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Discussione: Un popolo di imbecilli

  1. #11
    Blut und Boden
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  2. #12
    Blut und Boden
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  3. #13
    Blut und Boden
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    Citazione Originariamente Scritto da Derfel
    mi sembra che abbiate dei dubbi anche voi su chi siano questi pseudo padani etnici.
    Se ti riferisci ai padani inconsapevoli e rinnegati, fanno parte della condizione di imbecillità diffusa.

  4. #14
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    Citazione Originariamente Scritto da Eridano
    Nein!
    Bene, malinteso chiarito......

  5. #15
    Blut und Boden
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    Una delle ragioni “forti” che permettono di
    identificare la Padania all’interno dello Stato
    italiano (ma anche in aree confinanti appartenenti
    a Stati stranieri) è la lingua.
    Si tratta di una ragione “formidabile” anche se,
    purtroppo, poco conosciuta e ancora meno rivendicata
    perfino da molti di coloro che si dichiarano
    padanisti. Eppure resta, insieme al territorio
    e alla cultura (che è del resto strettamente
    legata alla lingua), una caratteristica fondamentale
    e ineliminabile dell’essere padani: il motivo
    principale dell’affinità tra padani e padani e
    della differenza tra i padani e gli altri popoli che
    li circondano. E’ comunque una nozione che va
    chiarita.
    La lingua padana è una comunità di dialetti
    priva di regolamentazione normativa (koiné, lingua
    standard) anche se non è certamente l’unica
    delle lingue viventi che versa in queste condizioni:
    lo era il catalano prima del 1932; il basco prima
    del 1982; lo è il curdo ancora oggi. È però
    quella i cui attuali fruitori stentano di più a riconoscere
    l’unità profonda. Ciò si deve soprattutto
    a ragioni storiche e politiche ma anche a una
    mancanza di informazione linguistica generale
    che coinvolge la scuola e i mass media della stessa
    Padania, totalmente tributaria, in questo settore,
    dello Stato italiano. Nessun intellettuale padano
    ha supplito a questa carenza dando origine
    a un movimento di rivendicazione specifica, come
    è invece accaduto ad altre “nazioni” prive di
    Stato proprio.
    Si può così dire che il padano è la lingua con il
    minor grado di consapevolezza culturale espresso
    finora dai suoi locutori: al punto di mostrarsi
    priva, lungo quasi tutto l’arco della sua storia, a
    eccezione di un momento felice verificatosi a cavallo
    tra il XIII e il XIV secolo, di qualsiasi soprassalto
    di coscienza linguistica.
    Ciò non toglie che, da un punto di vista glottologico,
    questo idioma mostri una propria identità
    davvero spiccata. Purtroppo, astraendo da
    motivazioni linguistiche, è difficile rendersi conto
    di questa identità. Per farlo è infatti necessario
    un addestramento culturale, lo ripetiamo, che la
    scuola italiana non ha mai predisposto per i suoi
    utenti, salvo forse gli studenti degli istituti universitari
    di glottologia.
    Mentre tutti i cittadini padani riconoscono a
    vista la differenza tra un bassotto e un levriero,
    ma hanno anche imparato che si tratta sempre di
    cani e che, in quanto cani, entrambi gli animali,
    pur differenti tra loro, sono collettivamente differenti
    dai gatti, pochi sono coloro i quali riconoscono
    a orecchio che gesa, cesa e cisa sono sì
    parole in apparenza (anche se poco) diverse tra
    loro ma sono anche parole in fondo assai simili:
    e che divergono assai di più, e nello stesso modo,
    dalla parola chiesa per un elemento particolare
    che le accomuna: la palatizzazione del CL- latino
    di ecclesia, parola dalla quale derivano. Questo
    tratto è condiviso soltanto dalle parlate padane.
    Non vogliamo addentrarci in questioni tecniche.
    Vogliamo soltanto far presente che l’unità
    glottologica tra parlate in apparenza diverse non
    significa che queste parlate debbano essere identiche
    (altrimenti sarebbero una parlata sola): significa
    soltanto che devono condividere un certo
    numero di tratti comuni che non appaiono in altre
    parlate o gruppi di parlate.
    Quando si dice che tutti gli uomini sono anatomicamente
    uguali non significa che debbano
    essere identici ma che condividono un certo numero
    di tratti comuni che li identificano come
    uomini e non come cani oppure gatti. Le differenze
    non sono soltanto superficiali e tutte immediatamente
    percettibili. Tornando alle differenze
    tra gli uomini, per valutarle correttamente
    occorre anche un esame più profondo quale può
    offrire, ad esempio, la genetica.
    I gemelli omozigoti, i più simili in apparenza
