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    Predefinito E dopo CHAVEZ, si puo' chiudere il cerkio in BOLIVIA



    Al voto la Bolivia degli idrocarburi. Può vincere il socialista Morales

    America latina. Domenica elettorale per un paese ricco di risorse, finora instabile politicamente e sempre dipendente dagli Stati Uniti. In gioco, l'autonomia nazionale e il modello di sviluppo

    Si è chiusa a mezzanotte di ieri (venerdì) la campagna elettorale in Bolivia. 3,6 milioni di elettori sono chiamati a eleggere il presidente della Repubblica, il vicepresidente, 130 deputati, 27 senatori e, prima volta nella storia, i prefetti e i governatori dei 9 dipartimenti amministrativi del paese. Si voterà domani (domenica) nei 121.119 seggi allestiti in tutta la Bolivia. 26.000 soldati e 24.000 agenti di polizia vigileranno sulla sicurezza mentre 150 osservatori internazionali, tra i quali persino un inviato speciale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, saranno impegnati nella verifica della correttezza del processo elettorale. Un appuntamento di grande importanza che chiude il 2005 e anticipa il 2006, un biennio elettorale strategico per il futuro dell’America latina.

    Il favorito, secondo i sondaggi, è il candidato del "Movimiento al Socialismo" (Mas), Evo Morales.
    Leader dei contadini che parlano la lingua quechua, quei coltivatori di foglie di coca che abitano la parte montagnosa dell’altopiano del Chapare, dove si superano i 4.000 metri di altezza, tutto intorno alla capitale La Paz, Morales ha un lungo passato da sindacalista.

    Nel 2002 arrivò secondo alle elezioni presidenziali, due soli punti sotto il presidente eletto Gonzalo Sanchez de Losada, non senza lo zampino degli Stati Uniti che vedevano e vedono tutt’ora Morales come il terzo protagonista di quell’”asse latinoamericano del male” che dall’isola di Cuba prosegue verso sud per toccare il Venezuela di Chávez e arrivare in Bolivia, appunto.

