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Discussione: Il Falco Moderato

  1. #11
    SENATORE di POL
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    dal quotidiano IL FOGLIO di oggi

    " Dan Segre: “Forte paura in Avoda”
    Secondo Danny Rubenstein, giornalista del quotidiano israeliano Haaretz, il nuovo partito di Sharon “rimarrà comunque un partito di centro, ma un centro diverso” rispetto a quello finora conosciuto in Israele: “Il centro si è spostato verso sinistra”. La mossa di Sharon ha totalmente cambiato la faccia della politica israeliana. Per Vittorio Dan Segre, analista politico ed editorialista del Giornale, l’attesa decisione di Shimon Peres è più importante di quella di Yossi Beilin, perché “è immediata”, cioè cambia subito gli equilibri, influenza le decisioni degli altri. Per lo storico Michael Oren, membro dello Shalem Center, l’entrata di Beilin in una coalizone guidata dal partito del primo ministro non farebbe che aumentare la forza della sinistra e regalare voti ai laburisti: “Se chi volesse votare per Ariel Sharon, me compreso, vedesse il nome di Yossi Beilin sulla lista, non lo voterebbe più – dice – Sharon non accetterebbe Beilin nel suo partito, preferirebbe piuttosto Abu Mazen”. Nonostante ciò, Oren ammette la capacità del gruppo Kadima di attrarre membri, anche se non sa prevedere se si tratta di una situazione che può andare avanti nelle prossime settimane.
    “C’è un forte senso di paura e disperazione nel partito laburista di fronte al probabile tradimento di Shimon Peres”, spiega Dan Segre. Sharon ha offerto all’ex leader del Labour l’incarico d’inviato per la pace, nel caso in cui Kadima vincesse le elezioni di marzo. L’intero partito laburista, secondo il quotidiano Haaretz, è furioso per le negoziazioni tra i due leader. Il nuovo capo di partito, Amir Peretz, si è accorto che il corteggiamento di Peres da parte di Sharon potrebbe indebolire Avoda e, domenica, ha telefonato all’ex leader del suo gruppo, proponendogli il posto di presidente, creato ex novo per lui. Secondo Dan Segre, Kadima resta comunque un gruppo di centro e la decisione di Peres, se il premio Nobel si muovesse verso il nuovo movimento, non farebbe che rafforzare questa identità.
    "

    Shalom

  2. #12
    SENATORE di POL
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    " Ritorno al futuro

