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    Predefinito «quando diranno ‘pace e sicurezza’ allora verrà la fine».S.Paolo

    Quando diranno «pace e sicurezza»
    Maurizio Blondet
    10/01/2006
    Ciò che vuole Israele nei suoi umori profondi, scrive su Il Corriere Gianni Riotta, è «pace e sicurezza, insieme, per sempre».
    Il binomio pace-sicurezza è il cuore ambiguo della politica israeliana, e sempre ambiguamente collegati i due concetti.
    James Bennet, sul New York Times, spiega che Sharon «ha rovesciato la logica per porre fine al conflitto [coi palestinesi] adottata dai suoi predecessori Rabin e Barak. Mentre costoro cercavanola ‘sicurezza’ attraverso accordi di pace, Sharon insisteva che solo la sicurezza può portare la pace. I palestinesi debbono deporre le armi prima che un negoziato cominci».
    Sembra perfettamente lineare.
    Ma l’analisi dei fatti rivela grovigli e doppiezze semi-confessate, psicanaliticamente subconscie. Barak per esempio, mentre s’imbarcava in accordi di «pace» coi palestinesi, è stato il premier israeliano che più (più ancora di Sharon) ha ingrossato e moltiplicato gli insediamenti israeliani nei territori occupati.
    E’ così che si aspira lealmente alla «pace»?
    Occupando surrettiziamente territori che sono oggetto del negoziato e che dovranno essere secondo giustizia restituiti?



    La «pace» non venne, venne la seconda intifada.
    Israele ha affidato tutto a Sharon, che «rovescia la logica».
    Se volete la «pace», intima ai palestinesi, dovete garantirci la nostra «sicurezza» in via preliminare. Deponete le armi prima di ogni negoziato.
    Ora, le armi dei palestinesi sono kalashnikov e qualche razzo Kassam fabbricato in cantina, che non arriva mai sul bersaglio.
    La loro sola arma efficace, l’attentato suicida, è azzerata dal «muro» di 700 chilometri che Sharon ha costruito attorno agli israeliani, per farli sentire sicuri.
    L’armamento israeliano è il terzo del mondo.
    Oltre 300 bombe atomiche, caccia, missili da crociera, elicotteri d’assalto, capacità di secondo colpo nucleare.
    E Sharon disse: «voi» deponete le armi, noi no.
    Perché voi minacciate la nostra sicurezza e dobbiamo essere armatissimi.
    Nemmeno una riduzione bilaterale e controllata degli armamenti (quelli ridicoli palestinesi e quelli letali e di massa israeliani), niente.
    «Voi disarmate» vuol dire, in questa situazione: esponete il petto alla nostra aggressione che continuerà finchè noi vorremo, e con la crudeltà che noi vorremo.
    Questa non è «pace», è la pretesa della guerra assoluta contro inermi.



    Persino Bennet ammette che qui c’è un trucco: i moderati dell’autorità palestinese hanno bisogno di qualche risultato strappato al tavolo di negoziati per guadagnare l’appoggio del loro popolo, e porre un freno ai cani sciolti del loro terrorismo.
    Sharon ha negato loro questo: li ha indeboliti, e poi li chiama colpevoli di «non frenare il terrorismo».
    La sanguinosa, confusa anarchia palestinese nasce da qui: anche se Israele vi punta il dito accusatorio, per mostrare al mondo che i palestinesi sono ormai belve irrazionali e sanguinarie.
    Il forte appoggio dato dall’opinione pubblica ebraica a Sharon e alla sua politica del bastone senza carota, ci dovrebbe indurre a chiedere se davvero Israele, nel suo umore profondo, voglia «pace e sicurezza, insieme, per sempre».
    Forse, «pace» è il nome che dà alla sua volontà di totale disfatta dell’avversario, senza alcuna concessione da parte sua.
    E la sua esibita angoscia per la propria sicurezza (per cui ogni Kassam «mette in pericolo l’esistenza stessa di Israele») è un modo freudiano per sottrarsi ai suoi obblighi di grande potenza.
    Perché Sharon ha fatto definitivamente di Israele una grande potenza mondiale, come dice sul suo sito (Antiwar.com) Justin Raimondo.



