.....politologia insensata

L’agenzia di rating Standard & Poor’s ha dato sull’Italia un giudizio molto simile a quello del settimanale inglese Economist.
Standard & Poor’s sostiene che il governo Berlusconi non ha fatto le riforme necessarie al paese, tranne alcune minori, e che il centrosinistra, probabile vincitore delle prossime elezioni, dovendo governare con Rifondazione comunista non potrà fare meglio.
Per l’agenzia la situazione italiana è ulteriormente complicata dalla riforma elettorale che reintroduce il voto proporzionale e dalla riforma costituzionale, due provvedimenti che accresceranno la frammentazione.
Detto questo, però, Standard & Poor’s non declassa il rating del debito pubblico italiano. Annuncia che lo potrebbe fare il prossimo anno, dopo le elezioni politiche. Una botta all’attuale maggioranza e una ancora più forte per l’attuale opposizione, a cui viene assegnato in anticipo un abbassamento del rating. Giochi di magia.
Standard & Poor’s ha deragliato dai binari. Standard & Poor’s non è l’Economist, che fa un lavoro giornalistico, con la sua ottica politica “partigiana” di organo di stampa indipendente (che non vuol dire neutrale).
Standard & Poor’s, come agenzia di rating, ha un compito diverso, dovrebbe essere il più possibile oggettiva, neutrale, apolitica. Dovrebbe occuparsi dell’oggetto che valuta, il debito pubblico italiano, sulla base di indicatori tecnici, non dell’Italia nel suo complesso.
Non ha titolo per giudicare politologicamente che cosa farà Bertinotti, quanti deputati avrà, come si comporterà. Per valutare il debito pubblico italiano occorre tenere presente che l’Italia fa parte dell’area dell’euro ed è sottoposta alle procedure di infrazione della Commissione europea.
E il debito pubblico italiano fa parte dell’offerta di moneta fiduciaria e della struttura finanziaria dell’area euro, quindi va valutato in relazione alle politiche monetarie della Bce.
Standard & Poor’s appartiene a un’impresa che fa parte dell’area del dollaro.
E, tendenzialmente, dovrebbe cercare di non dare l’impressione di avere un certo pregiudizio nei riguardi dei titoli denominati in euro. Il tasso di risparmio degli italiani è molto elevato, le banche internazionali sono interessate al mercato italiano data la solidità patrimoniale delle famiglie, che secondo gli ultimi dati del Censis è pure aumentata. Anche le famiglie tedesche hanno una elevata propensione al risparmio, a differenza di quelle americane e inglesi. Tutto ciò è fondamentale per la valutazione del debito.
La riforma delle pensioni, ad esempio, andrebbe valutata per gli effetti sul volume di risparmi. Infatti la previsione di basse pensioni contributive sta aumentando la propensione al risparmio delle famiglie, anche se in forme disordinate. L’Italia, per merito della riforma Dini (a cui Berlusconi ha apportato dei miglioramenti per il periodo transitorio) è l’unico paese in cui il sistema contributivo nel lungo periodo sarà in equilibrio, data la regola di pensioni corrispondenti ai contributi pagati. Comunque, la possibilità che lo Stato italiano non onori il suo debito appare remota. Semmai Standard & Poor’s avrebbe dovuto occuparsi della solvibilità dei debiti degli enti locali, cresciuti in misura anomala: ammesso che lo Stato italiano non continui a ripianare le perdite di Asl ed enti locali in dissesto. Vizio nato quando lo Stato era centralizzato.

Più tagli e più privatizzazioni
Ora, Standard & Poor’s, profetizzando il vincitore delle prossime elezioni, ne giudica in anticipo l’attività di governo. Sono giudizi che non si confanno a una agenzia di rating. E d’altra parte le espressioni “non è stato capace di fare le riforme” e “non saranno capaci di fare le riforme” andrebbero qualificate, dal punto di vista della particolare ottica di Standard & Poor’s, affinché non si pensi che il solo compito di un governo, nel riformismo, sia sempre quello di ridurre il deficit di bilancio anche a costo di incrementi drammatici della disoccupazione e di oppressioni fiscali.
Per noi Berlusconi avrebbe dovuto ridurre le imposte e tagliare le spese correnti, fermo restando l’attuale deficit di bilancio; e contrastando la crescita del debito con drastiche e coraggiose privatizzazioni. E pensiamo che così avrebbe generato in Italia più crescita e più benessere.
Ma questo è un dissenso politico.
Standard & Poor’s maneggia invece la scienza delle finanze, e si avventura nella politologia predittiva.
Insomma, dà i numeri.

Ferrara su il Foglio

saluti