L'Italia non è in declino, la sinistra sì.
di Gianteo Bordero
Dapprima ci hanno pensato l'Ocse e l'Istat, poi sono arrivati l'annuale rapporto Censis e le parole del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che si è rivolto ai giovani di Lodi invitandoli a non credere al declino. La sinistra, che in questi anni ha alimentato in tutte le piazze e in tutte le salse - anche per nascondere il suo vuoto politico - la cosiddetta «retorica del declino», viene privata ora, da esponenti non certo riconducibili al centrodestra, di uno dei suoi argomenti cardine per la prossima campagna elettorale.
Irresponsabilmente, per tutti questi anni d'opposizione, la sinistra non si è premurata di proporre agli italiani un programma alternativo a quello portato avanti dal Governo Berlusconi - e ci chiediamo come avrebbe potuto farlo, se si tiene conto delle divisioni insanabili che essa vive al suo interno -, ma ha alimentato a pieni polmoni l'idea che il nostro Paese, proprio a causa dell'ascesa al Governo del Cavaliere, stesse vivendo un declino inesorabile, una crisi di sistema da cui solo un ritorno della sinistra al potere avrebbe potuto trarlo in salvo.
Come fare, ora che le istituzioni internazionali, gli istituti di statistica e financo il Presidente della Repubblica hanno smentito apertis verbis l'idea di un declino inarrestabile del sistema Paese? Innanzitutto, tacere. La sinistra, sempre pronta a piegare a proprio uso e consumo le parole di Ciampi, stavolta è rimasta silente, ignorando il discorso del Presidente ai giovani di Lodi. E, se proprio non può tacere, la sinistra attacca frontalmente - con la faccia tosta di chi difende la sua ideologia al punto da negare la realtà delle cose - chi non fa altro che rilevare i dati sulla situazione del Paese. E' quanto accaduto, ad esempio, con Giuseppe De Rita, presidente del Censis, accusato da alcuni esponenti dell'Unione di guardare all'Italia con gli occhi foderati di prosciutto, senza rendersi conto - a detta dei signori dell'Unione - dello sfacelo e della miseria che hanno assalito l'Italia dopo la vittoria elettorale della CdL nel 2001.
Appare ancora più evidente, da queste osservazioni, che la retorica ideologica del declino è solo l'ennesimo trucco, l'ennesimo cavallo di Troia usato dalla sinistra per far breccia nelle corde emotive degli elettori e per nascondere uno spaventoso vuoto di idee, un inquietante nullismo progettuale sul futuro del nostro Paese. Tolti infatti l'anti-berlusconismo di maniera - mitigato di fatto dalla nuova legge elettorale proporzionale - e la retorica del declino, smentita dagli istituti internazionali e nazionali e dalla ripresa che c'è e inizia a sentirsi, che cosa resta nelle mani della sinistra come valido strumento da spendere in campagna elettorale? Nulla.
Anzi, il declino dell'ideologia del declino e dell'anti-berlusconismo non fanno altro che mettere ancor più allo scoperto le divisioni che animano l'Unione prodiana sulla maggior parte delle questioni importanti su cui si giocherà la battaglia del 2006. La sinistra è divisa sulla Tav, sulle grandi opere, sulle privatizzazioni, sul mercato del lavoro, sulle riforme messe in atto dal Governo Berlusconi, sulla politica estera e su quella economica. E, come se non bastasse, le primarie si sono rapidamente trasformate da gaio plebiscitarismo in strumento di ricatto verso le componenti «indesiderate» dell'alleanza (si veda il caso Sicilia).
Dopo le elezioni regionali dello scorso aprile, sembrava che per la sinistra fosse incominciata la lunga, inarrestabile e indisturbata corsa verso la conquista di Palazzo Chigi. Invece non solo i sondaggi e le rilevazioni statistiche, ma anche l'aria che si comincia a respirare in certi ambienti dimostrano che la maggioranza degli italiani non è così poi così sicura di voler affidare il Governo del Paese a una coalizione divisa, indecisa e inaffidabile, pronta a tutto pur di mascherare i suoi tentennamenti e le sue responsabilità e di ributtarle in faccia, in maniera irresponsabile ed ideologica, all'attuale maggioranza e al Presidente del Consiglio.
In tutto ciò, va dato atto a Silvio Berlusconi - proprio mentre in tanti, dopo la sconfitta delle regionali, gli consigliavano di gettare la spugna - di aver saputo resistere a tutte le cassandre (amiche e non) e di aver voluto affermare che alla fine dei conti la forza dei fatti e delle scelte operate dal Governo in questi anni saranno più forti delle menzogne che la sinistra e i suoi sostenitori hanno messo in campo dal 2001 in poi.