    Non solo militarmente, ma politicamente: le sue lobby gestiscono e pongono condizioni alla superpotenza americana, fanno pressioni e influenzano le classi politiche d’Europa e d’altri grandi Paesi; i loro servizi segreti e i loro consiglieri politico-militari sono in Kurdistan, hanno informatori e agenti infiltrati dovunque, dovunque si muovono per così dire per linee interne.
    Qualunque altro Paese che avesse raggiunto un simile grado di potenza letale e politica sarebbe chiamato dalla comunità internazionale ad esercitarla con responsabilità.
    A dare certe garanzie sull’uso della sua forza eccessiva.
    Per esempio: l’Europa che si dà tanto da fare per sopprimere i presunti piani nucleari della lontana Persia, dovrebbe chiedere rassicurazioni su quei cinque sottomarini israeliani armati di missili atomici che circolano segretamente nel Mediterraneo.
    La possibilità di un’apocalisse nucleare nell’esigua tinozza dell’ex Mare Nostrum dovrebbe allarmare tutti, Italia compresa.
    L’Europa, coi suoi 400 milioni di abitanti quasi inermi, è contigua a un paesetto di 6 milioni di abitanti, potentemente nucleare con missili a lunga gittata e sommergibili, che per di più non ha enunciato una chiara «dottrina» sull’uso dell’atomica.
    Non sappiamo, per esempio, se questo paesetto risponderà con la «bomba» a un attacco convenzionale, o anche a un razzo Kassam, a un attentato particolarmente sanguinoso.
    Non sappiamo dove punta i suoi missili.
    Un loro analista dice che sono puntati anche su Roma e su Parigi.

    Dovremmo noi esigere rassicurazioni da loro.
    Perché tutto fa di Israele la definizione concreta e perfetta dello «Stato canaglia» secondo la dottrina di Bush: un piccolo Paese fortemente armato di armi di distruzione di massa, che intende usarle senza controllo alcuno.
    Invece non possiamo.
    Anzi dobbiamo continuamente «rassicurare» Israele.
    Perché questa potenza globale si comporta continuamente come se fosse un piccolo paesetto da tutti minacciato, senza alcun alleato, e che quindi deve difendersi da sé come può, con ogni mezzo legale e illegale.
    E’ un comodo mezzo con cui Israele si sottrae alle sue responsabilità di grande potenza.
    E’ forte e si finge debole.
    Minaccia e si dice minacciata.
    Da ultimo, Israele è stata inserita nell’ombrello protettivo della Nato: ma non come parte dell’alleanza, con gli impegni reciproci che un’alleanza leale comporta, specie per il più armato degli alleati. E’ un’alleanza che impegna solo noi, non loro.
    A questo punto chissà perché mi frulla in capo una frase letta nei testi sacri: «quando diranno ‘pace e sicurezza’ allora verrà la fine».



    Trovo facilmente il passo: la prima lettera ai Tessalonicesi (5,3).
    E’ strano e inquietante come san Paolo, due millenni prima, usi il binomio centrale del discorso politico israeliano attuale, e che rimbalza sui giornali d’oggi.
    Come gli è venuto in mente?
    E ancora più inquietante il contesto in cui Paolo mette questa frase.
    E’ un contesto apocalittico: «circa il tempo e l’ora, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriviamo. Voi stessi infatti sapete perfettamente che il giorno del Signore arriva come un ladro nella notte. Quando diranno: ‘pace e sicurezza’, allora improvvisa precipiterà su di essi la rovina, come le doglie del parto sulla donna incinta; e non avranno scampo».
    L’accento mi pare vada messo sulla congiunzione: pace «e» sicurezza.
    Ossia «insieme e per sempre», come secondo Riotta vuole l’Israele profonda.
    Quando crederanno di averla raggiunta (questa impossibilità: sicurezza senza condizioni, totale e assoluta «pace» nel termini voluti, unilaterale e senza responsabilità), proprio allora, avverte san Paolo, «improvvisa sarà su di loro la rovina».
    Quando crederanno di essere assolutamente e definitivamente sicuri, «non avranno scampo».
    Chi sono i «loro» di cui parla Paolo?



