Resistenza a oltranza

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Gli operai dello stabilimento della Yamaha di Gerno, in provincia di Monza e Brianza, sono saliti sul tetto mercoledì scorso per chiedere che i loro diritti vengano rispettati
Resistere, resistere, resistere. Questo il motto di Emanuele Colombo, Paolo Mapelli, Jarno Colosio e Martino Sanvito, i quattro dipendenti della Yamaha che da mercoledì sedici dicembre sono saliti sul tetto dello stabilimento di Gerno di Lesmo, vicino a Monza, per chiedere che i loro diritti vengano rispettati.

“Stiamo bene – dice Emanuele -. Questa notte è stata dura, la temperatura è scesa sotto i dieci gradi, ma ci siamo ben attrezzati con sacchi a pelo e tende. Siamo gente abituata ad andare in montagna e il freddo non ci spaventa. Abbiamo portato su una stufa e rimarremo sul tetto fino a quando non verremo ascoltati”. In sciopero da oltre un mese, i dipendenti della Yamaha hanno scoperto da un giorno all'altro che lo stabilimento di Lesmo avrebbe chiuso i battenti. Sono 66 i lavoratori che perderanno il posto e rimarranno a casa, qualora la situazione non si sbloccasse positivamente. Per protestare contro la decisione aziendale, da oltre un mese i dipendenti si sono messi in sciopero per chiedere l'adozione della cassa integrazione straordinaria. “Non è facile nemmeno per noi resistere qui fuori – continua Emanuele Colombo –. E' brutto dover arrivare a simili forme di protesta, ma le abbiamo provate tutte. Riusciamo a resistere anche per il supporto di tutti i nostri colleghi che ci sostengono con i viveri, le coperte e non ci fanno mancare nulla. Anche loro scioperano e prendono freddo. Davanti ai cancelli è stato organizzato un presidio continuo e la produzione è stata bloccata. E' una vittoria che dobbiamo conquistare tutti insieme. Vorremmo fare il Natale a casa con le nostre famiglie, ma non scenderemo fino a quando non vedremo un accordo scritto. Possiamo resistere anche un mese. Le promesse volano e, visto il comportamento di questa azienda, siamo certi che appena lasciamo il tetto, ritirerebbero tutto. Ormai li conosciamo”.

Ad incontrare delle difficoltà nel trattare e dialogare con i vertici della Yamaha di Gerno non sono solo i dipendenti, ma anche i sindacati e il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Lo scorso venerdì è stato proprio Sacconi, su invito di Dario Allievi, presidente della Provincia di Monza e Brianza, a convocare un incontro con i dirigenti Yamaha e i sindacati per tentare una mediazione e scongiurare i licenziamenti. “Nell'ultimo periodo la situazione si è drammatizzata ulteriormente – afferma Gianluigi Redaelli, segretario della Fim Cisl della Brianza - . L'azienda questa volta ha agito proprio in maniera sbagliata. I dirigenti hanno annunciato la chiusura dello stabilimento e aperto la procedura di mobilità collettiva il giorno dopo la vittoria di quattro titoli mondiali. Un fulmine a ciel sereno. Noi abbiamo chiesto di sospendere tale procedura per trattare, ma abbiamo trovato davanti un muro. Nel 2009 i lavoratori Yamaha hanno usato la cassa ordinaria solo per 11 settimane, per legge ne hanno disposizione altre 41. L'adozione di questa misura per la quale ci stiamo battendo, consentirebbe ai dipendenti di avere più tempo per trovare una nuova collocazione lavorativa, senza rimanere su una strada”.

Nonostante gli scioperi e la mobilitazione ministeriale, la multinazionale giapponese non è intenzionata a cedere. L'incontro di venerdì non ha sortito alcun accordo concreto. I vertici dello stabilimento brianzolo mantengono la linea dura e non scendono a compromessi. Per il momento hanno accettato di avviare una verifica con la casa madre per l'eventuale introduzione della cassa integrazione straordinaria. Per i primi di gennaio si attende la risposta. “Noi andiamo avanti – prosegue Colombo -. Abbiamo a che fare con una dirigenza incompetente che ci ha preso in giro. Perfino Valentino Rossi, dopo che lo abbiamo atteso sotto la pioggia a Monza per cinque ore, non si è degnato di farci un saluto o un minimo gesto di solidarietà. Siamo stufi della politica di questa multinazionale che utilizza la manodopera come una merce usa e getta. Con i loro inganni e con le promesse non mantenute, ci hanno costretto a salire sul tetto e solo per chiedere la cassa integrazione, nemmeno l'assunzione”.

Benedetta Guerriero

PeaceReporter - Resistenza a oltranza