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    Predefinito I crimini dei "vincitori"

    di Giorgio Pisanò

    Anche ammesso che le "verità" imposte sui crimini di guerra attribuiti ai tedeschi,a cominciare dal genocidio degli ebrei, siano tutte indiscutibili, sta di fatto che i crimini compiuti dai vincitori durante e dopo il conflitto furono molto più numerosi e spaventosi: eccone un primo elenco

    E' trascorso mezzo secolo dalla fine del secondo conflitto mondiale: mezzo secolo dominato dalla implacabile, martellante, quasi totalmente incontrastata valanga quotidiana di celebrazioni, rievocazioni, memoriali, ricostruzioni storiche e pseudostoriche degli eventi che dal 1939 al 1945 insanguinarono il mondo intero, ma soprattutto l'Europa e l'Asia.

    Una valanga ampliata e moltiplicata dalla forza dirompente del mezzo televisivo che ha finito col plagiare i cervelli di almeno tre generazioni sulla base di un motivo dominante: vale a dire la barbarie, la ferocia disumana, la criminalità senza limiti dei vinti, responsabili di ogni nefandezza. Una barbarie sconfitta grazie al valore, alla disinteressata bontà, alla sconfinata umanità degli eroi belli, vendicatori e liberatori che, indossando le divise degli eserciti vincitori, seppero restituire ai popoli oppressi la possibilità di vivere in un mondo giusto e felice, sconfiggendo la delinquenza organizzata italo-tedesco-nipponica. E a dimostrazione e conferma di questa edificante favola, si riproducono ossessivamente, da cinquanta anni, soprattutto le immagini filmate dagli americani al loro arrivo in alcuni campi di concentramento tedeschi nei giorni conclusivi del conflitto.

    Montagne di cadaveri, masse cenciose di agonizzanti, cumuli di occhiali, di capelli, di denti già appartenuti a uomini e donne spietatamente eliminati in nome di un'ideologia aberrante e dell'odio di razza. Forni crematori. Camere a gas. Tutto vero, certamente, fino a prova contraria. Che nessuno può azzardarsi ad avanzare perché, in Germania, è addirittura reato dubitare della totale autenticità di queste documentazioni prodotte e imposte, dal 1945 in poi, dai vincitori.

    Ma nonostante la ferrea, quasi invalicabile barriera protettiva eretta dai vincitori a difesa della favola bella dei "liberatori" che sconfissero il Male con le armi della giustizia e della umanità, larghe crepe cominciano ormai a prodursi in questa muraglia, e l'opinione pubblica inizia a capire che la "verità protetta" imposta dai vincitori è cosa diversa dai fatti così come si svolsero e, soprattutto, inizia a comprendere che, dietro a quella "verità", nascosta da quella "verità", ce n'è un'altra, che affiora sconvolgente e atroce: la verità sui crimini dei vincitori. Inizia a capire, in poche parole, che i crimini dei vinti (e ne sono stati commessi, così come se ne commettono in tutte le guerre) sono stati moltipllcati, esasperati, deliberatamente gonfiati, anche inventati di sana pianta, al solo scopo di nascondere, o di fare dimenticare, ben altri, spaventosi crimini: i crimini, appunto, dei vincitori. Siamo così di fronte ad una materia esplosiva, che va portata alla luce dopo essere rimasta sepolta per mezzo secolo. Una materia che allinea centinaia di migliaia di episodi, di portata singola e collettiva, e che coinvolge la storia, finora sconosciuta, di popoli interi. Noi ci sforzeremo, nei prossimi numeri di questa pubblicazione, di documentare, per ora, i grandi episodi di criminalità di cui i vincitori si sono resi responsabili, e invitiamo i lettori che ne siano a conoscenza a collaborare con questa nostra opera di documentazione, segnalandoci fatti, situazioni, protagonisti e testimoni. Cominceremo così a creare un archivio da lasciare a coloro che, dopo di noi, vorranno fare luce completa su questa terrificante pagina di storia che offende l'intera umanità. Ecco, intanto, un primo elenco di crimini dei vincitori.

