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    Predefinito Che cos'è questa Consulta

    Tantush, membro dell’organo rappresentativo dell’islam italiano, ci spiega perché Pisanu ha fatto bene

    Roma. Mansur Tantush, presidente della World Islamic Society e dell’Unione islamica in occidente – una delle organizzazioni musulmane più antiche d’Europa, che risale al 1947 – è uno dei membri della nuova Consulta islamica. Tantush dice al Foglio di aver da subito appoggiato l’iniziativa del ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, e di credere che questa sia la via giusta da percorrere.
    “I membri della Consulta cercano di rappresentare tutte le sfaccettature dello scenario musulmano presente in Italia – spiega – con le loro esperienze professionali e personali”.
    Tantush racconta che i sedici membri sono stati scelti tra vari settori della società, cercando di coprire ogni fascia del mondo: dagli immigrati dalle regioni del Grande medio oriente all’Africa sub-sahariana, agli italiani convertiti. Anche le loro professioni divergono: giornalisti, medici, uomini di culto, studenti.
    Ognuno – dice Tantush – riuscirà a portare in dote nuovi contatti con diverse organizzazioni e una diversificazione di approcci che saranno utili per perseguire gli obiettivi della Consulta.
    “E’ la prima volta in Italia che un ministro decide di iniziare questo tipo di progetto – dice Tantush – Pisanu ha scelto di avere vari esponenti anche di visioni religiose distinte per facilitare il dialogo e non lasciare escluso o emarginato nessuna componente della società”.
    Per Tantush è importante che le varie scuole di pensiero, dai laici ai più religiosi, siano rappresentate e ascoltate. L’obiettivo è infatti trovare punti d’incontro tra le molteplici realtà dell’Islam che siano utili a capire meglio e a trovare soluzioni per i problemi dell’integrazione. Questo è anche uno dei motivi per cui si è scelto di avere nella Consulta dei rappresentanti che non siano solo lo specchio di diversi approcci religiosi, ma anche con origini e culture che ricoprono le aree geografiche da dove proviene la maggior parte degli extracomunitari presenti in Italia: dal Senegal alla costa Nord africana, alle montagne del Pakistan.
    L’organo consultivo avrà il compito di esprimere pareri, formulare proposte e aiutare il ministero dell’Interno a prendere decisioni sui temi legati all’islam e all’immigrazione.
    I sedici membri forniranno elementi concreti per agevolare gli immigrati a integrarsi “attraverso il dialogo”, con lo scopo di promuovere un “islam moderato”.


    Da il Foglio

    saluti

  2. #2
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    Predefinito

    Fouad Allam, grande esperto del mondo musulmano, ci spiega perché è un po’ perplesso

    Roma. Khaled Fouad Allam, sociologo d’origine algerina, editorialista di Repubblica e grande esperto del mondo musulmano, ha qualche perplessità sulla Consulta islamica nominata dal ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu.
    Lo strumento è indispensabile perché “in tutti i paesi europei, con l’aumento della popolazione musulmana, si è concretizzata la richiesta di una visibilità pubblica dell’islam – dice Allam al Foglio – ed è cresciuta la necessità di governare le questioni legate alla sicurezza e l’islam”.
    I governi sono costretti a far fronte a queste esigenze, cercando una chiave che sia “più o meno istituzionale” per definire un “volto che sia garante di un islam moderato e che appaia come un interlocutore affidabile”.
    Finora i tanti tentativi sono stati messi a dura prova – dice Allam – dalle divisioni intrinsiche alle comunità musulmane, che esprimono sensibilità religiose e politiche molto diverse.
    “Il punto centrale è che i musulmani hanno un’enorme difficoltà a unirsi per la semplice ragione che non esiste una chiesa nell’islam e nemmeno un’autorità – sostiene Allam – Il nesso che legava i musulmani fra di loro nei paesi di origine attraverso la relazione tra territori e islam scompare nell’immigrazione”.
    Secondo Allam, l’Europa si trova davanti a un paradosso: inventare una chiesa che non c’è.
    Pisanu vuole trovare una soluzione a metà strada fra lo Stato e le diverse espressioni dell’islam, un “luogo” che svolga la funzione d’interlocutore. “La Consulta, nel senso etimologico della parola, richiama, può darsi senza volerlo, un principio del diritto musulmano: l’Ijma”, spiega Allam.
    Il suo compito era la definizione di un consenso su vari problemi legati alla vita stessa della comunità. Secondo il sociologo, è possibile trovare “i meccanismi universali delle società”, ma il il confronto della Consulta con la realtà sarà problematico.
    “Quali saranno i confini della sua autorità, come potrà definire la sua autorità di fronte alle comunità in Italia?”, chiede Allam.
    L’altra critica riguarda l’eterogeneità dei membri, non tutti con la stessa formazione e la stessa lettura del Corano. “Manca una figura di spicco, un teologo come l’algerotunisino Adnan Mokrani, che si è formato al Pisai e alla Gregoriana, prima nel mondo arabo e ora nell’ambito islamo-cristiano”.
    La Consulta senza base teologica rischia di diventare un organismo che s’occupa soltanto di problemi sociali.

