Adesso che ho qualche minuto per scrivere, mi permetto di commentare alcune affermazioni di Daudokos, sorte nel thread sugli 'Ausoni'.
Credo sia opportuno precisare che esistono una varietà di opinioni, nel mondo Gentile, sulla questione della Pietas e sull'attegiamento che un Pio ha nei confronti dei Numi.
In particolare io ho affermato che la Pietas sia questione di Azione, più che una 'confessione' o dichiarazione di 'credo' o 'fede', e la pretesa 'galileità' di questa concezione che vi avrebbe ravvisato Daudokos mi ha incuriosito, spingendomi a precisare il mio punto di vista e capire quello degli altri.
Ho sempre sostenuto che non possa esistere un Gentile Pio 'credente e non praticante', proprio perchè il fondamento del Cultus Deorum che mi risulti sia sopratutto incentrato nel Rito, e perchè no, dal momento che quivi è stato raramente accennato, al Sacrificio. Anzi, si può dire, sin dai più antichi scritti caratterizzati da un "Genoma" religioso ben distinguibile almeno tra Indoeuropei, (ad esempio i Veda) che il Culto consista primariamente nel RIto Sacrificale.
Forse Daudokos alludeva, in analogia, alla parabola della 'Vigna' di galilea memoria, ma questo è molto relativo : la parabola in oggetto è da considerarsi
nel contesto dell'attuazione dei precetti e delle Leggi dogmatiche del popolo orientale da cui vengono i vangeli.
Invece, il Rito e il 'Fare' che io intendevo, è in relazione agli atti di Culto, non alle 'buone opere' o il rispetto di qualsivoglia comandamento.
Su questo punto c'e' capitale differenza.
Inoltre c'e' un altro passaggio :
"Così come la pietas serve a noi e non agli Dei" che credo sia da ponderare con molta calma, e sopratutto alla luce di quella Pax Deorum che è anche Hominumque. Questo punto non è molto chiaro, e se mentre è logico che la Natura Divina sia Impassibile, sappiamo come le Deità 'ricevano', 'accettino' nonostante non lo facciano per 'necessità', vi è un rapporto biunivoco, vi è un CONCORSO dell'Uomo nella Reggenza del Cosmo.
Allo stesso modo, un rapporto succubistico e strisciante nei confronti degli Dei, non mi pare caratteristica precipua dei nostri Antenati Europei, che credo sconoscessero totalmente il concetto moderno e post-galileo del 'Timor di DIo'.
Quanto poi alla storpiatura ironica ed altre 'preoccupazioni', mi limito a ricordare che tanti aggettivi usati con disinvoltura, in passato, verso Dei e Dee (in quel caso Romani..) non siano stati oggetto di particolare scrupolo o censura da parte di nessuno.
Ricordo che i Maggiori non avevano timore di 'pronunciare il nome di Dio invano', e che anzi i Nomi dei Numi erano ampliamente utilizzati per la descrizione di qualsiasi fenomeno, umano o naturale, dal momento che essi Li percepivano agenti in ogni cosa, non solo nelle disquisizioni filosofiche o metafisiche.
Purtroppo non ho ulteriore tempo per approfondire la questione in questo momento e rimando la palla ai vostri eventuali commenti.
Valete Bene!
FRVMENTARIVS