    I BOMBARDAMENTI TERRORISTICI ANGLO AMERICANI SULLE CITTÀ ITALIANE DOPO LA RESA DELL'8 SETTEMBRE 1943

    Furono migliaia. Solo nel 1944, gli angloamericani effettuarono sull'Italia centro-settentrionale, territorio della Repubblica Sociale Italiana, 4.541 incursioni, uccidendo 22.000 civili e ferendone oltre 36.000. Da ricordare, inoltre, nel 1943, proprio durante i quarantacinque giorni di Badoglio, i bombardamenti terroristici su Milano, Torino, Genova e, l'1 settembre, la distruzione di Pescara, città completamente senza difesa contro le incursioni aeree, e il bombardamento di Frascati, rasa al suolo con migliaia di morti, solo perché ai comandi alleati era giunta notizia che in quella cittadina laziale aveva sede il comando del Maresciallo Kesselring. Altro selvaggio crimine da ricordare è il bombardamento di Treviso che, il giorno di Venerdì Santo del 1944, venne distrutta da un feroce attacco aereo, senza che nella città avessero sede basi militari o comandi italo-tedeschi. Solo a guerra finita si seppe che l'incursione era stata decisa dopo che un'informazione, proveniente da fonte antifascista clandestina, aveva comunicato che quel giorno Mussolini e Hitler dovevano incontrarsi a Treviso. L'informazione era sbagliata. Quel giorno i due Capi di Stato si incontrarono sì, ma al confine di Tarvisio. La spia antifascista scambiò TREVISO per TARVISIO e quell'errore costò la vita a quattromila abitanti della città veneta.

    LE "MAROCCHINATE" DI ESPERIA

    Il crimine venne compiuto dalle truppe marocchine che, al comando del generale francese Juin, avevano combattuto a Cassino. Quale premio venne concesso loro il diritto di rapina e la libertà di disporre delle donne italiane. Fu così che duemila donne di Esperia, cittadina laziale ad ovest di Cassino, vennero selvaggiamente aggredite, stuprate, violentate dai soldati di colore. Tutte: dai dieci agli ottantatrè anni. L'episodio diede origine a un film famoso, interpretato da Sofia Loren, "La Ciociara", che però non diede assolutamente la misura dell'entità del crimine.

    IL MARTIRIO DELLE DONNE DELLA SLESIA

    Ma se duemila furono le donne italiane stuprate dai marocchini ad Esperia, di ben maggiore e apocalittica dimensione, fu la tragedia che si abbattè sulle donne tedesche della Slesia, dove vennero considerate "bottino di guerra" dalle truppe sovietiche conquistatrici, che ne violentarono, stuprarono e massacrarono oltre quattro milioni. E' una pagina, questa, sulla quale i vincitori hanno imposto per decenni il più totale silenzio. La tragedia iniziò quando la Slesia, regione orientale di confine della Germania, venne raggiunta e invasa dalle truppe dell'Armata Rossa che avanzavano verso occidente. In quelle terre martoriate non ci fu più legge umana né trattato internazionale che potesse valere, ma solo la legge della giungla e del terrore imposta dalle orde bolsceviche. Quattro milioni di donne violentate: quattro milioni di storie agghiaccianti che è vietato ricordare, delle quali esiste memoria scritta grazie alle autorità cattoliche della Germania Orientale che, nel dopoguerra, riuscirono a raccogliere testimonianze e documenti. Sull'argomento vennero infatti pubblicati, negli anni '50, alcuni "libri bianchi" a cura di monsignor Josef Perche, già vescovo di Breslavia al momento dell'occupazione sovietica. Alcuni di questi libri giunsero, agli inizi degli Anni '60, anche in nostre mani, e fu così che venimmo a conoscenza di questa terrificante pagina di storia, che cercammo di rendere nota dedicandovi " alcuni articoli sul settimanale "Candido". Ma la verità intera potrà diventare di pubblico dominio solo quando i tedeschi della Germania unificata si scrolleranno di dosso quel complesso di inferiorità che grava su di loro dai giorni della sconfitta e si decideranno a rivedere la loro storia, nel bene e nel male, documentando finalmente la verità per quanto riguarda non solo l' "olocausto" degli ebrei nei loro lager, ma anche l'olocausto della loro gente per mano di nemici spietati e criminali.

    IL MASSACRO DEGLI INNOCENTI

    Erano bambini tedeschi, ancora abbastanza piccoli e leggeri da poter essere presi per i piedi, roteati in aria e scagliati con la testa a fracassarsi contro le ruote dei carri che li trasportavano. Questa fu la sorte spaventosa di migliaia di bambini tedeschi, in fuga con le loro famiglie dalle terre orientali della Germania verso occidente in lunghe colonne di carri trainati da buoi. Decine di migliaia di carri, centinaia di migliaia di donne e bambini terrorizzati, mentre gli uomini continuavano a combattere e a morire nell'illusione di contenere l'avanzata sovietica. Ma la marcia di queste colonne venne quasi sempre bloccata dai comunisti polacchi che controllavano ormai, in quelle ultime settimane di guerra, gran parte del territorio già occupato dai tedeschi nel 1939. A quei posti di blocco furono compiute atrocità inimmaginabili. Fucilazioni in massa dei profughi, stupri e violenze sulle donne indifese e, soprattutto, l'eliminazione sistematica dei bambini tedeschi perché si spegnesse il "seme del popolo germanico". Anche su questa allucinante pagina di storia è d'obbligo il silenzio da cinquantanni. Un silenzio rotto solamente una decina di anni or sono da un documentato libro di Picene Chiodo, edito dalla Mursia, intitolato "E malediranno l'ora in cui partorirono", ma sul quale la pseudo*cultura antifascista ha fatto scendere un sudario tombale.

