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  1. #11
    Gaeta resiste ancora!
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    Nvceria Constantia
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    ...celtico?? gli italiani sono celtici?? ma che stai dicendo??
    ascolta la voce del tuo sangue?? qua siamo al delirio puro...
    i lombardi ieri erano garibaldeschi, oggi dicono di essere celtici,bah cazzi loro !
    la voce del sangue, dimmi un pò quanti parenti ti sono morti nella 1GM e nella 2GM e nelle altre guerra volute dai saBOIArdi e combattutte x gli interessi del nord... in quanti hanno dovuto emigrare, tu troverai lavoro nella tua regione (nazione in realtà!) ?

    vogliamo parlare delle rivoluzioni popolari siciliane contro l'assolutismo dei borboni?
    o il tuo "revisionismo" storico nega l'esistenza dello spargimento di sangue di quella povera gente??
    lo ripeto 1866 i saBOIArdi in nome della libertà (sic!) e fecero mlt + vittime e sto omettendo i morti continentali !!!

    vogliamo parlere delle uniche 20 famiglie ricche della sicilia sotto i borboni?
    o il tuo "revisionismo" storico dice che i siciliani erano ricchissimi e che la sicilia aveva il tenore di vita più alto dell'epoca?
    QUANDO TI HO RISPOSTO HO CITATO LE FONTI DA CUI HO ATTINTO, FIORI DI AUTORI DA GRAMSCI A NITTI, DA DOSTOEVSKIJ AL DOCUMENTO PONTIFICIO, TI PREGO DI FARE ALTRETTANTO...
    IO SO COME SI STUDIA LA STORIA, QUINDI PARLO A RAGION VEDUTA !!!

    SUL TENORE DI VITA SICILIANO, FINO AL 1860 NON SI EMIGRAVA DOPO SI'.... CI SARA' UN MOTIVO !??!!?

  2. #12
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    A proposito del Bertoletti e del suo lavoro "Il Risorgimento visto dall'altra sponda", sarebbe effettivamente un'utile lettura per tanti soprattutto per una ragione: l'autore è un piemontese e quindi non sospetto di parzialità pro-Sud.
    In effetti, e la lettura veloce che ho fatto degli interventi in questa discussione mi convincono sempre di più che niente è più difficile che smuovere qualcuno dalle opinioni che si è formato nel corso degli anni.
    Solo spiriti veramente curiosi - giovani mentalmente (l'età non c'entra, purtroppo ci son ventenni più incrostati di ottantenni) - riescono a tornare sugli argomenti già conosciuti, cercando una diversa prospettiva.
    Un esempio minimo, banale, di come la storia venga scritta ad esclusivo uso dei vincitori: tutti ricorderanno (o no?) l'origine del soprannome affibbiato a Ferdinando II, "Re Bomba", per il bombardamento di Messina del 1849.
    E quanti sanno l'origine del sopranome "Re Galantuomo" dato invece a Vittorio Emanuele II ?
    Per un curioso parallelismo, siamo sempre nel 1849, e si tratta sempre del bombardamento di una città, in questo caso Genova.
    Solo che, nel primo caso, quel fetentone di Ferdinando stava riprendendo il controllo della Sicilia, cioè di un territorio facente parte dello Stato.
    Nel secondo, invece, era stato provocato dalla ribellione di Genova che non
    gradiva l'occupazione da parte delle truppe austriache prevista dalla clausole dell'armistizio imposte al Piemonte.
    Per rispettare queste clausole, quindi, Vittorio Emanuele fece bombardare la città.
    Questi i fatti nudi e crudi. Ognuno è libero di giudicare come meglio crede.