    Da un articolo di Shlomo Avineri

    Oltre alle ovvie conseguenze immediate sulla futura politica israeliana, la decisione di Ariel Sharon di lasciare il Likud e fondare un suo proprio partito potrebbe indicare un riallineamento dell'intera mappa politica del paese.
    Fino al 1967 il Likud e i partiti suoi predecessori (Herut e Gahal) costituivano un fenomeno marginale nella vita politica del paese. Il movimento politico da cui erano scaturiti era quello dei Revisionisti di Jabotinsky, la cui principale caratteristica era l’opposizione di principio all’idea della spartizione preconizzata dalla risoluzione Onu del 1947, che aveva aperto la strada alla sovranità ebraica.
    Prima e durante gli anni della fondazione dello stato, la forza egemone era il movimento laburista, alleato con i liberali di centro Sionisti Generali e i Sionisti Religiosi del Mizrahi. Tutti questi partiti accettavano la spartizione, sebbene a malincuore, come il solo modo per ottenere una sovranità ebraica in Terra d’Israele.
    L’opposizione dei Revisionisti alla spartizione diminuì un po’ dopo il 1948. Tuttavia essa continuò a tenerli ai margini del discorso politico del paese reale. Laburisti e sionisti liberali dissentivano sulla politica economica. Mapai e Mapam si dividevano sul loro atteggiamento verso l’Unione Sovietica e le politiche sociali. Negli anni ’50 e ’60 dell’immigrazione di massa questi erano i temi cruciali e determinanti per la sopravvivenza e lo sviluppo della nuova nazione.
    Discussioni circa il diritto storico su Hebron, Jenin, Gerico o Nablus sembravano del tutto irrilevanti rispetto allo sforzo di stabilire e consolidare uno stato-nazione ebraico in condizioni estremamente difficili. Implicitamente lo riconobbe anche Menachem Begin non invocando mai nemmeno una volta, tra il 1949 e il 1967, una qualunque iniziativa militare volta ad assumere il controllo delle regioni di Giudea e Samaria (Cisgiordania) e nemmeno della parte vecchia di Gerusalemme.
    Tutto cambiò con la guerra dei sei giorni (1967). Da un giorno con l’altro, luoghi di millenaria storia ebraica dimenticati o consapevolmente rimossi tornarono al centro del discorso politico e dell’esperienza quotidiana di milioni di israeliani. Un conto è reclamare territori oltre i propri confini, altra cosa insistere per conservare ciò che è caduto in effetti sotto il proprio controllo.
    Nessuno lo disse meglio di Moshe Dayan, che incarnava quasi il prototipo del rampollo del movimento laburista: “Siamo tornati a Shiloh ed Anathot per non lasciarli mai più”. In altri termini: la parola d’ordine del Likud – che l’intera Terra d’Israele a ovest del Giordano dovesse rimanere parte di Israele – divenne una realtà, e non più un sogno inverosimile. Ciò che prima del 1967 appariva nel migliori dei casi un’utopia, e nel peggiore un appello irredentista alle armi, divenne una realtà quotidiana a cui gli israeliani di ogni ceto e opinione politica si legarono profondamente.
    Ci volle qualche anno perché il Likud vincesse le elezioni, cosa che accadde nel 1977. Le cause immediate erano evidenti: il discredito del partito laburista, considerato responsabile della debacle nella guerra di Yom Kippur (1973) e la nascita del partito di Yigael Yadin, che sottrasse molti voti ai laburisti. Ma ad un livello più profondo quella vittoria segnò un cambiamento del paradigma politica in Israele: i temi sociali ed economici cedettero la ribalta al progetto nazionalista della Terra d’Israele indivisa. Nel 1973 Sharon, dando vita al Likud, diede espressione istituzionale a questo mutamento di paradigma.
    Prima il disimpegno dalla striscia di Gaza, ora l’uscita di Sharon dal Likud sembrano indicare una nuova svolta: quando uno come Sharon capisce che il sogno della Terra d’Israele indivisa è una chimera, e una chimera pericolosa, significa che è cambiato qualcosa di fondamentale. Come indicano i sondaggi d’opinione, più della metà degli elettori del Likud sembrano seguirlo, capendo, come lui, che Israele deve definire i propri confini sulla base dell’accettazione della soluzione due-popoli-due-stati, cioè della spartizione.
    Il nocciolo duro del Likud, circa 10-15% dell’elettorato, sembra restare fedele al vecchio sogno Revisionista della Terra d’Israele indivisa: si tratterebbe della stessa dimensione percentuale che avevano storicamente le forze del Likud prima del 1967.
    Il parallelo mutamento in corso fra i laburisti verso una politica più orientata in senso socialdemocratico, sotto la guida di Amir Peretz, suggerisce un analogo ritorno alle parole d’ordine pre-67: via i temi dell’ideologia nazionalista, e ritorno ai temi della giustizia economica e sociale.
    Così come il 1967 rappresentò uno spartiacque, può darsi che, al di là delle inimicizie e ambizioni personali che ovviamente non mancano, le mosse di Sharon – prima il disimpegno, ora l’uscita dal Likud – segnino un nuovo spartiacque nella politica israeliana.

    ((Shlomo Avineri, scienze politiche Università di Gerusalemme, su: Jerusalem Post, 28.11.05)

    "


    Shalom

  3. #13
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    I grandi sanno dire: "Ho cambiato idea"

    A pagina 11 del quotidiano torinese La Stampa del 01 dicembre 2005, Fiamma Nirenstein firma un articolo dal titolo .............