    Da il Foglio

    saluti

  3. #3
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    Predefinito Lavoro per la Consulta

    "Il sindaco di Firenze, con il suo comportamento a dir poco ambiguo, accettando la Mezzaluna d’oro, compie un atto di tradimento verso la sua città e i valori che, storicamente, essa rappresenta”. Firmato, Mario Borghezio. “Se Albertini e la Lega Nord premiano i carnefici, l’antislamismo e l’antisemitismo, noi preferiamo premiare le vittime… della follia leghista, italoforzuta e fallaciana”. Firmato: Hasna Malik, portavoce della Islamic Anti Defamation League toscana.
    Le citazioni giusto per illustrare il tono da guerra tra poveri di spirito assunto dalla polemica del 7/12.
    Niente di male, i premi sono come la forfora, imbarazzano sempre un po’ e uno farebbe anche finta di niente, ma almeno poi va tutto via con un colpo di spazzola. Insomma si può anche accettare. Sta di fatto però che nel giorno dell’Ambrogino a maggioranza semplice conferito dalla città di Milano a Oriana Fallaci e a Magdi Allam, a Firenze quelli della Iadl hanno appuntato la Mezzaluna islamica sul petto del sindaco di Firenze Leonardo Dominici che, dopo imbarazzi e tiramolla sulle motivazioni “antifallaciane” del conferimento, ha deciso di non essere poi così tanto imbarazzato. Così come la copremiata gup di Milano Valentina Forleo, insignita di Mezzaluna per non essersi lasciata influenzare “dalle facili lusinghe del consenso popolare”, che ha gradito ma non ha ritirato, non si sa se imbarazzata pure lei o no. Ma di solito chi tace acconsente.
    Almeno, a Milano, Ricky Gianco si è informato di chi c’era e chi non c’era, e poi ha rifiutato il suo Ambrogino.
    Dominici e Forleo avrebbero forse fatto meglio a informarsi di chi li voleva premiare. Bastava fare clic sul blog gestito dalla portabandiera della Iadl, l’ex parlamentare europea passata al sostegno dell’islam radicale Dacia Valent, per scoprire una fiera combriccola di gente che passa il tempo a incitare all’odio e a insultare. Un sito su cui si possono trovare elogi ad Abu Ammar Arafat, “l’uomo più odiato dai bastardi sionisti e più amato dagli amanti della libertà” e e ampia comprensione per l’assassino di Theo van Gogh, o dove il neo ambroginato Allam viene regolarmente apostrofato e minacciato come “Sor Magdaleno Allamo, l’archetipo della capra sedicente islamica”.
    Leghisti querelati
    Tutta roba fine che ha fior di motivazioni.
    Si legge: “La persecuzione di una persona o di un gruppo di persone solo perché appartenenti a una minoranza indifesa è quanto di più dannoso al tessuto sociale dell’intera comunità”.
    E altre più minacciose: “La Iadl sta lavorando, in silenzio, per mettere la parola fine agli sproloqui di chi ha confuso la libertà d’espressione con la licenza di vilipenderci”.
    Finora la Iald, organizzazione vicina alle posizioni dell’Ucoii, si è distinta solo per qualche azione esemplare, tipo querelare il direttore di TelePadania, Max Ferrari, reo di aver diffuso la notizia, ripresa da un quotidiano, di festeggiamenti degli immigrati islamici dopo gli attentati di Londra.
    A ruota, hanno querelato anche Gianluigi Paragone direttore della Padania. E qui si capisce com’è che la Lega ce l’abbia tanto con la Mezzaluna d’Oro. Alla manifestazione a Torino dello scorso weekend Castelli e Calderoli avevano cartelli con scritto “Io sto con Max Ferrari”, ma nel movimento c’è anche una certa titubanza ad alzare i toni. Anche perché la Digos si è già
    precipitata a TelePadania per acquisire la cassetta del tg incriminato.
    Ma non risulta si sia mai recata sul sito di Dacia Valent, giusto per vedere cosa scrivono.