    LE FOSSE DI KATYN

    Le scoprirono i tedeschi, per caso, nel 1943 nel territorio polacco già occupato dai sovietici nel 1939: oltre 14.000 cadaveri mummificati in fosse di circa 30 metri per 16. Erano i cadaveri degli ufficiali polacchi catturati dai russi nel 1939. Indossavano tutti le loro divise. Avevano tutti le mani legate dietro alla schiena e presentavano, ognuno, un foro di proiettile alla nuca. I tedeschi denunciarono al mondo, con ampia documentazione, la spaventosa realtà e la fecero analizzare da una commissione della Croce Rossa internazionale. La conclusione fu che lo spaventoso massacro era stato deciso ed attuato dai sovietici che avevano voluto così eliminare spietatamente la classe borghese, vale a dire la classe dirigente polacca, interamente cattolica e anticomunista. La commissione della Croce Rossa giunse anche ad accertare che il massacro era stato attuato da speciali reparti della "Ghepeù" (la polizia segreta sovietica) nelle prime settimane del 1940, poco dopo la resa dell'Armata polacca. Ma i russi gridarono subito che la slrage di Kalyn l'avevano compiute i tedeschi: i loro alleali liberalcapitalisli, nonostante conoscessero perfettamente la verità, si adeguarono al loro volere. Così, per decenni, i 14.000 assassinati di Katyn furono attribuiti ai tedeschi. Invece erano stati i comunisti, per ordine di Stalin. Oggi la verità si è fatta strada, anche perché i polacchi hanno trasformato la foreste di Kalyn in una selva di croci e di lapidi commemorative, molte ferocemente anticomunisle. Ma c'è ancora qualcuno, qui in Italia, imbevuto di quella subcultura "sessantonina" che discende dal pianeta delle scimmie, il quale osa sostenere che le fosse di Katyn le hanno fatte i tedeschi per darne poi la colpa ai sovietici.

    SIR ARTHUR HARRIS, IL MACELLAIO DI DRESDA E AMBURGO

    Sir Harris fu il capo dei bombardieri inglesi che distrassero le città tedesche, massacrando oltre cinque milioni di civili. Fu lui ad inventare la "feuerslurm", vale a dire la "tempeste di fuoco", che si otteneva con l'infernale alternanza di bombe incendiarie e bombe dirompenti. E fu lui ad essere soprannominalo, dai suoi stessi uomini, "il macellaio". La sua impresa più "epica" resta il bombardamento di Dresda la notte del 13 febbraio 1945, quando la guerra slava per finire. La spaventosa notte di Dresda fu realizzala lanciando sulla città che, completamente priva di difesa antiaerea, contava 600.000 abitanti e ospitava 650.000 profughi dalle terre orientali già occupate dai russi, tre ondate successive di 244, 529 e 450 bombardieri quadrimotori. Dresda, gioiello dell'arte e della cultura germanica, divampò come un braciere. Tra le fiamme morirono dai 135.000 (secondo le storico inglese Irving) ai 270.000 civili (secondo la Croce Rossa Internazionale). Ma la notte di Dresda era già stata preceduta, tra il 25 luglio e il 3 agosto del 1943, da un primo, spaventoso esperimento di "tempeste di fuoco": vale a dire il bombardamento di Amburgo. Cinque notti di incursioni continue condotte da 3.095 bombardieri che avevano sgancialo 9.000 tonnellate di bombe, massacrando 55.000 civili. A sir Arthur Harris, "il macellaio", gli inglesi hanno recentemente dedicalo un monumento. Ma i tedeschi stanno facendo di Dresda il simbolo dell'olocausto tedesco. Uri olocausto terribilmente autentico.

    L'ELIMINAZIONE PER FAME DI UN MILIONE DI PRIGIONIERI TEDESCHI

    Fu Ike Eisenhower, il comandante in capo dei "liberatori", a volerlo: fece morire di fame, di stenti e di malattie un milione di soldati tedeschi, prigionieri di guerra e rinchiusi nei campi di concentramento americani in Europa. Lo ha documentato, in un recente libro edito dalla Mursia e intitolato "Gli altri lager", lo scrittore canadese James Baque.

