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    Citazione Originariamente Scritto da Guido Keller
    a tal riguardo io invece ricordo un rilievo di alberico che faceva notare come lo spiazzi collaborasse con una rivista imparentata con rinascita....

    ma potrei ricordare male e non mi va di andare a ricercare il 3D
    no, ti ricordi bene, ma visto che ci sei puoi sforzarti anche di ricordare meglio, visto che sul giornale è apparso un botta e risposta tra Spiazzi e un giornalista (...) proprio sulla questione di Bologna

  2. #52
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    Predefinito ordine nero e il viminale

    Ordine Nero e il Viminale

    Grazie all?attività investigativa del ROS dei Carabinieri, è recentemente emerso un documento che contribuisce a far luce, in maniera determinante e forse definitiva, sul ruolo e la natura di Ordine Nero. L?appunto del Sid del 1974, di cui ora si dirà, contiene un?indicazione piuttosto circostanziata del fatto che Ordine Nero fu costituita, in realtà, dal Ministero dell?interno con il preciso intento di acuire la tensione politica.
    E? un passaggio fondamentale nella strategia della tensione, perché segna il passaggio dal rapporto perverso tra gli apparati istituzionali e i gruppi comunque anticomunisti, originato fin dall?immediato dopoguerra, alla creazione ex novo di un movimento clandestino dichiaratamente di matrice neofascista ed eversiva. Il Ministero dell?interno, secondo il documento, non limita più il proprio ruolo al sostegno e alle coperture delle frange estremiste della destra ? come, parallelamente, facevano Carabinieri e Servizi militari ? ma interviene direttamente organizzando un gruppo armato cui attribuire gli attentati. Perché e come il Viminale operi in questo senso è riportato nell?appunto, che inizia ricordando come "il provvedimento di scioglimento di Ordine Nuovo abbia, inizialmente, colpito l?organizzazione e creato una situazione di profondo sconforto tra gli aderenti che, in gran parte, avevano approdato a quell?organismo dopo le deludenti esperienze di Avanguardia Nazionale. I veri capi di Ordine Nuovo hanno, però, impostato una reazione centrata sui criteri:
    • impedire la polverizzazione delle forze;
    • recuperare addirittura energia, galvanizzando anche coloro che un acceso spontaneismo aveva allontanato dai ranghi delle formazioni giovanili di estrema destra". E nel marzo 1974 a Cattolica, vengono tracciate le nuove linee di azione della formazione.
    Secondo il Sid, i capi di On puntavano al perseguimento di questo obiettivo attraverso "la sopravvivenza clandestina di Ordine Nuovo; la propaganda di una idea politica valida che colmasse il vuoto provocato dall?abbandono di Almirante", utilizzando a tal fine anche il giornale del movimento Anno Zero. E? qui da intendersi, molto probabilmente, che gli ordinovisti, con le sentenze di condanna e il decreto di scioglimento dell?organizzazione, si sentissero abbandonati dalle componenti istituzionali della destra delle quali godevano evidentemente di un appoggio.
    E? opportuno, a questo punto, riportare integralmente una parte dell?appunto, poiché emerge a chiare lettere il ruolo del Viminale in questa operazione. Scrive dunque il Sid:
    "La manovra non è sfuggita al Ministero dell?Interno che, nel contesto di una politica dell?antifascismo opportunamente orchestrata anche con forze politiche estranee alla D.C., ha inteso colpire:
    • lo strumento divulgativo delle idee (ANNO ZERO, presentato non come giornale ma come movimento politico nato, solo per cambiamento di nome, da Ordine Nuovo);
    • il movimento stesso, creando un "Ordine Nero" (indicato come il braccio violento di "Anno Zero") cui si debbono attribuire una serie di atti violenti ed antidemocratici.
    Nel contesto di quanto sopra vanno interpretate tutte le azioni delittuose etichettate da organi di governo e stampa come iniziative dell?extraparlamentarismo di destra".


    Secondo il ROS, che per conto dell?Autorità Giudiziaria ha rintracciato il documento, "l?affermazione [?] è di estrema gravità: secondo l?estensore del Sid, in pratica, l?organizzazione terroristica Ordine Nero non sarebbe altro che un prodotto dei ?laboratori? della guerra non ortodossa".
