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    Predefinito 22 dicembre - S. Francesca Saverio Cabrini, fondatrice

    Dal sito SANTI E BEATI (con aggiunte mie):

    Santa Francesca Saverio Cabrini, Vergine

    22 dicembre - Comune

    S. Angelo Lodigiano, 15 luglio 1850 – Chicago, 22 dicembre 1917

    Una fragile quanto straordinaria maestrina di Sant'Angelo Lodigiano. In questo ritratto si colloca la figura di Francesca Saverio Cabrini, nata nella cittadina lombarda nel 1850 e morta negli Usa, in terra di missione, a Chicago. Divenne maestra e quindi entrò nell'Ordine delle «Sorelle della Provvidenza», poi diede vita alla missione del «Sacro Cuore di Gesù» che si occupò delle orfanelle e delle opere parrocchiali. Portò il suo carisma missionario negli Stati Uniti, tra gli italiani che vi avevano cercato fortuna. Per questo divenne la patrona dei migranti. Nel giorno della morte il suo corpo venne traslato a New York alla «Mother Cabrini High School», vicino ai suoi figli. (Avvenire)

    Patronato: Emigranti

    Etimologia: Francesca = libera, dall'antico tedesco

    Emblema: Giglio

    Martirologio Romano: A Chicago in Illinois negli Stati Uniti d’America, santa Francesca Saverio Cabrini, vergine, che fondò l’Istituto delle Missionarie del Sacratissimo Cuore di Gesù e si adoperò in tutti i modi nell’assistere gli emigrati con insigne carità.

    Martirologio tradizionale (22 dicembre): A Chicago, santa Francesca Saverio Cabrini, Vergine Fondatrice dell'Istituto delle Missionarie del sacratissimo Cuore di Gesù, insigne per l'esimia carità, l'invitta fortezza d'animo e l'umiltà, dal Papa Pio dodicesimo ascritta nel catalogo delle Sante e costituita celeste Patrona di tutti gli emigranti.

    Tra il 1901 e il 1913 emigrarono nella sola America 4.711.000 italiani, di cui 3.374.000 provenivano dal meridione; un vero morbo sociale, un salasso, come lo hanno definito politici e sociologi (anche se non è mancato chi, come Nitti, ha avuto il coraggio di dire che l'emigrazione era un affare per lo Stato, cui recava valuta estera senza rischi di capitali). Ma accanto ai drammi che l'emigrazione suscitò, bisogna ricordare ancor oggi una fragile maestrina di S. Angelo Lodigiano, Francesca Cabrini, nata nel 1850, ultima di una nidiata di tredici bambini, che al fenomeno della emigrazione non guardò con gli occhi del politico né del sociologo, ma con quelli umanissimi di donna, cristiana, meritando il titolo di madre degli emigranti.
    Orfana di padre e di madre, Francesca avrebbe voluto chiudersi in convento, ma non fu accettata a causa della sua malferma salute. Accettò allora l'incarico di accudire a un orfanotrofio, affidatole dal parroco di Codogno. La giovane, da poco diplomata maestra, fece molto di più: invogliò alcune compagne a unirsi a lei, costituendo il primo nucleo delle Suore missionarie del Sacro Cuore, poste sotto la protezione di un intrepido missionario, S. Francesco Saverio, di cui ella stessa, pronunciando i voti religiosi, assunse il nome. Come il santo gesuita, avrebbe voluto salpare per la Cina, ma quando venne a conoscenza della colpevole incuria e del dramma della disperazione di migliaia e migliaia di emigranti italiani, scaricati dalle stive delle navi nel porto di New York privi della minima assistenza materiale e spirituale, Francesca Saverio Cabrini non ebbe esitazioni.
    Anche lei nella prima delle sue ventiquattro traversate oceaniche condivise i disagi e le incertezze dei nostri compatrioti; ma è straordinario il coraggio con cui affrontò la metropoli statunitense e seppe districarvici per stabilirvi il punto d'incontro e di soccorso degli emigranti. Per prima cosa badò agli orfani e agli ammalati, costruendo case, scuole e un grande ospedale a New York, poi a Chicago, quindi in California, allargando poi la sua opera in tutta l'America, fino all'Argentina.
    A chi si mostrava con lei ammirato per il successo di tante opere, madre Cabrini rispondeva con sincera umiltà: "Tutte queste cose non le ha fatte forse il Signore? ". Tradotte in cifre queste opere costituivano ben trenta fondazioni in otto diverse nazioni. La morte la colse sulla breccia, dopo un ennesimo viaggio, per le complicanze di una malaria, a Chicago, al Columbus Hospital, nel 1917. Il suo corpo venne portato trionfalmente a New York, nella chiesa annessa alla "Mother Cabrini High School", perché fosse vicino agli emigrati ed è tutt'oggi incorrotto.
    Il 13 novembre 1938 fu proclamata beata, il 7 luglio 1946 santa da Pio XII (la prima della Chiesa cattolica americana), nel 1950 Patrona Celeste presso Dio di tutti gli emigranti. La festa liturgica ricorre il 22 dicembre, giorno della sua morte.

    Autore: Piero Bargellini


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    22 DICEMBRE: SANTA FRANCESCA S. CABRINI

    CI SENTIAMO MALE? SORRIDIAMO LO STESSO


    Siamo arrivati al secondo anno di questa rubrica “Un mese, un santo”. Sono stati presentati undici brevi profili di altrettanti santi e sante. Tra queste nostre sorelle sante ho presentato Caterina da Bologna, Maria Mazzarello, Brigida di Svezia, Geltrude la Grande e in questo mese Francesca Cabrini. Tra i santi furono presentati Francesco di Sales, Gabriele dell’Addolorata, Francesco di Paola, Tommaso Moro, Gregorio Magno e, nel mese di ottobre, Giovanni da Capestrano. Quindi sono sei santi e cinque sante. Ho cercato di salvare... la “par condicio” e ci sono riuscito anche se le sante apparentemente perdono... Ma è solo una cosa tecnica, visto che i santi da presentare sono undici. Per l’anno venturo mi propongo di far “pareggiare” le sante. Lo meritano certamente perché sono sicuro che le sante, sul calendario o fuori, non sono in numero minore rispetto ai santi.
    Chiudo questa carrellata di nostri fratelli e sorelle “eroi della fede, della speranza e della carità” (questo vuol dire essere santi) presentando una santa “moderna”, santa Francesca Cabrini. Parlando dei santi torinesi come Don Bosco, il Cottolengo, il Murialdo, il Cafasso, il Beato Michele Rua ed altri si usa la denominazione di “santi sociali”. Questo significa che hanno vissuto il Vangelo lavorando, per amore di Dio, nella società. Non sono vissuti, come altri, in monastero. Francesca Cabrini è una “santa sociale”. Ha lavorato con molto coraggio e determinazione, guidata sempre dall’amore di Dio, per affrontare il problema dell’assistenza, non solo religiosa, ai numerosi emigrati italiani negli Stati Uniti. Gli ultimi decenni del secolo scorso e del ’900 sono stati anni di un vero esodo di italiani in cerca di lavoro verso le Americhe. Anche Mons. Scalabrini, contemporaneo della Cabrini (si conobbero anche) si diede molto da fare per i nostri emigranti. E prima ancora di loro lo stesso Don Bosco raccomandava ai suoi primi Salesiani in partenza per l’Argentina di aver cura prima di tutto degli emigrati del nostro Paese in quella terra.
    Nel mese di novembre ho presentato una santa del Medio Evo, Geltrude la Grande. Proclamata santa dalla Chiesa, proposta alla venerazione e imitazione dei fedeli come santa Francesca Cabrini. Due donne, vissute in secoli diversi, accomunate dal desiderio di amare lo stesso Dio e innamorate tutte e due dello stesso Gesù Cristo. Ambedue sante ma profondamente diverse. Geltrude visse quarant’anni, cioè quasi tutta la vita in monastero, senza viaggiare e senza occuparsi di “questioni sociali”. Francesca invece fu una grande viaggiatrice. Attraversò 24 volte l’Oceano Atlantico e fece altri innumerevoli viaggi, spesso rischiando la vita. Stili di vita e attività diverse ma ambedue le sante (tutte in verità) hanno vissuto eroicamente le virtù della fede, della speranza e della carità