    LE FOIBE

    Adesso finalmente si comincia a parlarne. Ma per oltre quarant'anni, solo noi giornalisti e scrittori liberi da ogni condizionamento antifascista, ne abbiamo documentato l'esistenza. Ottenendo l'unico risultato di vedere inventare un "campo di sterminio", mai esistito, nella ex Risiera di San Sabba a Trieste: inventato negli anni '60 e costruito con cento milioni stanziati dal Comune di Trieste al solo scopo di far dimenticare, con la storia fasulla di quattromila "martiri antifascisti" altrettanto fasulli, la verità vera delle foibe carsiche e dei 10.000 italiani che vi furono scaraventati dentro.

    Ma c'è ancora tanto da scoprire sui campi di sterminio jugoslavi dove i comunisti titini, a guerra finita, hanno massacrato altre migliaia di italiani.

    L'OLOCAUSTO DEI FASCISTI REPUBBLICANI

    Aprile - maggio 1945: oltre cinquantamila assassinati in pochi giorni nelle strade e nelle piazze dell'Italia del Nord. Ma gli italiani ancora non sanno che cosa accadde veramente in quella primavera di sangue. Bisogna intensificare gli sforzi perché tutti, un giorno,possano sapere tutto. E giudicare.

    LE BOMBE ATOMICHE DI HIROSHIMA E NAGASAKI

    Cercano di non parlarne mai. E quando sono costretti a parlarne, gli americani sostengono che quelle bombe le sganciarono con le lacrime agli occhi, ma solo per fare finire presto la guerra. Balle. Le sganciarono perché le avevano costruite e perché vollero usarle. E una realtà è certa: anche ammesso, ma non concesso, che i tedeschi abbiano commesso tutti i crimini loro attribuiti, sta dì fatto che solo gli americani sono riusciti a massacrare quasi duecentomila innocenti in soli due secondi.

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    Crimini di guerra degli Alleati nel 1945
    di Marco Respinti



    1. Lo scenario

    Dalla resa di fronte a Stalingrado, il 2 febbraio 1943, cioè da quando l’Operazione Barbarossa — scatenata dalla Wehrmacht il 22 giugno 1941 contro l’Unione Sovietica — comincia a volgersi in ritirata, preludio della sconfitta finale del Terzo Reich, circa 5.000.000 di cittadini sovietici guadagnano l’Occidente per sfuggire al totalitarismo comunista o perché, in qualche modo, legati ai tedeschi. Si tratta di unità militari — che hanno approfittato della guerra tedesco-sovietica per combattere una lotta patriottica e anticomunista e si sono arruolati nella Wehrmacht come la ROA — Russkaja Osvoboditel’naja Armija, l’Esercito di Liberazione Russo del generale Andrej Andreevic Vlasov (1900-1946) —, di prigionieri di guerra, di mano d’opera schiava impiegata nei battaglioni di lavoro che costruiscono il Vallo Atlantico per fermare l’avanzata degli Alleati, e di profughi. I primi cittadini sovietici sono catturati dagli Alleati in Africa Settentrionale nel 1943, quindi, in numero maggiore, in Italia nell’estate del 1944, ma soprattutto — a decine di migliaia — dopo il D-Day, il 6 giugno 1944, giorno dello sbarco alleato in Normandia. Nei campi di prigionia in Gran Bretagna alle prime voci di rimpatri forzati si verificano i primi suicidi: meglio la morte che Josif Visarionovic Dzugasvili detto Stalin (1879-1953).



    2. Vittime di Jalta

    Nel 1944, il ministro degli Esteri britannico Sir Robert Anthony Eden (1897-1977) — poi Lord Avon e primo ministro dal 1955 al 1957 —, circondato da un entourage "di sinistra", riesce, dopo ripetuti sforzi, a convincere il capo del governo di coalizione del tempo di guerra, fra 1940 e 1945, — Winston Leonard Spenser Churchill (1874-1965), più tardi insignito del titolo Sir e di nuovo primo ministro dal 1951 al 1955 — dell’opportunità di rimpatriare tutti i cittadini sovietici stanziati in Occidente. Dal mese di settembre, la politica dei rimpatri diviene una linea ufficiale. In ottobre, Churchill, Eden, Stalin e il ministro degli Esteri sovietico Vyaceslav Mihajlovic Skrjabin detto Molotov (1890-1986) s’incontrano a Mosca e definiscono l’accordo sui rimpatri, anche forzati, dei prigionieri ben prima degli incontri di Jalta, in Crimea, svoltisi fra il 4 e l’11 febbraio 1945, che risultano dunque essere solo una ratifica di quanto già stabilito: verranno riconsegnate circa 2.750.000 persone, in gran parte riluttanti, contro una vaga promessa di restituzione, da parte sovietica, di prigionieri di guerra alleati. L’ultima operazione di rimpatrio forzato di cittadini sovietici messa in atto dagli Alleati — preparata dal trasferimento dei prigionieri in territorio italiano — è denominata Eastwind e ha inizio il 2 aprile 1947, mentre con l’Operazione Highjump sono riconsegnati a Josip Broz detto Tito (1892-1980) slavi meridionali anticomunisti, pure prigionieri.



