuore la libertà e in odio il crescente autoritarismo, con i suoi progetti di morte e miseria per molti di noi, si armino di una consapevolezza e determinazione adeguate.
Quale efficacia possono avere le raccolte di firme per impedire la costruzione di centrali nucleari o discariche di rifiuti, dal momento che sono state considerate opere d’importanza strategica nazionale?
Quale efficacia può avere il cercare l’appoggio di amministratori locali, di fatto esautorati di ogni potere decisionale da varie leggi, l’ultima delle quali quella che indica le aree militari come siti idonei alla costruzione di questi impianti?
Percorrere queste strade vuol dire accontentarsi di mostrare simbolicamente la propria contrarietà a questo tipo di progetti e, nei fatti, fornire un prezioso aiuto alla controparte, che farà tesoro del tempo e delle energie sprecate come delle disillusioni che i prevedibili insuccessi provocheranno.
Mostrare simbolicamente la propria contrarietà, per buona, quanto ingenua, fede, o per far tacere, momentaneamente, i tanti “ma” che arrovellano la propria coscienza, non renderà meno velenosa l’aria intorno alle discariche, né renderà meno irreparabili le conseguenze del nucleare.
Allo stesso modo, che senso ha continuare a confidare nell’elemosina di qualche padrone, o nelle promesse di qualche avvoltoio della politica, dal momento che la menzogna con cui hanno cercato di farci stare buoni, quella secondo cui la società andava verso un progressivo e diffuso benessere, è con tutta evidenza miseramente naufragata?
Se non vogliamo aggrapparci supplichevoli alle vesti di lorsignori, e dei loro servi in mimetica, nella speranza, ben che vada, di essere tra gli ultimi a subire la durezza di questa autoritaria guerra democratica; se non vogliamo che gli effetti culturali, materiali e sociali dell’attuale barbarie assumano anch’essi l’incommensurabile carattere di irreparabilità, sarà opportuno, dicevamo, armarsi di consapevolezza e determinazione adeguate.
Sarà un buon punto di partenza fare tesoro delle intenzioni delle autorità, e comprendere che non sarà possibile contrastare realmente queste nocività, né opporsi alle politiche razziali, ai lager per immigrati o all’asfissiante aria di controllo che si respira nelle nostre città, senza mettere in discussioni a livello teorico e soprattutto pratico il ruolo e l’esistenza stessa dei soldati.
Troveremo sempre le truppe nostrane schierate dall’altra pare del fronte, a difendere gli interessi dei ricchi e dei potenti e i loro molteplici progetti di morte, organica e sociale; e con loro, se ancora qualcuno si ostinasse, non sarà possibile nessun dialogo – non saprebbero infatti rispondere altro che: “sto solo obbedendo agli ordini” o “sto solo facendo il mio lavoro”.
Con “i nostri bravi ragazzi” in mimetica sarà possibile solo scontrarsi per quanti vorranno con determinazione portare avanti le future battaglie.
Per questo già da ora, non concediamogli nessuna tregua, nelle tante manifestazioni propagandistiche e nelle attività di pattugliamento e controllo che già svolgono nelle nostre città;
sabotiamo la realizzazione dei tanti progetti in cantiere dell’industria della guerra;
sabotiamo la costruzione delle nuove basi militari, in cui le truppe saranno addestrate per combatterci.
Contro la guerra e contro la pace, dei padroni e dei loro servi in divisa.
Per la guerra sociale.
Edizioni laramaccia, Teramo
Per info e contatti:
laramaccia@yahoo.it
Quest’opuscolo lo puoi trovare anche allo spazio antiautoritario “La Fionda” in
via Trento e Trieste 35 a Teramo, aperto ogni venerdì dopo le 18.00
Per una rassegna più ampia di testi e iniziative antimilitaristi, si può consultare il
sito: romperelerighe.noblogs.org