    “La vostra Cina saranno gli Stati Uniti”

    Francesca nacque nel 1850 a Sant’Angelo Lodigiano, in una numerosa famiglia di contadini benestanti e cristianamente praticanti. Nella sua famiglia imparò non solo il fervore religioso e un certo spirito di iniziativa, ma anche un sincero amore alla patria italiana, non frequente in quei tempi. Questo giusto sentimento patriottico che cercò di risvegliare o di tenere desto nei numerosi emigranti italiani negli Stati Uniti.
    Conseguito il diploma magistrale e l’abilitazione, anche per accudire insieme alla sorella Rosa l’altra sorella handicappata Maddalena, accettò subito il lavoro di supplente nella scuola vicina di Vidardo. Qui insegnò due anni. Un episodio ci rivela il carattere e la determinazione di Francesca. Riuscì infatti a vincere la battaglia contro il sindaco anticlericale del paese: ottenne il permesso all’insegnamento della dottrina cristiana in classe nonostante la proibizione governativa. Lei però desiderava ardentemente diventare missionaria. Sogno che non poté realizzare subito. Fece anche i voti religiosi entrando nella Casa della Provvidenza di Codogno. Furono anni difficili, (“ho pianto molto” dirà lei stessa) che lei affrontò con coraggio e praticando la virtù dell’obbedienza. Ma la Provvidenza le venne incontro nella persona del Vescovo di Lodi che le propose di fondare un istituto religioso per l’assistenza degli emigrati italiani in America. L’America non era la Cina che lei sognava, ma l’ideale missionario si poteva concretizzare ugualmente. Fondò presto Le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, con case in Lombardia, ed una anche a Roma. Il secondo intervento provvidenziale arrivò con Mons. Giovanni B. Scalabrini. Questi cercava un ramo femminile al suo Istituto, e stimava molto la Cabrini. Lei però temendo di perdere l’autonomia dell’istituto, resistette alla proposta. Ma accettò subito la direzione di una scuola e di un asilo a New York. Questo significava l’addio per sempre alla Cina. D’altra parte, ed ecco il terzo intervento provvidenziale, era stato nientemeno che il Papa Leone XIII a dirle paternamente: “Non a Oriente, Cabrini, ma all’Occidente. L’Istituto è ancora giovane. Ha bisogno di mezzi. Andate negli Stati Uniti, ne troverete. E con essi un grande campo di lavoro. La vostra Cina sono gli Stati Uniti, vi sono tanti italiani emigrati che hanno bisogno di assistenza”.
    Francesca partì nel 1889. Destinazione l’America, città New York. Era sicura della volontà di Dio, e del campo di lavoro missionario. Ma le difficoltà non si fecero attendere. Uno dei primi che si mise a ‘remare contro’ di lei e il suo progetto fu addirittura l’arcivescovo Corrigan. Fece la parte dell’avvocato del diavolo scoraggiando quel manipolo di suore temerarie e... italiane che sembravano avere tanta fede ma, ahimè, poco “money”. Anche per le opere del Signore, pensava lui, ci vuole molto “denaro”. Che, poverette, non avevano. Non era più saggio tornare in Italia? La Cabrini gli oppose un argomento spirituale... la benedizione del Papa, e uno materiale: l’amicizia di una ricca cattolica americana, moglie di un emigrato italiano illustre, Luigi Palma de Cesnola, direttore del Metropolitan Museum. Non si sa se il prelato fu convinto da questi due “argomenti”, ma è sicuro che la Cabrini continuò per la sua strada e il suo progetto. “Le suore aprirono una prima scuola femminile in un modesto appartamento offerto dalla contessa de Cesnola, ma si impegnarono anche in un lavoro di assistenza e di insegnamento nei quartieri più degradati della città, compiendo ogni giorno chilometri di strada ed entrando senza paura in ambienti spaventosi per miseria e violenza. Madre Cabrini dimostrò subito di saper affiancare alla sua attività di educatrice religiosa una spiccata sensibilità per i problemi degli emigranti italiani: “Gli italiani qui sono trattati come schiavi... bisognerebbe non sentire amor di patria per non sentirsi ferita” (L. Scaraffia).
    Ella lavorò tutta la vita, con innumerevoli viaggi, per aiutare ad inserire gli emigrati nella realtà sociale americana, facendone dei buoni cittadini, ma nello stesso tempo rafforzando in loro anche l’identità italiana e cattolica. In questa promozione sociale Francesca usò una tecnica il cui principio era: convincere gli italiani ricchi ad aiutare gli altri italiani meno favoriti. Ed alcuni dei suoi benefattori, convinti e incalliti anticlericali, la aiutavano trascinati dal suo carisma più che dalle motivazioni teologiche. “Si è detto che se Cristoforo Colombo ha scoperto l’America, la Cabrini ha scoperto tutti gli italiani in America. Ma pur sentendosi autentica patriota e quantunque circostanze particolari la inducessero a rendersi cittadina americana nel 1909, il suo ideale missionario rimase sempre quello genuino, senza confini di razze e di geografia” (G. Pelliccia).

    Spiritualità e messaggio di Francesca Cabrini

    Continuò con coraggio nel suo lavoro di fondazioni di nuovi istituti e di rafforzamento di quelli esistenti e soprattutto nel seguire l’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, da lei fondato. E questo fino alla fine della sua vita, che si spense a Chicago, durante uno di questi viaggi, nel 1917. Lasciando dietro di sé in eredità alla chiesa tutta e al mondo un fiorente istituto religioso e la sua personale santità e testimonianza di carità apostolica a beneficio particolarmente degli emigrati italiani (ma non solo).
    Fu dichiarata santa da Pio XII il 7 luglio 1946 e nel 1950 proclamata “Celeste Patrona di tutti gli Emigranti”. Due anni dopo, in considerazione del suo lavoro per gli Italo-americani, il Comitato Americano per l’Emigrazione Italiana le decretava un importante riconoscimento dichiarandola “La Immigrata Italiana del Secolo”. Per gli emigrati italo-americani è semplicemente “la loro santa”: la sua opera geniale, coraggiosa la fece stimare anche in ambienti non benevoli verso il cattolicesimo, e aiutò enormemente a far cambiare idea sui nostri connazionali emigrati.
    Francesca Cabrini non la ricordiamo per le sue opere teologiche o per grandi rivelazioni e miracoli. Niente di tutto questo. Noi la ricordiamo per la sua santità semplice, umile, fatta non di tante ore di preghiera, ma per tutte le ore delle giornate, di tutta la sua vita, passate a “lavorare, sudare, faticare per Dio, per la sua gloria, per farlo conoscere ed amare”. Una santità fatta non di rapimenti o di rivelazioni mistiche, ma di grande impegno sociale per Dio. Non fu rapita in estasi nella contemplazione di Dio, ma consumò la vita “lavorando” per lo stesso Dio. Con gioia. Un giorno, infatti, fermò una suora che era sul punto di imbarcarsi per andare nelle missioni, solo perché salutando parenti e amici, aveva affermato che faceva volentieri “il sacrificio”. Sembrava che per lei si trattasse di una rinuncia da fare, che le mancasse la gioia di partire e “lavorare per Dio”. Madre Cabrini la fermò dicendole: “Iddio non vuole importi sacrifici così gravi”.
    Il Papa Pio XI esaltava il suo nome come un “poema di attività, un poema di intelligenza, un poema soprattutto di carità”. E prima ancora era stato lo stesso Leone XIII che già nel 1898, affermava di lei: “È una santa vera, ma così vicina a noi che diventa la testimone della santità possibile a tutti”. Una santità “accostevole” imitabile da tutti, perché consiste nel fare bene e per amore di Dio quelli che sono i nostri doveri. Questo richiama la famosa frase e programma di santità consigliato da Don Bosco a Domenico Savio, smanioso di farsi santo a forza di penitenze: bastava l’esatto adempimento dei propri doveri quotidiani.
    La santità e “la spiritualità intensa di madre Cabrini si realizzò soprattutto nelle opere, nella sua continua attività finalizzata ad opporre del bene al male. La preghiera stava nei fatti, non nelle parole. La sua vita è segnata da una perpetua attività” (L. Scaraffia). Fatta tutta per Dio e per correre dietro al Cristo. Diceva: “Con la tua grazia, amatissimo Gesù, io correrò dietro a Te sino alla fine della corsa, e ciò per sempre, per sempre. Aiutami o Gesù, perché voglio fare ciò ardentemente, velocemente”.
    Lavorare per Dio nella gioia (anche quando si pensa di avere diritto a tutt’altro). Non amava lamentarsi nelle difficoltà e raccomandava alle sue figlie non solo tanto lavoro ma anche il coraggio, fondato sulla fede, che si esprime nel sorriso: “Ci sentiamo male? Sorridiamo lo stesso”.