    3. L’olocausto dei cosacchi anticomunisti

    In questo quadro s’inserisce la vicenda dei cosacchi e dei caucasici — militari e civili — arresisi in Austria all’esercito britannico il 9 maggio 1945, dopo aver soggiornato qualche mese in Carnia, lì mandati dai capi del Terzo Reich a costituire un "territorio cosacco nell’Italia Settentrionale", nell’ambito di un "territorio costiero adriatico" comprendente terre italiche, austriache e slave. I combattenti sono inquadrati soprattutto nel 15° Corpo di Cavalleria del generale tedesco Helmut von Pannwitz — anche se i sovietici lo definiranno falsamente "ufficiale delle SS", si trattava di persona ben poco legata all’ideologia nazionalsocialista — e impiegati militarmente dall’alto comando tedesco nei territori slavi meridionali contro i partigiani titini, ma sostanzialmente mai nella guerra antisovietica sul suolo patrio come invece essi avrebbero desiderato. Dopo la sconfitta del Terzo Reich, costoro si aspettano, da parte alleata, una continuazione della guerra in senso anticomunista. Forti dell’amicizia con Londra, che data sin dai tempi della Guerra Civile russa, i cosacchi si fidano dei vincitori. Fra loro vi sono anche numerosi membri dell’emigrazione bianca, ossia soggetti estranei all’accordo di rimpatrio perché non cittadini sovietici: vecchi combattenti della Guerra Civile e ataman famosi come il generale Pëtr Nikolaevic Krasnov (1869-1947) dei cosacchi del Don, tutti tornati per combattere la grande guerra patriottica. Mentre il 12 maggio, in Boemia, i sovietici catturano Vlasov, in Austria, a partire dal 1° giugno tutti i prigionieri — combattenti, uomini, donne, vecchi e bambini spinti come animali su carri-bestiame — sono consegnati ai sovietici con la forza e con l’inganno: decine gli episodi raccapriccianti nei campi nei dintorni di Lienz, Oberdrauburg, Feldkirchen, Althofen e Neumarkt, e i suicidi collettivi nelle acque del fiume Drava. Gli ufficiali precedono di qualche giorno: il 29 maggio li si convince di un’inesistente conferenza sul loro futuro e li si offre ai sovietici nella cittadina austriaca di Judenburg. Chi non viene fucilato o impiccato sul posto è internato nel GULag, perché — secondo Stalin — il prigioniero di guerra è un traditore, pericoloso perché "ha visto l’Occidente" anche se solo da dentro un lager nazionalsocialista. Fra gli ufficiali troverà la morte anche il generale von Pannwitz, che vuole condividere il destino dei suoi uomini e degli altri ufficiali superiori cosacchi, mentre gli sarebbe stato facile sfuggire tale sorte dichiarandosi tedesco e così restare con gli Alleati e godere del trattamento riservato dalla Convenzione di Ginevra ai prigionieri di guerra, che peraltro, mai sottoscritta da Stalin, non valeva per i cittadini sovietici caduti in mano nemica. La Pravda annuncia processo ed esecuzione degli ufficiali cosacchi il 17 gennaio 1947, anno che viene assunto come quello della loro morte.

    Aleksandr I. Solzenicyn, in Arcipelago GULag. Saggio di inchiesta narrativa, del 1973, ha definito la vicenda l’"ultimo segreto" della seconda guerra mondiale; da qui ha preso spunto lo storico ed europarlamentare conservatore inglese Lord Nicholas William Bethell per The Last Secret: Forcible Repatriation to Russia 1944-1947, del 1974.



    4. Il destino degli slavi meridionali anticomunisti

    Sempre fra fine maggio e inizio giugno del 1945, e sempre con l’illusione di un ridislocamento in territori sicuri, i britannici consegnano a Tito migliaia di slavi meridionali anticomunisti — ancora uomini estranei agli accordi fra Stalin e Alleati —, in maggioranza domobranci, le guardie nazionali slovene e croate, riparati in Austria. Costoro — il loro tradimento da parte britannica è parallelo a quello consumato ai danni dei cetnici monarchici serbi, anticomunisti e contrari alle potenze dell’Asse, del generale Draza Mihajlovic (1893-1946), sacrificati sull’altare della nuova alleanza fra Churchill e Tito — sono massacrati dai partigiani comunisti e gettati in fosse comuni come quella — non unica, scrive l’ex ufficiale britannico del SOE, Special Operations Executive, Michael Lees, in The Rape of Serbia: The British Role in Tito’s Grab for Power 1943-1944, del 1990 — della foresta di Kocevje, in Slovenia, dove sono state rinvenute le ossa di circa 10.000 vittime. Fra cosacchi e slavi meridionali riconsegnati ai rispettivi despoti comunisti, la cifra più cauta è di circa 70.000 persone, anche se ne sono state avanzate di maggiori.