    Prima di esaminare il contenuto di questo passaggio, è comunque il caso di aggiungere che in un appunto dell?11 novembre 1978, il Sismi riferisce di notizie apprese in ambiente della sinistra romana in relazione al caso di Roland Stark. Secondo la fonte del Sismi, Stark sarebbe stato in contatto "con gli esponenti di ?Ordine Nero?, l?organizzazione eversiva sostenuta dai ?servizi segreti italiani?". Letteralmente, da quanto riportato nell?appunto, sembra che l?affermazione che Ordine Nero fosse sostenuta dai Servizi italiani, non sia da attribuire agli ambienti della sinistra, bensì direttamente all?estensore dell?appunto Sismi. Ma anche volendo ritenere frutto della fonte l?affermazione citata, si tratta di una conferma che quantomeno sospetti erano i contatti tra Ordine Nero e apparati istituzionali.
    Per tornare all?appunto Sid del 1974, è bene anzitutto considerare che, pur con la dovuta cautela, il Servizio militare non poteva certo mettere in circolo una nota con le considerazioni che abbiamo appena visto, senza avere certezza di quanto andava affermando. Seppure in un contesto che vedeva Ministero della difesa e Ministero dell?interno spesso in contrasto ? ma drammaticamente con i medesimi fini ? non è immaginabile che il Sid addossi all?Ufficio Affari riservati del Viminale la responsabilità di aver creato un?organizzazione terroristica, senza avere le prove di ciò. Con ogni probabilità, pertanto, il contenuto dell?appunto corrisponde largamente al vero, ed è semmai il contesto che può fornire elementi di riflessione.
    Non si comprende, anzitutto, il senso dell?affermazione iniziale, secondo la quale il Ministero dell?Interno avrebbe inteso colpire la disciolta Ordine Nuovo, "nel contesto di una politica dell?antifascismo opportunamente orchestrata anche con forze politiche estranee alla D.C.". E? accertato anche in sede giudiziaria, e in questa relazione ve ne sono le testimonianze, che il Ministero dell?interno non operò certo in chiave antifascista, né allora né mai; e non è certo un caso che fino al 1994 la Democrazia cristiana non abbia mai abbandonato la gestione del Viminale, rinunciando ad ogni altro dicastero ma non a quello dell?interno. Non è chiaro, quindi, cosa si voglia dire con il termine "politica dell?antifascismo", se non interpretando il successivo periodo ? "opportunamente orchestrata anche con forze politiche estranee alla Dc" ? nel senso di un? apparente iniziativa di contrasto ai movimenti neofascisti, tesa in realtà al loro controllo e alla loro eterodirezione.
    L?attività dei gruppi eversivi di destra, nonostante lo scioglimento di Ordine Nuovo, ebbe modo infatti di manifestarsi ancora in più occasioni (di lì a poco con la strage di Brescia), e non vi era certo la necessità di creare una finta organizzazione di destra cui "attribuire una serie di atti violenti ed antidemocratici". E? più probabile, invero, che il decreto di scioglimento di On colse impreparati i responsabili della guerra non ortodossa ? in primis il Viminale ? che decisero a quel punto di intervenire creando di fatto una nuova organizzazione da utilizzare per proseguire sulla folle strada della strategia della tensione. Ed è difficile non collegare le "forze politiche estranee alla Dc", con quegli ambienti dell?oltranzismo atlantico che saranno coinvolti nella strage di piazza della Loggia; quel blocco di forze (estranee alla Dc ma ad esse contigue) di cui faceva parte chi consentì la distruzione di tutti i reperti subito dopo la strage, chi era al corrente della preparazione dell?attentato, chi si adoperò successivamente per coprire i responsabili dell?eccidio.
    Giancarlo Esposti
    L' antifascismo del Ministero dell?interno emerge nei passaggi successivi dell?appunto, laddove si dice che "la manovra può facilmente riuscire coinvolgendo estremisti di destra" e che la "provocazione è facilmente attuabile nell?ambito dei predetti movimenti anche per la compiacenza di aderenti che pensano opportuno ?comporre in chiave individuale i dissidi con il Ministero dell?interno?".