  3. #13
    Giuro di essere fedele al Re!
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    Citazione Originariamente Scritto da Emmeauerre Visualizza Messaggio
    A proposito del Bertoletti e del suo lavoro "Il Risorgimento visto dall'altra sponda", sarebbe effettivamente un'utile lettura per tanti soprattutto per una ragione: l'autore è un piemontese e quindi non sospetto di parzialità pro-Sud.
    In effetti, e la lettura veloce che ho fatto degli interventi in questa discussione mi convincono sempre di più che niente è più difficile che smuovere qualcuno dalle opinioni che si è formato nel corso degli anni.
    Solo spiriti veramente curiosi - giovani mentalmente (l'età non c'entra, purtroppo ci son ventenni più incrostati di ottantenni) - riescono a tornare sugli argomenti già conosciuti, cercando una diversa prospettiva.
    Un esempio minimo, banale, di come la storia venga scritta ad esclusivo uso dei vincitori: tutti ricorderanno (o no?) l'origine del soprannome affibbiato a Ferdinando II, "Re Bomba", per il bombardamento di Messina del 1849.
    E quanti sanno l'origine del sopranome "Re Galantuomo" dato invece a Vittorio Emanuele II ?
    Per un curioso parallelismo, siamo sempre nel 1849, e si tratta sempre del bombardamento di una città, in questo caso Genova.
    Solo che, nel primo caso, quel fetentone di Ferdinando stava riprendendo il controllo della Sicilia, cioè di un territorio facente parte dello Stato.
    Nel secondo, invece, era stato provocato dalla ribellione di Genova che non
    gradiva l'occupazione da parte delle truppe austriache prevista dalla clausole dell'armistizio imposte al Piemonte.
    Per rispettare queste clausole, quindi, Vittorio Emanuele fece bombardare la città.
    Questi i fatti nudi e crudi. Ognuno è libero di giudicare come meglio crede.
    Nemmeno bisogna credere che Ti racconti verità il primo che arriva affermando che gli asini volano.

    Mi pare sia ciò che sta succedendo a Te.

    Apertura intellettiva, disponibilità a rivedere opinioni ed ampliare conoscenze è cosa buona e civilissima, meno lo è il soggiacere ai pamphlet per i trinariciuti di guareschiana memoria.

  4. #14
    Giuro di essere fedele al Re!
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    Citazione Originariamente Scritto da Princ.Citeriore Visualizza Messaggio
    Dal libro il Risorgimento visto dall'altra sponda, di Bartoeltti:
    "Il capitano De Filippis, comandante la batteria di Gaeta chiamata « Denti di Sant'Antonio », sette volte ferito rimase intrepido al comando. Il tenete Savio, morto mentre puntava un cannone, veniva sostituito immediatamente dal fratello Attilio, che poi cadeva sul cadavere del fratello. Una notte Maria Sofia, alle due dopo la mezzanotte, si portava sulla batteria « Ferdinando » mentre una bomba piemontese cadendo in mare lanciava un'onda sulla persona della regina; ed ella esclamò: « Coraggio soldati, è questo il battesimo della vittoria »."
    Mentre le navi di Persano bombardavano facilmente le pattuglie borboniche che uscivano dalla fortezza di Gaeta per com­piere esplorazioni sia sul litorale sud che su quello a nord. Ma i soldati e gli ufficiali napoletani non volevano arrendersi; e non certo per la speranza di fare carriera o di godere futuri benefici. Resistevano e morivano; e i superstiti resistevano ancora. Maria Sofia compariva sui bastioni e narra la leggenda che in quei momenti il co­mandante dell'esercito piemontese desse ordini ai suoi artiglieri: « non sparate, quando compare l'Augusta Si­gnora ». E tale « Augusta Signora » quando il generale Cialdini a mezzo di un parlamentare le mandò a dire di far innalzare una bandiera nera sulla di lei abitazione onde salvarla dal tiro dei cannoni, così fece rispondere da un proprio incaricato: « Sebbene la Maestà della Re­gina sia rimasta sensibilissima alla cavalieresca cortesia di V.E. pure vorrà Ella permettere che invece di porre la bandiera sul palazzo di S.M., si possa inalberarla sul tempio di San Francesco, edificio monumentale elevato e diretto dal chiaro architetto, forse a V.E. non ignoto, signor Giacomo Guarinelli ».
    Risposta da grande sovrana, coraggiosa ed altera, cui ripugnava nascondersi sotto la protezione di una ban­diera issata sul proprio tetto per non correre il rischio di un bombardamento inumano quanto vile, come era quello eseguito con cannoni a lunga gittata contro chi era armato di cannoni che non potevano adeguatamente rispondere all'avversario.
    Fu una resistenza veramente epica e quei valorosi, ri­cordiamolo, erano italiani. E il Re era napoletano e sua madre era una principessa di Savoia. Mai nella storia, nei lontani secoli e anche purtroppo dopo il 1861, una coppia regale o principesca, ha saputo dimostrare tanto sublime coraggio, quanto ne dimostra­rono Francesco e Maria Sofìa, i quali, ricordiamolo, erano convinti di avere già perduto.