    " «Due grandi vecchi scuotono Israele Peres: «Vado con Arik, vuole la pace»»


    Dunque Shimon Peres ha saltato ieri il fosso uscendo dal partito laburista da lui fondato sotto forma di Mapai 61 anni fa. Alle otto in punto, insieme al tg, ha annunciato a tutta Israele: «E’ un giorno molto difficile per me, ma dopo essermi interrogato a fondo su chi sia l’uomo migliore per la pace e la sicurezza unita alla sviluppo economico, la risposta che mi è apparsa evidente è: Arik Sharon». Sembra incredibile. A 82 anni, Shimon produce il secondo grande terremoto in pochi giorni, dopo che Sharon ha lasciato il Likud: e la terra d’Israele trema. Si è spostato, dopo Ariel Sharon, l’altro grande pilastro della tradzione politica israeliana. Peres non si unirà al nuovo partito di «Arik», Kadima, né sarà nella sua lista elettorale che, sembra secondo i sondaggi, fra 108 giorni risulterà, proprio come oggi, la prima in assoluto. Il drammatico passaggio prelude tuttavia certamente a un ruolo molto importante, probabilmente di ministro, nel futuro governo Sharon: nel suo discorso, di fatto Peres ha preconizzato tutti i suoi futuri compiti, che gli consegnano una politica sociale spostata a sinistra, compreso lo sviluppo del Negev e della Galilea, e soprattutto la ripresa del processo di pace che, ha detto, «come ho capito dai nostri colloqui, Arik mi ha promesso di riprendere subito dopo le elezioni».
    Gli accordi fra Arik e Shimon sono complessi e particolareggiati. Il fatto che i due grandi vecchi siano dalla stessa parte della barricata è una rivoluzione, segna il tramonto delle ideologie nel Paese che è sempre stato fra i più accesi, quello in cui il socialista padre della patria David Ben Gurion sparò con i cannoni alla nave «Altalena» che attraccava carica dei seguaci armati di Jabotinsky, il teorico di destra che non voleva spartire nulla con gli arabi. Quell’epoca è tramontata, gli estremisti sono ormai una minoranza dalle due parti. Le diversità fra i due oggi appaiono soprattutto metafisiche, di stile, e ancora oggi è difficile immaginarli insieme: Arik ha creato un’immagine di scelta identitaria forte, di interpretazione del compito dell’ebreo moderno come di un individuo nuovo, la cui scelta nazionale vince rispetto ai millenni di storia di oppressione e persecuzioni subite dal suo popolo. Peres, anche se è il padre della bomba atomica e sionista al di sopra di ogni sospetto, pure è affezionato all’immagine letteraria dell’ebreo diasporico, quasi europeo nell’atteggiamento universalistico e pacifista, e fiducioso quanto Sharon è scettico rispetto ai rapporti internazionali. Fra tutti gli israeliani della grande storia sionista, è quello che non è mai stato uomo dell’esercito, che porta meglio la cravatta, e che si aggira a suo agio, fra l’ammirazione generale per il suo Nobel per la Pace; Sharon e il più «sabre» (dal nome del fico d’India con cui viene chiamato chi è nato in Israele), il soldato che indossa durante le feste la camicia bianca aperta sul petto, che considera le istituzioni internazionali con distacco e sospetto, che più del jet set, in cui Peres è molto popolare, ama le mucche del suo ranch.
    Il fatto che oggi i due siano insieme è un fenomeno internazionale, una scelta antideologica di azione unitaria senza precedenti, in cui, in sostanza, la battaglia per la pace e la guerra al terrorismo come suo compimento, finalmente si compongono; è una proposta di alleanza inedita valida globalmente, senza retorica, in cui finiscono i sogni e si affronta la dura realtà, di cui anche l’economia, oltre che l’idelogia fanno parte. Peres porterà nella road map il consenso e quindi anche i finanziamenti di molti, industriali e statisti, che credono in lui.Cosa unisce i due vecchi audaci? Un’ambizione storica: combattere decisamente il terrorismo e tendere la mano per fare la pace con senso di realtà e stando in guardia. Ambedue sono pronti a compromessi territoriali, anche se Sharon con maggiore cautela; tutti e due, ormai alla fine del loro percorso politico, vogliono passare ai libri di storia come pacificatori, e le differenze ideologiche non contano molto, sembrerebbe, di fronte al pericolo gigantesco resosi evidente con la nascita del terrorismo suicida. I due saranno cauti ma coraggiosi: Peres sosterrà dall’esterno Sharon, ma avrà compiti fondamentali nei rapporti internazionali e col mondo arabo e palestinese. Sharon ne ha bisogno, come diplomatico non è molto dotato. Anche Peres ha bisogno di lui, per avere alle spalle l’unico leader israeliano che può avanzare sulla strada che egli considera sua, quella del tavolo delle trattative. Si porterà dietro chi ancora sospetta di Sharon, smusserà le simpatie filoarabe dell’Europa, riuscirà forse a farle prendere sul serio il pericolo iraniano. Peres mostra autentico coraggio lasciando quello che è stato il suo partito da più di 60 anni mentre sotto le sue finestre sua marciano militanti disperati che lo supplicano «Shimon, resta a casa». Ma è anche oltraggiato dall’atteggiamento scioccamente e noncurante del nuovo leader dei laburisti Amir Peretz. Un sindacalista che forse farà passi importanti per i lavoratori; ma Shimon ha una sola ossessione nella vita, la pace, di cui Peretz non conosce nemmeno l’abc. E non vuole che la pace resti un pio desiderio da iscrivere nell’epitaffio.
    Sharon che pure non è certo d’accordo con lui su tante cose, lo ha voluto e corteggiato anche a costo delladisapprovazione della sua destra. Non farà ulteriori concessioni unilaterali. Per Peres è una doppia scommessa. Ieri sembrava emozionato come un ragazzo anche se la sua strada è già stata percorsa dai grandi: Ben Gurion lasciò il Mapai per fondare il suo partito Rafi, Moshe Dayan addirittura dai laburisti passò a Begin. I grandi sanno dire: «Ho cambiato idea»."