    Nonostante il candidato del Mas abbia più volte precisato che “una cosa è il fatto che io ammiri il sistema della sanità e dell’istruzione cubano o la politica energetica del Venezuela, questo non significa che questi modelli debbano essere importati in Bolivia”, il Dipartimento di stato americano non si è sottratto nemmeno stavolta dall’intervenire mettendo in allerta nei confronti di azioni “potenzialmente violente” legate all’appuntamento elettorale di domani. Avvertimento decodificato e rispedito prontamente al mittente, peraltro, dall’attuale presidente Rodríguez.
    D’altra parte, se è doveroso confrontare le proprie esperienze con quelle eventualmente più avanzate presenti nel resto dell’America latina, bisogna riconoscere che la Bolivia presenta alcune peculiarità etniche, geografiche e culturali che impediscono l’adozione automatica di modelli sperimentati altrove. Nelle ultime interviste rilasciate alla stampa locale e a quella internazionale, Morales ha dettato il suo programma di politica interna ribadendo, con toni a volte sopra le righe, che “Rifonderemo la nuova Bolivia su un altro modello economico nel quale le risorse naturali saranno gestite con giustizia ed equità. In secondo luogo, nazionalizzeremo le risorse naturali (specialmente gli idrocarburi e il gas) e, in terzo luogo, faremo cessare le concessioni private allo sfruttamento delle risorse”. Come nel resto dell’America latina, la sfida è la creazione di un nuovo modello politico cha garantisca una più equa distribuzione della ricchezza. “Noi non vogliamo cambiare solo un presidente - annuncia Morales - Vogliamo cambiare la storia per lasciarci dietro il modello neoliberista e lo stato coloniale”. Su questa stessa linea, continua: “Le imprese straniere possono essere i soci ma non i padroni della Bolivia”.
    Il nucleo dell’elettorato del Mas è rappresentato dalla maggioranza indigena, emarginata ed esclusa quasi totalmente dalla rappresentanza politica e che costituisce il 65% della popolazione, così come i movimenti sociali e tutti quegli intellettuali che reclamano un cambiamento. Tuttavia, precisa Morales, “la mia proposta politica non minaccia le autonomie né i poteri economici, ma riguarda e ha a che fare con una distribuzione più equa della ricchezza”. Vedremo se riuscirà a convincere gli indecisi che, a poche ore di distanza dal voto, costituiscono ancora l’11,6% degli aventi diritto.
    Lo sfidante è Jorge Quiroga, della coalizione "Poder democratico y social" (Podemos), un ingegnere entrato in politica tra le fila del partito Azione democratica nazionalista (Adn). "Tutu", come è chiamato in Bolivia, è stato già presidente tra il 2001 ed il 2002 dopo che l’allora capo di stato, Banzer Suàrez si dimise perché ammalato di tumore. All’epoca, Quiroga era vicepresidente e assunse automaticamente la guida del governo. Sull’argomento chiave della campagna elettorale, Quiroga si è espresso in maniera molto criptica parlando, in generale, “di nazionalizzare i benefici del gas”. Espressione che lascia tranquilla la élite bianca e ricca di Santa Cruz, l’area economicamente più sviluppata, che sogna una maggiore autonomia da La Paz (da ottenersi attraverso una riforma in senso federale dello Stato) e che costituisce il suo elettorato di riferimento, ma che non risolve il dilemma. Infatti, se è noto che il suo programma politico prevede un modello in cui siano migliorati gli introiti derivanti dall’estrazione e dalla vendita degli idrocarburi, progetto condivisibile nella sua sostanza, il dubbio, tuttavia, è che dietro queste dichiarazioni si miri, semplicemente, a preservare e a perpetuare i diritti delle 22 compagnie straniere che operano in Bolivia. Multinazionali come la Repsol-Ypf, la British Petroleum e la Petrobras, tra le altre, che “comprano” e tengono in ostaggio i governi, ma che, allo stesso tempo, estraggono e commercializzano quel gas che lo stato boliviano non avrebbe i soldi per sfruttare. Questione complessa, a ben vedere, e che riguarda, piuttosto, la percentuale di introiti da garantire comunque al paese andino (il 50% come chiede il Mas?).
    Gli ultimi sondaggi danno i due candidati separati da una differenza che oscilla tra i cinque e gli otto punti a vantaggio di Morales, accreditato di una percentuale tra il 34,2% e il 36%. Non basta, tuttavia, per diventare presidente. La Costituzione boliviana, tra l’altro, prevede che qualora nessuno dei candidati raggiunga la maggioranza assoluta, il Parlamento effettui tre votazioni per scegliere il vincitore tra due sfidanti e, se non si trova un accordo, sia proclamato presidente chi abbia ottenuto più voti, indipendentemente dalla maggioranza assoluta e indipendentemente da chi sia il candidato che abbia avuto più voti popolari. In questo senso, diventa importante ottenere un buon risultato alle legislative e garantirsi l’appoggio del partito Unità nazionale (centro), il cui candidato, Samuel Doria Medina (secondo gli ultimi sondaggi accreditato del 9% delle intenzioni di voto), è considerato ormai fuori dai giochi per la presidenza ma comunque ago della bilancia per la elezione del futuro capo dello Stato.
    La Bolivia, il paese più povero dell’America latina (dopo Haiti), va dunque al voto in una situazione politica ed istituzionale molto grave e confusa. Il presidente eletto sarà il terzo capo di Stato in poco più di un anno dopo che Carlos Mesa ha dovuto lasciare l’incarico a giugno in seguito alle proteste e ai disordini di piazza. Decine di migliaia di oppositori reclamavano riforme costituzionali per una maggiore rappresentanza per gli indios e, soprattutto, la nazionalizzazione delle risorse naturali: in particolare del gas, vero nodo all’origine della crisi che era già costato il posto a Sanchez de Losada, il predecessore, nell’ottobre 2004.
    Domenica alle 16.00 ora locale saranno chiusi i seggi. In gioco ci sono i 54,38 trilioni di piedi cubi di riserve di idrocarburi per i quali la Bolivia, in America latina, è seconda solo al Venezuela. In gioco ci sono il futuro energetico e lo sviluppo di un paese e di un continente.


    Per INFO PQM - Partito per la Questione Morale di POL "Enrico Berlinguer":

    http://www.politicaonline.net/forum/...d.php?t=212495






  2. #2
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    HA VINTO EVO MORALES!!!!!!!!!!!!!!