    tra loro tra tutti gli uomini, al punto di essere
    scambiati abitualmente l’uno per l’altro quando
    li si guarda, hanno in comune soltanto l’80% del
    patrimonio genetico. Figuriamoci gli altri.
    Si potrebbe dire allora che le parlate padane, in
    apparenza tanto superficialmente diverse, stanno
    tra di loro, se non come gemelli omozigoti, perlomeno
    come fratelli. Di ciò ci si rende conto,
    spesso, anche a vista: ci se ne rende conto però
    sempre attraverso una indagine più approfondita,
    in questo caso di tipo strettamente glottologico.
    L’indagine glottologica è assai meno difficile
    di quella genetica e non necessita di strumenti
    complessi di laboratorio. Bastano una conoscenza
    linguistica di base e un registratore. E’ un po’
    come la matematica elementare. Se ci si limita ai
    nostri sensi non possiamo affermare che 2131 +
    1750 fa 3881. Ma è facile farlo con una calcolatrice
    o anche soltanto con carta e penna.
    La scienza linguistica ha già provveduto a individuare
    nelle varie parlate padane un gruppo linguistico
    fondamentalmente omogeneo e a se
    stante entro il panorama delle lingue neo-latine
    o romanze: un gruppo che ha, paradossalmente,
    più affinità con il francese standard (e con il
    gruppo delle parlate “francesi” alle quali il dialetto
    di Parigi ha fornito la base per il francese standard)
    che con l’italiano. Anche se è meno diverso
    dal francese che dall’italiano, è comunque diverso
    anche dal francese.
    Purtroppo, il padano non ha prodotto, come
    ha fatto il francese e anche l’italiano, una lingua
    standard dall’interno delle sue parlate: una forma
    di riferimento nella quale tutte queste parlate
    si riconoscono a orecchio. Ma questo complesso
    di parlate esiste e di esso va tenuto conto.
    Tuttavia, per afferrarne la struttura, è necessario
    confrontarlo con complessi di parlate omogenei
    e non soltanto con le lingue standard. Non si
    sommano le mele con le pere, ma le pere con le
    pere e le mele con le mele. Equivocando con i
    nomi delle attuali regioni, imposte dallo Stato
    italiano spesso contro la ragioni della storia e
    delle identità etniche, si suole parlare di “lingua
    piemontese” (o “lombarda” o “emiliana” e così
    via) e per dimostrarne l’esistenza solitaria si confrontano
    i suoi tratti con quelli dell’italiano standard.
    Ma è un procedimento sbagliato.
    Per dimostrarlo, ci riferiremo a un saggio del
    professor Bruno Villata nel quale si compara il
    piemontese con l’italiano per dimostrare che è
    un’altra lingua. Ma i suoi argomenti non valgono
    se si compara il piemontese, ad esempio, con il
    lombardo.
    Il piemontese ha il suono s-è che l’italiano non
    ha: s-èiamé (esclamare). Ma questo suono lo ha
    anche il lombardo: s-èena (schiena); il ligure:
    s-èiavitü (schiavitù); il veneto: s-èiao (schiavo). Il
    piemontese ha il suono n- (faucale): lün-a (luna);
    ma lo ha anche il ligure: San-a (Savona). Il piemontese,
    anziché io, usa il pronome oggetto mi:
    ma tutte (ripeto: tutte) le parlate padane (e soltanto
    esse) fanno lo stesso (se non usano mi usano
    me, che è la stessa cosa).
    L’elenco potrebbe continuare. Risulta tuttavia
    già evidente che non si tratta di tratti relativi al
    solo piemontese ma di tratti condivisi da tutte le
    parlate padane, cioè da tutte le mele del paniere
    (che possono essere di tipo diverso: golden, regina,
    delizía, boskoop, grammy-smith ma sono
    sempre mele e nessuna di loro è una pera): non
    si può prendere una sola mela (una golden) e
    confrontarla con una pera astratta (costruita in
    base a caratteri comuni alle varie qualità di pere)
    per dimostrare che quella mela fa categoria merceologica
    a sé, prescindendo dalle altre mele.
    All’obiezione che una stessa forma linguistica
    può apparire diversa a seconda che si tratti di
    piemontese o di lombardo, risponderemo che la
    stessa cosa accade anche all’interno del solo piemontese:
    a Torino si dice anduma (andiamo) ma
    nel Canavese si dice anden (a Milano, andem). A
    Torino si dice lait (latte) ma nel Monferrato laè
    (come a Milano).
    Se dai singoli suoni, dalle singole parole e dalle
    singole forme morfologiche si passa alla sintassi
    (la vera “struttura” di una lingua) ci si accorge
    che essa è assolutamente identica in tutte le parlate
    padane: è la filigrana delle banconote che distingue
    quelle vere da quelle false più delle sfumature
    di colore.
    Detto questo, non ci resta che augurare ai padani
    di riconoscere finalmente l’esistenza della
    loro lingua, di là dalle singole varianti locali, e di
    riconoscersi in essa, e non soltanto nel desiderio,
    magari legittimo, di non separarsi dalle troppe
    banconote pretese dal fisco dello Stato italiano.

