Scoperto il «gene razziale» base per l’arma etnica?
Maurizio Blondet
17/12/2005
Il patrimonio genetico dei pesci-zebra e' molto simile a quello dell'uomoSTATI UNITI - La scoperta ce la presentano come benefica: «nuovi metodi per abbronzare o schiarire la pelle»,
o anche «forse una cura per il cancro».
In realtà l'identificazione del gene, che determina la pigmentazione dell'epidermide, da parte di un gruppo di biologi della Penn State University, apre a più allarmanti (e segreti) sviluppi militari.
Il gene è il SLC24A5, ed è stato isolato nei pesci-zebra (1): pesci preferiti da questo genere di ricercatori perché hanno un patrimonio genetico alquanto simile a quello umano (stranamente, ciò non induce i darwinisti a sostenere che l'uomo discende dai pesci).
Fra l'altro, questi animali hanno nell'epidermide cellule di pigmentazione simili alle umane, i melanosomi: e come c'è differenza tra bianchi e negri, un tipo di questo pesce detto «golden» (dorato) presenta melanosomi più piccoli e meno colorati del resto della specie.
Si è scoperto che la causa sta in una mutazione del gene in questione, che impedisce la produzione di una proteina essenziale.
L'iniezione della proteina ai pesci-zebra normali ha provocato una colorazione più intensa.
Di conseguenza, i ricercatori della Penn State University hanno cercato nella mappa del genoma umano l'esistenza di una situazione simile.
E l'hanno trovata.
La maggior parte dell'umanità (nera e gialla) dispone della stessa versione del gene SLC24A5; solo le persone discendenti da europei (uomini bianchi) sono portatori di un gene modificato.
Da una sola mutazione.
In base ad ulteriori ricerche su «mezzosangue» mulatti, con genitori misti bianchi e africani, si è evidenziato che alcuni hanno il gene mutato - e la pelle più chiara.
Risulta che nella popolazione mista, questo solo gene controlla il 38% della variazione del colore della pelle.
Per inciso, questa scoperta smentisce una diffusa credenza, più o meno rozzamente «evoluzionista», per cui gli africani sarebbero neri «a causa» del sole africano, ossia per «la pressione dell'ambiente».
Al contrario, il colore della pelle è determinato geneticamente.
E molti misteri permangono, ammettono gli stessi ricercatori, sull'architettura genetica (ed evolutiva, aggiungono) che differenzia le cosiddette «razze umane».
Fra l'altro, non solo uno, ma numerosi altri geni sono coinvolti nella pigmentazione dell'epidermide.
Ovviamente, questo può gettare qualche luce su malattie genetiche come l'albinismo, che non solo dà ai portatori una pelle senza pigmento e peluria bianco-bionda, ma provoca problemi visivi.
Ma meno ovviamente, apre una breccia finora chiusa in un tipo di ricerca più inquietante: quella su armi biologiche «razziali», che possano provocare malattie solo in certe «razze» umane specificamente bersagliate.
E' noto che in Sudafrica si cercò invano di identificare caratteri genetici-bersaglio contro la popolazione nera, nella speranza di selezionare una malattia, possibilmente infettiva, che colpisse i neri e dalla quale i bianchi restassero immuni.
Israele ha condotto studi simili per colpire esclusivamente geni di arabi.
Incontrando a quanto pare difficoltà insuperabili, in quanto il patrimonio genetico degli arabi è di fatto sovrapponibile a quello degli ebrei «veri», ossia i sefarditi (gli askenaziti, il 75% della popolazione ebraica, sono invece di ascendenza ugro-mongolica).
In generale, la ricerca non si presentava promettente: l'uomo appartiene in realtà a una sola «razza», e il patrimonio genetico di un palestinese, di un askenazita o di uno svedese sono in realtà identici al 99,9 %.
Lo sforzo di identificare le minime differenze genetiche su cui «agganciare» l'agente aggressore «etnico» è sempre risultato elusivo. Benché, a quanto sembra, nei laboratori militari cinesi si continui la ricerca (2).
Ora una porta si è aperta.
In questo quadro, assumono un significato allarmante le ricerche condotte proprio sul pesce-zebra dalle Iowa e Northwestern University.
Questi ricercatori hanno iniettato nell'embrione del pesce cellule di melanoma, uno dei tipi più pericolosi, perché più diffusivi, di tumori umani: e, fatto significativo, è un cancro che coinvolge le cellule dei pigmenti epidermici, i melanosomi.
Si è visto che le cellule del melanoma, nel pesce-zebra, si dividono normalmente, ma si è anche visto che non formano tumori, come se «qualcosa» nell'ambiente biologico dell'embrione lo impedisse (3).
Naturalmente, ciò viene ora presentato come «una speranza nella cura del cancro».
Ma non era certo questo lo scopo dell'esperimento.
Perché iniettare il melanoma umano nel pesce-zebra, con una genetica della pigmentazione così simile a quella umana?
«Ora possiamo cominciare a capire meglio come il cancro si sviluppa», dicono i ricercatori dello Iowa.
Lo scopo dunque era questo: «capire come il cancro si sviluppa».
Per sconfiggerlo?
O magari per provocarlo, poniamo, solo ai negri?
O solo ai bianchi?
O solo ai palestinesi?
Maurizio Blondet
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Note
1) «Key gene controls skin's colour», BBC, 16 dicembre 2005.
2) Si veda il mio «La strage dei genetisti», Effedieffe, Milano.
3) «Zebrafish gives cancer spread clue», BBC, 28 giugno 2005.
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