    MARIO SCUDU SDB

    Pensieri di Santa Francesca Cabrini

    “Con la tua grazia, amatissimo Gesù, io correrò dietro di te sino alla fine della corsa, e ciò per sempre, per sempre. Aiutami, o Gesù, perché voglio ciò fare ardentemente, velocemente”.
    “Non so dirti come, ma so che soffrendo mi avvicino sempre più al mio Diletto, so che sopporto qualche cosa per Colui, che ha fatto tanto per me, e questo basta a farmi contenta”.
    “Tu lo sai o Gesù mio che il mio cuore è sempre stato per Te”.
    “Seguite... tutte le regole della buona educazione, la quale è mezza santità”.
    “La perfezione è tal lavoro che non finisce mai... troveremo sempre qualcosa da correggere, da migliorare”.
    “Non voglio che le mie figliole facciano quel che non fa la loro madre” (così nel 1892 a New Orleans rispose ad una consorella che la dissuadeva ad andare a fare la questua per farle evitare umiliazioni e situazioni di disagio).
    “Voi avete lo Spirito di Dio; portatelo in tutto il mondo” (così le disse Leone XIII).

    Fonte: Rivista Maria Ausiliatrice, 2000, fasc. n. 11

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    Missionary Sisters of the Sacred Heart of Jesus

    A religious congregation having its general mother house at Rome, founded in 1880 by Mother Francis Xavier Cabrini, who is still living. The aim of the institute is to spread devotion to the Heart of Jesus by means of the practice of spiritual and corporal works of mercy. The sisters conduct homes for the aged and the sick, orphanages, industrial schools, sewing classes; they visit hospitals and prisons, and give religious instruction in their convents, which are open to women desirous of making retreats. The congregation has spread rapidly in Europe and America. In 1899, at the suggestion of Leo XIII, the sisters came to New York, and have since opened convents in the Dioceses of Brooklyn, Chicago, Denver, Los Angeles, Newark, Scranton, and Seattle. At the beginning of 1911 the institute had in the United States: 253 sisters; 11 schools with 4850 pupils; 6 orphanages with 713 orphans; 2 hospitals with about 3520 patients annually; and 1 dispensary where 21,630 persons were treated during the preceding years.

    This congregation is to be distinguished from the Missionary Sisters of the Sacred Heart of Jesus, founded by Father Hubert Linckens, provincial of the Missionaries of the Sacred Heart, Hiltrup, near Munster, on 3 August, 1899, and approved episcopally in 1900. The latter sisters are engaged teaching in New Guiana, New Pomerania, and the Marshall Islands, in the districts confided to the care of the Missionaries of the Sacred Heart.

    Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XIII, New York, 1912

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    GIOVANNI PAOLO II

    MESSAGGIO ALLA CONGREGAZIONE
    DELLE MISSIONARIE DEL SACRO CUORE
    IN OCCASIONE DEL 150° ANNIVERSARIO
    DELLA NASCITA DI S. FRANCESCO SAVERIO CABRINI


    Alla Reverenda Madre
    LINA COLOMBINI
    Superiora Generale
    delle Missionarie del Sacro Cuore

    1. Con gioia mi unisco al rendimento di grazie che codesta Congregazione delle Missionarie del Sacro Cuore eleva al Signore in occasione del 150° anniversario della nascita della Fondatrice, Madre Francesca Saverio Cabrini, e dei 50 anni dalla sua proclamazione a Patrona degli emigranti. Si tratta di felici ricorrenze che vengono ad impreziosire il cammino giubilare del vostro Istituto e costituiscono una speciale opportunità per riscoprire, con zelo ed amore creativo, il vostro carisma dinanzi a sfide sempre nuove, che provengono dal mondo della mobilità umana.

    In questa circostanza, desidero anzitutto farmi voce della gratitudine dei poveri e dei bisognosi, che in voi, care Missionarie del Sacro Cuore, sperimentano la tenerezza di Dio. Insieme con loro, vorrei esprimervi apprezzamento e riconoscenza per il grande bene che instancabilmente compite, seguendo i passi della Santa Fondatrice.

    2. Nata e battezzata il 15 luglio 1850 a Sant'Angelo Lodigiano, in una famiglia ricca di fede e di pietà, Francesca Cabrini iniziò ben presto il cammino di discepola del Signore, che l'avrebbe portata, attraverso misteriosi ed imprevedibili sentieri, a raggiungere le vette della santità.

    Svolta decisiva nella sua vita fu l'ingresso nella "Casa della Provvidenza" di Codogno, dove le tribolazioni e le difficoltà consolidarono nel suo cuore l'ardore missionario ed il proposito di consacrarsi totalmente al Signore. Lì ricevette l'abito religioso e più tardi, pur conservando il nome Francesca, volle aggiungere quello di Saverio, in memoria del grande missionario gesuita patrono delle missioni. Grazie all'incoraggiamento ed al sostegno del Vescovo di Lodi, Mons. Domenico Maria Gelmini, Suor Francesca Saverio si staccò con sette Consorelle dalla "Casa della Provvidenza" per fondare, in un antico convento francescano della Città, il vostro Istituto, allora chiamato delle "Salesiane Missionarie del Sacro Cuore", che ebbe l'approvazione diocesana nel 1881.

    Alle religiose la Madre Cabrini chiedeva l'obbedienza evangelica, la mortificazione, la rinuncia, la vigilanza del cuore, il silenzio interiore, quali virtù necessarie per conformare la propria esistenza a Cristo e per coltivare e vivere l'anelito missionario. Sopravvenne una fioritura di vocazioni sorprendente e una rapida espansione dell'Istituto in Lombardia ed anche oltre i confini della regione, con l'apertura delle prime case a Roma e l'approvazione pontificia delle "Missionarie del Sacro Cuore di Gesù", il 12 marzo 1888, ad appena otto anni dalla fondazione.

    Sono note le parole "Non all'Oriente, ma all'Occidente" rivolte dal Papa Leone XIII alla Fondatrice, desiderosa di partire per la Cina; parole che diedero nuovo impulso e nuova direzione al suo zelo missionario. L'invito del Vicario di Cristo l'orientava verso le masse degli emigranti, che alla fine dell'Ottocento varcavano numerosi l'Oceano verso gli Stati Uniti d'America, spesso in condizioni di estrema indigenza.