    Shalom!!!

  4. #14
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    dal quotidiano LIBERO di oggi....




    " Sharon-Peres la lezione di due vecchi

    di RENATO FARINA



    Che cosa caratterizza la persona davvero vecchia e ne marchia l'intimo più ancora dell'anagrafe? Il fatto di non amare più nessuno salvo i propri ricordi. Un vecchio non pensa al futuro e non ha speranza. Sta attaccato al potere o vi rinuncia, ma sempre per calcolo: deve fare in modo di non rischiare un'ombra di sé e della propria reputazione. La saggezza allora che gli viene riconosciuta in realtà è una maschera rugosa del conformismo. E la coerenza un alibi per campare di rendita. C'è una vigliaccheria praticata dai giovani senza qualità: quella di accusare come motivo del decadimento di un Paese la gerontocrazia. Gli unici veri rivoluzionari del nostro tempo sono i vecchi. Ne abbiamo avuti due in sequenza alla guida della Chiesa: Wojtyla e Ratzinger. Il primo era del 1920, il secondo è diventato Papa a 78 anni. E non c'è nulla di più combattivo dell'inerme sorriso di Benedetto XVI, ne sa qualcosa Oriana Fallaci. Ma di Ratzinger un'altra volta. Ci sono altri due magnifici vecchi, i più vecchi della politica mondiale. Ed essi sono la grande speranza di uno Stato giovane, e proprio per questo di tutto l'Occidente. Parlo di Israele. I due signori anziani sono Ariel Sharon e Shimon Peres. Il primo è capo del governo, viene dal Likud, la destra: ed ha 77 anni (settantasette). Il secondo è ministro degli Esteri, ed è stato fino a un attimo fa leader del Partito laburista, la sinistra: 82 anni (ottantadue). Sono stati fieri avversari fino a un attimo prima. Ora si sono alleati. Non soltanto. Hanno spezzato i legami con le rispettive case di appartenenza, e ne hanno messa su una insieme. Domenica si sono onorati reciprocamente, con parole trattenute, che sono le più commoventi. Ha detto Peres: «Ho la sensazione di entrare oggi in una partnership grande e importante. Lo faccio in piena coscienza. È triste lasciarsi dietro il passato, ma sono felice: mi unisco a una grande speranza ». Di controbalzo, Sharon, aprendo la grande bocca in un timido sorriso: «Sono felice anch'io. Ogni partito del mondo vorrebbe avere una persona come lui, dotato di una forte visione ».
    Una forte visione. Vuol dire un pensiero chiaro e distinto, capace di avere avversari. Un avversario come Sharon, ad esempio. Ed ora si uniscono. Perché? C'è qualcosa di più forte delle loro forti visioni che li ha sempre tenuti uniti: l'appartenenza a un popolo e al suo destino. Hanno combattuto, hanno straziato la loro vita per difendere qualcosa di più grande di se stessi e del loro interesse personale e persino di quello del loro partito. Ora, vecchi, vecchissimi, invece di ritirarsi in una pensione onorata, mettono insieme la loro gioventù spensierata. Hanno costituito un nuovo partito, si presentano insieme alle elezioni nella formazione Kadima. Una formazione di centro. Questo è il secondo luogo comune che sfatano. Da noi il centro è inteso come palude, come luogo dove tutte le vacche sono bigie. Il posto dove si gioca al proprio comodo. Qualche volta vengono buoni gli studi classici. Centro in greco viene da aculeo. Il punto focale, la freccia che colpisce lo snodo decisivo. Così questi due. Non è questione di formalismi di destra o di sinistra - lo ha ribadito ancora ieri, nel formidabile discorso pubblicato da Libero, Oriana Fallaci. È questione di essere disposti a dare la vita per qualcosa di caro: le persone amate, la loro libertà. Questa è gente che ha lottato insieme per dare una patria al proprio popolo martoriato. Si sono poi divisi sulla forma delle politiche. Nel momento decisivo, essi sono di nuovo uniti. Sono disposti persino a perdere un po' di se stessi, per un bene maggiore, che alla fine gioverà a tutti: israeliani e palestinesi. E di rimbalzo anche a tutti noi italiani ed europei. Forse dovremmo rifare lo stesso percorso in Italia. Ma chi c'è capace di tale coraggio? Partire per l'Esodo, abbandonare l'Egitto con le sue dolci cipolle, quando si è vecchi e al calduccio? Oggi l'Italia purtroppo è piena di giovani (si fa per dire) cinquantenni, in realtà vecchi pronti a tutto pur di sistemarsi con le chiappe nel burro per trent'anni e più.
    "