    saluti

  4. #4
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    Predefinito Ragion di Stato

    Il nuovo film di Steven Spielberg sulla vendetta israeliana contro gli autori palestinesi della strage di Monaco (1972) esploderà nelle sale americane a Natale e in quelle europee a gennaio. Ma è già esploso nella copertina di Time magazine, nelle propalazioni sulfuree e nelle indiscrezioni guidate. Stessa tecnica usata da Mel Gibson per la Passione: “spizzare” piano piano la carta, come per i punti nel poker, e incuriosire il mondo per arrivare dovunque e fare cassa.
    Niente di più legittimo. Solo che in questo caso il film è superato dal reality girato in diretta da Condi Rice, con l’assistenza speciale delle varie direzioni di intelligence, dalla Cia al Pentagono, e il comprimariato pusillo delle cancellerie europee che “potevano non sapere” della guerra coperta al terrorismo, dei rapimenti, delle extraordinary renditions o deportazioni investigative con interrogatori pesanti e detenzioni fuori controllo giudiziario in luoghi segreti di diverse regioni e città del mondo.
    I due registi, Spielberg e la Rice, la Dreamworks che produce “Munich” e l’occidente che produce “The War on Terror”, si sostengono l’un l’altro in un ballo macabro, e senza lieto fine, tra botteghino, fiction, reality, diplomazia, azione paramilitare, guerra e politica.
    Rinfrescano un vecchio, un antichissimo tema: la ragion di Stato.
    Tema storico e filosofico di cui il mondo contemporaneo, che ha dimenticato la storia maestra di vita, che non sa più niente di filosofia, e che vive di sociologia andante, di tv, di buone intenzioni morali e di altre banalità dominanti, sa ormai più nulla.
    Eppure tutto è tragicamente semplice e tutto è tragicamente riassunto nella frase attribuita a Golda Meir, la premier israeliana laburista che fu a un passo dal premere il bottone dell’arma atomica durante la Guerra dei sei giorni.
    “Ogni civiltà scopre che è necessario negoziare i suoi più alti valori con molti compromessi”.
    La ragion di Stato, per l’appunto.
    Al mattino ti svegli con gli occhi cisposi, fai colazione, poi saluti tua moglie e uscite per andare a lavorare dopo aver sistemato e salutato i bambini. Il fatto che nella immensa maggioranza dei casi vi ritroverete a sera sani e salvi, per andare a dormire e a sognare o fare l’amore o leggere un libro o guardare Al Bano, sapendo che i piccoli domani ricominceranno la routine, giocheranno alla play station e faranno i compiti, poi diverranno grandi e ti seppelliranno con pietà e amore, questo fatto che è la vita e la sua continuità, con tutte le sue splendide deviazioni e i drammi e le curve spericolate, con o senza la devozione al totalmente altro, vita ricca o povera, borghese o proletaria, questo semplice fatto dipende dalla ragion di Stato.
    La grazia che salva viene da un misterioso altrove, ma la grazia che ti lascia vivere in terra viene dal segreto di Stato. Togli il monopolio statale della forza e il suo esercizio difficile, esposto ai compromessi, e ti resteranno l’anarchia, l’insicurezza, la deriva nel dispotismo quotidiano del più forte, l’illegalità come disintegrazione e scomparsa della società. Questi mali si combattono omeopaticamente con una dose controllata, e politicamente guidata, di anarchia, di insicurezza del diritto, di dispotismo del potere, di illegalità: solo che l’approdo, se tutto va bene (e da cinquecento anni, nell’era moderna, tutto in fondo è andato abbastanza bene) non sarà la disintegrazione o la scomparsa della società, ma la sua sopravvivenza, il suo persistere.
    Spielberg e Kushner, regista e sceneggiatore di “Munich”, hanno girato un film prevedibile, che conosciamo alla perfezione senza ancora averlo visto, perché il soggetto è sempre noto nonostante gli sforzi di tenere segreto il copione prima della corsa al botteghino.
    Perché l’altro film lo giriamo noi, con i nostri governi, le nostre spie, le nostre anime belle che protestano, prima e dopo, ma soprattutto dopo, l’11 settembre.
    Se volete vivere in pace, sappiate fare la guerra con le sue regole, sappiate compromettere la civiltà per salvarla.
    Ci sarà molto altro da dire sul drammone di Spielberg, sugli amori degli agenti del Mossad che sterminano il commando sterminatore, su questa lotta tra angeli caduti nel terreno in cui paradiso e inferno si incontrano, sulle vittime incolpevoli, sul tragico e indecifrabile di tutto ciò. Ma in fondo non c’è altro da dire e da moraleggiare.
    Si sa già tutto.

