LA FRUSTATA DEL PROFESSORE Quercia, il giorno dello choc La richiesta di Prodi alla politica di fare «un passo indietro», hanno segnato la pagina più drammatica della storia diessina
ROMA — «Ci aspettiamo altri veleni», dice Massimo Brutti. E nelle parole del responsabile giustizia dei Ds si avverte, più che un presentimento, un doloroso senso di rassegnazione. Quel senso di ansia e angoscia che spinge gli uomini del Botteghino a compulsare all'alba i quotidiani per vedere che tempo farà quel giorno sulla Quercia. A scatenare ieri una nuova tempesta non sono stati però i resoconti di altre intercettazioni sul caso Unipol, ma la lettera di Romano Prodi alla Stampa. Quella richiesta alla politica di fare «un passo indietro», l'accenno alle «ferite» inferte dalle scalate bancarie nel rapporto con il Paese, hanno segnato la pagina più drammatica della storia diessina.
Per la prima volta il Professore e il suo maggior alleato sono entrati in rotta di collisione, e per la prima volta la maggioranza della Quercia si è spaccata. La rottura nei Ds è stata fragorosa: di qua un pezzo di partito, che insieme al coordinatore della segreteria Vannino Chiti condivide Prodi «dalla A alla Z», di là il fronte dalemiano che attraverso il capogruppo al Senato annuncia pubblicamente di «non concordare dalla A alla Z» con il leader della coalizione. Già di mattina Angius, in un giro di colloqui riservati, meditava la controffensiva: «Ho letto il testo di Prodi — ironizzava con un compagno di partito — e mi ha confuso le idee. Non fa nomi, solo allusioni». E per placare la rabbia si affidava a una battuta: «Vabbé, mi attesterò sulla linea di Ellekappa», la vignettista che su Repubblica aveva fatto dire ai suoi personaggi: «Ai Ds l'Unione chiede chiarezza». «E più soldi per la campagna elettorale...». Ma è difficile moderarsi quando si è sotto attacco. E infatti Angius si faceva serio: «Ci chiedono tutto. I soldi, i nostri voti». Il pensiero correva alle primarie, quando — come ricorda un alleato dell'Unione — «i Ds si fecero in quattro per organizzare il voto a favore di Prodi». «E passi che non ci sia mai un segno di riconoscenza», sbottava infine Angius: «Ora dovremmo anche subire senza reagire?».
Il Botteghino diventava crocevia di proteste e di proposte, in attesa del rientro dalle vacanze di Piero Fassino. E mentre il capo dei Ds era alla ricerca di un punto di mediazione, i rami della Quercia, esposti al vento, ondeggiavano senza precisa direzione. Vincenzo Visco manifestava la propria irritazione definendo «giusto» ma anche «scontato» e «un po' surreale» il richiamo del suo ex premier. Cesare Salvi osannava invece il leader dell'Unione per chiedere così «una gestione collegiale del partito»: «Basta con la ristretta cerchia». E intanto Fassino scriveva e riscriveva la risposta. Raccontano l'abbia letta ai maggiorenti, e che tra i dalemiani ci sia stato chi l'ha trovata «un po' morbida, Piero». Di qui lo stupore di quegli stessi dirigenti, poco dopo: perché il testo ufficiale, a loro dire, era stato «ancor di più ammorbidito». E quando Chiti si è schierato con il Professore, «concordo con lui dalla A alla Z», l'esile filo che teneva tutto insieme si è spezzato. È allora che D'Alema è sceso in campo: «Quella di Prodi è una dichiarazione di rottura. Bisogna reagire». Il presidente dei Ds ha visto nuovamente allungarsi le ombre di quel mondo che — a suo giudizio — gli è «ostile», e che vorrebbe condurre in modo «coatto» la «maggiore forza del Paese» verso il Partito democratico. «Se qualcuno ci volesse con la testa china — spiegava con orgoglio Angius a un suo compagno — sappia che noi la testa non la chineremo».
