Nel senso che la sua agressione potrebbe rompere il patto atlantico.
MAgari.
Nel senso che la sua agressione potrebbe rompere il patto atlantico.
MAgari.
ne dubito....al massimo ci potrebbe essere una spaccatura tra europei
Teheran vuole aprire una borsa petrolifera nella valuta europea. Per affossare il dollaro e l'economia degli Usa.
L'arma letale che gli ayatollah di Teheran stanno mettendo a punto non è la bomba atomica. Non ha bisogno di uranio arricchito, di centrifughe clandestine, di impianti sotterranei. Il suo potenziale distruttivo è di gran lunga superiore all'impatto di un ordigno nucleare. Ed è già in uno stadio avanzato di realizzazione. Si chiama Iob, Iranian oil bourse: un sistema di compravendita del greggio in euro che potrebbe scattare già in marzo, con serie conseguenze per l'economia degli Stati Uniti e per le multinazionali americane del petrolio.
Mohammad Javad Assemipour, responsabile del progetto delineato nel piano quinquennale di sviluppo 2000-2005 ed entrato nella fase operativa nel giugno 2004, sostiene che la Iob punta a trasformare la Repubblica Islamica nel principale snodo delle contrattazioni di idrocarburi nella regione. Dal punto di vista geografico l'Iran è situato in un'invidiabile posizione strategica, a ridosso di famelici importatori di petrolio e di gas naturale come l'India, la Cina, l'Europa. Possiede 130 miliardi di barili di riserve accertate di greggio, il 10 per cento del totale mondiale. E vanta i secondi giacimenti di gas del pianeta: 36 mila miliardi di metri cubi.
Pozzi, raffinerie, oleodotti, piattaforme off-shore, depositi e terminali petroliferi sono parte integrante del paesaggio persiano, dal Mar Caspio alle sponde dell'Oceano Indiano. Il settore degli idrocarburi assicura il 22,1 per cento del pil, l'80 per cento delle esportazioni e quasi il 90 per cento delle entrate. L'inesauribile flusso di idrocarburi ha consentito al regime di mantenere tassi di crescita economica del 6 per cento l'anno, migliorare il saldo della bilancia commerciale, ridurre il debito estero, accumulare scorte valutarie e alleggerire la pressione sociale sovvenzionando un bene primario come la benzina, venduta a prezzi irrisori.
La conversione dai petrodollari ai petroeuro non è priva di logica. Più di un terzo delle esportazioni iraniane di greggio è destinato all'Europa. Il 45 per cento dell'interscambio avviene con i paesi della zona euro. E metà delle riserve valutarie di Teheran è accantonata in euro. Ma le implicazioni politiche e finanziarie di una simile mossa equivarrebbero a una dichiarazione di guerra economica nei confronti di Washington.
Oggi il greggio viene quotato in dollari all'International petroleum exchange di Londra (Ipe) e al New York mercantile exchange (Nymex), controllati dalle grandi società occidentali (nel 2001 l'Ipe è stato acquistato da un consorzio di cui fanno parte Bp, Goldman Sachs e Morgan Stanley). I paesi consumatori non hanno alternative e le banche centrali, per far fronte al fabbisogno energetico, devono accumulare riserve in valuta americana, contribuendo a rafforzare l'economia della superpotenza.
L'istituzione di una borsa competitiva con transazioni nella valuta europea rappresenterebbe un'aperta sfida all'egemonia del dollaro. Agli attuali prezzi di mercato gli investitori potrebbero infatti scegliere se acquistare un barile di greggio a 60 dollari all'Ipe o al Nymex, oppure a 45-50 euro alla borsa di Teheran. È un'ipotesi che incontra il favore dei produttori latino-americani, come il venezuelano Hugo Chavez, di alcuni petrolieri del Golfo, della Russia e della Cina.
Dal 2003 Mosca e Pechino hanno cominciato a diversificare in euro le loro riserve strategiche. La rivalutazione dello yuan, nel luglio scorso, è stata accompagnata dalla decisione di affiancare al dollaro, nei forzieri dello stato cinese, l'euro e lo yen. E da almeno tre anni Teheran pretende pagamenti in euro per gran parte del greggio esportato in Asia e in Europa.