    Tratto da 'O Suldat 'e Gaeta di Ferdinando Russo

    E 'a Riggina! Signò!... Quant'era bella!
    E che core teneva! E che maniere!
    Mo na bona parola 'a sentinella,
    mo na strignuta 'e mana a l'artigliere...
    Steva sempe cu nui!... Muntava nsella
    currenno e ncuraggianno, juorne e sere,
    mo ccà, mo Uà... V 'o ggiuro nnanz' 'e sante!
    Nn'èramo nnammurate tuttuquante!
    XIII.
    E 'a Riggina! Signò!... Quant'era bella!
    E che core teneva! E che maniere!
    Mo na bona parola 'a sentinella,
    mo na strignuta 'e mana a l'artigliere...
    Steva sempe cu nui!... Muntava nsella
    currenno e ncuraggianno, juorne e sere,
    mo ccà, mo Uà... V 'o ggiuro nnanz' 'e sante!
    Nn'èramo nnammurate tuttuquante!
    XIV.
    Cu chillo cappellino 'a cacciatora,
    vui qua' Riggina! Chella era na Fata!
    E t'era buonaùrio e t'era sora,
    quanno cchiù scassiava 'a cannunata!...
    Era capace 'e se ferma pe n'ora,
    e dispenzava buglie 'e ciucculata...
    Ire ferito? E t'asciuttava 'a faccia...
    Cadive muorto? Te teneva mbraccia...
    XV.
    'E ppalle le fiscavano pe nnanza,
    ma che ssa'... le parevano cunfiette!
    Teneva nu curaggio e na baldanza,
    ca uno le zumpava 'o core 'a piette!
    Te purtava 'e ferite all'ambulanza
    steva sempe presente a capo 'e liette...
    E tutte, chi 'a chiammava e chi mure va,
    'a stevano a guarda cu ll'uocchie 'e freva...
    XVI.
    Muri p'Essa! Era 'o suonno 'e tuttuquante!
    Desidera nu vaso nfronte 'a chella,
    segnifecava: «Mettimmoce nnante
    pefa na morte ca se chiamma bella!».
    Npietto, p'avé n'aucchiata 'a sta Rignante,
    te faci ve arapì na furnacella!...
    Propio accussì, signore mio!... Vedite?...
    V 'o sto cuntanno e chiagno... e vui redite...!
    XVII.
    No!... Nun me piglio collera!... Se sape!...
    Vuie site troppo giovane...! Nun mporta!...
    Ma, 'a tanno a mo!... se so' mbrugliate 'e ccape!...
    V'hanno mparato a ghì p' 'a strata storta!...
    'E piamuntise? Chille erano crape!...
    Ma l'avetteno nzuonno, 'a bona sciorta!
    E a Calibbardo ca metteva 'e gghionte
    ched'è? nun 'o sparàino, a Naspramonte?!

    Sono passati 81 anni dalla scomprsa della Regina e non eiste una dico UNA via dedicata a Lei... mentre meriterebbe le piazze più belle, delle Città più significative.
    UNA VERGOGNA !!!






