De: gli insulti alla Fiamma, il balletto degli accordi e, soprattutto, la mentalità rivoluzionaria

La scelta della Fiamma Tricolore di presentarsi alle prossime legislative in alleanza con la CdL ha suscitato critiche. Qualunque cosa si possa pensare in merito, va comunque sottolineato che tali critiche hanno assunto toni eccessivi e fuori luogo oltre ad essere quasi tutte politicamente falsate da vizi di fondo. Senza contare che i giochi non sono ancora conclusi ed è tutt'altro che impossibile che alcuni veementi accusatori della Fiamma si vengano a trovare presto nell'imbarazzante situazione di assumere a loro volta la medesima scelta che hanno bollato come "tradimento".

Ho avuto modo di esprimere più volte il mio pensiero in merito a questa vera e propria isteria teologica e puritana dietro la quale si nasconde il vuoto del radicalismo e come ritenga invece primario ripartire proprio dal radicalismo attivo e concreto per affermare un soggetto qualificato e solido. Colgo l'occasione dell'ennesima cagnara per ribadire quanto penso.



Il "rifiuto" del sistema



Innanzitutto sono per le cose chiare. È rispettabilissima la posizione di "rifiuto" del sistema. Essa può avere una prospettiva sociopolitica (come s'immaginò l'avesse ai tempi del Movimento Studentesco, di Lotta di Popolo, di Terza Posizione e dell'Autonomia Operaia), mirante cioè a mobilitare il popolo in lotta in organizzazioni di contropotere. Allora si rivelò utopico, oggi è assolutamente improponibile, non fosse altro per la disgregazione dei tessuti sociali e per la demassificazione di cui siamo oggetto.

Il rifiuto può anche essere di tutt'altra natura: l'espressione di un disgusto per il volgo, per i burattinai e per i burattini; questo è accettabilissmo e dignitosissimo. Impolitico ma umanamente rispettabile; né potrei pensarla diversamente visto e considerato che in vita mia ho votato una volta sola e questo a prescindere da intervenute squalifiche tribunalizie.

Se ci si presenta però alle elezioni, al fine di contarsi, di farsi conoscere e soprattutto di finanziarsi tramite i rimborsi elettorali, si accetta la dinamica del sistema. Il che non è un insulto, ma una constatazione. E dal momento che si accetta la dinamica del sistema non vi è alcuna ragione di definire una serie di tabù che servono solo a paralizzare le proprie mosse. Che queste mosse risultino poi efficaci o nulle dipende da una serie di cose a monte. Un gruppo compatto, fondato su principi vissuti, realismo e intutito, una leadership radicale insomma, può aggredire dialetticamente il sistema; chiunque altro ne viene annullato. Ed è qui probabilmente che casca l'asino: è da qui che si dovrebbe partire daccapo, una buona volta.



Due spinte eguali e contrarie



Su questo punto gli elementi d'ottimismo e quelli di pessimismo oggi quasi si annullano. Chi viva dall'interno o da vicino certi rinnovamenti in atto può nutrire qualche speranza; chi sia abituato a scrutare le dirigenze ufficiali per ricevere indicazioni non può che scoraggiarsi.

Il risultato di quest'opposizione fra una dinamica innovativa e una stasi putrescente dipende però in larga misura da ognuno di noi e nessuno può starsene in finestra per poi esclamare, alla prossima magra figura "l'avevo detto!" Posto che oggi si può realmente incidere a spallate, assumere un atteggiamento fatalistico e passivo significa solo scadere nel disfattismo.

Sia come sia, il coacervo che si denomina "area" si presenta alla prima elezione con i nuovi criteri in ordine sparso, con quattro leaders e due cartelli elettorali. Se qualcuno azzecca la mossa magari conquista otto o nove deputati o, comunque, resta agganciato alla realtà alla vigilia di un probabile cambio di panorama partitico. La nascita della "Lista Fini" ad esempio può (dicasi può) preannunciare sommovimenti e fratture in AN che, se avvenissero in presenza di un consolidato soggetto radicale, potrebbero assumere qualche direzione non spiacevolissima. Se le mosse e i calcoli si rivelerannno sbagliatissimi (e la lite fra i due cartelli elettorali non promette nulla di buono in tal senso) ne approfitteranno i democristiani di turno. E ritorniamo al problema irrisolto della "piramide rovesciata" e della scarsa consistenza del radicalismo, ovvero ciò su cui dovremmo relamente operare.