    Tra coloro che sembra possano essere utilizzati dal Ministero, l?appunto annovera Kim Borromeo, Giancarlo Cartocci e Giancarlo Esposti, e su quest?ultimo si sofferma l?attenzione del Sid, con accenni inquietanti. Dunque, Esposti, risulterebbe "implicato con la questione BRESCIA (ipotesi che trova scarso credito)"; e avrebbe "accettato un ?incarico? proposto dal M.I. [Ministero dell?interno]. Questa seconda evenienza è fortemente creduta e potrebbe essersi determinata nel quadro di un ventilato progetto di attentato ? su commissione ? durante la sfilata del 2 giugno (premio: 400.000.000 con anticipo già corrisposto). In realtà, i provocatori intendono solo far ?scoprire? un campeggio paramilitare e materiale esplosivo".
    Secondo il ROS si tratta della parte più rilevante dell?appunto, poiché vi si fa espresso riferimento, in anticipo, alla scoperta del campeggio paramilitare di Pian del Rascino. "L?ignoto estensore ? sempre per il ROS ? ha in pratica appreso dalle sue fonti che il Ministero degli Interni ha promesso 400 milioni a ESPOSTI chiedendogli di realizzare un attentato nel corso della sfilata del 2 giugno 1974, consegnandogli già un anticipo. Il tutto al fine di arrestarlo, progetto durante, in un campo paramilitare con esplosivi".
    Sempre con riferimento alla strage di Brescia, dall?appunto è possibile apprendere che "tra i responsabili di estrema destra prevale l?opinione che ?BRESCIA? sia stata voluta dal M.I.". Se si considera che l?appunto è datato 30 maggio 1974, cioè due giorni dopo la strage, appare in tutta la sua drammatica evidenza che non solo il Sid, ma con ogni probabilità anche il Ministero dell?interno, erano al corrente dell?origine e della matrice dell?eccidio. Ciononostante, per gli otto morti e i centrotre feriti non è ancora stata fatta giustizia.
    A margine, è da segnalare che l?appunto contiene un ulteriore paragrafo riferito al golpe Borghese, sul quale emergono ancora elementi certo non debitamente valutati all?epoca. La fonte del Sid, che è uno dei capi segreti dell?organizzazione, infatti, si dichiara disposta "a fornire (tramite contatto con il responsabile di Avanguardia Nazionale) alcuni numeri di matricola delle armi che il Ministero all?Interno distribuì agli ?avanguardisti? la sera dell?8 dicembre 1970 all?interno del dicastero e che questi non hanno più inteso restituire".
    E così commenta il ROS a margine dell?appunto, premettendo che "il Sid ha evidentemente l?interesse a poter tenere sotto pressione il Ministero dell?interno": "Il particolare interessante è che, a differenza di quanto si era sempre detto, le armi non sono state prelevate manu militari ma, ?distribuite? dal Ministero degli Interni. [?] A livello di ipotesi è possibile suggerire l'identificazione del capo segreto di Ordine Nuovo con il noto Clemente Graziani, di recente deceduto".
    Molto tempo dopo l?appunto del Sid, una nuova e importante testimonianza circa un ruolo diretto del Viminale e, segnatamente, dell?Ufficio Affari Riservati, quale provocatore diretto di atti di terrorismo, è emersa a margine di un?inchiesta della Procura della repubblica di Firenze del 1993 sul tentativo di dare vita ad una sorta di "costituente" della destra radicale o, meglio, fascista, a seguito della contestazione per la presunta deriva moderata che avrebbe negli anni successivi trasformato il Msi (o meglio, la sua ampia maggioranza) in Alleanza Nazionale.
    Nel corso di tale inchiesta era stata messa sotto controllo l?utenza di Graziano Carboncini, già segretario della sezione del Msi di Empoli, successsivamente transitato in formazioni extraparlamentari fino al rientro nel Ms-Fiamma Tricolore di Pino Rauti.