  5. #15
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    Citazione Originariamente Scritto da matrix82ct Visualizza Messaggio
    vorrei ricordarti che è morta tanta gente anche per ottenere l'unità... anche loro a sentire te si rivolterebbero nella tomba... una unità tanto sofferta, voluta e grazie a dio ottenuta è assurdo che oggi possa essere messa in discussione anche se solo da una minima e insignificante parte della popolazione ITALIANA!
    Sarebbe interessante sapere qualche nome di persone innocenti che hanno perso la vita a causa della loro aspirazione a diventare sudditi di Vittorio Emanuele. In ogni caso, credimi, sono decisamente di più coloro che sono stati uccisi perché volevano semplicemente condurre la propria vita serenamente come era stato fino ad allora...
    Non è l'unità che qui si mette in discussione, ma il modo in cui è stata fatta e i risultati che ha prodotto, sempre che non si voglia continuare a sostenere razzisticamente (spesso da parte proprio di noi meridionali) che i guai del Sud e della Sicilia sono la conseguenza delle nostre tare genetiche.

  6. #16
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    Predefinito Intervista a Maria Sofia

    di Leonardo Sciascia

    D. Signora ... Mi consente di chiamarla semplicemente signora, vero?

    R. Dopo Edoardo, Faruk e Costantino; dopo le tante Marie, Margherite e Anne di cui si rallegreranno, tra tanta tristezza, le cronache: proibirei persino al mio lacchè di chiamarmi maestà.

    D. Ho indovinato che lei non volesse più sentirsi regina: ma credevo per il fatto che ormai da quasi trent'anni l'Italia è una repubblica.

    R. Ha sbagliato, invece: mi sento ancora regina, e la repubblica mi è indifferente ... Vede: io sono stata educata a un significato della parola repubblica come sinonimo di disordine, che è poi lo stesso significato che alla parola davano, e forse lo danno ancora, le popolazioni dell'Italia meridionale. In questo senso, l'Italia è stata sempre una repubblica: anche sotto la monarchia.

    D. Allude a quella dei Savoia?

    R. Ma no, anche alla nostra: la monarchia dei Borboni di Napoli non era meno repubblica di quella dei Savoia. Anzi, a dirla francamente, lo era di più.

    D. Immagino che con questo paradosso, dell'Italia sempre repubblica perché sempre nel disordine, lei si spieghi perché appunto dopo la proclamazione della repubblica, dopo che l'Italia - almeno formalmente, secondo il suo punto di vista - è passata dalla monarchia alla repubblica, sia venuta fuori una certa nostalgia e rivalutazione dei Borboni di Napoli.

    R. Esattamente. Repubblica per repubblica, cioè disordine per disordine, meglio quello antico che il nuovo: si era talmente assestato da somigliare all'ordine. E poi era così pittoresco, così festoso, così splendido. Tutto era spettacolo: anche la forca, anche la carestia ...

    D. A proposito di forca: lei avrà letto "La fine di un regno" di Raffaele de Cesare ...

    R. Ho letto tutti i libri che riguardano la dinastia dei Borboni di Napoli, e specialmente, con più attenzione, quelli che ne raccontano la fine.

    D. Ricorderà dunque, del de Cesare, la descrizione dell'ultima giornata napoletana sua e di suo marito ...

    R. Ricordo: ma della mia seppe ben poco. Tutto sommato, tirando a immaginare, ci andò vicino quel vostro insopportabile D'Annunzio.

    D. Insopportabile anche per lei?

    R. Soprattutto per me. Lei non immagina quanto siano insopportabili, per le regine, gli scrittori che amano le regine, l'eterno femminino reale, e così via ...

    D. Ma il poeta dell'eterno femminino reale lei sa che fu caro a una regina.

    R. Lei dice: una regina, un poeta. Ma lui era poeta quanto lei una regina.

    D. Né lui poeta né lei una regina, dunque ...

    R. Proprio così: di nome, di insegne. La regalità e la poesia vanno oltre, sono ugualmente ineffabili ... Ma lei mi domandava del de Cesare.

    D. Si, ecco: de Cesare descrive l'ultimo omaggio dei ministri a Francesco II, registra le frasi che il re rivolge a ciascuno e si ferma su quella che rivolge a Liborio Romano, ministro dell'interno ...

    R. Ah, don Liborio ...

    D. Don Liborio ... Vedo che il ricordo di Don Liborio la diverte.

    R. Moltissimo. E malignamente ... Si, mi ricordo della frase che il de Cesare riporta, me ne ricordo anche perché mio marito, tornando da quell'ultima cerimonia, me la riferì: "Don Libò, guardat' u cuollo".