    5. L’orrendo segreto di MacMillan

    La doppia operazione è tenuta segreta e in Occidente al tempo nota solo agli inglesi direttamente implicati: gli americani, dal canto loro, non avevano alcuna intenzione di rimpatriare a forza cosacchi e slavi meridionali d’Austria, così come non l’ebbe il comandante supremo degli Alleati, di stanza a Napoli, Lord Harold Rupert Leofric George Alexander (1891-1969). La responsabilità del crimine è, dunque, un tassello importante dell’"ultimo segreto" che oggi inizia a svelarsi. Lo spostamento in Germania dei prigionieri d’Austria, ideato dal generale statunitense George Smith Patton (1885-1945) in vista di scontri armati con le bande di Tito per salvare i prigionieri, viene fermato con una menzogna del comandante di brigata Toby Low — poi Lord Aldington —, capo di stato maggiore del 5° Corpo d’Armata britannico, agli ordini del tenente generale Charles Keightley, comandante in capo del medesimo corpo, deceduto nel 1974, al quale Maurice Harold MacMillan (1894-1987) — plenipotenziario britannico nel Mediterraneo all’epoca dei fatti, poi Lord Stockton e primo ministro dal 1957 al 1963 — ordina di operare a ogni costo i rimpatri forzati. Secondo i dettagliatissimi studi dello storico anglo-russo Nikolai Dmitrevic Tolstoy Miloslavsky — raccolti dal discendente del noto romanziere russo conte Lev Nikolaevic Tolstoj (1828-1910) nei volumi Victims of Yalta, del 1978, e The Minister and the Massacres, del 1986 — e stando alla documentazione fin qui raccolta, Low — oggi vicepresidente del Partito Conservatore britannico —, Keightley e MacMillan — all’insaputa dell’alto comando alleato, degli americani, del Foreign Office e di Churchill — hanno intessuto una trama segreta e sanguinosa, le cui motivazioni specifiche sono ancora per molti versi avvolte nell’oscurità anche se si è parlato di debolezze, di ricatti e di complicità ideologiche, nonché di macchinazioni di tipo massonico. Del resto, MacMillan ha sempre rifiutato qualsiasi spiegazione dei propri atti, né ha mai protestato pubblicamente per la ricostruzione dei fatti e per le accuse rivoltegli da Tolstoy. Solo Low lo ha fatto, quantunque originariamente per via indiretta, denunciando un volantino diffuso da un privato che — per ragioni personali — aveva deciso di colpire l’eminente uomo politico britannico traendo spunto dal volume The Minister and the Massacres. Ne è scaturito un colossale caso giudiziario dai mille risvolti, nonché ricco di colpi di scena e di scorrettezze da parte dei diversi livelli della giustizia inglese che, nel 1989, ha ritenuto lo storico anglo-russo colpevole di diffamazione — sentenza confermata in appello — e gli ha comminato la più grande multa della storia giuridica britannica: 1,5 milioni di sterline. Con un’azione privata e illegittima dei difensori di Low si è poi spinto l’editore londinese Century Hutchinson a ritirare dal mercato inglese e gallese lo studio — peraltro oggi disponibile in lingua croata e in lingua russa — e a distruggerne le copie restanti. Al posto dell’importantissima opera di Tolstoy è stato dunque prodotto un rapporto ufficiale dalle conclusioni del tutto differenti, redatto da Anthony Cowgill, da Lord Thomas Brimelow e da Christopher Booker.

    La vicenda è stata accompagnata da clamorosi voltafaccia di ex sostenitori di Tolstoy — quello di Booker, per esempio, scrittore e co-autore del rapporto ufficiale — a fronte dell’appoggio testimoniato allo storico dall’opinione pubblica, da molti media e da personalità della politica e della cultura, fra i quali il parlamentare conservatore inglese Lord Bernard Braine di Wheatley, Hans Adam II del Liechtenstein e Solzenicyn.

    Il 13 luglio 1995, la Corte dei Diritti Umani di Strasburgo ha riconosciuto che la pena pecuniaria inflitta a Tolstoy, e le altre misure restrittive di cui è stato fatto oggetto — come il divieto di parlare pubblicamente e di scrivere della vicenda dei rimpatri forzati dall’Austria —, violano la libertà d’espressione dello studioso e rappresentano una condanna esagerata.

    A Londra intanto, il 6 marzo 1982, per iniziativa di un comitato costituito da parlamentari e da esponenti di tutti i partiti politici britannici, veniva eretto un monumento alla memoria delle vittime di Jalta, il quale — come ha scritto Lord Bethell — anche per volontà di Margaret Thatcher poggiava "su terreno della Corona". Il memento è poi stato fatto esplodere da ignoti.



