Maurizio Blondet
28/12/2005

Allora era proprio vero: Giovanni Paolo II era ebreo.

Lo ha scoperto con gioia Yaakov Wise, uno studioso di genealogie ebraiche che abita a Manchester.
Da esperto del problema, Wise ha fatto ricerche sull'ascendenza del lato femminile della famiglia Wojtyla: per decreto rabbinico sono le madri, non i padri, a trasmettere l'ebraicità.
La mamma di Karol, che morì quando lui era lattante, aveva sposato un polacco cattolico; ma il suo nome, Emilia Kaczorowski è apparso a Wise un adattamento polacco di un nome ebraico molto comune nel mondo yiddish: Katz.
La nonna si chiamava Marianna Scholz, altro nome ebraico (Schulze, Schultz).
E la bisnonna, Zuzanna Rybicka, altro nome di suono ebraico.
Infatti tali nomi appaiono frequenti nelle tombe del cimitero ebraico di Biala-Bielsko, da cui veniva la famiglia della mamma di Karol.
Wise ne è sicuro: «come storico ebreo, ho accesso ad informazioni che sono chiuse ad altri storici», dice.
Con questo lignaggio materno fino alla terza generazione, Karol Wojtyla non solo era un ebreo integrale; avesse chiesto la cittadinanza israeliana, lo Stato ebraico avrebbe dovuto riconoscergliela.



Questo fatto getta una nuova luce non solo sugli atti di Karol Wojtyla (la visita del primo Papa a una sinagoga, la preghiera al «muro del pianto», le «scuse» della Chiesa agli ebrei) ma sulla sua neo-teologia della «elezione».
Risale a lui la nuova e malferma dottrina «cattolica» secondo cui l'Antica Alleanza persiste tutt'ora; la Nuova Alleanza (di Gesù) non l'ha fatta decadere - insomma che gli ebrei hanno diritto di aspettare ancora un messia, avendo rifiutato il primo.
Una «dottrina» che forza alquanto i testi del Vangelo, per negare la «sostituzione».
Anche l'accettazione dell'Olocausto (con la maiuscola) come il «sacrificio di sangue» sacramentale che fa degli ebrei la «vittima» collettiva alternativa all'Agnello, diventa più significativa alla luce dell'ebraicità di Wojtyla.
Del resto nel 1998, quando il Papa polacco chiese perdono agli ebrei col documento «Noi ricordiamo», Giovanni Paolo II approvò il discorso ufficiale, dove si diceva che «il popolo ebraico è crocifisso da duemila anni».
Non «perseguitato», ma «crocifisso», come il Salvatore.
E non da tremila anni, ma da duemila: ossia dalla nascita di Cristo.
Dal solo fatto che Gesù sia nato.
Popolo «crocifisso» per il fatto che il cristianesimo esiste.



Che significa?
La frase è assurda per un cattolico credente.
Ma esprime i sentimenti di ogni ebreo, «offeso» dalla pretesa cristiana di essere il Novus Israel.
Ma non basta.
Nel processo di canonizzazione a tappe forzate, sarebbe bene che gli avvocati del diavolo investigassero questo lato del beatificando.
Che idea aveva di sé Wojtyla e della sua ebraicità?
Perché in Polonia, come noto, nacque e operò Jacob Frank (1726-1791), un israelita che si proclamò messia; e sull'esempio di Sabbataei Zevi (un precedente «messia» che operò in ambiente islamico e si convertì falsamente all'Islam con tutti i suoi seguaci) anche Frank e 500 famiglie di suoi fedeli si fecero battezzare, nel 1759.
Mantenendo però in segreto i loro culti ebraici eretici spesso licenziosi (vi aveva una parte importante la figlia di Frank, Eva, adorata con un culto copiato a quello della Vergine Nera di Cracovia), la fede nel loro «messia» apostata, e la pratica della più stretta endogamia settaria (i frankisti si sposano solo tra loro, come ordinato da Frank: «non prendete in moglie nessuna delle loro puttane» cattoliche).



