Il contrasto con gli italiani
di ILVO DIAMANTI
L'Italia mediale e quella media. La televisione e gli spettatori. Parlano un linguaggio diverso. Il dibattito pubblico, avvitato sulla "nuova" questione morale. Che origina dagli scandali che hanno investito le banche. Ma, soprattutto, dalla scalata dell'Unipol alla Bnl. La "nuova" questione morale. Sembra interessare, particolarmente, i leader e i partiti della sinistra. I Ds, Fassino, D'Alema.
Da un mese, ormai, non si parla e non si discute praticamente d'altro. Sulla scena politica e mediatica. Che, sostanzialmente, coincidono. Facendo immaginare che un'ondata di sdegno si stia sollevando, nella società. E seppellisca tutto e tutti. Ma, soprattutto, la "sinistra immorale". Invece, a giudicare dai dati dell'Atlante politico curato da Demos-Eurisko, poco o nulla di tutto ciò sta avvenendo, nell'opinione pubblica. Le stime di voto indicano che il distacco fra i due schieramenti principali, negli ultimi mesi, è rimasto praticamente immutato.
E garantisce al centrosinistra oltre il 6% di vantaggio. Un margine largo. Di sicurezza. Coerente, peraltro, con gli altri sondaggi condotti nell'ultima settimana. Ipsos, Ispo, Abacus, Swg. Tutti. Ad eccezione di uno, citato e usato, incidentalmente, dal premier, a proprio favore. Peraltro, i Ds, scossi dalle polemiche politiche, nelle intenzioni di voto restano stabili e saldi. Attorno al 21%. Primo partito. Di poco sopra a Fi, che si attesta attorno al 19%.
Ma colpisce anche il divario fra l'immagine pubblica dei leader Ds - seriamente danneggiata dal sospetto "morale" - e quella "sociale". Che pare, perfino, migliorata, negli ultimi mesi. Veltroni: il più amato dagli italiani. Ma anche Fassino e D'Alema. Non risentono, nell'opinione pubblica, delle polemiche in cui sono stati coinvolti, nell'ultimo mese. Soprattutto se si considerano gli elettori di centrosinistra. Fra i quali è, ancora, Veltroni il più apprezzato (77%). Seguito dal leader dell'Unione, Romano Prodi (70%) e, a breve distanza, proprio da Fassino e D'Alema, affiancati da Rutelli (e da Bertinotti; che gode di ampio consenso anche nella base di centrodestra).
La distanza fra dibattito politico-mediatico e senso comune. Non riflette indifferenza alle deprecabili vicende bancarie. Che un consistente settore della società considera gravi. Né convinzione manichea che il bene stia da una parte sola. Metà dei cittadini pensa che la corruzione politica, in Italia, non sia finita, dopo Tangentopoli. E sia diffusa, a destra come a sinistra. Pensa, inoltre, che le responsabilità, negli scandali bancari, siano anch'esse trasversali. Solo che gli scandali non scandalizzano più. Questi scandali, almeno. Non suscitano indignazione. Solo un rassegnato disincanto. Anche perché, occorre aggiungere, non tutto è chiaro, lineare, esplicito.
Le vicende bancarie, l'Opa lanciata dall'Unipol. Le plusvalenze. I mega-depositi versati a Consorte e Sacchetti in banche straniere. Gli intrecci con altre vicende e altri personaggi. Gnutti, Fiorani, Telecom, Hopa. Cose da fiction raffinata. Cose da ricchi e bene informati. Che leggono e capiscono di finanza e finanzieri. Per cui risulta sempre estesa la quota di quanti, nel sondaggio Demos-Eurisko, non si esprimono. Perché non capiscono. Troppo complicate, le vicende. E troppo "normali", nella loro (im) morale ("I politici rubano e fanno i propri interessi"). Troppo: per scandalizzare. Anche perché la credibilità della predica dipende dal pulpito. Se il sermone sul conflitto di interessi è tenuto dal premier, è lecito attendersi, tra i fedeli, un sentimento agnostico. Scettico.