Nel frattempo i riformatori più inclini a dialogare con il Grande Satana hanno perso la maggioranza nel Majlis, il parlamento iraniano. E in giugno, con l'elezione alla presidenza di Mahmud Ahmadinejad, i rapporti diplomatici con l'Occidente si sono rapidamente raffreddati. Le invettive antisraeliane dell'ex sindaco di Teheran hanno provocato la condanna della comunità internazionale e la cancellazione di una visita del segretario Onu Kofi Annan, mentre la rottura delle trattative con l'Agenzia atomica di Vienna ha accresciuto l'isolamento del paese.
La minaccia di sanzioni che il Consiglio di sicurezza dell'Onu potrebbe imporre all'Iran, accusato di perseguire un programma occulto di riarmo nucleare, ha incrementato la propensione di Teheran a stringere alleanze a est: con l'India, che comprerà gas iraniano per i prossimi 30 anni, e con Pechino, che importa il 13 per cento del greggio e del gas dalla Repubblica Islamica e parteciperà allo sfruttamento del giacimento petrolifero di Yadavaran, sul confine iracheno.
La Iob è uno stratagemma per spezzare l'accerchiamento. Ma rischia di innescare una reazione a catena dagli esiti imprevedibili. Anche se è improbabile che i maggiori broker di idrocarburi decidano di sbarcare in un paese incluso nell'«asse del male» dal presidente del primo importatore mondiale di petrolio, un mercato parallelo potrebbe a lungo termine calamitare quote non marginali del colossale business. Soprattutto se la tendenza alla svalutazione del dollaro dovesse continuare.
L'attuale sistema, in vigore dagli anni Settanta, consente agli Stati Uniti di controllare il mercato planetario del greggio e di finanziare l'enorme deficit federale, appesantito dall'aumento delle spese militari e dagli astronomici bilanci delle guerre in Afghanistan e in Iraq (l'operazione Iraqi freedom è già costata 250 miliardi di dollari).
L'amministrazione di Washington non può restare indifferente al ricatto petrolifero lanciato dagli ayatollah: una sfida che rischia di indebolire la valuta di riferimento dei paesi industrializzati, di rallentare la ripresa economica dell'Occidente e di intaccare la supremazia statunitense nel vitale settore dell'energia.
Secondo alcuni specialisti, la prospettiva di un brusco declino del monopolio del dollaro nelle transazioni petrolifere, più dei programmi atomici di Teheran, potrebbe spingere i neocon della Casa Bianca e del Pentagono a un intervento militare in Iran (articoli e analisi di Panorama: www.panorama.it/ mondo/medioriente), sotto la copertura di un attacco preventivo contro le installazioni nucleari. Non sarebbe uno scenario inedito.
Nel settembre 2000 Saddam Hussein annunciò che l'Iraq non avrebbe più accettato dollari in cambio del greggio venduto nell'ambito del programma Oil for food e ordinò di convertire in euro 10 miliardi di dollari depositati sul conto gestito dalle Nazioni Unite. «Fu quella scelta» sostiene William Clark, esperto di sicurezza e autore di un recente saggio sull'economia del petrolio (Petrodollar warfare: oil, Iraq and the future of the dollar), «a segnare il destino del raìs. Era una mossa politica che si rivelò vantaggiosa nel tempo grazie alla svalutazione progressiva della valuta americana. E che ebbe un peso determinante nella decisione di invadere l'Iraq». Quando i marines arrivarono a Baghdad, il petrolio iracheno fu subito quotato nuovamente in dollari.
Quindi come citi tu stesso alla fine del post, l'Iran farà la stessa fine, elementare direi.
Questa è una notizia interessante ma bisogna vedere se è vera, perchè viene da fonte inaffidabile: questi qua sono gli stessi che deliriavano sul signoraggio della BCE, parlandone come se la questione fosse nata con l'euro.Originariamente Scritto da costantino
In questo articolo vedo già uno strafalcione molto sospetto: si definisce "euromagistrata" la svizzera Carla del Ponte, che è Procuratore del Tribunale Penale Internazionale, il quale pur avendo sede nei Paesi Bassi non ha assolutamente nulla a che fare con le istituzioni europee.
se l'europa la smette di genuflettersi quando lo chiedono ebrei e usa, no.Originariamente Scritto da Generale gothic
Tratto da www.borsari.it
L'Italia, al momento, importa petrolio per circa 40 miliardi di euro l'anno: poco meno del 4.0% del Pil; gli Stati Uniti ne importano per 300 miliardi l'anno, poco più del 3.0% del loro Pil.
