MOSCA - L’Ucraina prova a prendere tempo, la Russia, attraverso la
società energetica Gazprom, conferma il suo ultimatum: in caso di
mancato accordo entro 24 ore, alle 10 del primo gennaio 2006 (le 8 in
Italia) i rubinetti per Kiev verranno chiusi.

Il presidente ucraino Viktor Yushenko sta cercando di trovare una
soluzione al contenzioso con il gigante energetico sui rifornimenti di
gas russo all’Ucraina però nello stesso tempo ha ribadito il rifiuto al
prestito che Mosca sarebbe stata disposta a concedere per consentire
all’ex repubblica sorella di affrontare i prezzi internazionali del
gas. A suo avviso è una proposta capestro, perché potrebbe rivelarsi
un’ipoteca sui suoi gasdotti, una risorsa strategica per il paese.

Per questo il leader del movimento arancione che pochi mesi fa ha
vinto le elezioni a dispetto del Cremlino, ha chiesto a Vladimir Putin
di congelare per dieci giorni la situazione attuale, nella speranza di
una soluzione negoziale mutuamente accettabile.

Il Cremlino però non risponde: una nota del ministero degli Esteri
afferma seccamente che “una tale proposta non è arrivata né al governo,
né all’amministrazione presidenziale”; e non nasconde l’irritazione per
la scelta del capo di Stato ucraino di rendere pubblica la sua missiva
prima del passaggio per i canali ufficiali.

Il muro contro muro va avanti da settimane: da quando, per motivi
prettamente politici secondo molti osservatori, la Russia ha deciso di
smettere di praticare all’Ucraina il prezzo di favore di 50 dollari per
1000 metri cubi di gas e passare alle tariffe di mercato. “Kiev ha
ottenuto dall’Ue lo status di economia di mercato - aveva detto a suo
tempo Serghei Iastrzhembski, consigliere del Cremlino per le questioni
europee - si comporti come tale e paghi i conseguenti prezzi”.

Da un’iniziale offerta a 160 dollari per 1000 metri cubi, rifiutatata
seccamente dalla controparte, Gazprom ha rilanciato a 230 dollari. Sono
volate parole grosse, è stato passato al setaccio l’intero spettro dei
rapporti russo-ucraini alla ricerca di mezzi di ritorsione, entrambi i
contendenti hanno minacciato ricorsi alla Corte di arbitraggio di
Stoccolma.

L’Ucraina ha cercato di chiamare in causa Stati Uniti e Gran Bretagna,
i paesi garanti del patto col quale, a condizione di non subire
pressioni politiche o economiche da Mosca, aveva accettato nel 1994 a
Budapest di denuclearizzarsi, cedendo il suo arsenale atomico alla
Russia. Poi ha minacciato Gazprom di praticare un prelievo del 15% del
volume di gas diretto in Europa occidentale come pagamento dei diritti
di transito. Ma su questo punto la replica è stata che il gas in
transito verrà scrupolosamente contato all’origine: se non arriverà o
se mancherà qualcosa, l’Ue saprà con chi prendersela.

Mosca ha replicato punto per punto, sottolineando che gli accordi di
Budapest parlavano di minacce alla sovranità e all’integrità
territoriale, cosa che non è in questione al momento, e che il suo
gigante monopolista dell’energia paga già un consistente tributo per il
passaggio attraverso il vicino.

Ha anche reagito alle voci di ritocchi al rialzo del canone di affitto
per la base della flotta russa in Crimea minacciando di rimettere in
causa tutti gli accordi territoriali con Kiev.

Il braccio di ferro, sostengono alcuni esperti russi - in primis
quell’ex consigliere presidenziale per l’economia Andrei Illarionov che
nei giorni scorsi se n’è andato sbattendo la porta - è rischioso per la
Russia: oltre al pericolo di perdere sostegno e simpatia dei russofoni
ucraini, c’è da tener presente l’eventuale ostilità occidentale.

La stessa Gazprom, che vorrebbe attrarre investitori stranieri
mettendo loro a disposizione un ricco pacchetto azionario, avrebbe
molto da perdere se i suoi rifornimenti non potessero più raggiungere i
mercati dell’ovest europeo.

Anche l’Ucraina ha poco da guadagnare, se non un non scontato aumento
di consensi verso Yushenko in vista delle cruciali elezioni politiche
della prossima primavera: le sue industrie, in gran parte già in
ginocchio, difficilmente potranno fare a meno dei rifornimenti
energetici russi e puntare, come vorrebbe il premier Iuri Iekhanurov,
sull’autarchia del carbone.

I tecnici di Gazprom si infilano i guanti per provvedere alla chiusura
dei rubinetti, che sarà probabilmente trasmessa in diretta Tv. Kiev per
parte sua non sembra intenzionata a cedere. E l’Europa potrebbe
trovarsi tra l’incudine e il martello.

(30 dicembre 2005)

corriere.it