    3. Da quel momento l'infaticabile attività apostolica della Madre Cabrini fu sempre più animata dal desiderio di recare la salvezza a tutti e in fretta. "Il Cuore di Gesù - soleva ripetere - fa così in fretta a fare le cose che io non riesco a starci addietro". Con un gruppo di Suore partì per New York, nel primo dei tanti viaggi che l'avrebbero in seguito vista raggiungere, messaggera di speranza, sempre nuove mete nel suo infaticabile apostolato: il Nicaragua, il Brasile, l'Argentina, oltre che la Francia, la Spagna e l'Inghilterra.

    Armata di singolare audacia, dal nulla iniziò scuole, ospedali, orfanotrofi per masse di diseredati avventuratisi nel nuovo mondo in cerca di lavoro, privi della conoscenza della lingua e di mezzi capaci di permettere loro un decoroso inserimento nella società americana e spesso vittime di persone senza scrupoli. Il suo cuore materno, che non si dava pace, li raggiungeva dappertutto: nei tuguri, nelle carceri, nelle miniere. Per nulla intimorita dalla fatica e dalle distanze, Madre Cabrini si portava da New York al New Jersey, dalla Pennsylvania all'Illinois, dalla California, alla Louisiana e al Colorado. Anche oggi negli Stati Uniti, ove continua ad essere chiamata familiarmente col nome di "Madre Cabrini", è sorprendentemente viva la devozione verso colei che, pur amando la sua patria d'origine, volle prendere la cittadinanza americana.

    Fu beatificata dal Papa Pio XI, nel 1938, ad appena 21 anni dalla morte sopravvenuta a Chicago il 22 dicembre 1917, e fu canonizzata nel 1946 dal Papa Pio XII. Questi, durante l'Anno Santo del 1950, volle proclamare Patrona degli Emigranti questa piccola donna che, difendendo la dignità di quanti erano costretti a vivere lontani dalla Patria, si era fatta indomita costruttrice di pace.

    4. Reverenda Madre, queste ricorrenze giubilari, che la vostra Famiglia celebra nel corso dell'Anno Santo 2000, vi spingono a guardare con rinnovata intensità alle motivazioni profonde che hanno reso santa Francesca Saverio Cabrini intrepida missionaria di Cristo ed hanno sostenuto la sua infaticabile e profetica opera in favore dei più poveri.

    La sua straordinaria attività - voi lo sapete - attingeva forza dalla preghiera e, soprattutto, dalle lunghe soste ai piedi del Tabernacolo. Cristo era per lei tutto. Sua costante preoccupazione era di leggerne la volontà nelle disposizioni del Magistero della Chiesa e negli stessi eventi della vita.

    Anche per voi, care Sorelle, la ricerca del volere dello Sposo divino sia il fulcro della vostra esistenza. Alla scuola del Cuore di Gesù vi sarà possibile imparare ad ascoltare il grido dei poveri per dare risposte adeguate ai loro problemi materiali e spirituali. E' questa la consegna che la Madre vi affida all'inizio di un nuovo millennio ricco di attese e di speranze, ma segnato anche da ferite che insanguinano il corpo vivo dell'umanità, soprattutto nei Paesi più poveri del mondo.

    I recenti Capitoli Generali vi hanno richiamato alla spiritualità dell'Incarnazione, come espressione dell'amore di Gesù per l'umanità. Inoltre, in questi anni avete operato scelte a favore dei poveri e degli indifesi, che vi hanno condotto a condividerne le difficili condizioni nelle favelas e nelle zone rurali del Nord Est del Brasile. Vi siete altresì prese cura dei bambini della strada ed avete lavorato per promuovere la dignità della donna.

    Gli odierni complessi flussi migratori, che in parte hanno mutato le direzioni di un tempo, vi hanno spinto ad incarnare con creatività e generosità lo spirito della Madre Cabrini nelle inedite e moderne situazioni dei migranti. Avete così accolto nelle vostre case le famiglie degli emigranti, ed inserito nelle scuole i loro bambini. Vi siete rese attivamente presenti in numerosi centri di accoglienza, dove spesso in storie e volti di oggi sembrano ritornare i problemi e le necessità dei tempi della Santa Fondatrice: l'ottenimento del permesso di residenza, l'insegnamento della lingua, l'inserimento nella società, l'aiuto ai clandestini nei centri di detenzione.

    5. Questo fervore apostolico, aperto ad una cooperazione sempre più vasta con i laici, chiede a ciascuna di voi, missionarie del Sacro Cuore, una salda consapevolezza della specifica vocazione dell'Istituto ed un costante sforzo per la tutela e la promozione d'ogni essere umano. Sforzatevi di servire il Signore in comunità fraterne ed accoglienti, per poter testimoniare agli altri i valori evangelici che devono contraddistinguervi. Sarete allora sagge educatrici dei laici che intendono condividere il vostro carisma e con loro stringerete una collaborazione ispirata al Vangelo ed agli ideali di sacrificio, di attenzione fraterna e di dialogo che dal messaggio evangelico promanano.

    Prego il Signore perché, grazie al vostro esempio, molte giovani restino affascinate dall'ideale missionario della Madre Cabrini, quanto mai attuale pure in questo nostro tempo. La celebrazione dell'Anno Santo 2000 e le provvidenziali ricorrenze che voi commemorate siano occasioni propizie per accrescere in ogni membro dell'Istituto la fedeltà e l'amore verso il Sacro Cuore di Gesù. Possa ciascuna di voi ripetere spesso, durante la propria esistenza, queste parole dell'Apostolo, tanto care alla Santa Fondatrice: "Omnia possum in eo qui me confortat - tutto posso in Colui che mi dà la forza" (Fil 4,13).

    La Vergine Santa, di cui Madre Cabrini fu molto devota, vi protegga e interceda per tutte voi. Dal cielo vegli su voi santa Francesca Saverio ed i Santi e Sante vostri Patroni. Vi accompagno anch'io con il mio affetto ed imparto di cuore a Lei, Reverenda Madre Generale, alle consorelle, ai collaboratori laici, alle loro famiglie ed a quanti sono oggetto delle vostre amorevoli cure, una speciale Benedizione Apostolica.

    Dal Vaticano, 31 Maggio 2000

    IOANNES PAULUS II

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    GIOVANNI PAOLO II

    ANGELUS


    Domenica, 19 febbraio 1995

    Carissimi Fratelli e Sorelle!

    1. Nel Messaggio per la Giornata della Pace ho esortato le donne ad essere "testimoni, messaggere, maestre di pace nei rapporti tra le persone e le generazioni, nella famiglia, nella vita culturale, sociale e politica delle nazioni" (n. 2). Molte sono le figure femminili che hanno svolto e continuano a svolgere tale compito in modo esemplare. Tra queste desidero additare Santa Francesca Saverio Cabrini, Patrona degli emigranti, un campo di apostolato che conserva ancor oggi una grande attualità.

    Si rimane davvero stupiti di fronte a ciò che Madre Cabrini fu capace di realizzare. Nata in Lombardia a metà del secolo scorso, ella si dedicò agli emigrati che, negli Stati Uniti e in altri Paesi dell'America, incontravano svariate difficoltà di inserimento. Per essi organizzò scuole, asili, collegi, ospedali, orfanotrofi: tutto con pochissimi mezzi, fidando unicamente sulla divina Provvidenza. L'amore al Cuore di Cristo la spingeva e la sosteneva. "Il Sacro Cuore - un giorno confidò - ha tanta fretta nel fare le cose che non riesco a seguirlo". Ed era Cristo che riconosceva e serviva nel volto degli emigranti, per i quali volle essere "madre" affettuosa ed instancabile.

    2. La sua opera, autentico miracolo di carità, costituisce un singolare contributo alla causa della pace, una vera pedagogia di pace. Con fine intuito. Madre Cabrini si rese conto che non bastava offrire agli emigranti un sostegno materiale. Bisognava aiutarli ad integrarsi pienamente nella nuova realtà sociale, senza smarrire i valori autentici della propria cultura di provenienza. Ella stessa, pur non rinnegando l'amore per l'Italia, prese la cittadinanza statunitense, inserendosi profondamente nel popolo in cui Dio l'aveva chiamata a svolgere la sua missione.