Quasi tutti gli altri paesi occidentali (con l'esclusione dell'Inghilterra, che è esportatrice), si trovano in una situazione simile.
Cosa significa?
Una cosa molto semplice: se, per ipotesi, il petrolio fosse "gratis", Italia, Stati Uniti e gli altri paesi occidentali importatori di petrolio, vedrebbero aumentare la loro ricchezza (il Pil) dell'importo risparmiato (40 miliardi per l'Italia, 300 per gli Usa, etc..). Un sacco di quattrini.
Dall'altra parte, i paesi esportatori, soprattutto quelli che non hanno altre risorse, precipiterebbero nella miseria più nera.
Viceversa, se il petrolio aumentasse ancora di prezzo (rispetto ai 58 dollari attuali), i paesi importatori cederebbero ulteriore quote della loro ricchezza ai paesi esportatori; se, ad esempio, il petrolio raddoppiasse ancora di prezzo (oltre i 100 dollari per barile), ipotesi tutt'altro che peregrina, l'Italia spenderebbe 80 miliardi di euro l'anno (poco meno dell'8.0% del Pil) per comprare il petrolio che gli serve, e gli Stati Uniti 600.
In poche parole: i paesi importatori diventerebbero molto più poveri e quelli esportatori molto più ricchi, ridisegnando, in tal modo, la geografia politica-economica del mondo.
Gli Stati Uniti, in particolare, hanno già un deficit con l'estero (esportazioni - importazioni) di circa 800 miliardi di dollari (poco meno dell'8.0% del loro Pil) e, in quell'ipotesi di raddoppio dei prezzi petroliferi, vedrebbero il loro deficit crescere fino a quasi 1100 miliardi di dollari (il 10.0% circa del loro Pil). Sarebbero, in poche parole, un paese prossimo alla bancarotta.
Non esiste, nella storia economica del mondo, un esempio di un paese che sia riuscito a sopravvivere con un deficit con l'estero tanto alto.
In che modo potrebbero "difendersi" gli Stati Uniti dalla bancarotta?
Aumentando la ...... "produzione" di dollari: stampando altra "carta" con cui pagare le proprie importazioni di petrolio (ed altro).
Finché troverà ........ "polli" che accetteranno quella "carta".
Mi spiego?
Fintantoché il dollaro verrà considerata una moneta affidabile e sarà, quindi, accettato in pagamento per le merci ed i servizi ricevuti, lo zio Sam potrà continuare a stamparne in quantità sufficienti a colmare (in tutto o in parte) quel deficit tra esportazioni ed importazioni.
Ma, cosa succederebbe, il giorno in cui i fornitori degli Stati Uniti (esportatori di petrolio in testa) non ritenessero più affidabile il dollaro (in quanto inflazionato da ..... troppa "carta" in circolazione) e volessero essere pagati in altra valuta (ad esempio in euro), oppure direttamente in oro?
Succederebbe che il valore di cambio del dollaro precipiterebbe immediatamente a livelli oggi inimmaginabili e, tutti quelli che detenessero (a quel momento) la loro ricchezza in dollari, sarebbero, di colpo, "ripuliti" di gran parte dei loro averi.
Se, ad esempio, il cambio dollaro-euro passasse da 1.2 (attuali) a 2.4, la ricchezza americana (il Pil) si dimezzerebbe di colpo e, gli Stati Uniti non sarebbero più il più ricco paese del mondo.
Quando Saddam Hussein cominciò a pretendere il pagamento in euro (e non più in dollari) per il suo petrolio, l'amministrazione Bush lo accusò immediatamente di essere un fiancheggiatore di Al Qaeda (e non era vero) e di possedere armi di distruzione di massa (e non era vero neanche questo), in modo da avere una scusa "presentabile" al mondo, che giustificasse l'attacco militare all'Iraq e la destituzione di Saddam Hussein.
