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Giovanni Sartori: " L'integrazione degli islamici "
In tempi brevi la Ca*mera dovrà pronun*ciarsi sulla cittadi*nanza e quindi, an*che, sull’«italianizzazio*ne » di chi, bene o male, si è accasato in casa no*stra. Il problema viene combattuto, di regola, a colpi di ingiurie, in chia*ve di «razzismo». Io dirò, più pacatamente, che chi non gradisce lo straniero che sente estraneo è uno «xenofobo», mentre chi lo gradisce è uno «xenofi*lo ». E che non c’è intrinse*camente niente di male in nessuna delle due rea*zioni.
Chi più avversa l’immi*grazione è da sempre la Lega; ma a suo tempo, nel 2002, anche Fini fir*mò, con Bossi, una legge molto restrittiva. Ora, in*vece, Fini si è trasformato in un acceso sostenitore dell’italianizzazione rapi*da. Chissà perché. Fini è un tattico e il suo dire è «asciutto»: troppo asciut*to per chi vorrebbe capi*re. Ma a parte questa gira*volta, il fronte è da tempo lo stesso. Berlusconi ap*poggia Bossi (per esserne appoggiato in contrac*cambio nelle cose che lo interessano). Invece il fronte «accogliente» è co*stituito dalla Chiesa e dal*la sinistra. La Chiesa deve essere, si sa, misericordio*sa, mentre la xenofilia del*la sinistra è soltanto un «politicamente corretto» che finora è restato male approfondito e spiegato.
Due premesse. Primo, che la questione non è tra bianchi, neri e gialli, non è sul colore della pelle, ma invece sulla «integra*bilità » dell’islamico. Se*condo, che a fini pratici (il da fare ora e qui) non serve leggere il Corano ma imparare dall'espe*rienza. La domanda è allo*ra se la storia ci racconti di casi, dal 630 d.C. in poi, di integrazione degli islamici, o comunque di una loro riuscita incorpo*razione etico-politica (nei valori del sistema politi*co), in società non islami*che. La risposta è sconfor*tante: no.
Il caso esemplare è l’In*dia, dove le armate di Al*lah si affacciarono agli ini*zi del 1500, insediarono l’impero dei Moghul, e per due secoli dominaro*no l’intero Paese. Si avver*ta: gli indiani «indigeni» sono buddisti e quindi pa*ciosi, pacifici; e la maggio*ranza è indù, e cioè poli*teista capace di accoglie*re nel suo pantheon di di*vinità persino un Mao*metto. Eppure quando gli inglesi abbandonarono l’India dovettero inventa*re il Pakistan, per evitare che cinque secoli di coesi*stenza in cagnesco finisse*ro in un mare di sangue. Conosco, s’intende, an*che altri casi e varianti: dalla Indonesia alla Tur*chia. Tutti casi che rivela*no un ritorno a una mag*giore islamizzazione, e non (come si sperava al*meno per la Turchia) l’av*vento di una popolazione musulmana che accetta lo Stato laico.
Veniamo all’Europa. In*ghilterra e Francia si sono impegnate a fondo nel problema, eppure si ritro*vano con una terza gene*razione di giovani islami*ci più infervorati e incatti*viti che mai. Il fatto sor*prende perché cinesi, giapponesi, indiani, si ac*casano senza problemi nell’Occidente pur mante*nendo le loro rispettive identità culturali e religio*se. Ma — ecco la differen*za — l’Islam non è una re*ligione domestica; è inve*ce un invasivo monotei*smo teocratico che dopo un lungo ristagno si è ri*svegliato e si sta vieppiù infiammando. Illudersi di integrarlo «italianizzan*dolo » è un rischio da gi*ganteschi sprovveduti, un rischio da non rischia*re.