Piccolo mondo unito litigioso come sempre

Scontro sulle candidature Lite Fassino-Rifondazione
Il leader ds: il Prc ci aiuti a fare spazio per Di Pietro e Mastella Irritazione del Professore: da Fausto mi aspettavo più generosità

ROMA — Voci alterate, scambi di accuse, liti e tanta tanta tensione: per farla breve, il vertice dell'Unione di ieri si è concluso senza che si venisse a capo dei molti e spinosi problemi che il centrosinistra deve affrontare. Tanto che alla fine persino la manifestazione nazionale dell'11 febbraio sembrava in forse: «Chissà se per quella data saremo uniti su tutti i punti programmatici», sospirava Romano Prodi durante la riunione. Ma la questione delle questioni, quella che affanna e turba i leader dell'opposizione, riguarda i piccoli partiti. Sondaggi inquietanti rivelano che, Verdi a parte (e comunque per un soffio), nessuno dei minori supera il due per cento. Perciò bisognerà farsi carico di eleggere altrove gli uomini di Clemente Mastella e quelli di Antonio Di Pietro (che, in polemica con i loro non troppo generosi alleati, hanno disertato il summit). L'Udeur vuole sei posti (ma è disposta a chiudere su cinque), l'Italia dei Valori, due. Piero Fassino ha provato a risolvere la questione a modo suo: chiedendo a Fausto Bertinotti di accollarsi qualche candidato extra Rifondazione. «Non possiamo farci carico noi di tutti — è stato il ragionamento del segretario Ds —, voi grazie a questa legge passate da 13 a 60 parlamentari, ci guadagnate, quindi...».
Ma il leader del Prc è stato irremovibile: «Piero — ha replicato — la questione non si pone: non se ne parla nemmeno. Come potete chiederci una cosa del genere quando nel 2001 avete fatto le liste civetta danneggiandoci o quando se era per voi noi non avremmo mai avuto il gruppo parlamentare?!». Una lite in piena regola, che si è conclusa con un nulla di fatto. Qualche ora più tardi Prodi, amareggiato e anche un po' arrabbiato con il segretario di Rifondazione, confessava a un collega della coalizione: «Mi aspettavo da Bertinotti più generosità. Io mi devo fare carico di tutti, ma ho solo quindici seggi a disposizione».
Già, perché il candidato premier dell'Unione sa benissimo quale sarà la mossa successiva di Margherita e Ds (Rutelli lo ha già teorizzato con i suoi): sia il Professore ad adottare i "piccoli" perché ha 15 posti per i "suoi" e ancora non li ha riempiti. E' un problemone, giacché grazie alla riforma elettorale i seggi che la maggioranza che verrà riuscirà ad ottenere non saranno più di 340. Tanto che sia i Ds che la Margherita dovranno rinunciare a candidare alcuni dei loro esponenti. E' probabile, per esempio, che Anna Serafini, moglie di Fassino, non corra più per le elezioni, mentre è stato già stabilito che i futuri sottosegretari dovranno dimettersi da parlamentari per consentire ad altri di subentrare. Le promesse fatte durante questi mesi sono state tante, le aspettative pure, ma i seggi sono quelli che sono e non se ne viene a capo. Come se non bastasse iniziano già le proteste per i capilista scelti: pare che in Sicilia Enzo Bianco non voglia fare il secondo di Luciano Violante, il capogruppo dei Ds che ha soffiato un posto di numero uno a Pierluigi Bersani. Al vertice di ieri, però, è emerso un altro problema di non poco conto.
Ossia quello del simbolo che Verdi e Pd ci vogliono utilizzare per presentarsi insieme al Senato. «E' troppo simile a quello dell'Unione — si è agitato Rutelli — ma così non va, così perdiamo voti noi». «Guarda che era stato già deciso, era un patto condiviso», si sono ribellati Alfonso Pecoraro Scanio e Oliviero Diliberto. Morale della favola, oggi Prodi dovrà cercare una soluzione. Impresa faticosa per il Professore, che ha già i suoi problemi: teme che alla fine, tra le richieste di Mastella, quelle di Di Pietro e di Luciana Sbarbati, i "suoi" candidati veramente saranno solo quattro. In questo non idilliaco quadretto, dove tutti hanno litigato con tutti, Bertinotti pone un'altra questione mica male. Ossia quella del programma. «Avevamo concordato da tempo, tutti insieme, che si sarebbe arrivati alla chiusura del programma attraverso un percorso partecipato e invece scopriamo che non è così», è il rammarico del leader di Rifondazione. Del resto, su questo argomento, com'è noto, non vi è ancora accordo nell'Unione. E ancora non sono arrivate le proposte della Rosa nel Pugno sul programma...
Maria Teresa Meli
27 gennaio 2006
http://www.corriere.it/Primo_Piano/P..7/meli.shtml