Mi candido per Roma, orgoglio d’Europa
(Tratto da AREA - Gennaio) - In queste ultime settimane ho ricevuto apprezzamenti per il mio coraggio come non ne avevo dai tempi del Fronte della gioventù. In molti mi hanno rivolto la classica domanda: “Ma chi te lo fa fare?”. Il motivo di questi messaggi è la mia candidatura come sindaco al comune di Roma. Una candidatura giudicata “suicida” e destinata ad una “sicura e schiacciante sconfitta”. E’ giusto, quindi, fornire qualche spiegazione politica nel momento in cui intraprendo questa breve e lunga cavalcata che, dopo le elezioni politiche, mi porterà a sfidare Veltroni. I motivi sono molti, e mi scuserete se, per brevità, passerò a elencarli uno per uno. L’importanza di Roma per la destra La nostra capitale ha sempre avuto, non a caso, un’importanza straordinaria per la destra politica: dai tempi di Almirante alla sfida di Fini contro Rutelli nel ’93, che segnò la nascita politica di Alleanza nazionale, fino all’elezione di Storace alla regione Lazio, le sorti della nostra comunità politica sono fortemente condizionate dai risultati capitolini. Ed anche oggi le difficoltà del partito si misurano e possono essere superate nel modo con cui affrontiamo lo scontro politico nella Capitale. Quando si è profilata un’ennesima candidatura centrista nella figura dell’amico ministro Baccini, la nostra memoria è andata alle precedenti sfide in questo scenario elettorale. A Roma il centrodestra è riuscito a vincere o ad avvicinarsi alla vittoria solo con candidati di An, Fini, Moffa e Storace. Ha nettamente mancato l’obiettivo con candidati centristi o della società civile, Michelini, Borghini, Tajani. Sbagliare ancora una volta il candidato significa trasformare Roma in una città come Firenze, come Perugia o come Bologna (a parte la parentesi di Guazzaloca) dove la sinistra governa strutturalmente: dopo 13 anni di ininterrotto governo di centrosinistra, la prossima volta per vincere potrebbero non aver bisogno di candidare un Rutelli o un Veltroni. Quindi, una fetta importante del destino di An e del bipolarismo si gioca a Roma, partita centrale e vitale anche per il futuro del nostro sistema politico. L’importanza di Roma per la comunità nazionale Gli slogan leghisti contro “Roma ladrona” ci ronzano ancora nelle orecchie e ci fanno tutt’ora bollire il sangue. Ma questi slogan rozzi e sbagliati rivelano un problema che noi dobbiamo risolvere se vogliamo costruire una comunità nazionale forte e coesa nello scenario globale. Roma è ancora oggi una “capitale malata”, un problema e non una risorsa per la nostra Italia. Le radici di questo problema sono lontane, nascono dal modo complicato con cui abbiamo costruito la nostra unità nazionale, dal modo violento e stravolgente con cui Roma è stata trasformata da capitale del piccolo e vetusto Stato pontificio a capitale di una grande nazione europea. Da allora i problemi di Roma non si sono mai veramente risolti: a parte il breve periodo dell’urbanistica fascista, non c’è mai stata una volontà politica chiara di far compiere alla città il necessario salto di livello. Nell’Italia prefascista le classi dirigenti piemontesi vivevano abbarbicate in pochi palazzi e in pochi quartieri costruiti abusivamente. Nell’Italia del dopoguerra la politica della Prima repubblica non ha fatto altro che inurbare milioni di nuovi cittadini in periferie immense ed orribili, nella vasta cintura dell’abusivismo edilizio. La sinistra, che governa Roma da 13 anni, ma che ha avuto altre e significative esperienze amministrative col sindaco Argan e con il sindaco Vetere, non è riuscita mai a dare una risposta profonda e strategica agli enormi problemi che abbiamo ereditato da questa storia tormentata. Roma, al contrario, può essere veramente una risorsa per la nostra comunità nazionale e non una città che aspetta l’ossigeno dei fondi per “Roma capitale” per concludere qualcosa, e che oggi è di nuovo minacciata dalla pervasiva concorrenza di Milano. Nella grande rete dell’economia globale, più ancora degli Stati-Nazione contano le metropoli di riferimento. Sono punto di riferimento Tokyo, Hong Kong, Pechino, New York, Londra più che i rispettivi Stati. Roma potrebbe aspirare ad un ruolo di questo genere perché la sua valenza eccede il dato nazionale, ha un valore universale come sede del Pontificato, ha un valore unico come la città più carica di storia, è in una posizione baricentrica nel mediterraneo, è una sorta di punto di frontiera tra il Nord e il Sud del Mondo. Insomma, ridare un grande progetto a Roma significa farla diventare una stella polare per lo sviluppo nazionale e, contemporaneamente, farla pesare nel grande mare della globalizzazione. Dopodiché non saranno Milano, non saranno i leghisti e non saranno le emicranie del bilancio nazionale a farci paura. Il laboratorio del nuovo centrodestra Non ci dimentichiamo cosa hanno significato nel ’93 le elezioni comunali di Roma, non solo per An ma per tutto il centrodestra. Scesero in campo Fini e Berlusconi, nacquero i nuovi soggetti politici della Casa delle libertà, finì il ruolo condizionante della Democrazia cristiana. Oggi siamo in un momento di passaggio per il centrodestra italiano. Comunque vadano le elezioni politiche, sarà necessario costruire un nuovo equilibrio ed una nuova prospettiva all’interno del nostro schieramento. Vinceremo in primavera nella misura in cui riusciremo a cambiare non rinnegando tutto quello che di buono abbiamo costruito in questi anni, ma offrendo una nuova ed ulteriore prospettiva politica alla nostra nazione. Una prospettiva in cui la destra non può e non deve essere subalterna a nessuno, come dimostra la candidatura di Fini alla Presidenza del Consiglio. Perché non trasformare Roma nel laboratorio avanzato di questa nuova fase? Perché non promuoverla, come è successo nel 1993 con Fini e nel 2000 con Storace, a modello della proposta politica e programmatica della destra per il futuro? Spero che tutti questi motivi siano chiari, e dimostrino quanto la partita sia inscindibilmente politica, amministrativa e culturale. Candidarsi a governare Roma non significa chiudersi in una logica municipalistica né abbandonare la politica nazionale, ma cercare di sciogliere uno dei grandi nodi che in tutti questi anni hanno gravato sulla nostra storia patria e che devono trovare una risposta se non vogliamo che l’Italia, sotto coperture ideologiche diverse e sotto interessi sempre più famelici, si disgreghi come comunità nazionale. Questi obiettivi si possono perseguire a prescindere dal risultato finale della partita, perché l’obiettivo primario è comunque quello di rompere il monopolio della sinistra, e vi posso garantire che solo il fatto che sia nata una candidatura “di punta” di Alleanza nazionale ha già incrinato questa idea di invincibilità. E, in ogni caso, oggi come ieri per noi è molto stimolante affrontare “missioni impossibili” e “compiti difficili”. Le cose facili non ci sono mai piaciute.
Gianni Alemanno
fonte: www.destrasociale.org