Così — dopo aver parlato con il presidente ds — Angius è sceso in campo, accusando Prodi di «non aver nemmeno speso una parola» per il segretario della Quercia «sotto attacco». Quella parola che sarebbe giunta solo in serata, ma non da Prodi, da Walter Veltroni: «Condivido l'ispirazione di Romano e anche la dichiarazione di Fassino, al quale voglio esprimere la mia solidarietà». Il sindaco di Roma è irritato per esser finito nella lotteria dei candidati alla successione di Fassino. Lui invece guarda al Partito democratico e non ci pensa. E soprattutto è Fassino a non voler mollare. Ma ieri per lui è stata una giornata infernale. Con la base del partito in rivolta, e che sul web invocava «un congresso straordinario». Con gli alleati del Pdci che, sempre sul web, proponevano un'irridente parodia: «La fronda della Quercia. Bancopoli fa tremare i Ds». Unipol doveva essere il segno del successo. Unipol si sta trasformando in una dannazione. «Ci aspettiamo altri veleni». E quel concetto di Brutti scatena il panico nell'alleanza. Franco Marini, infuriato con Prodi, ieri sera tentava di interpretarlo con alcuni amici di partito: «Che c... vorrà dire? Siccome il legame politico tra i Ds e le coop è noto, e nessuno si scandalizza per questo, non c'era motivo per fare quell'uscita.
E io non voglio pensare che ci sia dell'altro». Un altro esponente della Margherita, come Enzo Carra, è andato oltre: lui, che fu il portavoce di Forlani nella Dc, e dovette scandalosamente subire l'onta delle manette in Tribunale, si è schierato anzitempo a difesa del tesoriere dei Ds, Sposetti: «Non vorrei che facesse la fine del segretario amministrativo della Dc Citaristi, e divenisse il capro espiatorio di tutta la vicenda. È ipocrita pensare che i tesorieri facciano tutto di testa loro, senza risponderne a chi guida il partito». In ballo ci saranno pure il Partito democratico, l'egemonia nel centrosinistra e quel che ne consegue. Ma i cattivi pensieri che iniziano a circolare sanno di tritacarne. Perciò l'area dalemiana si chiude a riccio. Da Angius a Violante, a Brutti sostengono che «su Unipol non c'è da fare autocritica. Se apriamo il varco, ci verranno addosso». E in quel fortilizio c'è chi non si capacita della sortita di Prodi, «di come Romano — per usare un commento svolto da Angius con alcuni suoi compagni — non si sia reso conto che il suo scritto è un errore colossale. Così mette in subbuglio noi, che siamo il maggior partito della coalizione, e l'intera alleanza. E poi con chi governa?».
Lo stesso concetto, in forma meno puntuta, ripeterà alle agenzie: «Alla fine di questa vicenda, l'unico che rischia di uscirne più forte è Berlusconi». In tanti nell'Unione la pensano così. Se non fosse che il fantasma di Consorte insegue i Ds dappertutto. La notizia che l'ex capo dell'Unipol sia indagato anche per associazione a delinquere alimenta la tensione nella Quercia. L'area più vicina a Fassino, da Caldarola a Cabras, da Chiti a Barbieri, da De Piccoli alla Sereni, si attesta su una nuova parola d'ordine: «Riflessione. Serve una seria riflessione nel partito». Bandito il concetto di autocritica, che porterebbe alla delegittimazione del gruppo dirigente, e nemmeno una strenua difesa dello status quo, per evitare di venir travolti da nuovi fatti. «Ma sia chiaro — spiega uno degli esponenti dell'area fassiniana — che i prossimi passaggi interni non saranno scontati. Stavolta vorremo vederci chiaro. Non basterà più che si mettano d'accordo Fassino e D'Alema». Già D'Alema. Come ripete spesso Bersani, «a lui attribuiscono di tutto. Dall'operazione Telecom fino a Fiorani. Il partito deve respingere queste insinuazioni, perché lui, noi, abbiamo agito sempre nel rispetto delle regole. E invece viene messo tutto sul suo conto. Oh, se facessimo l'elenco delle cose che mettono in conto a D'Alema». Toccherà a Fassino il compito di salvaguardare il partito e il rapporto con Prodi. Ma non sarà facile. Il Professore non pensa a rompere il patto sul listone, ma si prepara a chiedere per sé tutti i posti da capolista. Vista la situazione, i Ds potranno rifiutare la richiesta?
Francesco Verderami
05 gennaio 2006