    D. Questa frase, piuttosto ambigua, il de Cesare ebbe il dubbio volesse intendere "se torno faccio la festa", cioè ti faccio afforcare; mentre don Liborio la interpretò come affettuosa raccomandazione a guardarsi da Garibaldi e dal nuovo corso delle cose.

    R. Ha ragione il de Cesare: Francesco II si proponeva, tornando, di farlo impiccare ... Poveretto, ci credeva davvero che avrebbe riguadagnato il suo regno ... Ma in quanto a fare impiccare don Liborio, non ne avrebbe mai avuto il coraggio. L'avrebbe fatto di nuovo ministro, anzi: Don Liborio era così divertente ... Più che divertente: irresistibile ... In Italia i traditori, i ladri di passo e i ladri di tavolino, gli assassini persino, sono tutti divertenti, tutti irresistibili ... Passa una repubblica, ne viene un'altra: e sono sempre al loro posto. "Ruba, ma è così divertente". "Ha fatto ammazzare il tale, ma è così simpatico". "So quello che è, forse mi tradisce: ma è irresistibile". La conversazione degli italiani abbienti e potenti è tutta intessuta di frasi simili. E alle frasi corrispondono personaggi, fatti.

    D. Lei esagera.

    R. Le assicuro che no. Io forse conosco l'Italia meglio di lei.

    D. L'Italia del sud, se mai, e quand'era regno di Napoli.

    R. Non c'è altra Italia che quella del sud: e mi meraviglio che proprio lei non lo sappia. E non solo nella nozione in cui il napoletano e il siciliano cancellano il piemontese e il lombardo al punto che non ne resterebbe traccia se Stendhal non si fosse dichiarato milanese e la contessa di Castiglione non fosse finita nell'alcova di Napoleone III; ma in concreto, effettivamente ... Io mi sono fatta questa immagine dell'Italia: un piccolo e innocuo serpente d'acqua che nelle convulsioni del 1860 è diventato un nodo. Tenta di sciogliersi, e il risultato è che si dà dei morsi senza riuscirvi. Quel nodo è il sud. Scioglietelo e avrete l'Italia. Ma credo che nessuno lo scioglierà mai.

    D. E prima delle convulsioni del 1860?

    R. Un piccolo e innocuo serpente d'acqua. Se le aggrada posso anche dire: un'anguilla. E non solo per il suo sgusciare, per il suo sfuggire, per i suoi letarghi; ma anche per i corsi e ritorni misteriosi della sua civiltà, dei suoi inutili splendori ... Ma stavamo parlando di don Liborio ...

    D. Mi pare di capire che lei, tornando a regnare, avrebbe fatto di tutto perché suo marito lo facesse impiccare.

    R. Ma no, don Liborio divertiva anche me ... O forse si, l'avrei fatto impiccare ... E' un problema che non mi sono mai posta, quello di ciò che bisognava fare se fossimo tornati a Napoli, se fossimo tornati a regnare. E per il semplice fatto che non ho mai creduto che si potesse tornare ... Ricordo nitidamente l'episodio che mi diede la certezza che non saremmo tornati e la coscienza, anche, che non valeva la pena tornare. E' stato il giorno precedente alla nostra partenza da Napoli per Gaeta: eravamo usciti dalla reggia in una carrozza scoperta, per la passeggiata, come ogni giorno: per ostentare che tutto fosse immutato, che l'avanzare di Garibaldi non ci preoccupava ... Ma lei questo episodio lo avrà letto nel de Cesare.

    D. Sì, e l'ho trascritto nei miei appunti ... Eccolo ... L'ho trascritto perché volevo chiederle quali fossero stati i suoi sentimenti: realmente, al di là delle apparenze ...

    R. Mi legga il suo appunto.

    D. " ... il re uscì dalla reggia in un legno scoperto, insieme con la regina e due gentiluomini. Non appariva impensierito; anzi Maria Sofia, quasi ilare, discorreva con vivacità ora con lui ora con i due gentiluomini ... In una delle prime botteghe sotto la Foresteria, oggi prefettura, stava allora la farmacia reale Ignone, la quale sull'insegna aveva i gigli borbonici, ed il cui esercente era stato un furioso reazionario. Una scala, poggiata all'insegna, impediva il transito delle vetture. Il re si fermò e vide che alcuni operai, saliti sulla scala, staccavano dalla tabella i gigli; additò con la mano a Maria Sofia la prudente operazione del farmacista, e nessuno dei due se ne mostrò commosso, anzi ne risero insieme".