    Ferrara su il Foglio

    saluti

  5. #5
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    Predefinito Monaco e dopo

    La storia della strage degli atleti israeliani di Monaco non è facile da scrivere, perché in quei pochi giorni, in quelle troppe morti, si condensò tutta la storia dei giorni che la precedettero e la seguirono. Non solo la storia di quelle vite spezzate, ma la storia dei loro popoli. Anche del popolo tedesco.
    La storia delle vittime, innanzitutto: degli atleti ebrei.
    Atleti. Ebrei. In Germania.
    Oggi si stenta a credere che qualcuno possa avere progettato di uccidere ebrei, in Germania, durante i giochi della pace, i giochi olimpici.
    Questo invece fu progettato, fu organizzato fu portato a termine.
    Il simbolo, nelle azioni di terrorismo, si sa, è tutto.
    Il terrorista sceglie una vittima che non è più né uomo né donna né bambino, lo spoglia della sua umanità e lo trasforma in “rappresentazione”, “simbolo”, idolo da infrangere. Così fu a Monaco, alle tre e quarantacinque del mattino del 5 settembre 1972, quando, in una palazzina del Villaggio Olimpico, il “blocco 31”, un commando di otto palestinesi falciò a colpi di mitra, a tradimento, Moishe Weinber, ebreo, israeliano, allenatore. Fu il primo ebreo ammazzato perché ebreo in Germania dal 1945. Iniziò così il sequestro dei nove atleti israeliani.
    La violazione della sacra tregua olimpica, l’essenza stessa delle Olimpiadi che potevano essere tali, solo perché ogni guerra, ogni conflitto era sospeso.
    Sentita la raffica di mitra, l’allenatore israeliano Shkottzy, che abitava a fianco, diede l’allarme. Alle cinque del mattino, il capo della polizia di Monaco, Manfred Schreiber, prese il comando delle operazioni. I palestinesi dichiararono di essere di Settembre Nero e chiesero la liberazione di 234 feddayn imprigionati da Israele in cambio degli ostaggi. Ma quel nome – Settembre Nero – e la stessa tecnica dell’irruzione nel “blocco 31”, resero subito evidente che non era un rapimento, una trattativa, uno scambio. Era invece parte della guerra del movimento palestinese per eliminare Israele dalla faccia della terra.
    L’Europa che oggi si indigna per la volontà del presidente iraniano Ahmed Ahmadinejad di cancellare Israele, nel 1972, stranamente, non si indignava affatto quando la stessa, identica cosa, la pensavano, la dicevano, la scrivevano nello Statuto dell’Olp, Yasser Arafat, che del commando di Monaco era il mandante, il leader politico, Abu Iyad, o Salah Khalaf (il braccio destro, l’amico fraterno di Arafat sin dagli anni Cinquanta), comandante militare dell’operazione e i suoi “operativi” Nizar Amar e Abu Odeh.
    Tutti – generali, ufficiali, feddayn –avevano chiaro in testa che l’obbiettivo strategico della loro lotta era, come da articolo 15 dello Statuto dell’Olp, “la liquidazione in Palestina della presenza sionista”. Israele, secondo questi combattenti palestinesi “è razzista e fanatico nella sua natura, aggressivo, espansionista e colonialista nei suoi scopi e fascista nei suoi metodi” (sempre dallo Statuto dell’Olp).
    Da questa definizione del nemico e dell’obbiettivo strategico discese tutto quanto accadde dall’omicidio di Moishe Weinber in poi: non una presa d’ostaggi, ma un’azione di guerra.