    Non è difficile cogliere l'attualità di tale testimonianza. A causa dei crescenti flussi migratori, che portano milioni di persone da una nazione all'altra, da un continente all'altro, specialmente dai Paesi in via di sviluppo verso le società del benessere, già oggi si pone - e forse più si porrà in futuro - il bisogno di reciproca comprensione, di accoglienza e di integrazione. E' chiaro perciò che la costruzione di questo futuro richiede uomini e donne di pace. In particolare, richiede cuori materni come quello di Madre Cabrini, ricchi delle potenzialità dell'animo femminile affinato dall'amore evangelico.

    3. Affidiamo alla Vergine Santa il cammino dell'integrazione tra i popoli, nella società multi-culturale e multi-razziale del nostro tempo. Educhi Maria tutti noi all'accoglienza ed alla solidarietà. Quanti arrivano da Paesi lontani possano sentirsi capiti dalle popolazioni che li ospitano; siano sempre rispettati e amati come fratelli e sorelle. Doni la Madre del Signore alle donne una viva coscienza del loro imprescindibile ruolo nella costruzione di una società ricca di calore umano e di generosa fraternità.

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    GIOVANNI PAOLO II

    MESSAGGIO ALLE MISSIONARIE DEL SACRO CUORE DI GESÙ


    Alla Reverenda Madre
    Suor LINA COLOMBINI
    Superiora Generale
    delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù

    1. In occasione del prossimo Capitolo Generale di codesto Istituto, sono lieto di far giungere a Lei ed alle Consorelle capitolari il mio beneaugurante saluto, insieme con l'assicurazione della mia spirituale vicinanza, testimoniata da una speciale preghiera al Signore per un proficuo svolgimento dei lavori.

    Questo primo Capitolo ordinario del nuovo millennio rappresenta un momento privilegiato di grazia per la Famiglia cabriniana, chiamata ad accogliere l'invito di Gesù a Pietro e ai primi compagni di "prendere il largo e gettare le reti" (cfr Lc 5, 4), invito che ho voluto riproporre a tutta la Chiesa nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte.

    "Duc in altum! Queste parole del Signore spingono a fare memoria grata del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirsi con fiducia al futuro: «Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre!» (Eb 13,8)" (ivi, 1). La Congregazione delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù entra nel terzo millennio arricchita, oltre che dell'esperienza straordinaria del Grande Giubileo dell'Anno 2000, anche dei frutti raccolti nelle celebrazioni del 150°anniversario della nascita della fondatrice, Santa Francesca Saverio Cabrini, nonché in quelle per il 50°anniversario della sua proclamazione a Patrona degli emigranti.

    2. Il tema scelto per il presente Capitolo - "Prendete il largo e gettate le reti" (Lc 5,4). Sfide e profezia della famiglia cabriniana" - si colloca in tale contesto ed invita ad un generoso entusiasmo apostolico, all'inizio di un secolo ricco di sfide spesso inedite, ma pur sempre penetrate dalla presenza di Dio vigile e operante. Al riguardo, le Costituzioni ricordano che "la vocazione di Missionarie del Sacro Cuore impegna a spargere quel fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra" (Cost. 15).

    E' ciò che Francesca Cabrini fece con coraggio nel corso di una vita completamente dedita a portare l'amore di Cristo a quanti, lontani dalla patria e dalla famiglia, rischiavano di allontanarsi anche da Dio. Ella ripeteva spesso alle sue figlie: "Imitiamo la carità del Cuore adorabile di Gesù nella salvezza delle anime, facciamoci tutte a tutti per guadagnare tutti a Gesù come Lui fa continuamente", ed ancora: "Potessi, o Gesù, allargare le braccia e abbracciare tutto il mondo per dartelo, oh quanto sarei contenta!".

    Se intendono seguire le orme della Fondatrice, le sue Figlie spirituali non possono non spingersi con rinnovato ardore sulle frontiere della carità, per rendere visibile l'amore misericordioso e compassionevole del Signore, e far risuonare l'annuncio di Cristo là dove la Provvidenza le ha poste ad operare.

    3.Di fronte alle mutate condizioni della mobilità umana, le Religiose di Madre Cabrini sono chiamate ad offrire un'accoglienza attenta e solidale ai migranti del nostro tempo, che spesso recano con sé, insieme con un carico di sofferenza, di solitudine e di povertà, anche un ricco bagaglio di umanità, di valori e di speranze. Si sentano altresì impegnate a porre particolare cura nella promozione della donna, specialmente in contesti dove essa è più minacciata ed indifesa. L'educazione dei bimbi e degli adolescenti, la catechesi e la pastorale giovanile continuino ad essere per loro vie privilegiate di evangelizzazione e di formazione cristiana, canali di trasmissione di una fede che incida sulla cultura e sulla vita.

    Sostenute dalla parola del Signore che invita a "prendere il largo" e guardando all'esempio della Fondatrice, le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù si dedicheranno con zelo ed entusiasmo alla messe che il Signore affida loro. Nonostante il contesto sociale spesso ostico, esse non desisteranno dal rendere testimonianza del primato di Dio e, con le parole e con la vita, diffonderanno attorno a sé la gioia della propria consacrazione a Cristo casto, povero e ubbidiente.

    Ciò suppone in esse la lucida consapevolezza che primo e prioritario loro impegno deve essere la fatica quotidiana dell'ascesi cristiana personale e comunitaria per configurarsi a Cristo, "prendendo - come scriveva Madre Cabrini - Gesù per modello in tutti gli avvenimenti e in tutte le nostre azioni, unendo tutti i nostri passi ai Suoi, affine di non camminare che per la via del Suo amore".

    4. Confido che il desiderio di fedeltà alla missione ed al carisma originario conduca codesto Istituto a custodire sempre il grande valore della vita comunitaria. E' quanto mai importante costruire comunità fraterne, che evangelizzino in primo luogo con la loro testimonianza di vita. Le case in cui abitano le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù siano vere scuole di formazione e di crescita umana e spirituale, luoghi dove si esprime l'amore di Dio nel servizio e nella carità, nel perdono donato e accolto. Un tale stile di vita costituirà per tutti eco eloquente della Buona Novella ed efficace proposta vocazionale, che non mancherà di motivare le giovani ad una seria riflessione sulla vita consacrata.

    Altro impegno importante dell'Istituto sarà di proseguire il già intrapreso cammino di comunione e di condivisione del proprio carisma con i laici, affrontando insieme le sfide dell'oggi. Il desiderio di essere fedeli al carisma delle origini, conservando vive le superiori esigenze del Regno di Dio, non potrà non spingere ogni membro ed ogni comunità a percorrere un esigente itinerario di formazione permanente, nella costante attenzione alle sfide moderne e ai segni dei tempi.

    5. Reverenda Madre, il Signore guidi con la forza del Suo Spirito i lavori capitolari, perché rechino all'intera vostra Famiglia religiosa gli auspicati frutti spirituali ed apostolici.

    Nell'invocare su di voi la materna protezione di Maria Santissima delle Grazie, che Santa Francesca Saverio Cabrini additava alle sue figlie come Madre e Maestra, vi incoraggio nella vostra missione e con affetto imparto a Lei, Reverenda Madre, ed a ciascuna Missionaria del Sacro Cuore di Cristo una speciale Benedizione Apostolica, pegno di abbondanti grazie e di spirituale letizia.

