Originariamente Scritto da
MrBojangles
Intercettazioni, le bobine nelle mani della Finanza
La Procura di Milano scrive a Casini: irrilevanti i colloqui Fassino-Consorte
05 Gennaio 2006
di Oreste Pivetta
Hanno osservato scrupolosamente l’articolo 68 della Costituzione, l’articolo che regola i rapporti tra giudici e parlamentari. Non hanno mai disposto intercettazioni dirette su linee telefoniche a carico di deputati o senatori e non ne hanno mai acquisite per allegarle agli atti giudiziari.
Non hanno mai comandato trascrizioni... per l’irrilevanza dei contenuti. È questo il senso della lettera che la Procura della Repubblica di Milano ha inviato al presidente della Camera, Casini.Casini ha rispedito la lettera al presidente della Giunta per le autorizzazioni, Vincenzo Siniscalchi.
Si scrive così un’altro episodio di una storia ormai lunga di rivelazioni e soprattutto di veleni.
Con la novità di cinque giorni fa, quando il Giornale della famiglia Berlusconi riferì di intercettazioni relative a un colloquio tra il segretario dei Ds, Piero Fassino, e Giovanni Consorte, ex amministratore delegato di Unipol.
Proprio Siniscalchi, che aveva convocato la Giunta per l’11 gennaio, aveva sollecitato una iniziativa di Casini: «Se ad agosto eravamo di fronte a generici riferimenti su intercettazioni di parlamentari, ora si è letto di una telefonata di Fassino, che non è indagato e sul quale non grava neppure l’ombra di una responsabilità».
Se i giudici hanno rispettato le regole, come la lettera dichiara, alla storia delle banche e delle scalate s’aggiunge dunque un giallo, che sa di spionaggio e di corruzione e che rivela il disegno politico di attacco violento al vertice dei Ds, per scombinare all’inizio di una durissima campagna elettorale le carte in tavola e gli equilibri in corso.
Chi ha ascoltato la telefonata?
Chi l’ha ritrovata tra ore e ore di registrazioni?
Chi l’ha trascritta e ha consegnato il testo a un quotidiano del centrodestra?
Intanto proviamo a ripercorrere la strada.
La procura ordina intercettazioni telefoniche, agenti della guardia di finanza intercettano.
Registrano e redigono la prima guida, una sorta di indice: quello parla di scalate, quest’altro racconta di vendite o di acquisti. Il brogliaccio finisce nelle mani del magistrato, che decide che cosa serve e che cosa no.
Nel primo caso si trascrive e si allega all’inchiesta giudiziaria, nell’altro no.
Nel primo caso (ed è quello delle prime intercettazioni apparse) gli omissis coprono i nomi dei parlamentari eventualmente intercettati.
Nel secondo caso tutto dovrebbe rimanere senza trascrizioni e segreto.
Salvo per chi ha ascoltato e può riascoltare; per chi è in possesso dell’indice o di una copia dell’indice delle registrazioni e comunque per chi abbia presente il quadro complessivo, per chi conosca bobine e dettaglio dei contenuti.
Deve sapere di Fassino e D’Alema, dove andare a ritrovare i loro nomi.
C’è un lavoro dietro e ci vogliono complicità, fuori o dentro la Guardia di finanza.
Di Guardia di finanza parlò pochi giorni fa il presidente emerito Francesco Cossiga, che non aveva ancora letto la pagina del Giornale scagliata contro Piero Fassino, ma conosceva bene quelle del Corriere della Sera, secondo lui piegate alle opportunità e alle convenienza di una battaglia contro l’opa di Unipol su Bnl.
A fine anno 2005, Cossiga aggiunse un’interpellanza parlamentare al ministro Tremonti e al ministro della Giustizia chiedendo se corrispondesse al vero «quanto sembra accertato da altri servizi di polizia, e cioè doversi alla illecita attività di un maggiore della Guardia di Finanza la illecita divulgazione alla stampa delle trascrizioni di intercettazioni telefoniche, anche almeno indirettamente, di membri del parlamento nazionale e in violazione delle loro prerogative costituzionali».
L’ex capo di stato avanzò sospetti anche su altri ambienti.
Chiese a Tremonti e Castelli, se le «illecite divulgazioni» fossero avvenute solo per iniziativa dell’infedele ufficiale di polizia giudiziaria «o con l’agevolazione, o per mandato, o soltanto nella distrazione dei citati pubblici ministeri».
Che si intende fare, concluse Cossiga, «in sede penale e disciplinare per reprimere questi illeciti»?
Europa, quotidiano della Margherita, ha indicato proprio ieri un “regista”: Tremonti, ministro del tesoro, che ha alle dipendenze la Guardia di finanza.
Una voce che girava da tempo: Tremonti s’era fatto consegnare le bobine. Una provocazione.
Per ritrovare una storia vera, scritta dai tribunali, bisogna risalire a dieci anni fa.
Facciamo un altro nome: Paolo Simonetti.
Il nome oggi non dice nulla.
Chi ha un po’ di memoria ricorderà un brigadiere della guardia di finanza, quasi un “aiutante di campo” di Tiziana Parenti, quand’era magistrato, nel pool di Mani pulite. In dissenso, Tiziana Parenti lasciò la magistratura, saltò il fosso e si ritrovò dentro Forza Italia, parlamentare all’epoca del primo governo Berlusconi.
Paolo Simonetti subì invece una indagine amministrativa: siamo nel 1995, l’accusa fu d’aver costruito in collaborazione con altri ufficiali e sottufficiali delle Fiamme gialle, profittando della propria posizione, vari dossier, uno dei quali usato contro Antonio Di Pietro.
Attività illegale.
La Guardia di finanza ci mise una pietra sopra; e, per andare sul sicuro promosse Simonetti.
Un anno prima Paolo Simonetti, aveva annotato sul proprio computer:
«Ore 17-18 c/o Edilnord...Braald: Gorrini disposto a riferire su somme estorte da DP in favore dell'amico Reale per corse cavalli. Fatto già a conoscenza di Preces...».
Sciogliamo il rebus:
-DP è ovviamente Antonio Di Pietro,
Braald è Aldo Brancher, il primo manager Fininvest arrestato per tangenti,
Reale è Eleuterio Rea, comandante dei vigili urbani di Milano,
Preces è Cesare Previti...
Gorrini è Giancarlo Gorrini, ex amministratore delegato di Maa Assicurazioni, finita in Mediolanun, regista dell’operazione anti Di Pietro.
Il committente era Paolo Berlusconi (tangenti per le discariche).
Le carte passavano dalla villa di Arcore...