    R. Verissimo. Ma il re fingeva di divertirsi: stava soffrendo maledettamente. Io invece finii di soffrire proprio in quel momento: come se fosse calato il sipario su un dramma lacrimoso e si fosse rialzato immediatamente su una farsa. Ho riso veramente, forse anche con una certa volgarità: improvvisamente libera, leggera, senza responsabilità, senza doveri ... Niente più valeva la pena, la nostra pena: tutto sarebbe mutato perché nulla mutasse, con noi o senza di noi, contro di noi o contro i Savoia che stavano per succedere a noi. Le vere dinastie erano quelle dei farmacisti Ignone, dei don Liborio: le dinastie a due anime. Dinastie immutabili, dinastie eterne. In un solo corpo, due anime: una reazionaria e una progressista, una fascista e una anarchica, una massimalista e una riformista, una che si confessa e una che bestemmia, una che va alla messa di mezzogiorno e l'altra che frequenta le riunioni massoniche di mezzanotte, una fedele e una che tradisce ...

    D. Una frase che ha detto poco fa, mi fa pensare che ha letto "Il gattopardo".

    R. No, non l'ho letto. Parodiando una battuta di Disraeli, le dirò che quando voglio leggere un romanzo come "Il gattopardo", non ho che da scriverlo. Naturalmente, ne ho sentito tanto parlare. Dicono sia un bel libro, scritto molto bene. Io, si capisce, non sarei stata in grado di scriverlo così bene: nemmeno in francese.

    D. Perché non l'ha letto?

    R. Perché non ho mai letto un romanzo. Il romanzo è una sconvenienza, una volgarità. E ancora di più se è un aristocratico a scriverlo.

    D. Ma prima mi diceva di D'Annunzio: quel brano che la riguarda si trova in un romanzo.

    R. Quel brano me l'hanno letto una sera, a Parigi, in una casa di borghesucci.

    D. In casa dei Verdurin?

    R. Non so come si chiamassero. Qualche volta un mio cugino riusciva a trascinarmi tra gente inverosimile.

    D. Mi sa che per una serata tra gente, come si dice, inverosimile, lei è diventata personaggio di uno di quei grandi libri ...

    R. Lo so. Ma non l'ho letto questo grande libro. Non lo leggerò. E non voglio nemmeno parlarne.

    D. Ha qualche ricordo dell'autore?

    R. Nessuno. Pare fosse un uomo del tutto insignificante, a parte il suo tremendo snobismo ... Eppure, tutti sembravano essere dell'avviso che io debba rendere conto di tutta la mia vita solo su questo punto: se ricordo o non ricordo Marcel Proust. Anche in certi luoghi alti, che lei ancora non conosce, e dove mi aspettavo di dover rispondere dell'amore e dell'odio, la prima e sola domanda che mi hanno fatto è stata questa: "si ricorda di Marcel Proust?". No, non mi ricordo: sono un'anima persa.

    D. Interessante: la letteratura come cosa dell'altro mondo.

    R. Sembra di si: almeno per quanto riguarda questo signor Proust. Mi pare di aver capito che la sua operazione si sia svolta ai confini di un segreto, di un mistero; che abbia tentato, non so, di vivere due volte.

    D. Forse quello che lei ha definito tremendo snobismo è appunto questo: un voler vivere due volte, uno sdoppiamento dell'esistenza.

    R. Può darsi, ma non me ne importa. A me è bastato vivere una: troppe regole, troppa fatica ... E in quanto agli scrittori: mi ricordo benissimo, invece, di Anatole France e di Alphonse Daudet.