Tuttavia, la ragione vera per cui lo scandalo delle banche non fa scandalo nella società è perché, come mostra l'Atlante politico, le preoccupazioni della gente oggi sono altre. La disoccupazione e i prezzi, anzitutto. Poi, l'insicurezza sociale e personale: la paura della criminalità comune; la domanda di assistenza, di protezione. Mentre la corruzione politica inquieta - relativamente - poco. Si direbbe, quindi, che non molto sia cambiato, rispetto a qualche mese fa, nel sentimento comune e negli orientamenti politici. Il centrodestra continua ad apparire indietro, nelle intenzioni di voto. E la maggioranza dei cittadini prevede che perderà le prossime elezioni. Perché, in un'epoca a basso contenuto ideologico e a forte personalizzazione politica, la competizione elettorale tende ad essere concepita come un referendum che riguarda il governo. E il suo premier. Fra chi intende confermargli la fiducia e chi invece gliela vuole negare.
Sulla base del giudizio sulle cose fatte. Che, però, non si fonda sulle statistiche, sui dati, sulle cifre. Ma sull'esperienza. Sulla condizione personale e familiare. Su questa base decide, in particolare, la componente sociale politicamente meno "appassionata", coinvolta e informata. Oggi, questa parte della popolazione appare inquieta e insoddisfatta. Nonostante le rassicurazioni del premier, questi elettori non hanno colto i profondi cambiamenti degli ultimi cinque anni. Non si sono accorti. Che l'economia ha ripreso fiato. La disoccupazione cala e l'occupazione cresce. Le tasse sono state ridotte e il costo della vita è diminuito. I reati sono in costante calo. Sui treni si viaggia in orario, in modo confortevole. Scuola e Università funzionano meglio. Sul passante di Mestre, sulla Salerno-Reggio Calabria e sul raccordo anulare di Roma si marcia più spediti. Magari è anche vero. Le cose possono essere migliorate, relativamente ad alcuni di questi problemi. Però non se ne sono accorti. I cittadini. Per cui, negli ultimi mesi, non hanno cambiato parere. Né orientamento di voto.
Per questo, sorprende il divario fra clima mediatico e d'opinione. Senza svalutare il rilievo della "questione morale", colpisce la svalutazione della "questione sociale". Che suggerisce alcune chiavi di lettura.
La prima riguarda la capacità del premier di riscrivere, a proprio favore, l'agenda politica. Di cambiare la gerarchia dei problemi. Anteponendo, a tutto, il conflitto di interessi della sinistra. Non solo per occultare il proprio. Ma per spostare il centro del dibattito pubblico - e l'attenzione della società - dal governo all'opposizione.
La seconda riguarda la strategia. Che verte, totalmente, massicciamente, sui media. Televisione e radio. Secondo modalità inedite, per ogni altra democrazia avanzata. Dove, pure, i media contano molto. Visto che non esistono altri paesi dove il confronto tra i leader (o meglio: tra il premier e, a rotazione, gli altri leader), in tivù, cominci tre mesi prima del voto. E avvenga tutte le sere. Senza limiti di tempo e senza regole di svolgimento. Con ulteriori repliche le sere successive. Su altre reti.
Con alcuni esiti non trascurabili. Per l'opposizione: costretta a inseguire le tematiche imposte da Berlusconi su un terreno a lui decisamente favorevole. Per la stessa maggioranza: visto che, in questo modo, Berlusconi riafferma, prepotentemente la sua leadership; e traina il suo partito personale, Forza Italia, in vista di una consultazione proporzionale e, per questo, partitica. Oscurando i partiti alleati, i cui leader godono di un consenso personale molto superiore al suo.
La terza, conseguente, riguarda il rafforzarsi della "superstizione mediatica". La convinzione che le elezioni si vincano soprattutto, anzi, esclusivamente, sui media. In televisione. Mentre le recenti esperienze elettorali hanno dimostrato l'importanza dell'organizzazione e della partecipazione. Soprattutto per il centrosinistra, che è presente nella società e radicato nel territorio.
Così, per narcisismo o per assuefazione al berlusconismo: i leader del centrosinistra si tuffano, beati, nel mondo mediatico. Entrano nello specchio deformante offerto ai cittadini-spettatori. E rischiano di neutralizzare la principale minaccia, per Berlusconi. Impegnato a contraddire la convinzione, diffusa, che al posto del "contratto", siglato cinque anni fa davanti a Bruno Vespa, oggi, sia subentrato uno stridente "contrasto". Con gli italiani.
Sarebbe meglio, per questo, lasciarlo da solo. A Porta a Porta. E dialogare con gli elettori. Porta a porta.