    Dal Vaticano, 24 Giugno 2002

    GIOVANNI PAOLO II

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    Lettera di Francesca Cabrini*

    Lucetta Scaraffia

    Presentazione

    Il Congresso delle donne italiane, tenutosi a Roma il 29 Aprile (per felice coincidenza festa di Santa Caterina da Siena) del 1908 sotto il patronato del sindaco Nathan e alla presenza della regina Margherita, ha segnato un momento importante per la storia del femminismo italiano.

    La presenza fra le relatrici delle esponenti dell’emancipazione di radice mazziniana, insieme alle socialiste e alle cattoliche di simpatie moderniste ne ha fatto un vero momento d’avanguardia nel dibattito sociale del paese. Ma, dopo giornate dedicate a denunce sociali e pro*grammi di assistenza e diprotezione della maternità ‑ temi tutti am*piamente condivisibili e condivisi ‑ le congressiste si sono spaccate su una questione spinosa, quella dell’insegnamento della religione catto*lica nelle scuole elementari. Nonostante le cattoliche, benché progres*siste, si fossero schierate a favore dell’insegnamento religioso, la loro posizione fu sconfitta dall'alleanza fra socialiste e laiche, che votarono entrambe per l’abolizione.

    La discussione intorno a questo tema fece emergere con chiarezza che quasi tutti i gruppi femministi simpatizzavano per correnti massoni*che‑teosofiche fortemente contrarie alla Chiesa cattolica, vista come il peggiore nemico dell’emancipazione femminile.

    La gerarchia ecclesiastica, da parte sua, spaventata dall’anticlericalismo emerso nel Congresso, decise immediatamente di opporre a questo femminismo laico ‑ che fino a questo momento, si era limitata a condannare – un’organizzazione femminile cattolica che operasse in primo luogo in difesa della fede. Il compito di organizzarla fu affidato da Pio X alla principessa Cristina Giustiniani Bandini, fondatrice dell’Unione fra le donne cattoliche, che ottenne un notevole seguito.

    Nei resoconti e commenti al Congresso non e stata presa in considera*zione, finora, la lettera di Francesca Cabrini alle organizzatrici, dalla quale si deduce che la futura santa era stata invitata al Congresso manon aveva potuto partecipare dati i molteplici impegni per il mondo. Madre Cabrini sembra essere stata invitata, più che come religiosa, come esperta di organizzazioni assistenziali e buona conoscitrice della situazione degli emigrati italiani all’estero. Come si deduce dal testo, infatti, le era stato richiesto proprio di fare una relazione sul tema delle donne emigrate, argomento ampiamente affrontato, nella lettera.

    La prima parte della lettera, quella in cui la Cabrini si scusa per non partecipare al Congresso elencando i suoi impegni, da un’immagine veramente manageriale della religiosa, che viveva l’ultima fase della sua vita (sarebbe morta a Chicago nel 1917) raccogliendo i frutti delle mille iniziative assistenziali fondate in Europa e nelle Americhe negli anni precedenti. Abituata a traversare continuamente l’Oceano per fondare nuovi istituti o sorvegliare l’ampliamento di quelli esistenti, la Cabrini era abituata a trattare affari con capitalisti di tutti i paesi, a programmare investimenti per cifre elevate, a organizzare scuole ed ospedali. Il suo esempio di emancipazione femminile, che si staccava nettamente da quello delle organizzatrici del convegno, piene di teoria ma poco aduse a una vera pratica autonoma di intervento nella vita sociale, avrebbe dovuto seminare in queste ultime qualche dubbio re*lativamente all’oscurantismo antifemminista della Chiesa cattolica.

    In quel momento storico, infatti, le religiose di vita attiva godevano di un livello di emancipazione di fatto che non era riconosciuto dalle lai*che dei paesi europei: basti pensare che solo nel 1919 fu concessa alle donne italiane la capacità giuridica di gestire il proprio patrimonio, mentre le fondatrici e le superiore delle congregazioni di vita attiva amministravano, già dai primi decenni dell’Ottocento, opere di assi*stenza spesso di dimensioni internazionali.

    Madre Cabrini in questa lettera dà anche prova di non comuni capa*cità di osservazione e di analisi delle condizioni sociali degli emigrati, in particolare di quelle delle donne. Un’imprenditrice di alto profitto, e insieme un’intellettuale capace di scrivere pagine efficaci di denun*cia sociale, si univano, infatti, all’intensa spiritualità della santa mis*sionaria.

    Le donne del Congresso applaudirono la lettera, votarono qualche forma di solidarietà alle emigrate, ma non si accorsero di avere di fronte un eccezionale esempio di emancipazione, una donna che sapeva fare come e meglio degli uomini ma che aveva mantenuto viva dentro di sé la sensibilità femminile ad aiutare chi soffre, a intervenire concretamente per lenire non solo le difficoltà materiali ma soprattutto la solitudine e il vuoto spirituale degli esseri umani. Una donna che aveva riunito accanto a sé un “esercito di donne” a cui aveva insegnato l’autonomia e la responsabilità, di cui aveva valorizzato le doti umane senza mai perdere di vista l’obbiettivo di crescita spirituale che era ragione della loro scelta di vita.

    Non si erano accorte che Francesca Cabrini praticava e proponeva alle sue suore un modello di emancipazione basato sull’assunzione delle responsabilità, sul fatto che le donne si conquistavano rispetto e autonomia dando prova di saper fare le cose, ben lontano dal “femminismo dei diritti” che esse propugnavano.

    ******
    Quinta seduta*

    9 aprile, ore 9. 40

    Presidenza della Contessa Danieli CAMOZZI

    “La sua lettera mi trova di ritorno da un viaggio attraverso le sterminate pianure della Pampa centrale, e in procinto di imbarcarmi per il Brasile. Da alcuni giorni essa è sulla mia tavola fra un mucchio di lettere che chiedono risposta, di carte d’affari che vogliono essere sbrigate, mescolate a piani di nuove costruzioni, a progetti di proprietà da comprarsi e a copie di contratti da conchiudersi. Se lo immagina il mio lavoro? Ma che vuole? Tutte queste nostre case dell’Argentina richiedono ampliamento dei loro quartieri, ormai troppo ristretti, e questo non è problema di facile soluzione, per chi non ha capitali e si trova di fronte ai prezzi esorbitanti delle proprietà argentine, specialmente in Buenos Aires.

    Per quanto dunque desiderosa di compiacere Lei, mia buona amica, e le Signore del Congresso, trovandomi in viaggio, in mezzo, a un cumulo di occupazioni, non potrei davvero scriver cosa degna di occupare anche per pochi momenti l’attenzione del nobile consesso di cui ella fa parte; adunanza, m’immagino, eletta di quanto più colto e gentile possiede il Bel Paese. Mi limiterò quindi, per non parer scortese, a dirle alcune delle impressioni ricevute nei frequenti miei viaggi alle due Americhe sulle condizioni degli emigrati ivi residenti.

    Ho sott’occhio il memorandum che ella mi ha mandato, e vedo che a molti dei punti che interessano questo Congresso in riguardo all’Emigrazione, rispondono ampiamente e con accuratezza i Bollettini ufficiali del benemerito Commissariato dell’Emigrazione, il quale, specialmente in questi ultimi anni, ha tanto esteso la sua opera benefica per la protezione dei nostri italiani all’estero, e i cui lavori procedono con attività e intensità pari all’intelligenza e nobiltà d’animo di coloro che ne fanno parte.

    Se vorrà dar un’occhiata ai bollettini fin qui pubblicati, vi troverà quelle statistiche e quei dati che potranno esserle utili, e interessanti articoli, assai più atti ad illustrare il soggetto delle loro discussioni che le povere parole di una donna, la quale ha solo studiato praticamente e venendo a contatto col povero questo difficile problema, che da tanto dà pensare ai nostri grandi sociologi, e che quindi non saprebbe parlarne che molto modestamente.

