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    Predefinito La contestata "messa" di Palermo

    Cari amici, Repubblica Palermo di oggi, a dimostrazione dell'importanza assunta dalla questione "MESSA", pubblica in prima pagina questi due articoli di due proff dell'Università di Palermo.

    In mattinata sit in dell'uaar davanti Palazzo Steri
    Pietro


    Ecco i due articoli:
    MARTEDÌ, 20 DICEMBRE 2005
    Pagina III - Palermo LA POLEMICA Il difficile esercizio del laicismo MAURIZIO BARBATO Anche nelle scuole il cardinale esercita la pretesa superiorità protettiva rispetto alle istituzioni secolari, di cui è convinto per ufficio e fede, venendo a benedire ogni anno a turno i locali scolastici. Quando toccò alla mia scuola, al collegio dei docenti feci una domanda semplice: e di me che ne farete il giorno della visita pastorale? Mi nasconderete come si faceva con le prostitute quando il papa usciva in visita? La soluzione trovata allora, appartiene alle mille quotidiane prove di ipocrisia, il manzoniano "sopire, sedare", che spiegano il nostro stato laico da sempre. Il cardinale sarebbe venuto a benedire di pomeriggio, così chi volesse vederlo sarebbe accorso liberamente. E nessuno si curò di chiedersi se a quel punto non bisognasse nascondere gli altri operatori scolastici non insegnanti.


    MARTEDÌ, 20 DICEMBRE 2005 Pagina XVI - Palermo Il difficile esercizio del laicismo nella scuola e negli uffici siciliani Chi non vuole sottomettersi al rito può accettare tacitamente la disuguaglianza o entrare in conflitto con i propri doveri Chi si illude si essere tollerante e non reagisce non si rende conto di essere semplicemente dotato di scarso senso civico MAURIZIO BARBATO (segue dalla prima di cronaca)
    Quelli, cioè, la cui presenza pomeridiana è obbligatoria per servizio. E chissà quanti sono i casi simili a quello della messa in locali pubblici e nell´orario di lavoro, che non vengono alla luce del pubblico dibattito perché fanno meno notizia dell´Università (e perché non per tutti è facile tenere la schiena laica diritta come per i professori).
    È una regola di civiltà elementare, ancorché poco osservata, finché Stato e Chiesa sono separati fortunatamente e fortuitamente (vale a dire, secondo l´ironia di Sciascia: «con fortuna e per caso»), che le messe siano da tenersi esclusivamente nei locali di culto, e mai nei locali pubblici e durante orari di apertura al pubblico. Infatti chi non volesse, per ragioni sue, sottomettersi al rito, ha di fronte a sé tre possibilità, ciascuna equivalente a una rinuncia della libertà di coscienza. Egli può o far finta di niente, facendo buon viso a cattivo gioco, con ciò accettando tacitamente, a se stesso e agli altri, la propria minorità e la propria diseguaglianza rispetto ai seguaci della religione. Oppure rifiutarsi apertamente di partecipare e presenziare nei locali, con ciò entrando in conflitto con i propri doveri di servizio (con le conseguenze disciplinari del caso: poiché solo per i sanitari antiabortisti è prevista l´obiezione di coscienza) e in conflitto con la propria libertà di lavorare. Oppure, terza possibilità, ancora rifiutandosi, dichiarare la propria posizione, con ciò violando il diritto alla riservatezza della coscienza.
    Ma perché allora questa regola elementare può venire facilmente violata dalla gerarchia ecclesiastica? Come può accadere che sembri così naturale e neutro un rito spettacolare così di parte e invadente come quello di tenere messa nei locali pubblici e in orari di apertura al pubblico degli uffici?
    La Chiesa fa il suo mestiere nel pretenderlo, giacché è iscritto nel patrimonio genetico delle religioni monoteistiche la presunzione della propria superiorità sul campo civile: fa parte della loro identità, che riconosce solo Verità ed Errore, la ripulsa del pluralismo delle credenze, della libera coscienza, del relativismo religioso. Dalla sua lo Stato italico è ben felice di cedere lo scettro e inchinarsi, sia per le difficoltà di interpretazione che insorgono ogni qual volta sia chiamato in causa il regime di rapporti con la Chiesa, sia perché lo Stato è fatto di uomini in carne ed ossa che temono i conflitti di ordine ideale, comportanti sempre molti rischi e nessun guadagno.
    Allora la palla della responsabilità passa nel campo dei laici, dei non credenti, degli agnostici, degli scettici di ogni trascendenza, e dei credenti che hanno introiettato l´abc della libertà di coscienza. Tutti questi sono per lo più timidi quando si tratta di contrastare la connaturata, intrinseca, esuberanza di cui tutte le chiese danno prova nella storia. Illudono se stessi di essere ragionevoli, non fanatici, tolleranti, quando accettano supini la supremazia, mascherata dal così fan tutti, dell´irragionevolezza, del fanatismo, dell´intolleranza, e non reagiscono a chi ignora la loro dignità. Ma non sono tolleranti, sono semplicemente civilmente insensibili, dotati di scarso senso civico, perché non si rendono conto che la libertà di coscienza è indivisibile, e quando viene ferita quella di uno, è quella di tutti ad essere mutilata. La servitù è prima di tutto volontaria, dimostrava nell´Età assolutistica Etienne de la Boétie, un libero pensatore dimenticato: il nemico vero della libertà è il generale conformismo comodo e accomodante, assai più dell´arroganza degli assolutisti dogmatici. Quanti sono gli atei e agnostici, non credenti e scettici, che assistono a funzioni religiose quando è d´uso, che si sposano in Chiesa, battezzano i figli? E che non dicono parola, a maggior ragione, quando si celebra una messa in un ufficio pubblico. Infatti l´assurdo precetto prevalente, che rovescia paradossalmente le regole dell´autonomia di coscienza, è che bisogna proteggere le maggioranze.
    Alle origini del nostro ingresso nella civilizzazione moderna, non ci sono le fiere contese in materia di libertà religiosa. C´è il Nicodemismo: cioè l´atteggiamento che in Italia, mentre altrove si dibattevano furiosamente gli spiriti di fronte alle nuove frontiere della scoperta della soggettività e del pluralismo delle coscienze, non osava professare apertamente il proprio credo, preferendo lasciarlo nel segreto, per prudenza e per paura. I nostri laici sono in gran parte figli di quegli avi nicodemiti. Perciò, quando un professore di fisica fa due più due quattro e afferma coraggiosamente che la messa si fa in chiesa e non all´università nelle ore di lavoro, ecco che sembra una voce straniera.
    """""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""
    La Repubblica Palermo
    MARTEDÌ, 20 DICEMBRE 2005