    AL 1° TURNO





    Un indio presidente!


    di Jacopo Venier

    19 dicembre 2005

    La vittoria di Evo Morales in Bolivia è un fatto storico. Per la prima volta un indio (“l’indigeno che mastica foglie di coca”, come lo descrive con disprezzo la stampa USA) trionfa alle elezioni e diventa presidente di un paese dell’America Latina. Per la prima volta la Bolivia è governata da un movimento chiaramente di sinistra, il MAS, che combatte contro il neo-liberismo e l’egemonia USA.




    Per la prima volta un largo e massiccio movimento indigeno, nato contro la discriminazione e la povertà e cresciuto nella lotta contro l’appropriazione delle risorse nazionali, a partire dal gas, ha saputo darsi una traduzione politica in grado di conquistare il potere politico. Evo Morales è stato eletto direttamente al primo turno ed insieme a lui è stata eletta una ampia maggioranza alla Camera ed al Senato che rende possibile procedere verso radicali riforme politiche e sociali. Le minacce ed i “consigli” giunti al popolo della Bolivia dall’ambasciata USA non hanno che ampliato i margini di questa vittoria. La Bolivia entra così nel grande fiume delle nazioni latinoamericane governate dalla sinistra o dal centro-sinistra. Cuba ha resistito negli anni più difficili. Il Venezuela ed il Brasile hanno poi aperto una nuova speranza e ormai l’onda non si ferma. All’Argentina ed all’Uruguay ora si aggiungono la Bolivia ed il Cile dove a gennaio, altro fatto storico, diventerà con ogni probabilità presidente una donna socialista. Siamo di fronte alla reazione profonda al fallimento delle politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale degli anni 90. L’abbandono delle politiche neo-liberiste e la spinta verso una forte integrazione continentale, politica ed economica, sono le caratteristiche principali di questi governi progressisti. Tutto ciò si sta determinando contro i progetti degli USA che hanno visto fallire miseramente la loro proposta di uno spazio economico (ALCA) sotto il loro controllo mentre devono prendere atto della fusione di Mercosur e Patto Andino in una nuova area economica e politica autonoma che ormai copre tutto il sub-continente latino americano. In America Latina la sinistra sta facendo la sua parte. Rappresenta i più deboli, si batte per il cambiamento, tiene aperta la prospettiva della trasformazione. In Europa sono in tanti che dovrebbero mettersi con rispetto e con pazienza ad ascoltare ed imparare da queste lotte e da queste vittorie.






    La riscossa dell'altra America. La Bolivia ha un presidente indio

    «Compañeras y compañeros, abbiamo vinto». Era un raggiante Evo Morales quello che nella notte di Cochabamba si è presentato davanti ai suoi sostenitori per dichiararsi presidente della Bolivia. Il primo presidente indio nella storia del paese andino, a stragrande maggioranza indigena. Un risultato che ha sconfessato i sondaggi (che indicavano una sua vittoria ma al di sotto del 50%).

    I dati ufficiali tardano ancora a uscire, ma la vittoria - per adesso “virtuale” - di Morales e del suo Mas (Movimento al Socialismo) è stata confermata anche dallo sfidante, il conservatore Jorge “Tuto” Quiroga, l’uomo indicato dalla borghesia boliviana per sbarrare la strada ai cocaleros (i raccoglitori di coca) guidati da Morales. Se il Consiglio Nazionale Elettorale confermerà gli exit poll di stanotte (quasi il 58% per Morales), il nuovo Parlamento boliviano si riunirà a metà gennaio per ratificare il suo mandato. Un mandato che si annuncia difficile, visto che in cinque anni la Bolivia ha cambiato (e scacciato) cinque differenti presidenti (tra cui lo stesso Quiroga, nel 2001). Morales potrà contare di una maggioranza nei due rami del Parlamento. Una maggioranza relativa, a un passo da quella assoluta, che dovrà dimostrarsi compatta per far avanzare il programma dell’indio del Chaparé.

    Il leader del Mas ha infatti promesso tanto agli elettori. Non ha promesso il “tutto” che parte dei boliviani più poveri chiedevano: l’esproprio delle miniere e dei giacimenti di gas che fanno la Bolivia un paese ricchissimo. E i boliviani, i latinoamericani più poveri del continente.