    La prima conoscenza che io ho avuta delle nostre donne emigranti e stata a bordo di un piroscafo che mi portava in America, quando per ordine di Leone XIII mi recavo negli Stati Uniti a prendervi cura dei poveri italiani ivi emigrati. Quella mente eletta aveva antiveduto lo sviluppo che avrebbe preso l’emigrazione in quei paesi, e sin dal 1888 aveva desiderato che io mi vi recassi in loro aiuto. In ventisei viaggi di mare sono stata compagna delle nostre buone emigranti, e nessuna o ben poche ho incontrato che traversassero l’ampio mare attratte da sogni dorati di prosperità e ricchezza ottenute in terra straniera; le ho trovate sempre, nella proporzione del 25 al 30% sul numero degli uomini, fedeli compagne degli operai emigranti, figlie che dividevano la sorte dei genitori, madri che emigravano a tutela dei figli lontani, e mi sono sempre sembrate piuttosto rassegnate alla loro sorte che le separava dal paese natio, anziché entusiaste e piene di fiducia nel paese che diverrebbe loro patria d’adozione.

    Ho avuto poi molte occasioni di vedere le nostre emigrate già da anni stabilite in America, e, debbo dirlo ad onore del nostro paese, e di loro stesse, ne ho sempre ritratto favorevole impressione.

    Naturalmente le loro condizioni e attribuzioni variano in un paese che occupa tutto l’emisfero occidentale con tanta varietà di clima e di costumi. In New York, in Chicago e in altri centri dell’America del Nord le ho trovate sparse in ogni genere di manifatture. Le fabbriche di carta, di tabacco, di confetti, di scatole, di fiori offrono persino alle fanciulle un impiego sicuro con un guadagno che varia secondo l’età e abilità dell’operaia dai 4 ai 10 dollari per settimana. Per quelle che sanno cucire, le manifatture di confezioni offrono una buona retribuzione talvolta di scellini 14 alla settimana; e tale paga aumenta per le sarte, le modiste, ecc. Come cameriere, bambinaie e domestiche sono molto ricercate, e impiegate come tali ricevono buoni salari, varianti dai 20 ai 40 dollari mensili. È da deplorarsi che le idee moderne prendano piede anche in mezzo a loro e diminuiscano con rincrescimento generale il numero delle buone e fedeli domestiche per accrescere le file di quella vera schiera di donne che ogni mattina popola le manifatture, e la sera, stanca e accasciata dal lavoro, frastornata dal rumore delle macchine, ne esce per riversarsi come una fiumana non nella sola New York, ma nei paesi adiacenti. Quanto più confacente alle loro abitudini e alla loro salute sarebbe il pacifico lavoro domestico! Ma l’aria che spira al presente è d’indipendenza, non si vuole più soggezione a nessuna autorità, non si sente più volentieri la voce che insegnava: Figli, ubbidite ai vostri genitori ... servi, state soggetti al vostri padroni ... e quindi in un secolo di tanto progresso le piaghe sociali aumentano invece di diminuire ...

    Fortunatamente non tutte le nostre italiane sono travolte dalla vita febbrile dei principali centri americani dove l’individuo non diviene più che una ruota di quel grande ingranaggio, la quale gira da mane a sera senza posa, intorno a un solo perno, a un solo centro: il dolla*ro! Anche nei quartieri popolatissimi di New York e Chicago, là do*ve è più fitto l’elemento italiano si da formare vere colonie, sono a migliaia le nostre buone donne che attendono alle domestiche fac*cende, occupate dei propri figli, e lo si può dire con orgoglio, ripe*tendo le parole che mi rivolgeva anni sono un gran funzionario del*la Metropoli americana: Nei quartieri degli italiani regna la moralità e l’ordine assai meglio che in ogni altro quartiere di emigrati; i lega*mi di famiglia sono forti sempre quali Dio li ha stretti col sacro vin*colo del matrimonio, la figliolanza è numerosissima, la delinquenza assai rara. Questi fatti sono riconosciuti e apprezzati dagli america*ni stessi. Li ho sempre visti rispettare la donna italiana, non importa quale fosse la sua posizione sociale, ben sapendo che nella fede profondamente radicata nell’animo suo, checché se ne voglia dire, ella porta con sé il sentimento della propria dignità, la fedeltà alla propria famiglia, l’onestà, l’operosità, il sacrificio di tutta se stessa per il bene de suoi cari.

    Le nostre donne emigrate compiono prodigi d’attività. Quante volte le ho viste nelle immense pianure della Luisiana dividere coi loro mariti le fatiche della coltura del cotone e dello zucchero! Coltivare il terreno in California e nel Colorado, e riporre solerti nelle casse i prodotti primaticci che il loro campiello manda ai lontani mercati dell’Est! Anche nelle pianure dell’America del Sud le ho viste quasi piccole regine di quelle immense fazendas o estancias dove i capi di bestiame si contano a migliaia, sempre accoppiando il lavoro solerte alla bontà dei costumi e all’amore della famiglia. Dovunque poi è generalmente la donna che attende alle piccole botteghe dei nostri italiani, e mentre il marito lavora il campo, la donna, guidando ella stessa il suo cavallo per miglia e miglia, porta i suoi prodotti al mercato. Alla donna italiana emigrata in America non manca il lavoro. Certo che come tra gli uomini sono preferiti i braccianti e i commercianti ai professionisti, i quali hanno poca probabilità d’impiego senza una buona conoscenza della lingua del paese, così avviene delle donne. Una nostra maestra, per esempio, vi troverebbe ben poco da fare.

    E questo mi ha portata a rispondere ad una sua domanda: Si mandano a scuola i bambini? Veramente se qualche mamma negligente si dimenticasse in America della legge d’istruzione obbligatoria, scorsi non molti giorni dal principio dell’anno scolastico si troverebbe in casa il truant officer che le si metterebbe al fianco e non desisterebbe finché i figli non avessero acquistato l’abitudine d’intervenire alla scuola, rinchiudendo i restii in istituti appositi. Ma questa necessità non avviene troppo di frequente, che se qualche scappatello è costretto a fare più o meno lunga dimora nella truant scool credo che lo si debba più alle attrattive che offrono ai nostri fanciulli le grandi città o la libertà dei campi, piuttosto che a negligenza da parte delle madri. Dirò anzi che esse, in massima, ambiscono per i loro figli una buona istruzione. Ormai non è più tempo in cui gli italiani per odio di razza siano condannati all’ostracismo; ormai vivono mescolati con gli americani, spesso accasati con essi, e hanno saputo farsi strada in ogni genere d’impieghi e d’industrie. Non ci vuol quindi molto tempo perché le nostre emigrate risentano l’influenza del nuovo ambiente, desiderino alzarsi nella scala sociale, e soprattutto volendo il bene dei loro figli si attengano al mezzo più efficace di procurarlo, facendo si che siano istruiti bene nella lingua del paese. Ho notato anzi in molte, grande ansietà riguardo alla scelta della scuola. Quelle piccole scuole private, tenute da maestri italiani, non ispirano molta fiducia. Aggiungerà di più che nei loro primordi le nostre stesse scuole, ormai frequentate da più di 5000 bambini nei soli Stati Uniti, destavano un certo qual sospetto. “Ma voi siete italiane”, ci si andava dicendo “non potrete insegnar l’inglese!”. E soltanto quando furono assicurate che la lingua del paese sarebbe stata insegnata da suore competenti, e che l’italiano sarebbe stato introdotto come materia di complemento, si decisero ad affidarci le loro figliole.

    Si sa che per molte famiglie italiane la questione del mandare le proprie bambine alla scuola non è delle più semplici. Fin che si tratta di maschi, tutte lo sappiamo, è un sollievo per la mamma la campana della scuola; ma quanto alle bambine è un altro par di maniche. Ho spesso veduto nelle scuole nostre fanciulle di tredici o quattordici anni, primogenite di una famiglia di otto o dieci, dover conciliare molte cose apparentemente inconciliabili: l’intervenire regolarmente alla scuola, il vigilare sui fratellini minori, il dividere colla mamma le cure domestiche, e quel che è più, vegliare sino a tarda notte per aiutare la mamma nel cucire il lavoro di commissione con cui cerca di accrescere i proventi della numerosa famiglia, per cui è troppo magro il salario del marito.