    Shalom

  5. #15
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    Sharon ha dimostrato di essere un grande statista a dispetto di quanti, anche fra i sinistri italiani, lo definivano "il macellaio" in riferimento ai suoi trascorsi da militare.A lui ,a Shimon Peres e al loro nuovo partito auguro un grandissimo successo alle elezioni di marzo

  6. #16
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    assassino

  7. #17
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    Citazione Originariamente Scritto da yurj
    assassino

    Terrorista!

  8. #18
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    Dal settimanale cattolico-romano "Famiglia Cristiana" del 12.12.2005 un breve articolo di Giulia Cerqueti dal titolo...............:

    "
    «Peres, nuova vita a 82 anni»



    Non si è rassegnato alla sconfitta subita alle elezioni per la guida del Labour, vinte dal sindacalista Peretz. A 82 anni, Shimon Peres, non molla la presa e continua la sua battaglia nella politica israeliana, iniziata quasi per caso all’età di 25 anni, quando David Ben Gurion, il fondatore dello Stato israeliano, gli diede un passaggio in macchina. Dopo quasi sessant’anni nei laburisti, Peres volta pagina e inizia un nuovo capitolo a fianco di Ariel Sharon e della nuova formazione centrista, Kadima, fondata dal premier in vista delle elezioni di marzo. Emigrato in Israele dalla Polonia a 11 anni, Peres è molto stimato all’estero e ha rivestito praticamente tutti gli incarichi ministeriali.

    “La persona più adatta per guidare una coalizione per la pace è Ariel Sharon”, ha detto Peres, Nobel per la Pace nel 1994 insieme a Yitzhak Rabin e Yasser Arafat. Le critiche non si sono fatte attendere. Ma i primi sondaggi premiano il nuovo, inedito connubio fra Sharon e Peres, fra l’ex falco conservatore e il leader storico del centrosinistra, i due grandi vecchi della politica israeliana, rivali da sempre.
    "

    Shalom

  9. #19
    Hanno assassinato Calipari
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    Citazione Originariamente Scritto da yurj
    assassino
    Lo ribadisco:








  10. #20
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    200 milioni di morti del comunismo. E non è finita.
    Sparisci.

 

 
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