Se l'esempio di Saddam Hussein (di richiedere il pagamento in euro) fosse stato seguito dagli altri paesi produttori di petrolio, gli Stati Uniti avrebbero visto precipitare la loro situazione economica, nella maniera spiegata sopra.
Ecco perché dovevano dare una "lezione" esemplare: ne "bastoni" uno, per educarne 100.
E' ovvio, tuttavia, che all'aumentare del prezzo del petrolio (e, quindi, del deficit americano) il problema di "affidabilità" del dollaro si presenterà, prima o poi, in tutta la sua drammatica attualità e, dunque, le "guerre preventive" (come quella contro l'Iraq) non saranno più sufficienti ad impedire il crollo del dollaro. Ecco perché è necessario che gli Stati Uniti diventino autosufficienti dal punto di vista degli approvvigionamenti di petrolio.
Ma, mi direte, come può essere autosufficiente un paese che produce 7,5 milioni al giorno di barili di petrolio, e ne consuma 20.0?
In effetti, allo stato attuale sembrerebbe impossibile; a meno che ...... a seguito delle varie guerre di "esportazione della democrazia", gli americani non si "impossessino" (sottraendolo ai legittimi proprietari) del petrolio mancante.
Facciamo quattro conti: 20.0 - 7.5= 12.5 milioni di barili al giorno è quanto serve allo zio Sam per essere autosufficiente.
L' Iraq ne può produrre 2.6 milioni al giorno, l'Iran 3.4 milioni e l'Arabia Saudita 8.7 milioni. Questi tre produttori, da soli, bastano ed avanzano per assicurare tranquillità d'animo e certezza di approvvigionamenti (in dollari) all'America.
In Arabia ci sono già le basi militari americane (appoggiate da un regime tanto amico, quanto tirannico e corrotto) e, quindi, quei pozzi di petrolio possono essere, agevolmente, "controllati"; in Iraq, i marines hanno appena svolto il loro lavoro ed hanno "democraticamente" requisito i pozzi petroliferi di proprietà degli iracheni.
Resta l'Iran; ma occorre una buona scusa per attaccarlo ed "esportare", anche li, la democrazia occidentale.
Ecco, dunque, che si comincia a parlare di impianti iraniani in grado di produrre bombe nucleari e della necessità di "neutralizzare" quella minaccia prima che diventi troppo pericolosa; c'è necessità, anche qui, di un "attacco preventivo" in difesa della pace e della democrazia.
Più o meno la stessa "balla" utilizzata in Iraq.
E, nel frattempo, i mass media di tutto il mondo occidentale, battono sul tasto "religioso": quelli (i paesi produttori di petrolio) sono musulmani, mentre noi siamo cristiani.
Il loro profeta (Maometto), viene presentato come un personaggio da fumetti (in modo che quelli s'incazzino), ed il nostro messia (Gesù) è innalzato al rango di "unico" inviato da Dio (in modo che noi ci sentiamo superiori a loro).
Sicché, dopo tanto turbinare di messaggi mediatici, balle religiose ed invenzioni di minacce inesistenti, ognuno può scegliere il motivo per cui sia legittimo fare guerra ai musulmani (per far trionfare la nostra verità religiosa, per esportare la nostra democrazia, per difenderci da una minaccia nucleare etc...) e nessuno pensi alle cose che, invece, dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti: il petrolio che loro hanno e noi no e la minaccia all'affidabilità del dollaro, da cui dipende l'intera economia americana.
D'altronde, le guerre sono sempre state "vestite" di nobili ideali, mentre, in realtà, si sono sempre fatte per il più banale dei motivi: appropriarsi della ricchezza altrui.
Ed anche questa, come ho spiegato, non fa differenza.
[quote=.SOVIET.]da Rebelion.org – 09/01/06
Il governo di Bush sta per aggredire l’Iran
Bene!!!Anzi,eccellente
[QUOTE=Nicki]E' quello che dico anche io!Originariamente Scritto da .SOVIET.
Eccellente!
Un altro bel massacro di sionisti e americani!
[QUOTE=Nicki]prepara i sacchi x contenere tanti spastici ciccioni mangiatori di paniniOriginariamente Scritto da .SOVIET.