    Sergio Salvi

  6. #16
    Blut und Boden
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    Citazione Originariamente Scritto da Beli Mawyr
    Eridano, sei alle prese con due provocatori o, nella migliore delle ipotesi, sfaccendati che non sanno come far passare la giornata.

    Il mio consiglio è quello di lasciarli perdere.

    Ovviamente non mi sto riferendo a Kornus.
    Jawohl.

  7. #17
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    [QUOTE=Eridano]Ascoltando la radio (RPL), i discorsi della nostra gente, elettori, simpatizzanti, militanti, sostenitori; osservando e ascoltando gli altri per strada, nel luogo di lavoro, nei posti pubblici, sui treni, sul bus, nei negozi, alle feste di paese, insomma, in giro;
    nonostante più di vent'anni di storia politica dell'unico movimento politico identitario che, bene o male, ci rappresenta come etnia distinta, la maggior parte continua a seguire la rotta di collisione con l'iceberg contro il quale si schianteranno e coleranno a picco.
    Mi fanno veramente ribrezzo.
    QUOTE]


    Il capolavoro assoluto poi lo raggiungono quelli che ancora al bar dicono di non votare Lega perchè nel 1994 ha tradito forza itagghiia.
    Chiudo qui.

  8. #18
    Valsesia=Lega al 50%
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    e sono tanti..
    VALSESIA libera.. Paolo Tiramani