Accordi imbarazzanti



In questo preciso frangente - quello degli accordi elettorali - si ripetono gli anatemi e le grida di "tradimento" nei confronti della Fiamma Tricolore oggi e forse di AS domani. Va detto che questi insulti le dirigenze se li sono ampiamente meritati andando in passato a svolgere tutta la loro campagna non su di un' affermazione propria ma sulla negazione altrui. Contro i badogliani, contro i traditori di Fiuggi eccetera, eccetera. Essere puri e duri nell'allontanamento degli "impuri" è un vecchio difetto borghese/puritano che serve a nascondere le proprie magagne e le proprie debolezze dietro l'ipocrisia. O forse, più semplicemente, si è trattato di cavalcare il cavallo più facile, quello dell'emotività, senza preoccuparsi di dove lo si stesse conducendo. Ed ora il cavallo è smarrito e giustamente s'imbizzarrisce.

È fuor di discussione che il cambio elettorale oggi detti cambi di posizionamento e che questi cambi di posizionamento mettano allora in imbarazzo chi ha utilizzato finora non tematiche politiche ma teologiche e morali per segnare lo spartiacque con il partito di Fini. Ma tutto ciò - che di politico ha poco o niente - è frutto di una perversione. La critica violenta e veemente da parte di parte della "base" è così emotivamente e moralmente comprensibile e valida, ma è falsata a sua volta da una distorsione a monte frutto di una realtà preoccupante.



Fascisti per gioco di ruolo



Viviamo un'epoca di messa in scena ovvero un'epoca virtuale in cui, superficialmente, contano il vestito, l'atteggiamento, il ruolo. Così si partecipa a quel grande gioco di ruolo che è il consociativismo dissociato della società contemporanea. Chi recita non agisce e chi agisce non recita. Purtroppo la cosiddetta destra radicale è in grandissima parte una messa in scena, una recita. Si fonda sull' atteggiamento che non è l'atto (l'azione), ma la recita dell'atto. Insomma non si è Cyrano ma l'attore che lo mette in scena, ed è tutt'altra cosa. Cyrano può permettersi di vestirsi come vuole e di vedere chi vuole, l'attore no: si perderebbe; per questo deve occuparsi molto del vestito, dell'elsa della spada, del naso finto, del come guardare a destra e a sinistra.

Se è vero come è vero che il partito d'estrema destra (il Msi prima ancora e ben più di AN) ha fatto una scelta di fondo che fascista non è, come si "fascistizza" allora l'attore destra-radicale? Assumendo qualche aspetto estetico del fascismo o del neofascismo, riempendosi la bocca di qualche cristallo verbale e, soprattutto, guardando con disdegno verso colui che "commise il tradimento". Solo da lui, per lui e nella distanza che con lui intercorre, l'attore - che non è Cyrano - si garantisce un ruolo che lo aiuta a vivere con se stesso e qualche amico incontrato per strada. La destra radicale, nella misura in cui sia gioco di ruolo, nella misura in cui non agisca ma reciti, è approdata a questo dramma esistenziale prima ancora che politico. E le dirigenze che per anni hanno cavalcato ignare, compiacenti o complici, questa recita ora si trovano in oggettivo imbarazzo nel proprorre un quasi inedito approccio al reale.



Un breve viaggio nel pragmatismo



L'attore, anziché pensare solo al suo personaggio, avrebbe dovuto studiare invece l'intero copione; ed avrebbe capito quanto lontana dallo spirito e dalla mentalità fascista sia quell'esaltazione settaria dell'impotenza con cui si accompagnano i rifiuti di parlare con questo e con quello. Roba da tardomarxismo altro che fascismo!

E non è solo questione di spirito e mentalità ma anche di prassi storica. So bene che Mussolini e i suoi accordi (che non sono che uno dei mille esempi del pragmatismo del Duce) vengono ultimamente scomodati un po' troppo spesso per far passare per rivoluzionario quello che invece è un semplice accomodamento. In mancanza di autocritica si sconfina spesso nella mistificazione. E non è certo in quel senso, o per giustificare questa o quella scelta, che ritorno sul tema, bensì per rammentare come l'atto rivoluzionario sia lontano e persino opposto all'estremismo verbale e allo sdegno puritano.