    Walter Troger, “sindaco” del villaggio olimpico, testimone involontario, così sintetizzò le poco più di diciassette ore in cui durò il dramma: “I terroristi palestinesi avevano ordinato che anche io fossi coinvolto nei negoziati, che iniziarono alle sei del mattino e si conclusero alle otto. Da una parte io, il capo della polizia, una donna poliziotto e dall’altra parte il capo dei terroristi, che avevano una specie di maschera sulle facce annerite. Gli ostaggi israeliani erano legati ai letti e alle sedie ed erano allacciati tutti insieme. Io e il capo della polizia pensammo di fare qualcosa, ma non trovammo alcuna soluzione che permettesse di avere la meglio sui terroristi o che favorisse un’irruzione di agenti nel blocco 31 senza mettere in pericolo la vita degli israeliani. I terroristi volevano la liberazione di 234 prigionieri palestinesi in Israele e lanciarono diversi ultimatum. Noi cercammo di prendere tempo, continuavamo a mantenere un dialogo per guadagnare tempo e mettere a punto un piano”.
    Poi la situazione precipitò, perché i terroristi uccisero un ostaggio: Joseph Romano.
    Mentre Moshe Dayan da Gerusalemme inviava i dirigenti e i migliori uomini del Mossad, le autorità tedesche si mossero animate da una sola ed evidente intenzione, tentare di allontanare la grana dal suolo tedesco. Alle diciotto fu annunciata, con ore di ritardo, l’ovvia decisione di sospendere i giochi olimpici, nel frattempo, la polizia propose al commando una mediazione: trasferimento degli ostaggi in Algeria dove Settembre Nero avrebbe proseguito le trattative con Israele per uno scambio di prigionieri. La proposta fu accettata.
    Gli ostaggi e i terroristi vennero così trasferiti su tre elicotteri all’aeroporto militare di Fürstenfeldbruck. Sulla pista, li attendeva un aereo della Lufthansa che avrebbe dovuto condurli in Algeria. Ma quando il primo rapitore palestinese entrò nella cabina di pilotaggio dell’aereo, si accorse che a bordo non c’era l’equipaggio. Cominciò allora a gridare ai suoi compagni: “E’ una trappola, non avvicinatevi!”. A questo punto, gli agenti tedeschi del Bundesgrenzchutz (il corpo speciale antisommossa) aprirono il fuoco sul commando palestinese e attivarono potenti riflettori che abbagliarono i feddayn. Due di essi furono colpiti a morte. Il commando palestinese superstite, invece di impegnare tutto il fuoco per rispondere ai tedeschi, o di arrendersi compì la missione: un feddayn lanciò una bomba a mano dentro l’elicottero in cui ancora si trovavano i nove ostaggi. Morirono così dilaniati i lottatori Mark Slavin ed Eliezer Halflin; i pesisti Davide Berger e Zeev Friedman; gli allenatori Kheat Shorr, André Spitzer e Amitzur Shapiro; i giudici di gara Jokov Sprinter e Joseph Gotfreund. Ammazzati gli ebrei, raggiunto l’obbiettivo, i tre palestinesi superstiti del commando si arresero.
    Ma non restarono a lungo in prigione. Furono infatti liberati subito dopo, il 29 novembre, in cambio di un aereo della Lufthansa dirottato, sempre da Settembre Nero a Zagabria, durante il volo da Francoforte a Beirut.
    Il cancelliere Willy Brandt definì il comportamento delle autorità tedesche: “Uno sconcertante documento di incapacità”. Il ministro degli Interni Hans-Dietrich Genscher scaricò sulla polizia bavarese la responsabilità di avere radunato attorno all’aereo quattrocento poliziotti, di cui però solo cinque erano tiratori scelti che non disponevano neanche di mirini agli infrarossi. Ma, al di là delle evidenti e scabrose responsabilità personali, era indiscutibile un quadro di totale, assoluta, incredibile permeabilità tedesca alle iniziative dei terroristi palestinesi.
