Originariamente Scritto da
Jenainsubrica
Paolo Di Canio
Franco Damiani
15/12/2005
LIVORNO - Il tanto discusso gesto del calciatore Paolo Di Canio, mostrato al termine della partita Livorno-Lazio di Domenica scorsaConosciamo tutti Paolo Di Canio, e sappiamo che è essenzialmente un generoso, un cavaliere all'antica.
E' ammissibile pensare che il suo «fascismo», come per molti (penso ai cosiddetti «ragazzi di Salò», persone ben in là con gli anni e che mai hanno rinnegato i loro ideali) non sia bieco razzismo genocida, ma amore di una certa visione romantica, cavalleresca e anticonformista dell'esistenza, basata sul senso dell'onore, del coraggio e della lealtà?
E perché dunque strepitare e stracciarsi le vesti ogni volta che fa il saluto romano?
Alcuni non riescono a capire come molti, soprattutto giovani, possano sentirsi fascisti e simpatizzare per quel regime, peraltro morto e sepolto da sessant'anni (mentre il comunismo è ancora vivo e vegeto e in Cina miete ancora le sue vittime).
Basterebbe leggere almeno uno dei libri di Carlo Mazzantini, o di Giano Accame, o di Filippo Giannini, o di Enzo Erra (per esempio «Le radici del fascismo»), una delle tante riviste dei reduci della RSI, uno qualsiasi dei libri delle edizioni Settimo Sigillo, o magari «Quando l'Italia era Italia - Conoscerla per rifarla» di Franco Monaco, che le stesse cose le vien scrivendo settimanalmente su «Linea», che ospita pure i pezzi ardenti di spirito giovanile dell'ottantaquattrenne Rutilio Sermonti: tutti libri e riviste che, a rigor di logica, dovrebbero essere etichettati come altrettante «apologie di fascismo».
Gli antifascisti parlano di «leggi razziali» e di «alleanza coi nazisti sterminatori», dimenticando che le prime leggi razziali (divieto di matrimoni misti) le fecero i «democraticissimi» Stati Uniti, nostri padroni da sessant'anni e responsabili, oltre che del genocidio dei pellerossa, di stragi ignorate, come quella dei bambini di Gorla, o note, come quelle del bombardamento di Dresda, di Hiroshima e Nagasaki, di milione di civili tedeschi lasciati morire, secondo lo storico James Bacque, di stenti a guerra finita nei campi (vogliamo chiamarli di sterminio?) in Germania.
E che dire dei duecentodieci milioni di morti fatti dal comunismo in tutto il mondo? (vedi Conquest, «Il costo umano del comunismo», Il Borghese, 1973).
Ma naturalmente il pugno chiuso non evoca quei morti, bensì «le lotte operaie d'inizio Novecento».
E perchè allora, il saluto romano dovrebbe evocare solo stragi e non anche, poniamo, l'Accademia d'Italia, le bonifiche, l'Opera Maternità e Infanzia, l'IRI, le imprese sportive, le opere di civiltà in Africa, il prestigio internazionale dell'Italia negli anni Trenta?
Infine mi si lasci aggiungere ancora qualcosa su quegli «stermini»: noi, con le nostre leggi democratiche, ci siamo macchiati, e continuiamo a macchiarci ogni giorno, impenitenti, di un miliardo, sì, di un miliardo di morti innocenti con il crimine dell'aborto (un miliardo nel mondo; in Italia sei milioni di morti dall'entrata in vigore della legge 194).
Nell'Italia fascista non c'era aborto, non c'era divorzio, non c'era omosessualità, non c'era droga, c'era austerità
di costumi, la famiglia era unita, e nessuno rubava.
Com'è possibile che dopo sessant'anni di ruberie, scandali, immoralità, permissivismo, degrado morale e mediocrità
ci sia ancora qualcuno che si scandalizza per un saluto romano?
Franco Damiani
Io sodomizzerei chi esulta con la maglietta del CHE ma leggendo qui mi vien da esclamare...
Eia eia alalà!
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