  9. #19
    calzettoni abbassati
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    Citazione Originariamente Scritto da Eridano
    Una delle ragioni “forti” che permettono di
    identificare la Padania all’interno dello Stato
    italiano (ma anche in aree confinanti appartenenti
    a Stati stranieri) è la lingua.
    Si tratta di una ragione “formidabile” anche se,
    purtroppo, poco conosciuta e ancora meno rivendicata
    perfino da molti di coloro che si dichiarano
    padanisti. Eppure resta, insieme al territorio
    e alla cultura (che è del resto strettamente
    legata alla lingua), una caratteristica fondamentale
    e ineliminabile dell’essere padani: il motivo
    principale dell’affinità tra padani e padani e
    della differenza tra i padani e gli altri popoli che
    li circondano. E’ comunque una nozione che va
    chiarita.
    La lingua padana è una comunità di dialetti
    priva di regolamentazione normativa (koiné, lingua
    standard) anche se non è certamente l’unica
    delle lingue viventi che versa in queste condizioni:
    lo era il catalano prima del 1932; il basco prima
    del 1982; lo è il curdo ancora oggi. È però
    quella i cui attuali fruitori stentano di più a riconoscere
    l’unità profonda. Ciò si deve soprattutto
    a ragioni storiche e politiche ma anche a una
    mancanza di informazione linguistica generale
    che coinvolge la scuola e i mass media della stessa
    Padania, totalmente tributaria, in questo settore,
    dello Stato italiano. Nessun intellettuale padano
    ha supplito a questa carenza dando origine
    a un movimento di rivendicazione specifica, come
    è invece accaduto ad altre “nazioni” prive di
    Stato proprio.
    Si può così dire che il padano è la lingua con il
    minor grado di consapevolezza culturale espresso
    finora dai suoi locutori: al punto di mostrarsi
    priva, lungo quasi tutto l’arco della sua storia, a
    eccezione di un momento felice verificatosi a cavallo
    tra il XIII e il XIV secolo, di qualsiasi soprassalto
    di coscienza linguistica.
    Ciò non toglie che, da un punto di vista glottologico,
    questo idioma mostri una propria identità
    davvero spiccata. Purtroppo, astraendo da
    motivazioni linguistiche, è difficile rendersi conto
    di questa identità. Per farlo è infatti necessario
    un addestramento culturale, lo ripetiamo, che la
    scuola italiana non ha mai predisposto per i suoi
    utenti, salvo forse gli studenti degli istituti universitari
    di glottologia.
    Mentre tutti i cittadini padani riconoscono a
    vista la differenza tra un bassotto e un levriero,
    ma hanno anche imparato che si tratta sempre di
    cani e che, in quanto cani, entrambi gli animali,
    pur differenti tra loro, sono collettivamente differenti
    dai gatti, pochi sono coloro i quali riconoscono
    a orecchio che gesa, cesa e cisa sono sì
    parole in apparenza (anche se poco) diverse tra
    loro ma sono anche parole in fondo assai simili:
    e che divergono assai di più, e nello stesso modo,
    dalla parola chiesa per un elemento particolare
    che le accomuna: la palatizzazione del CL- latino
    di ecclesia, parola dalla quale derivano. Questo
    tratto è condiviso soltanto dalle parlate padane.
    Non vogliamo addentrarci in questioni tecniche.
    Vogliamo soltanto far presente che l’unità
    glottologica tra parlate in apparenza diverse non
    significa che queste parlate debbano essere identiche
    (altrimenti sarebbero una parlata sola): significa
    soltanto che devono condividere un certo
    numero di tratti comuni che non appaiono in altre
    parlate o gruppi di parlate.
    Quando si dice che tutti gli uomini sono anatomicamente
    uguali non significa che debbano
    essere identici ma che condividono un certo numero
    di tratti comuni che li identificano come
    uomini e non come cani oppure gatti. Le differenze
    non sono soltanto superficiali e tutte immediatamente
    percettibili. Tornando alle differenze
    tra gli uomini, per valutarle correttamente
    occorre anche un esame più profondo quale può
    offrire, ad esempio, la genetica.
    I gemelli omozigoti, i più simili in apparenza
    tra loro tra tutti gli uomini, al punto di essere
    scambiati abitualmente l’uno per l’altro quando
    li si guarda, hanno in comune soltanto l’80% del
    patrimonio genetico. Figuriamoci gli altri.
    Si potrebbe dire allora che le parlate padane, in
    apparenza tanto superficialmente diverse, stanno
    tra di loro, se non come gemelli omozigoti, perlomeno
    come fratelli. Di ciò ci si rende conto,
    spesso, anche a vista: ci se ne rende conto però
    sempre attraverso una indagine più approfondita,
    in questo caso di tipo strettamente glottologico.
    L’indagine glottologica è assai meno difficile
    di quella genetica e non necessita di strumenti
    complessi di laboratorio. Bastano una conoscenza
    linguistica di base e un registratore. E’ un po’
    come la matematica elementare. Se ci si limita ai