    Un quadro che già si era verificato e ancora si verificherà a fronte di tutte le altre azioni precedenti e successive dei terroristi palestinesi in Europa.
    Tredici anni dopo, il 30 agosto 1985, il leader palestinese Abu Daud, così spiegò il senso dell’azione al settimanale tunisino Realités, che lo presentò, con simpatia, come uno degli “architetti della strage”: “Le azioni speciali ricreano la fiducia delle masse e ridanno entusiasmo ai giovani. In certe situazioni è più importante uccidere un ufficiale che vincere una battaglia classica. Lo Stato sionista è un’entità militare e come militari devono essere considerati i suoi cittadini”. La conferma che Monaco ’72 era stato un atto di guerra.
    Non è formalità ricordare che il movimento palestinese tutto, come tutti gli Stati arabi, nel 1972 si considerassero, anche formalmente, in stato di guerra contro una “entità sionista” che occupava, secondo loro illegalmente, la Palestina. Non è una formalità ricordare che palestinesi e arabi non riconoscevano l’autorità dell’Onu che aveva fondato lo Stato di Israele, e che avevano rifiutato di firmare una pace sia nel 1948, che nel 1956, che nel 1967, con uno Stato che –secondo loro – doveva scomparire e con cui Libano, Siria, Giordania e Egitto avevano definito solo una linea di “cessate il fuoco” temporaneo.
    Una situazione di guerra carsica, resa ancora più drammatica dall’azione di cui Israele era stata vittima nel maggio del 1972, a opera di un commando di tre giapponesi dell’Armata Rossa, organizzato da Wadi Haddad, leader palestinese che agiva in raccordo con i servizi segreti tedescoorientali (Stasi) e i terroristi tedesco-occidentali della Raf, delle Revolutionären Zellen e della 2 Juni.
    Sbarcati da un aereo con le macchine fotografiche a tracolla, essi si erano piazzati al centro della hall principale dell’aeroporto, avevano estratto le armi e avevano iniziato a sparare all’impazzata con un volume di fuoco incredibile, che uccise ventisette persone e ne ferì settantanove. Questo è dunque il quadro che si presenta nel settembre 1972 di fronte al governo israeliano di Golda Meir che decise una immediata ritorsione col bombardamento delle basi dell’Olp nel sud del Libano (naturalmente piazzate all’interno dei campi profughi, tra i civili, come era ed è costume incredibile dei combattenti islamici e di nessun altro movimento nazionale al mondo).
    Ma il governo e il Comitato governativo di difesa di Israele, presero anche un’altra decisione: ordinarono al Mossad, il servizio segreto israeliano, di eliminare tutti i dirigenti della Olp e del Fplp che avevano partecipato all’azione di Monaco, ovunque si trovassero, in Europa o altrove.
    Fu il primo atto formale, e in seguito riconosciuto e rivendicato, di omicidi mirati da parte del governo legittimo di uno Stato per contrastare il terrorismo.
    Azioni simili sono state contestate ad esempio dal giudice spagnolo Baltasar Garzon a strettissimi collaboratori dell’ex primo ministro socialista Felipe Gonzales per l’eliminazione dei terroristi dell’Eta basca tramite squadre della morte illegali, i Gal, durante gli anni Ottanta.