    D. Ma non ha letto libri né dell' uno né dell'altro.

    R. Di France, qualche discorso funebre. E di Daudet qualche articolo polemico in difesa della monarchia ... No, sto sbagliando: il polemista monarchico era suo figlio Lèon, quello che ha bollato come stupido il secolo XIX. E con quanta ragione!

    D. Ma di un libro del padre deve almeno aver sentito parlare ...

    R. Ma si, un romanzo diventato poi commedia: "I re in esilio". Pare che la protagonista, la regina Federica di Illiria, mi somigli ... Stupidaggini, cose da romanzi.

    D. Credo proprio che le somigli. Se si leggessero in continuità, il romanzo di Daudet e le pagine di Proust che la riguardano, non ci sarebbe dubbio che il personaggio è lo stesso. E non può essere un caso: i due scrittori hanno conosciuto lei, parlano di lei.

    R. Può darsi.

    D. La cosa più interessante, nel romanzo di Daudet, è l'amore silenzioso, rispettoso fino al sacrificio, del giovane intellettuale monarchico per la giovane regina. E' possibile, mi consenta di chiederglielo, che Daudet abbia saputo di un amore simile, ispirato da lei nei primi anni dell'esilio parigino?

    R. Tanti mi hanno amata; e anche meno rispettosamente del giovane monarchico di Daudet. Nella storia della fotografia, lei forse non lo sa, su di me è stato consumato l'ignobile esperimento di uno dei primi forse, certamente dei più riusciti, fotomontaggi. L'immagine di me nuda è corsa per l'Europa, ha avuto un mercato ... La regina nuda: immagini gli effetti, in un paese monarchico e cattolico ... Certo, non ci voleva molto a capire che quel corpo non era il mio, ma di una di quelle ciociare che scendevano a Roma a fare le modelle o le balie. Un corpo italiano, un corpo romano: di quelli che subito si sfasciano ... Ma credo sia piaciuto a tutti credere che fosse il mio, anche ai più devoti difensori della nostra causa, anche ai parroci e ai cardinali.

    D. E lei che effetto ne ha avuto?

    R. Di indignazione, naturalmente. Ma anche di una certa soddisfazione: i nostri nemici erano ignobili quanto i nostri amici; e avevo creduto fossero invece i migliori. Poi, anche, una sensazione di libertà: poiché quasi tutti credevano che quel corpo nudo fosse il mio, era il mio. Insomma: ero libera fino alla nudità. In questa sensazione, in questo sentimento, si insinuava la tentazione di farmi davvero fotografare nuda: per cancellare con il mio corpo giovane, esile, leggero quel corpo pieno e sul punto di sformarsi ... Ma parliamo d'altro: o lei finirà col pubblicare questa intervista in una rivista per uomini soli o per soli uomini.

    D. Parliamo d'altro, se vuole. E cioè ancora del regno delle due Sicilie, dell'Italia ... Ecco: c'è un fatto che l'ha colpita particolarmente, nelle sue brevi vicissitudini di regina, nel suo lungo esilio di ex regina?

    R. Non parlerei d'esilio: Parigi non era l'esilio, per me; forse l'esilio sarebbe stato il regnare a Napoli. O, tout court, il regnare ... Comunque: una cosa che mi ha colpita particolarmente ... Ecco: i fatti di Bronte ... Lei mi pare ne sappia qualcosa.

    D. Si, qualcosa ...

    R. Noi eravamo assediati a Gaeta, quando ci giunse notizia di quello che era accaduto in quel piccolo paese della Sicilia dove il bisnonno di mio marito aveva insediato come duca l' ammiraglio Nelson. La notizia era questa: che delle popolazioni a noi fedeli si erano sollevate contro Garibaldi e Garibaldi aveva mandato lì, a fucilare, quel suo generale Bixio. La commozione di Francesco II fu grande, e anche la mia. Per anni il nome di quel paese ebbe nel cuore del re lo splendore della fedeltà, del martirio. Del resto, lo dicevano anche gli storici e i memorialisti garibaldini e sabaudi: in quel paese si era accesa ed era stata subito spenta la reazione borbonica ... Più tardi, leggemmo la storia di quel paese scritta da un padre cappuccino: e i fatti, apprendemmo, avevano avuto tutt'altro senso. Quei contadini avevano sentito che Garibaldi portava la rivoluzione, e l'avevano fatta. Semplicemente. Ma per aver fatto la rivoluzione erano stati fucilati dai rivoluzionari. Non le sembra incredibile?

