Tremonti all’«Economist»: la svolta c’è
«Debito, ora serve un maxi piano di legislatura per le nuove privatizzazioni». «Valorizzare i beni pubblici, dai boschi agli immobili. Quattro sì a Giavazzi»
ROMA — «La polemica è solo una parte della politica, e comunque l’Economist non è l’economia». Neanche le critiche al centrosinistra alterano «l’ironia britannica» che Giulio Tremonti riserva al survey dell’Economist e «soprattutto all’élite italiana che lo ha accolto estasiata. Un’élite dove lo sport più praticato è quello, provinciale, del parlar male dell’Italia. In nessun paese d’Europa si farebbe così. E non si faceva così in Italia, quando le élite erano vere e non finte ». «Molti dati negativi citati dall’Economist sono reali», ma «molti altri, strutturali come quelli sulla demografia, l’istruzione, l’informatizzazione, sono stati ignorati» dice Tremonti. Tanto sicuro che la sinistra non andrà mai al governo che sta già studiando un maxi piano di privatizzazioni per la prossima legislatura. «Per criticare Prodi non c’era bisogno dell’Economist. Troppe sinistre, nessuna sinistra. Tante mezze verità fanno solo una bugia. Con Prodi che parla di energia, ma con i mulini a vento. Bertinotti che abolisce la proprietà privata, ma in futuro. Con Boselli contro il concordato, ma non ora. Con Fassino che davvero crede, ma in privato».
E allora, l’Economist?
«Oscilla spesso tra il radicale e il paradossale. In ogni caso l’Economist non è l’economia...»
Forse è la finanza... A proposito che cosa ci faceva lei a luglio, alla Mansion House, il tempio della city londinese, con il cancelliere Gordon Brown?
«L’ospite, appunto. Un povero provinciale, invitato unico alla presentazione del semestre di presidenza britannica della Ue. A volte essere provinciali è davvero molto duro».
Dicono che lei cerchi sempre un capro espiatorio. Prima l’11 settembre, ora la Cina e l’euro...
«Il mio libro non è stato ancora tradotto, ma so che a Bruxelles circolano già degli estratti in varie lingue. Puoi non essere d’accordo, ma quel che c’è nel mio libro non mi pare sia ritenuto irrilevante ».
L’Economist sostiene che all’Italia servono riforme incisive ma che nessuno è in grado di garantirle.
«Cominciamo dal passato. Euro escluso, la sinistra non ha fatto nessuna riforma. Anzi, ha fatto solo quelle sbagliate: l’Irap, la micidiale combinazione tra decentramento e federalizzazione dello Stato, che ha maldestramente destrutturato la Repubblica. Nient’altro. Sta svanendo la leggenda del risanamento dei conti pubblici. La sinistra ha solo sfruttato la riduzione dei tassi di interesse e inventato la finanza creativa, con misure creative per 120 mila miliardi di vecchie lire. Hachiuso l’esercizio con un deficit accertato da Eurostat al 3,2%, oltre Maastricht. Punto».
E il vostro bilancio?
«L’attività riformatrice dipende dalle condizioni di partenza e dalle condizioni esterne in cui opera il governo. Il ciclo dell’economia europea, e dunque italiana, ha preso dal 2001 una curva negativa. Tuttavia in questi anni abbiamo assicurato le condizioni di base: la tenuta sociale e quella sostanziale dei conti pubblici. Solo chi guarda tutto tranne l’essenziale, ignora le riforme fatte dal governo Berlusconi: mercato del lavoro, considerata un successo in Europa, quella delle pensioni, tra le migliori nel vecchio continente, le riforme del diritto societario e fallimentare, considerate buone da tutti. Le infrastrutture... »
Ma la sinistra contesta i vostri dati sulle grandi opere.
«L’unica contestazione reale è quella che stanno facendo in Valle Susa. È la miglior prova tanto del fatto che le infrastrutture sono difficili da fare, sia che del fatto che i cantieri ci sono».
Francesco Giavazzi, sul Corriere, chiede cinque impegni per i primi cento giorni del prossimo governo.
«Una provocazione programmatica per essere credibile deve partire da un’analisi seria di quel che è stato fatto. Ed è quanto ho appena detto. Se la domanda è: mancano ancora delle riforme, la risposta è sì. E quanto va fatto va oltre la provocazione del Corriere».
Cominciamo: abolizione del valore legale del titolo di studio e riforma delle professioni.
«Concordo, ma partendo dall’articolo 33, quinto comma, della Costituzione. Qui si esclude che uno possa fare come in Texas nell’altro secolo, dieci dollari per esporre la targa "Doctor" e i cittadini affidati alle cure del mercato. Tesi, antitesi, sintesi. E’ necessario discutere con le professioni per una vera riforma ».
La soluzione del caso Bankitalia...
«Concordo, ma in parte. Credo di potermelo permettere. Io per primo ho posto la questione e per anni sono rimasto solo. Il comma Giavazzi, la soluzione proposta per far fuori il governatore con cinque righe, sarebbe fulminato dalla Corte di Giustizia Ue in tempo reale. Ma se Francesco ha idee diverse, di fattibilità concreta, ce le faccia sapere ».
Le privatizzazioni al palo...
«Concordo, anzi sono ancora più deciso. Non è più tempo dei saldi di fine stagione. Deve iniziare una stagione nuova di privatizzazioni. La Repubblica ha un enorme passivo espresso in titoli di debito collocati sul mercato. A fronte, ha un enorme attivo patrimoniale, che è ancora fuori dal mercato. Un attivo fatto da beni di tipo vecchio, come terreni, foreste e caserme, e di tipo nuovo, come i beni immateriali. Beni liquidi e immobili, del governo centrale e dei governi locali. Il nuovo diritto societario consente la combinazione tra tipi diversi di beni che possono essere immessi in una nuova società privata, fuori dalla pubblica amministrazione, e classi di titoli che possono essere emessi da questa stessa società».
E vendendo alla società porzioni del patrimonio, ripagare il debito?
«È così. Per le enormi masse in gioco, il montaggio dell’operazione deve essere progressivo, ma il disegno deve essere unitario fin dall’inizio per trasmettere ai mercati un segnale di discontinuità e di novità. L’idea è quella di Patrimonio Spa, del 2003. Allora, forse, i tempi non erano maturi. Patrimonio è stata riportata dal Parlamento dentro la pubblica amministrazione. Poi, le polemiche strumentali hanno avuto il sopravvento»
La tutela dei beni culturali...
«Ho firmato il codice Urbani che ha fatto chiarezza definitiva su questo».
Un piano per la nuova legislatura?
«Il direttore del Tesoro, Vittorio Grilli, lo studia da più di un mese. Per ora è opportuno che il progetto, fondamentale per liberare il Paese dalla mano morta del debito che lo soffoca, stia fuori dalla politica. In ogni caso, per realizzarlo, sono necessari non solo strumenti giuridici e tecnici, non solo giuristi e banchieri, ma anche e soprattutto il consenso dei governi locali».
Mario Sensini
27 novembre 2005