    Altri omicidi mirati sono senza dubbio stati messi a segno dalle forze di sicurezza inglese nei confronti dell’Ira irlandese. Ma mai un governo ha ammesso di avere compiuto questa scelta, che ventuno anni dopo è stata invece svelata e rivendicata proprio dall’uomo che più si applicò per realizzarla, il generale israeliano Aharon Yariv consigliere per il terrorismo del primo ministro Golda Meir e responsabile per i servizi segreti, che arrivò a parlarne in una intervista trasmessa dalla televisione israeliana il 22 novembre 1993:
    “Noi abbiamo organizzato metodicamente un’operazione di liquidazione dei capi di Settembre Nero. il Mossad uccise tra i dieci e i quindici leader della guerriglia palestinese in Europa e a Beirut, durante un periodo di mesi. A volte, per liquidarli furono messe bombe nelle loro case. Non avevamo limiti geografici li colpivamo ovunque si trovassero. Commettemmo anche un errore: nel luglio del 1973 gli uomini del Mossad uccisero per sbaglio in Norvegia un cameriere marocchino, scambiandolo per uno degli obiettivi palestinesi. Queste azioni del Mossad contro Settembre Nero raggiunsero lo scopo. Il gruppo palestinese infatti cessò le azioni contro israeliani all’estero”.
    La rivendicazione formale della scelta, la stessa ammissione spontanea dell’errore commesso con il povero cameriere marocchino, spiegano meglio di ogni trattato come in Israele sia evoluto drammaticamente il tema della “purezza delle armi” che ha sempre contraddistinto il movimento militare sionista ufficiale dell’Haganah, contrapponendolo spesso – anche manu militari - ai movimenti sionisti terroristi come il Lhei e il Gruppo Stern.
    A fronte di una iniziativa terroristica senza scrupoli e dalle grandissime disponibilità (il Times di Londra sosterrà il 19 aprile 1976 che l’operazione di Monaco abbia fruttato a Settembre Nero ben sette milioni di dollari); a fronte soprattutto della assoluta mancanza di volontà delle autorità europee di collaborare seriamente con Israele per contrastare il terrorismo (come si vedrà anche in Italia con l’attentato di Fiumicino del 1973 con la pronta restituzione dei terroristi e il caso dell’aereo Argo 9); a fronte della mancanza di ogni e qualunque tutela internazionale, Israele decise di applicare il diritto di guerra.
    Contro un avversario che sosteneva che Israele non doveva esistere, che era fascista e che tutti i suoi cittadini erano obbiettivi leciti perché militari, donne, vecchi e bambini inclusi, un avversario che pochi mesi dopo truciderà, a freddo, ventuno bambini israeliani della scuola di Maariot, Golda Meir e i dirigenti laburisti israeliani, membri dell’Internazionale socialista, decisero nel settembre 1972 che non era più possibile agire dentro i limiti del codice di pace (rogatorie, Interpol, processi), ma che la sicurezza nazionale poteva essere perseguita solo dentro la cornice del codice di guerra. Questo elemento non è formale, anche se è fondamentale sotto il profilo del diritto.
    E’ innanzitutto un elemento politico, che risponde alle critiche di chi sostiene, a ragione, che non bisogna mai abbandonare, anche contro il terrorista più feroce, i principi dello Stato di diritto. La scelta politica fu infatti quella di non accettare di applicare le regole del codice di pace, contro un nemico che applicava le regole del codice di guerra. Tutto qui.