    D. Eh si, incredibile.

    R. Eppure, da altri libri che son venuti dopo quello del padre cappuccino, non c'è dubbio: le cose sono andate effettivamente così. E allora?

    D. E allora?

    R. Niente. Voglio dire: la forca di Francesco II, se fossimo tornati, sarebbe stata più rivoluzionaria: a prendervi sarebbe stato don Liborio.

  7. #17
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    Loro vinsero e noi perdemmo...nonostante l'eroica ed intramontabile lotta sia dei fedelissimi soldati neoborbonici Napoletani (insomma del Regno delle Due Sicilie) che degli ancora più tenaci contadini e operai che furono chiamati Briganti dopo la caduta dell'ultima roccaforte: Civitella del Tronto, e la cui tenacia - quella dei Briganti con Civitella caduta -, fu spezzata dopo circa 10 anni di spietati combattimenti...anche con l'immigrazione che portarono per la prima volta milioni di persone meridionali in giro per il mondo, equiparandosi in tal maniera alle popololazioni del Nord Italia, dove l'immigrazione era endemica già anni e anni prima, come pure quella inglese e irlandese!
    Ci avete portato miseria...questo ci avete portato!
    Una guerra dietro l'altra...morti continue fra i contadini e gli operai anche per le barbare repressioni delle manifestazioni contro l'aumento del costo della vita dove il denaro serviva all'arroganza dei nuovi sovrani !
    Ci avete dissanguato, da italiani non uniti ma servi con 2 guerre mondiali!!!
    Non ci avete portato la libertà, la democrazia, la repubblica...: ci avete solo cambiato nome alla dinastia monarchica, dal fiore che avevamo ci avete portato l'ortiga...anzi, la cicuta!!...e ce l'avete fatta bere fino al 1946 alla luce del sole e nascosti ancora oggi!
    Il nostro Re Francesco II di Borbone morì ad Arco..in terra straniera!...perché forse che non erano d'accordo i Borbone ad unire l'Italia?
    Aveva il Regno delle Due Sicilie bisogno di essere annesso con una guerra?
    Il male ritorna a chi lo fa....

  8. #18
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    Citazione Originariamente Scritto da Princ.Citeriore Visualizza Messaggio
    al riguardo leggi ciò ke sosteneva GRAMSCI sul "brigamtaggio"...anke lui un pericoloso borbonico ?
    ma Gramsci non diceva anche che "una MENZOGNA detta da un comunista era una VERITA' RIVOLUZIONARIA"?

    Penso che il povero Lasa si sarebbe adirato nel sentire che citi i comunisti, sebbene per cercare di difendere il suo Regno.
    NOI SIAMO LA VERA ITALIA !
    RICOSTRUIAMO LA NOSTRA PATRIA !

  9. #19
    Gaeta resiste ancora!
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    Se spulciamo i dati oggettivi sulla "repressione del brigantaggio", scopriamo che Gramsci, nipotino di un Difensore di Gaeta, riportò la pura e semplice verrità!
    L'indomita Maria Sofia dopo la morte di Francesco si "alleò" con gli anarchici ("non conta se il gatto è nero o bianco, l'importante e che prenda i topi" Deng Xiaoping, Spatz probabilmente aiutò chi uccise re mitraglia!

  10. #20
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    Citazione Originariamente Scritto da Fante d'Italia Visualizza Messaggio
    Nemmeno bisogna credere che Ti racconti verità il primo che arriva affermando che gli asini volano.

    Mi pare sia ciò che sta succedendo a Te.

    Apertura intellettiva, disponibilità a rivedere opinioni ed ampliare conoscenze è cosa buona e civilissima, meno lo è il soggiacere ai pamphlet per i trinariciuti di guareschiana memoria.
    Benissimo, suppongo che tu sia in grado di illuminarmi in materia, a che titolo il re galantuomo fece bombardare Genova ?

 

 
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