    Pagina III - Palermo

    LA LETTERA

    Una messa sbagliata




    ARTURO RUSSO

    Le mie osservazioni critiche sulla celebrazione della messa di Natale al rettorato erano contenute in una lettera inviata al rettore e ai componenti del Senato accademico e del Consiglio di amministrazione dell´Università, allo scopo di sollecitare una riflessione sul significato della laicità di una istituzione pubblica deputata alla istruzione superiore e alla ricerca scientifica.
    MARTEDÌ, 20 DICEMBRE 2005




    Una messa sbagliata all´Università




    ARTURO RUSSO

    (segue dalla prima di cronaca)
    Allo stesso tempo, volevo sottolineare la necessità di rispettare, anche a livello simbolico, le convinzioni di quegli studenti, docenti e funzionari che professano altre fedi religiose (ancora pochi, forse, ma certamente destinati a crescere) e di quelli (credo tanti) che non sentono il bisogno di una fede religiosa per dare un senso alla propria vita e al proprio lavoro.
    Qualcuno dei destinatari ha ritenuto di dovere rendere pubblica la mia lettera attraverso "la Repubblica", suscitando, com´era da aspettarsi, reazioni e prese di posizione che mi spingono a precisare il mio pensiero e il senso della mia lettera.
    Innanzi tutto, vorrei sottolineare che il mio intervento non aveva alcun intento critico o polemico nei confronti del rettore. Il professore Silvestri ha ritenuto giusto proseguire un´antica tradizione dell´Ateneo palermitano, interpretando, credo correttamente, le aspettative e le convinzioni della maggioranza del Senato accademico, degli studenti e del personale dell´università. Pur esprimendo le mie riserve su tale decisione, essa nulla toglie alla profonda stima che ho del rettore Silvestri, né fa diminuire il mio apprezzamento per la sua azione alla testa dell´istituzione in cui lavoro da quasi quarant´anni.
    Devo però manifestare la mia sorpresa quando egli stesso spiega che il posto d´onore riservato al cardinale nella cerimonia di inaugurazione dell´anno accademico (come in quella dell´anno giudiziario) deriva dalla sua qualità di rappresentante di uno Stato estero, lo Stato della Città del Vaticano. Non conosco le regole del protocollo e del cerimoniale, ma confesso che mi viene difficile credere a tanto. Ritengo infatti che l´arcivescovo di Palermo non abbia alcuna funzione diplomatica di rappresentanza, certamente non maggiore di quella, a esempio, del console di Francia o del direttore del Goethe Institut, che comunque non riesco a immaginare seduti su una grande sedia d´onore al centro della sala dell´inaugurazione. È proprio nella veste di vescovo della città che il cardinale De Giorgi è, giustamente, invitato a questo tipo di cerimonie, al pari del sindaco, del presidente del tribunale e del comandante della legione dei carabinieri. Se così è, non vedo perché debba occupare una posizione così privilegiata.
    E allora, non è forse solo in virtù di una non dismessa abitudine a considerare ancora la religione cattolica come «religione ufficiale dello Stato italiano» che si continua a concedere ai rappresentanti della Chiesa di Roma il posto d´onore nelle cerimonie ufficiali delle più alte istituzioni statali? E se così è, non è forse il caso di rimettere in discussione tale abitudine alla luce del nuovo (ma già abbastanza vecchio) regime concordatario?
    Una seconda considerazione riguarda il tema centrale della laicità delle pubbliche istituzioni in uno Stato moderno. In molti interventi si è detto che la laicità consiste nel dovere di concedere a ogni confessione religiosa il diritto di celebrare le proprie liturgie nelle sedi istituzionali dello Stato. Senza pretendere di invadere il campo della filosofia politica, non credo che la laicità consista in questo. Al contrario, ritengo che il vero esercizio della laicità consista nel tenere ben distinte le celebrazioni liturgiche che sono proprie delle diverse fedi religiose dalla riflessione critica sulla funzione civile e sul valore culturale delle diverse religioni. Le prime dovrebbero essere riservate ai luoghi deputati al culto (chiese, sinagoghe, moschee, templi o altro), la seconda dovrebbe svilupparsi, nelle forme opportune, nelle sedi in cui si esercitano le funzioni civili (parlamenti, scuole, tribunali, caserme).