    Nel codice di guerra uno Stato è autorizzato a uccidere un nemico, che ti uccide solo perché sei ebreo, senza processi, istruttorie, Interpol.
    Israele, sin dal 1948 era stata pronta a firmare la pace con i palestinesi. Aveva riconosciuto nel 1948 lo Stato di Palestina. Palestinesi e arabi non vollero però firmare la pace, non vollero lo Stato dei palestinesi a fianco di quello degli ebrei e si comportarono sempre con Israele, e gli ebrei, applicando il codice di guerra.
    Golda Meir decise, semplicemente, di fare altrettanto. Vinse, perché da allora in poi i palestinesi dell’Olp, di Arafat, non programmarono più stragi di ebrei nel mondo.
    La prima vittima di questa decisione israeliana, va detto, fu probabilmente innocente;
    Wael Haadel Zwaiter, rappresentante dell’Olp a Roma, fu freddato mentre tornava nella sua casa di Roma nord con un mezzo litro di latte e due panini nella borsa della spesa, il suo cibo per la giornata. Non aveva soldi, era un uomo mite e colto e stava conquistando il rispetto per la causa palestinese di Alberto Moravia e di molti altri intellettuali italiani.
    Ma tre dei terroristi di Monaco erano transitati per Roma e questo segnò il suo destino. Lo stesso Abu Iyad, che certo non si è mai vergognato di rivendicare la correttezza della strage di Monaco, scrisse che Zuwaiter non aveva contatti con Settembre Nero (e nessuno più di Abu Iyad poteva saperlo) e che “era radicalmente contrario a ogni forma di terrorismo”. Si succedettero poi attentati del Mossad alle rappresentanze dell’Olp in Algeria e in Libia, a Stoccolma, ad attivisti studenteschi a Bonn e Copenhagen, che però furono solo feriti. L’8 dicembre 1972 fu assassinato con una bomba radiocomandata posta sotto la sua scrivania il rappresentante dell’Olp a Parigi Muhammad Hamsari. Poi furono eliminati quattro dirigenti del Fplp e dell’Olp a Cipro, Atene e Parigi.
    La notte del 9 aprile 1979, l’operazione più complessa: nove vedette lanciamissili fecero sbarcare un commando di incursori israeliani su una spiaggia a sud di Beirut. Gli uomini del commando salirono su automobili lasciate lungomare da agenti del Mossad, si diressero nel centro di Beirut e fecero irruzione in tre appartamenti in due condomini. Uccisero con pistole al silenziatore Muhammad Yusuf al Nijjar responsabile del Servizio segreto di al Fatah (e supervisore di Settembre Nero), Kamal Nassir, portavoce dell’Olp a Beirut e Kamal Adwan. Nell’azione fu uccisa anche la moglie di Najjar, che si buttò sul marito per proteggerlo, ma non furono toccati né i familiari né, ovviamente, i figli.
    Il primo a sparare fu il capo dei commando: Ehud Barak. Diventerà premier di Israele.
    Altri commando fecero esplodere la sede del Fplp dopo un conflitto a fuoco in cui morirono due incursori israeliani, una officina di al Fatah per la fabbricazione di esplosivi e altri obbiettivi.
    Il 22 gennaio 1979 il Mossad uccise a Beirut Salameh, uno dei dirigenti dell’attacco a Monaco e ferì gravemente a Varsavia l’altro dirigente Abu Daud.
    Abu Iyad, divenne vice di Arafat e fu ucciso nel 1991 a Tunisi, ma non dal Mossad, da un arabo. Come la maggior parte delle vittime palestinesi dal 1948 a oggi.

    Carlo Panella su il Foglio

    saluti

 

 

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