    --------------------------------------------------------------------------------
    Per approfondire: vedi Pier Arrigo Carnier, L’armata cosacca in Italia. 1944-1945, 2a ed. ampliata, Mursia, Milano 1990; Idem, Lo sterminio mancato. La dominazione nazista nel Veneto orientale 1943-1945, 2a ed., Mursia, Milano 1988; Alessandro Ivanov, Cosacchi perduti. Dal Friuli all’URSS, 1944-45, Aviani, Tricesimo (Udine) s.d. [ma 1997]; Piero Buscaroli, La vista, l’udito, la memoria. Scritti d’arte, di musica, di storia, Fogola, Torino, 1987, pp. 448-477; Roberto de Mattei, Schiavi di Mosca e vittime di Yalta, in Cristianità, anno VIII, n. 60, aprile 1980, pp. 9-12; e i miei Maggio-giugno 1945: il rimpatrio forzato dei cosacchi e altri crimini di guerra "eccellenti", ibid., anno XXIII, n. 245, settembre 1995, pp. 13-20, e Anche gli Alleati deportavano, in La nuova Europa, anno V, n. 6 (270), novembre-dicembre 1996, pp. 86-104.

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    Gli anni 1940-45
    SI ACCENDE UNA POLEMICA SULLE STRAGI DELLA POPOLAZIONE TEDESCA
    Uno storico denuncia i crimini degli Alleati Bombardamenti spietati per aiutare l'Urss
    di Geminello Alvi