Per rendere l'idea senza incorrere appunto in analogie che risulterebbero distorcenti, prendiamo l'esempio di due rivoluzioni famose per la loro intransigenza: quella tedesca e quella cubana.

Parliamo di fenomeni specifici, impensabili qui ed oggi. Adolf Hitler e Fidel Castro giocarono entrambi la carta dell'intransigenza nei riguardi di tutti i possibili alleati e interlocutori. Intransigenza non significò, però, mancanza di dialogo e di dialettica. Il futuro Cancelliere del Reich stabilì una serie di relazioni e alleanze con le destre e con i monarchici, senza con ciò cessare di privilegiare gli operai e di alimentare la vocazione popolare. Una volta conquistato il governo spaccò gli stessi socialdemocratici dai quali attinse ad ampie mani (in particolare per la diplomazia nei confronti del mondo francese). Sul piano internazionale ebbe una serie di rapporti spregiudicati e in particolare stupì tutti con gli atteggiamenti nei confronti dell'Urss.

Il lider maximo seppe dialogare durante il passaggio dalla guerriglia alla rivoluzione e fino al consolidamento della rivoluzione stessa non solo con tutte le componenti antibatiste del llano, destra liberale compresa, ma persino con la Cia e l'amministrazione americana per un periodo relativamente lungo. E nessuno che non sia un cretino può venirci a raccontare che non fosse perciò rivoluzionario o che si fosse venduto.



Mentalità rivoluzionaria



Quello che garantì a tutte e tre quelle rivoluzioni, l'italiana, la tedesca e la cubana, di essere rivoluzioni e non svendite di ideali fu senza dubbio la personalità dei loro capi, ma non soltanto. In particolare in Germania e a Cuba, paesi dove la lunga guerra civile consentì l'avvio della rivoluzione prima della presa del potere, i capi avevano intorno a sé dei dirigenti rivoluzionari di prim'ordine, un assetto gerarchico vissuto e corretto (a centralità guerriera e non politicante o astratta) e soprattutto facevano una politica fondata sui principi. Il che - fermo restando che i principi non sono gli stessi - è qualcosa che propone lo stesso Lenin.

Ed è da qui che dovremmo iniziare a ragionare. Oggi che la recita a tre soldi non è più consentita e che le nuove leggi elettorali impongono il confronto, i nodi stanno per venire al pettine. Ed è qui che la cosa rischia di farsi dolente; qui, non nel "cedimento" che per i più rappresenta il passaggio imminente dal virtuale al reale.

Il passaggio dal virtuale al reale, invece, se avviene sul serio, non può essere che fonte di contentezza per chi ami l'azione e rifiuti la recita. Mi sono già espresso più volte in merito. È da oltre sei anni che ne "le api e i fiori" affermai quella necessità; l'ho ribadita lo scorso anno parlando della necessaria nascita di un "sistema di forze", ho approfondito il tema nel capitolo "Un partito?" nel mio ultimo libro "Quel domani che ci appartenne". Già lo scorso anno sostenendo - insieme alle Osa e all'UdE - Guaglianone e Gerri oltre ad alcuni candidati della lista di destra radicale, affermai che intendevo precorrere i tempi e pronosticai che per le elezioni del 2006 sarebbe stato inevitabile parlare di alleanze.

Le cose sono andate in quel modo e potrei esserne orgoglioso, vieppiù perchè se ho predicato "male" ho comunque razzolato "bene" tenendomi sempre al di fuori dal mercato.

Non sono invece troppo soddisfatto. In primis perché a mio avviso i due cartelli elettorali per ottenere un risultato dovrebbero mettersi d'accordo ma non mi pare proprio che abbiano l'intenzione di farlo. In secondo luogo perché la rivoluzione dei canoni, delle gerarchie, delle mentalità che è indispensabile per trasformare quest'opportunità in un sucesso e non invece in una sbracatura non è ancora avvenuta né linearmente in marcia. Le urgenze ci fanno giungere ad un altro appuntamento importante ancora impreparati. Il successo pertanto se ci sarà, sarà comunque minimo. La sua misura dipenderà dall'incidenza che le forze attive e innovatrici riusciranno ad assumere sulle nomenclature del ghetto.

In ogni caso è tempo di atti e di fatti e non di sproloqui.



Gabriele Adinolfi