Nota è la giustificazione teologica della loro apostasia e doppiezza: il messia «deve» compiere gli atti più peccaminosi, e la conversione falsa all'odiata «religione di Edom» (Roma) è la peggiore. Perché «la salvezza si ottiene attraverso il peccato», secondo una tipica movenza gnostica detta anti-nomica (1).
I frankisti andavano a messa la domenica, ma il sabato si riunivano nelle loro sinagoghe segrete.
Wojtyla era influenzato sicuramente da questa «cultura», perché personalità frankiste hanno svolto una parte essenziale nel creare il particolare nazionalismo polacco, l'idea della nazione sofferente, «Cristo delle nazioni».
Il poeta nazionale polacco Adam Mickiewicz (1798-1855) tanto amato dal Papa, era un frankista: super-cattolico a parole, ma amico di Mazzini, con cui partecipò alla Repubblica Romana, la massonica impresa che nel 1849 cacciò da Roma Pio IX; e morì a Costantinopoli mentre cercava di arruolare una legione ebraica per liberare Gerusalemme: un sionista ante litteram.
Jerzy Turowicz, il potentissimo direttore di «Tygodnik Powsszechny», l'autorevole rivista cattolico-progressista cui Karol collaborò e che tanto influì sulla sua formazione culturale e spirituale, era un frankista, e al suo funerale volle si cantassero cori ebraici.
Di altri personaggi ebrei o frankisti che hanno influito e guidato il giovane Wojtyla ho parlato nel mio libro «Cronache dell'Anticristo» (Effedieffe, 2001).
Fra l'altro è notevole che la comunità ebraica americana si prodigò per sostenere finanziariamente Solidarnosc, organizzazione sindacale cattolica, ma controllata da vicino da tre ebrei di fiducia, Jacek Kuron, Adam Michnitz e BronislaGeremek, figli di funzionari comunisti di colpo passati al nemico.



Ma sapeva Wojtyla di avere sangue ebreo?
Wise sostiene di sì.
Altrimenti non si spiega perché nel 1940, il giovane seminarista si sia nascosto ai nazionalsocialisti: se si fosse saputo polacco e dunque «ariano», non sarebbe stato necessario.
Ma se lo sapeva, perché ha taciuto questa sua identità, mentre moltiplicava i favori e le aperture al giudaismo?
Questo elemento può indicare una sua appartenenza all'ambiente frankista: celare il proprio ebraismo è un obbligo per la setta (2).
D'altra parte, sua madre Emilia si sposò al di fuori della cerchia ebraica, e questo potrebbe essere un segno contrario; però il mutamento del nome da Katz a Kaczorowski potrebbe essere un indizio a favore.
E' anche possibile che, a distanza di due secoli, gli stessi elementi frankisti non abbiano più una coscienza netta e separata della loro identità, si sentano insieme «cattolici» ed ebrei.
Sarà stato il caso di Giovanni Paolo?
E' una questione su cui indagare a fondo, anziché proclamarlo «santo subito» senza accurata inchiesta.
Santo, forse; ma subito, meglio di no.

Maurizio Blondet




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Note
1) «Antinomia» vuol dire «contro la legge» (nòmos in greco). Nell'ebraismo ortodosso come in quello frankista, l'avvento del messia sancisce l'abolizione della «legge» e di ogni legge, anche morale. Tipicamente, i frankisti - ormai «liberati» dalla legge grazie al loro «messia» - praticavano l'incesto, «perché lassù non esiste divieto». Contro questa credenza giudaica, esplicitamente, Gesù dice la famosa frase: «non crediate sia venuto ad abolire la legge». Voleva dire: benché il Messia sia venuto (era Lui), della legge morale non cadrà «uno jota» fino alla fine dei tempi.
2) Voci che Wojtyla fosse ebreo sono circolate parecchio in Polonia. Del resto, nella polemica politica polacca, è frequente che un avversario venga accusato di essere un «ebreo nascosto», ossia un frankista. Il regime comunista cercò di far credere che lo stesso Lech Walesa fosse un ebreo, che in realtà si chiamava Leiba Kohne (Cohen). Non era vero. Lo stesso Walesa una volta spiegò: «l'antisemitismo in Polonia è dovuto agli ebrei che celano la loro nazionalità», insomma un'altra allusione ai frankisti.




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