    Per anni e anni l'essere inglesi o tedeschi pareva soltanto il rimasuglio di
    un fuoco che guerre e ideologie avevano ormai quasi del tutto sopito. E
    invece riprende a bruciare, per effetto di un vento che almeno dal crollo
    del Muro soffia e accende giorno dopo giorno quanto sotto le ceneri
    credevamo estinto. La globalizzazione avrebbe dovuto confonderci, omologare
    ancora più le culture tra loro, in una multicultura anglofona di consumi e
    internet. Invece adesso le civilizzazioni e la loro memoria paiono tutte
    ricercare una loro forma perduta. Come riconferma in questi mesi in Germania
    anche il libro di Joerg Friedrich, Der Brand, Deutschland in Bombenkrieg
    1940-45 (L'incendio, la Germania sotto le bombe). Uno scritto potente che
    rompe con quanto le ideologie fino a ieri prescrivevano, e ricerca una
    diversa memoria del passato.
    Con questo libro di storia sulla Germania infatti si dice quanto tutti
    sapevano ma nessuno, tantomeno nelle università o sui giornali, osava dire
    volentieri ad alta voce: che Hitler e i suoi non furono i soli criminali
    della Seconda guerra mondiale. Churchill e gli aerei inglesi dal cielo coi
    loro bombardamenti premeditarono vari stermini della popolazione civile
    tedesca.
    Un'ecatombe che non ebbe i suoi moventi soltanto nella ritorsione agli
    stermini della Luftwaffe. E neppure tanto nella volontà di distruggere le
    industrie. Alle città tedesche venne dato fuoco, come immensi formicai da
    eliminarsi, anche per il calcolo di compiacere Stalin. E fu una furia
    annientatrice che almeno nei cieli superò persino quella di Hitler.
    Bruciando, soffocando, smembrando, stritolando come delle formiche, tra
    420.000 e 570.000 civili tedeschi. Un'ecatombe, Friedrich non lascia un
    altro nome per definirla, che superò il male che coi bombardamenti i
    tedeschi fecero agli inglesi. Non soltanto perché la Luftwaffe lanciò 103
    mila tonnellate di bombe contro gli 1,3 milioni di tonnellate degli alleati.
    Ma perché in una sola notte di bombe la Royal Air Force riusciva a uccidere
    dieci volte più civili di quanti non ne erano morti a Coventry per le bombe
    tedesche. E tra il 1942 e la fine della guerra ci furono molte di quelle
    notti.
    A Kassel il 3 ottobre 1943, per esempio, 479 aerei inglesi scaricarono 1.350
    tonnellate di bombe, ma non vi fu sterminio bastevole, perché caddero fuori
    bersaglio e l'attacco dovette ripetersi. Così il 22 ottobre partirono in
    missione 444 aerei con 1.631 tonnellate di bombe lanciate prima per demolire
    le case, poi per incendiarle. Qualche decina di minuti: più di 10 mila
    morti, dei quali 2.000 bambini. Carne bruciata o sfranta per almeno dieci
    volte quella del bombardamento tedesco di Coventry.
    La Germania ne riprende memoria. E il professore Friedrich, l'accademico più
    politicamente corretto immaginabile fino al giorno prima, si trova a
    parlarne con i toni degli ebrei per l'Olocausto. Proprio lui, che aveva
    censito in altri suoi lavori i crimini della Wehrmacht in Russia, si trova a
    usare i toni e gli stessi sdegni che sembravano concessi soltanto a ebrei o
    antifascisti. E dai quali i tedeschi erano esclusi, o piuttosto si
    autoescludevano, fino al crollo del Muro.
    Lo sterminio restava nella memoria dei bambini nelle cantine e nei più cupi
    lamenti dei vecchi e nelle chiese lasciate sventrate delle città tedesche.
    Ma il silenzio di storici e giornali imponeva di non badarvi. Non conveniva
    all'Occidente parlarne. Semmai era solo la Ddr a compiacersi del tema. Ma al
    libro Bombenkrieg gegen Deutschland (Bombardamenti sulla Germania) di Olaf
    Groehler, edito dopo che il Muro era da poco crollato, non si era badato
    tanto. Dodici anni, il crollo delle due torri e matura l'effetto di quel
    vento che ridesta dalle ceneri la diversità delle culture e le riporta alla
    memoria di sé. Ecco la Germania stordita, a volersi distinguere per la prima
    volta da una vulgata consueta della storia.
    E i giornali di lingua tedesca anche loro sorpresi a parlarne. Talora
    cercando quasi il pretesto per minimizzare, biasimando come Die Zeit il
    linguaggio, appunto da olocausto, di Friedrich. Oppure, come lo svizzero
    Neue Zuercher Zeitung, tentando di dirsi che il libro non sarebbe
    revisionista, anche se gli è semanticamente vicino. O magari dicendo, come
    la Frankfurter Algemeine Zeitung. che il libro non porta alla luce niente
    che non fosse già risaputo. Tutti modi per arrampicarsi sugli specchi.
    Perché il libro è revisionista proprio perché dice quanto era impensabile
    anni fa che un accademico tedesco dicesse: che i tedeschi furono anche
    vittime. Proprio quanto hanno subito capito con praticità i giornali
    inglesi, sdegnandosi per il libro di Friedrich.
    Anche per loro i miti degli anni '90 non valgono più quanto quelli della
    loro memoria più profonda. Così in una recente inchiesta della tv Winston
    Churchill è arrivato primo nella classifica del più grande inglese; la
    principessa Diana soltanto terza. Ovvio quindi lo sdegno con Friedrich che
    fa degli atti dell'inglese più grande quelli di un criminale di guerra.
    Eppure il libro è anzitutto un resoconto del dolore che le bombe
    provocarono, e trascura molti perché. Tra i quali uno che, se approfondito,
    non avrebbe messo gli inglesi in una posizione più favorevole. La sempre più
    intensa guerra aerea dal 1942 obbedì infatti solo in piccola misura alla
    ritorsione per il terrore delle bombe su Londra. Fu piuttosto la cambiale
    che gli inglesi pagarono all'Unione Sovietica. Per far fronte all'invasione
    tedesca Stalin pretendeva un venticinque, trenta divisioni dall'alleato
    inglese. Una physical absurdity per il pratico Churchill.
    Ma doveva pur quietare il suo infido alleato. La guerra aerea contro le
    città tedesche divenne la compensazione ai russi per le 150 divisioni
    tedesche che essi continuavano a impegnare. In Nord Africa contro gli
    alleati ce n'erano meno di dodici.
    E così Churchill dissipò l'ira di Stalin spiegando che la Raf avrebbe
    colpito non solo i centri industriali, ma afflitto anche la popolazione
    civile tedesca. Pur di annientare il morale della Germania si sarebbe
    ridotta in cenere ogni città. Il che fece il suo effetto: "Stalin smiled and
    said that would not be bad", Stalin sorrise e disse che così poteva andare,
    come venne registrato nel protocollo del loro incontro.
    La Germania fu incendiata dal cielo e 55.000 aviatori inglesi, il 44 per
    cento, finirono immolati con dieci civili tedeschi per uno. Un incubo a cui
    la Germania ripensa: e con la questione irachena distinguersi dagli inglesi
    e ripensare sono per i tedeschi in questi mesi tutt'uno. Né quella dei
    bombardamenti è l'ultima volta in cui la Germania potrebbe scoprirsi
    vittima. Un altro dubbio è la triste sorte di tanti soldati tedeschi
    consegnatisi prigionieri ai vincitori.
    Un conto che prima o poi verrà rifatto.

    Il libro di Joerg Friedrich, "Der Brand, Deutschland in Bombenkrieg 1940-45"
    è edito da Prophylaeen Verlag, Muenchen (592 pagine, 25).

  6. #6
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