    Morales potrà avviare la riforma delle concessioni di estrazione del gas, rivedendo i molti contratti capestro che le multinazionali statunitensi ed europee hanno arraffato negli ultimi anni. L’obiettivo è quello di placare le proteste degli abitanti de Los Altos (la città satellite di La Paz), senza spaventare i ricchi imprenditori di Santa Cruz (il centro più popolato della Bolivia), che in più di un’occasione avevano gridato alla secessione. Una secessione fatta su misura per togliersi dalle spalle (e dai bilanci) tutti i disgraziati boliviani che sì lottano per nazionalizzare il gas, ma che non hanno né luce né acqua nelle loro case.

    Come in altre occasioni, i timori espressi dall’Ambasciata Usa hanno avuto un peso determinante: i timori di Washington verso l’ex sindacalista boliviano hanno convinto gli indecisi a fidarsi di lui. Un contrappasso molto latinoamericano. Quando gli Usa gridano “al lupo, al lupo”, nel continente latino gli elettori spingono ancor più forte in quella direzione. Certo è che il lavoro di Morales non sarà una passeggiata. «Da oggi – ha detto Morales – inizia una nuova storia per la Bolivia, alla ricerca di uguaglianza, giustizia, equità e giustizia sociale». Per risolvere i problemi di povertà estrema, il nuovo presidente dovrà appoggiarsi a quel +3,7% di crescita economica. Una crescita stretta nelle mani degli industriali di Santa Cruz e delle multinazionali. Una crescita che, fino ad oggi, non si è tradotta di sviluppo per tutti i boliviani.

    Al suo fianco, Morales avrà l’appoggio del suo vicepresidente: Alvaro Garcia Linera, matematico e sociologo che ha assaggiato le galere boliviani per via della sua partecipazione al gruppo guerrigliero Tupac Katari. Ma oltre il suo passato, in questa campagna elettorale Linera si è dimostrato capace di trasformarsi in mediatore tra il radicalismo di Morales e le richieste provenienti dal mondo economico. Nel 2006, la Bolivia avrà anche un’Assemblea Costituente, chiamata proprio a sbrogliare la questione dello sfruttamento del sottosuolo. E in quell’occasione, Morales e il Mas dovranno dimostrarsi capaci di negoziare una soluzione che accontenti tutti e non scontenti nessuno. Un’impresa titanica, certo. Ma il nuovo presidente potrà contare su alcuni alleati strategici: dal presidente venezuelano Hugo Chavez, a quello brasiliano Lula. Altri spauracchi di Washington (il primo), ma anche garanzie diplomatiche (il secondo).

    Intanto, appena le agenzie hanno battuto i risultati parziali, le borse europee hanno vacillato. A Madrid, il titolo della Repsol (gigante dell’energia, con ingenti investimenti in Bolivia) ha perso l’1,2% in pochi minuti.

  3. #3
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    Da Lula a Morales: il Sud America si tinge di rosso

    Lula è stato solo l’inizio, Evo Morales non sarà la fine. Il Sud America del Terzo Millennio guarda con sempre maggiore convinzione a sinistra. E porta al governo forze a volte anche molto diverse fra loro, ma accomunate dalla critica al neoliberismo e all’egemonia statunitense sul continente.

    Se il presidente brasiliano e il suo Partido dos Trabalhadores (Partito dei Lavoratori) appaiono in fase declinante dopo essere stati travolti dalle accuse di corruzione, nei Paesi vicini si affermano altre forze ugualmente legate all’Internazionale socialista. In Cile Michelle Bachelet è la grande favorita del prossimo ballottaggio per l’elezione del presidente: al primo turno ha ottenuto circa il 45% dei voti contro il 26% del suo avversario di destra Sebastian Pinera. In Uruguay, poco più di un anno fa, la vittoria del medico Tabaré Vazquez e del partito - coalizione Frente Amplio, l’Unione delle forze di sinistra di Montevideo.

    Ma i presidenti sudamericani che guardano a sinistra non sono solo quelli direttamente legati alla grande famiglia dell’Internazionale. Il presidente venezuelano Hugo Chavez, che continua ad essere la bestia nera degli americani grazie alla sua politica petrolifera, alle ultime elezioni ha visto trionfare la sua coalizione (che, grazie al boicottaggio dell’opposizione, ha incassato tutti i seggi del Parlamento). In Argentina il presidente Nelson Kirchner, dopo aver sconfitto l’ex presidente Carlos Menem nella sfida fra l’ala destra e sinistra del peronismo, sta assumendo posizioni sempre
    più vicine al Venezuela e di crescente distanza dagli Usa e dalla Chiesa cattolica, con cui ha avuto numerosi attriti. Più controversa la situazione in Ecuador, dove il presidenze Lucio Gutierrez, accolto come un nuovo Chavez al momento della sua elezione, ha condotto una politica molto accomodante verso il Fondo Monetario ed è stato travolto dalle proteste di piazza: in aprile si è rifugiato in Brasile, lasciando il posto al suo vice Alfredo Palacio.