    Siamo, si capisce, tutti noi di fronte al giorno dell’«ira».
    Ma ci sono dei «loro» speciali a cui, instancabile, la profezia ebraica rivolge i suoi avvertimenti.
    «Guai a coloro che aggiungono casa a casa/ e campo a campo/ finché non vi sia spazio/e rimaniate soli ad abitare in mezzo al Paese», avverte Isaia (5, 8-9), ed anche qui bisogna resistere a non applicarla all’attualità: chi sono i «loro» che insediando le loro colonie uniscono casa a casa, campo a campo, «finché non vi sia spazio», e restino i soli ad abitare un Paese che Dio ha voluto misto e vario di uomini e religioni, «casa di preghiera per tutte le genti»?
    C’è un’altra profezia di Isaia che Paolo (l’allievo di Gamaliele, fariseo, esperto di Scritture) doveva avere a mente quando scrisse le sue parole ai Tessalonicesi.
    «Giacchè voi confidate/ in ciò che è perverso e tortuoso/ la vostra colpa sarà per voi come una crepa nascosta/ che rigonfia un muro/ e lo fa crollare in un attimo, subitamente» (Isaia, 30, 2).
    La subitaneità dell’evento previsto è eguale in entrambi.
    E’ lo stesso accadimento istantaneo descritto da Gesù secondo Matteo (24, 15-21): «quando vedrete l’abominio della desolazione…quelli che si trovano in Giudea fuggano sui monti, chi è sulla terrazza non scenda in casa a prendere la roba»: non ci sarà tempo.
    L’evento premonitore è per Isaia il confidare nella «sicurezza» che viene «da ciò che è perverso e tortuoso» (altrove rimprovera chi pensa: «abbiamo preso rifugio nell’iniquità»), per Paolo è «quando diranno: pace e sicurezza» insieme, non più separate.
    Si è tentati di pensare che l’uno e l’altro binomio coincidano: perverso-tortuoso, pace-sicurezza.



    Provo così a rispondere a un ennesimo lettore che mi accusa di avercela con gli ebrei, come una mia paturnia personale.
    Ciò che fanno gli ebrei riguarda «il giorno del Signore»; sbagliarsi sul loro conto non è solo un errore politico, è un rischio per la propria anima.
    Espone a schierarsi con l’Anticristo.
    Una paturnia personale?
    Bisogna qui citare un celebre hadit di Maometto: «da Adamo alla resurrezione dei morti, non c’è questione più grande di quella dell’ ‘impostore’» (n. 1812).
    L’«impostore», o il «ciarlatano», è il Dajjal, l’Anticristo.
    Non è un problema marginale, è centrale alla storia umana intera, da Adamo alla resurrezione. Come cattolici, sappiamo qualcosa di più preciso: «l’Anticristo è colui che nega che Gesù sia il Messia», dice Giovanni (1, 2, 22).
    Non abbiamo scuse, non cerchiamolo altrove.
    Con ciò spero di rispondere anche a Massimo Mazzucco, che mi difende generosamente su Indymedia (e lo ringrazio).
    Egli dice: «sembra quasi che il problema dell’11 settembre lo riguardi personalmente», Blondet.
    E questo «volersi ‘incaricare personalmente’ di una causa talmente più grande di chiunque, può anche costare l’azzoppamento anticipato della persona e della causa stessa».



    Lo so, e sono pieno di paura.
    Anch’io vorrei pace e sicurezza per me, tutte e due insieme e per sempre.
    Maometto dice che l’«impostore» sarà smascherato da un testimone.
    «Un uomo credente si farà avanti a lui e dirà: uomini, questo è l’ ‘impostore’ di cui ha parlato il profeta».
    Non insinuo di essere io quell’uomo, so i miei peccati e le mie viltà.
    Voglio solo dire che quell’uomo - secondo Maometto - non farà che svelare una verità che sarà evidente a tutti, ma che tutti faranno finta di non vedere.
    E questo coincide con la frase di san Paolo che segue a quella inquietante sulla «pace e sicurezza» come inizio della fine.
    «Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno vi sorprenda come un ladro; infatti voi siete figli della luce e figli del giorno: non siamo né della notte né delle tenebre. Pertanto non dormiamo come gli altri, ma vegliamo» (1 Tess. 5, 4-6).
    Dobbiamo vegliare tutti noi cristiani, per pochi che siamo rimasti.

    Maurizio Blondet




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  2. #2
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    prevedo il prossimo "ictus" per Blondet....

  3. #3
    Totila
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    Citazione Originariamente Scritto da Genyo
    prevedo il prossimo "ictus" per Blondet....
    Credo che Blondet abbia forti protezioni... In fondo lui non guida un movimento di milioni di persone; ha solo due o tre mila lettori...

  4. #4
    Ridendo castigo mores
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    Predefinito

    eppure.. comincia a dare fastidio e suoi probabili " protettori" ,che possono essere anche dove non ve lo potete immaginare ( leggete bene l' impianto degli " adelphi della dissoluzione") sono sempre piu deboli ..

    non c' e versi ragazzi chi crede all' apocalisse non puo' illudersi che la propria sconfitta non sia totale. E' una battaglia per salvare l' anima pur sapendo che si perdera' il corpo .
    e' un "amaro calice"
    "dammi i soldi, e al diavolo tutto il resto "
    Marx


    (graucho..:-))

 

 

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