    E vero che, eccezione fatta dei momenti speciali di crisi, in America c’è lavoro per chiunque abbia un paio di braccia e che il costo della vita non e sproporzionato ai salari che l’operaio riceve. Ma spesso un uomo solo deve lavorare per molti, e poi vengono i tempi di di*sgrazie domestiche, d’infortuni, di malattia, e allora la donna viene in soccorso; e martire dell’amore alla propria famiglia, la vedrete di giorno affidare i minori suoi figlioletti alle day‑nur‑series, i maggiori alle scuole, e andarsene a lavorare alla fabbrica, riservando per la se*ra le fatiche domestiche.

    Inconsciamente ho parlato più delle condizioni delle nostre italiane negli Stati Uniti che di quelle di altri paesi, poiché mi sembra che negli Stati Uniti dell’Unione Americana l’emigrazione abbia caratteri più accentuati e speciali.

    Nell’America del Sud l’emigrato si unisce più facilmente a quelli del paese; la lingua tanto simile alla nostra, le abitudini più omogenee, fa natura del lavoro in cui sono impiegati gli uomini, per la maggior parte agricoltori, fanno si che la vita nel paesi dell’America latina sia più facile per gli italiani. Non così nell’America del Nord, e se, come ho detto più sopra, le condizioni delle nostre italiane possono dirsi in massima soddisfacenti, queste non risultano tali se non dopo un intenso lavoro, direi meglio con la parola inglese struggle, per cui assai più han diritto all’interesse e alla simpatia dei buoni che le loro sorelle dell’America del Sud.

    Invitata ad adoperarmi in favore degli emigrati, e rispondendo questo invito a un’intima attrattiva dell’animo mio, ho stabilito per essi orfanotrofi, scuole e ospedali nei principali centri di emigrazione, e so che questi istituti vengono efficacemente in aiuto dei nostri poveri connazionali. Educano i loro figli, prendono cura di quelli che l’infortunio sul lavoro, specialmente nelle miniere, o domestiche sventure hanno reso orfani, li curano quando soccombendo sotto il peso della malattia, sono costretti a riparar all’ospedale, ovvero quando malati, ma potendo tuttora reggersi in piedi accorrono al dispensario per farsi curare senza abbandonare la famiglia. Ma tutto questo e poco; ho calcolato che saranno circa 50.000 le persone beneficate annualmente da queste istituzioni; e questa cifra sarebbe ben piccola se non vi fosse congiunta la parte più bella, più nobile, più santa, più umanitaria della missione che io ho tanto a cuore fra gli emigrati, quella che compion le Suore nostre nei vari paesi. Buoni sono gli orfanotrofi, eccellenti le scuole, migliori gli ospedali, ma non a tutti si può porgere l’obolo della carità, né tutti ne hanno bisogno ... Vi è però, una carità di cui tutti i nostri emigrati hanno bisogno, carità che si deve esercitare con tutti, senza distinzione e specialmente colla donna.

    Se il cammino della vita e per pochi cosparso di rose, esso è ben più seminato di spine per il povero, e l’emigrato in massima e povero. I lavori e l’interesse di cotesto nobile Congresso si accentrano appunto, non sul capitalista italiano che, dopo anni d’intelligente lavoro, onora la sua patria all’estero, ma sull’emigrato; sul povero, che tra*dito da tanti nelle sue più nobili aspirazioni, perché si è spento in lui quel solo raggio di fede che poteva dargli lume nel cammino della vita, ormai brancola, non sa dove appoggiarsi, incerto se rivolgersi alle perniciose dottrine del socialismo, alle sovversive teorie dell’anarchismo, o abbandonarsi al vortice che sembra minacciare di travolgere l’umana società.

    Se per ogni povero è difficile la vita, doppiamente lo è per l’emigrato, in paese straniero. Come ho detto più sopra, la domestica quiete e prosperità è comperata spesso dalle nostre donne italiane con gravi sacrifici. Che cosa ci vuole per loro? Che cosa ci vuole per quelle migliaia di operai che col sudore della fronte guadagnano il pane quotidiano, che nelle imprese edilizie, nelle miniere, nei colossali lavori ferroviari mettono a repentaglio la loro vita, e spesso, martiri oscuri ed ignorati del lavoro, trovano la fine della loro laboriosa carriera lontano dalla famiglia, privi di ogni conforto, negli oscuri antri di una miniera? Che cosa ci vuole per il malato che geme, accasciato dal dolore nelle monumentali istituzioni che la carità americana ha eretto a suo sollievo? Per il povero prigioniero che tra i ferri, e forse colla minaccia del patibolo e della sedia elettrica, sconta con ore di indicibile angoscia il delitto di un momento, ovvero, sorte assai più sventurata, quello che altri ha commesso?

    Per tutti quei nostri fratelli e connazionali ci vuole la parola amica del conforto, l’incoraggiamento, l’aiuto materiale quando sia necessario, e soprattutto il tener desto in loro quel sentimento religioso che è il più gran dono che ha fatto loro la patria nostra; quella fede profonda che, radicata negli animi loro, è il legame più forte che li tiene uniti al paese natio. La fede che addita loro un termine felice delle loro fatiche e sofferenze; che mentre impone loro seri obblighi, l’osservanza esatta dei doveri del proprio stato, la rassegnazione alla propria sorte qualunque essa sia, mentre proibisce loro l’invidiare i potenti, i ricchi, i più fortunati, addita loro come un faro luminoso di salute il bel giorno in cui tutti i membri dell’umana famiglia si troveranno congiunti in un sacro vincolo di carità in quella vera nostra patria, da cui nessuno emigrerà, perché ivi sarà eterno il gaudio.

    Poco tempo fa gli Stati Uniti si sono scossi e hanno detto: “Come educhiamo la nostra gioventù? Come pretendiamo di crescere una generazione fedele alla nazione senza istillare in essa la conoscenza di Dio?”. Il problema per loro è grave assai, dati gli elementi molto diversi di cui si compone il paese.

    A noi l’Italia, culla e madre di civiltà e di ogni cosa bella e buona e grande, ha dato in prezioso retaggio la fede. Conserviamola nel cuore dei nostri giovani, conserviamola nel cuore dei nostri emigrati, e specialmente delle donne, sulle cui ginocchia si formano le nazioni, e allora vedremo molto diminuite le schiere di coloro che, dopo essersi ribellati a Dio, cercano di atterrare ogni autorità costituita e quindi di travolgere nella rivoluzione il nostro bel paese e il mondo tutto.

    Eccole, cara contessa, alcune delle mie impressioni sulle nostre emigrate. Credo risponderanno alla conoscenza che ella, nella sua posizione e per l’interesse che prende all’emigrazione, ha ricavato dal suo frequente contatto colle nostre italiane. In questa lusinga le rinnovo l’attestazione della mia sincera stima e cordiale amicizia.
    -------------------------------------------------------------------------
    * Ringraziamo “Bailamme”, Rivista di Spiritualità e Politica, (Numero 28/5 – Nuova Serie Gennaio-Dicembre 2002), e l’Autrice per la gentile concessione di pubblicazione.
    * Lettera pubblicata in: Consiglio nazionale delle donne italiane, Atti del I° Congresso Nazionale donne italiane, Roma, 24‑30 aprile, 1908. Stabilimento tipografico della società editrice laziale, 1912.

    FONTE

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    Enrico Tadolini, S. Francesca Saverio Cabrini, 1947, Basilica di S. Pietro, Città del Vaticano, Roma

 

 
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