    Gli ultimi baluardi conservatori? Sicuramente la Colombia di Álvaro Uribe Vélez. E il Perù di Alejandro Toledo, chiamato ad affrontare una profonda crisi politica e sociale. Il Paraguay Óscar Nicanor Duarte Frutos, leader del Partido Colorado tradizionalmente al potere, appare invece piuttosto accomodante verso la politica dei più forti vicini di sinistra. Lo si è visto al vertice al vertice delle Americhe che si è svolto in ottobre Mar del Plata, in Argentina, dove gli Usa hanno per la prima volta scontato l’opposizione al progetto dell’Alca (Area di libero commercio delle Americhe) da loro stessi proposta nel 1994 a Miami.

  4. #4
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    evvai
    Nè DAVANTI Nè DI DIETRO, MA DI LATO

  5. #5
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    Quanto è bello vedere il mondo colorato di rosso!!!!

  6. #6
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    Sono contento x morales, ke è tutta altra cosa rispetto a Chaves(SSSSS).
    Speriamo ke al secondo turno venga confermato

  7. #7
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    Citazione Originariamente Scritto da fgc.adelfia
    Quanto è bello vedere il mondo colorato di rosso!!!!

    Il rosso quello vero non sbiancato da falsa ideologia, quello che nazionalizza, e chi rida' ai cittadini cio' che è loro.

    L'asse Chavez-Morales-Lula sta cambiando il sud America, il Socialismo della rivoluzione sta per essere attuato adesso ke gli usa e getta non riescono neanke piu' a boicottare delle elezioni, perke' devono bombardare il resto del mondo!

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    Citazione Originariamente Scritto da asti_sinistra
    Il rosso quello vero non sbiancato da falsa ideologia, quello che nazionalizza, e chi rida' ai cittadini cio' che è loro.

    L'asse Chavez-Morales-Lula sta cambiando il sud America, il Socialismo della rivoluzione sta per essere attuato adesso ke gli usa e getta non riescono neanke piu' a boicottare delle elezioni, perke' devono bombardare il resto del mondo!
    Non vorrei toglierti entusiasmi ma PURTROPPO( e ci sta, xke ci avevo creduto) Lula ha fatto una politica monetarista, si è alleato con il WTO e ha parlato con Bush. X far passare le proprie leggi in parlamento comprava parlamentari di altri partiti e del sindacato ke ha creato e ke lo ha lanciato, dell'ambiente e della gente sembra essersi dimenticato il Lula

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    Citazione Originariamente Scritto da Enrico1987
    Non vorrei toglierti entusiasmi ma PURTROPPO( e ci sta, xke ci avevo creduto) Lula ha fatto una politica monetarista, si è alleato con il WTO e ha parlato con Bush. X far passare le proprie leggi in parlamento comprava parlamentari di altri partiti e del sindacato ke ha creato e ke lo ha lanciato, dell'ambiente e della gente sembra essersi dimenticato il Lula
    Gli entusiasmi non me li togli di certo tu so distinguere benissimo chi applica il Socialismo economico, ovvero Chavez e Morales ke sono addirittura a fianco delle battaglie di Cuba e vicini ai latino-americani degli usa e getta, di certo in sud america nessuno potra' spacciarci cio' che sta accadendo come liberalsocialismo, o riformismo dell'ultima, ora, in qusto momento c'e' una Rivoluzione in quei paesei, ke colgono un momento importantissimo nel quale neanke gli usa e getta riescono piu' ad infiltrarsi, (come fanno purtroppo ancora in molte parti del mondo, comresa l'Italia, a fianco di multinazionali e banke...... ........), gia' solo ki discute mettendo in discussione la Rivoluzione ke quei popoli stanno vivendo, puo' ritenersi al di fuori di ogni ragionamento Comunista o Socialista che sia, purke' ispirato al Marxismo applicato, e Chavez e Morales sono sulla stessa linea.

    Avanti cosi' ed auguri al Sud America!

  10. #10
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    Votos confirman una revolución democrática en Bolivia



 

 
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