    nostri sensi non possiamo affermare che 2131 +
    1750 fa 3881. Ma è facile farlo con una calcolatrice
    o anche soltanto con carta e penna.
    La scienza linguistica ha già provveduto a individuare
    nelle varie parlate padane un gruppo linguistico
    fondamentalmente omogeneo e a se
    stante entro il panorama delle lingue neo-latine
    o romanze: un gruppo che ha, paradossalmente,
    più affinità con il francese standard (e con il
    gruppo delle parlate “francesi” alle quali il dialetto
    di Parigi ha fornito la base per il francese standard)
    che con l’italiano. Anche se è meno diverso
    dal francese che dall’italiano, è comunque diverso
    anche dal francese.
    Purtroppo, il padano non ha prodotto, come
    ha fatto il francese e anche l’italiano, una lingua
    standard dall’interno delle sue parlate: una forma
    di riferimento nella quale tutte queste parlate
    si riconoscono a orecchio. Ma questo complesso
    di parlate esiste e di esso va tenuto conto.
    Tuttavia, per afferrarne la struttura, è necessario
    confrontarlo con complessi di parlate omogenei
    e non soltanto con le lingue standard. Non si
    sommano le mele con le pere, ma le pere con le
    pere e le mele con le mele. Equivocando con i
    nomi delle attuali regioni, imposte dallo Stato
    italiano spesso contro la ragioni della storia e
    delle identità etniche, si suole parlare di “lingua
    piemontese” (o “lombarda” o “emiliana” e così
    via) e per dimostrarne l’esistenza solitaria si confrontano
    i suoi tratti con quelli dell’italiano standard.
    Ma è un procedimento sbagliato.
    Per dimostrarlo, ci riferiremo a un saggio del
    professor Bruno Villata nel quale si compara il
    piemontese con l’italiano per dimostrare che è
    un’altra lingua. Ma i suoi argomenti non valgono
    se si compara il piemontese, ad esempio, con il
    lombardo.
    Il piemontese ha il suono s-è che l’italiano non
    ha: s-èiamé (esclamare). Ma questo suono lo ha
    anche il lombardo: s-èena (schiena); il ligure:
    s-èiavitü (schiavitù); il veneto: s-èiao (schiavo). Il
    piemontese ha il suono n- (faucale): lün-a (luna);
    ma lo ha anche il ligure: San-a (Savona). Il piemontese,
    anziché io, usa il pronome oggetto mi:
    ma tutte (ripeto: tutte) le parlate padane (e soltanto
    esse) fanno lo stesso (se non usano mi usano
    me, che è la stessa cosa).
    L’elenco potrebbe continuare. Risulta tuttavia
    già evidente che non si tratta di tratti relativi al
    solo piemontese ma di tratti condivisi da tutte le
    parlate padane, cioè da tutte le mele del paniere
    (che possono essere di tipo diverso: golden, regina,
    delizía, boskoop, grammy-smith ma sono
    sempre mele e nessuna di loro è una pera): non
    si può prendere una sola mela (una golden) e
    confrontarla con una pera astratta (costruita in
    base a caratteri comuni alle varie qualità di pere)
    per dimostrare che quella mela fa categoria merceologica
    a sé, prescindendo dalle altre mele.
    All’obiezione che una stessa forma linguistica
    può apparire diversa a seconda che si tratti di
    piemontese o di lombardo, risponderemo che la
    stessa cosa accade anche all’interno del solo piemontese:
    a Torino si dice anduma (andiamo) ma
    nel Canavese si dice anden (a Milano, andem). A
    Torino si dice lait (latte) ma nel Monferrato laè
    (come a Milano).
    Se dai singoli suoni, dalle singole parole e dalle
    singole forme morfologiche si passa alla sintassi
    (la vera “struttura” di una lingua) ci si accorge
    che essa è assolutamente identica in tutte le parlate
    padane: è la filigrana delle banconote che distingue
    quelle vere da quelle false più delle sfumature
    di colore.
    Detto questo, non ci resta che augurare ai padani
    di riconoscere finalmente l’esistenza della
    loro lingua, di là dalle singole varianti locali, e di
    riconoscersi in essa, e non soltanto nel desiderio,
    magari legittimo, di non separarsi dalle troppe
    banconote pretese dal fisco dello Stato italiano.

    Sergio Salvi

    ho letto l'interessante (non scherzo) articolo.

    mi rimane tuttavia un dubbio: un abitante di barcellona può girare la catalunya in lungo in largo, parlando catalano, e sarà capito ovunque...da Figueres a Tortosa, da LLeida a la Seu d'Urgell...nonostante la (ovvia) differenza di accento ed anche di una minima parte di vocaboli...

    se un bergamasco va a Savona parlando in bergamasco, viene capito?? credo di no.

    ecco, prima di parlare dell'esistenza di una "lingua" padana comune, io penserei a questo.....

  10. #20
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    Citazione Originariamente Scritto da Jenainsubrica
    Il capolavoro assoluto poi lo raggiungono quelli che ancora al bar dicono di non votare Lega perchè nel 1994 ha tradito forza itagghiia.
    Verissimo.
    Sento anchio molta gente che lagna ancora su questa storia.

 

 
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