    L´università deve essere la sede per il confronto e la libera circolazione delle idee, è stato detto giustamente. Ma in una celebrazione liturgica non si professano idee, e tantomeno si espongono i risultati di una ricerca intellettuale aperta al vaglio del dibattito critico. Al contrario, vi si affermano verità di fede che riguardano solo i credenti e che, ovviamente, non è lecito mettere in discussione in quella sede. E se mi è concesso un riferimento al mio mestiere di storico della scienza, le verità di fede, nel cattolicesimo come in altre religioni, sono state spesso di ostacolo proprio alla libertà di pensiero e di ricerca che rappresentano il connotato più significativo della scienza moderna e la stessa ragione d´essere delle università.
    Un´ultima osservazione riguarda proprio il rapporto tra religione (ogni religione) e ricerca scientifica (in ogni campo del sapere). In ogni religione c´è necessariamente un contenuto di fede che trascende la contingenza storica. Tale contenuto è scritto nei libri sacri o deriva dalle affermazioni «ex cathedra» dei rappresentanti di Dio sulla terra. Di tale contenuto si discute nell´ambito della teologia alla luce della esegesi critica dei testi di riferimento e, talvolta, del contesto storico in cui sono stati prodotti. Ma ogni religione esprime anche una Chiesa, ovvero un insieme di istituzioni variamente articolate che si occupano di diffondere la (vera) fede, di accrescere e rafforzare la comunità dei credenti, di garantire l´osservanza dei precetti che ne caratterizzano l´identità. Ogni Chiesa-istituzione è un soggetto storicamente determinato che si muove necessariamente nello spazio politico e sociale del suo tempo. È proprio tale soggetto che può, e deve, essere oggetto di ricerca e, se necessario di critica, nei diversi ambiti disciplinari.
    Senza nulla togliere alla fede dei credenti, la storia, la sociologia, l´antropolgia, la psicologia, la scienza della politica, come anche la matematica, la fisica o la biologia possono rendere conto di scelte e comportamenti che hanno caratterizzato in diversi momenti storici l´azione di questa o quella Chiesa. E dal momento che ogni Chiesa è fatta di donne e uomini che agiscono in base a pulsioni e interessi non diversi da quelli di tutti gli altri esseri umani, nella vicenda storica di ogni Chiesa ci sono drammi e tragedie, splendori e miserie non diverse da quelle che hanno segnato ogni altra istituzione umana. Ancora una volta si rivela qui il grande valore della laicità, ovvero di un atteggiamento che non rinuncia a confrontarsi con i problemi filosofici, morali ed esistenziali che le diverse religioni, ognuna a suo modo, pongono sul significato dell´esistenza umana, ma che, allo stesso tempo, sa richiamare ogni credente al confronto sul terreno della ragione e non su quello della fede. Sul primo terreno si possono sviluppare le libertà di cui si parlava nel Secolo dei Lumi, sul secondo può crescere la mala pianta del fondamentalismo che ha prodotto i roghi dell´Inquisizione e le bombe del terrorismo islamista.
    L´autore è docente presso
    il dipartimento di Fisica
    e tecnologie relative
    dell´Università di Palermo

    [IMG]cid:000501c6051f$fa5b72a0$fea90357@casa[/IMG][IMG]cid:000501c6051f$fa5b72a0$fea90357@casa[/IMG]




  2. #2
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    Questi preti aggrappati alle istituzioni pubbliche sono sempre più lontani dal popolo dei credenti in Cristo.

    Usurpatori del suo nome, hanno fatto della fede un instrument regni.

    Gesù di Nazareth il mio regno non è di questo mondo.

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da aguas
    Questi preti aggrappati alle istituzioni pubbliche sono sempre più lontani dal popolo dei credenti in Cristo.

    Usurpatori del suo nome, hanno fatto della fede un instrument regni.

    Gesù di Nazareth il mio regno non è di questo mondo.
    oraai siamo una colonia del vaticvano.....su ogni poltrona istituzionale c'è un loro uomo................in ogni media c'è ogni giorno un esercito di baciapile che pontifica........ e non si può più fare nulla che che non sia stato autorizzato dalla gerarchia..............grazie anche a questa sinistra senza palle e venduta
    su questo forum è meglio non rispondere ai fessi!
    voi nazifascisti di oggi e i vostri servi siete solo gli ayatollah E I TALEBANI dell'occidente..

 

 

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