    Il 29 marzo 1993, Carboncini ricevette la telefonata di Angelo Apicella, già appartenente ad Avanguardia Nazionale, nonché in contatto con Elio Massagrande. Nel corso della conversazione, nel rievocare in termini critici alcuni drammatici avvenimenti passati che avevano caratterizzato molti periodi della vita repubblicana, quali il caso Moro, le vicende Calvi e Sindona, nonché gli assassinii di Dalla Chiesa e Borsellino, Apicella si lasciava andare ad una confidenza di grande interesse, che sembra rappresentare una conferma di quanto sostenuto nel documento del Sid: "[?] io ero stato sollecitato dal dott. Amato [rectius D?Amato] dell?Ufficio affari riservati del coso? mi avevano offerto 750 milioni e ad un certo momento, siccome avevano capito che eravamo un gruppo di paracadutisti, e ci accorgemmo guardandoci in faccia che eravamo tutti ex sabotatori quindi con gli esplosivi sulla punta delle dita, io dissi questi ordini noi li possiamo avere solo da chi di dovere, noi non possiamo usare queste cognizioni per cose [?]".
    Secondo il racconto di Apicella, dopo le proposte dell?Ufficio Affari riservati ? rifiutate dal suo gruppo ? un secondo tentativo di aggancio istituzionale si sarebbe verificato poco tempo dopo all?aeroporto militare di Guidonia dove, a margine di alcune esercitazioni, il gruppo di Apicella sarebbe stato avvicinato dall?ammiraglio Eugenio Henke, dal generale Fanali e dal generale Boschetti, che avrebbero avanzato proposte analoghe a quelle di D?Amato.
    L?importanza della conversazione ? oltre al fin troppo evidente richiamo con le considerazioni svolte nell?appunto del Sid ? deriva dal fatto che si trattava di un dialogo tra due "camerati" legati dal vincolo di una nuova comune militanza politica, i quali non potevano ragionevolmente sospettare di essere intercettati, perché in quel periodo il loro tentativo di riorganizzazione della destra radicale ? ancorché di interesse della procura di Firenze ? si era manifestato in maniera palese, con riunioni e iniziative politiche in gran parte pubbliche.
    Si tratta, in ogni caso, di una chiamata in causa da parte di una persona, Angelo Apicella, che sarebbe testimone diretta delle proposte avanzate da Federico Umberto D?Amato e dal suo ufficio.
    C?è da rilevare, in proposito, che il dirigente della Digos di Firenze, ben comprendendo la rilevanza delle affermazioni di Apicella, informò il giorno stesso, con una annotazione, la procura della Repubblica di Firenze nella persona del sostituto Gabriele Chelazzi, chiedendo di estendere le indagini anche sull?Apicella.
    Al momento non è possibile dire quale tipo di sviluppo ha avuto questo filone, né se la procura di Firenze ? essendo evidente la notizia di reato ? abbia inteso inviare il fascicolo alla procura della repubblica di Roma, verosimilmente competente ad indagare, ovvero se abbia ritenuto di procedere autonomamente.
    Se così non fosse stato e la segnalazione della Digos fosse rimasta senza seguito, ci troveremmo senza dubbio di fronte ad un comportamento censurabile, anche per il fatto che il periodo 1990-1995 è quello che ha consentito le maggiori acquisizioni processuali relative al terrorismo di destra e alle sue protezioni istituzionali.
    La riunificazione neofascista e le nuove connivenze
    La risposta allo scioglimento di Ordine Nuovo è costituita dal tentativo di riunificazione tra On e An che viene lungamente preparata con contatti tra gli ordinovisti e gli avanguardisti in Italia e voluta fortemente da Stefano Delle Chiaie e che fu sancita in una riunione svoltasi ad Albano nel 1975. Alla presenza degli stati maggiori dell?eversione e di diversi latitanti (come Delle Chiaie e Concutelli) rientrati clandestinamente, fu dato corpo alla struttura riunita, che, utilizzando quale schermo la sigla ancora legale di An, non doveva essere la somma delle due strutture, ma la risultante della loro fusione, riconoscendo zona per zona la leadership all?organizzazione localmente più rappresentativa. L?organizzazione riunita doveva avere un suo organigramma e mettere in comune le armi, le strutture logistiche e il piano d?azione attorno ad una strategia che sanziona un radicale cambiamento di atteggiamento.
    Delle Chiaie, secondo quanto poi appreso dall?autorità giudiziaria, avrebbe esordito senza mezzi termini annunciando che: "noi siamo qui non per fare stupidaggini come seguire linee politiche o fare giornali, noi siamo qui per prenderci il potere" secondo una linea d?azione così sintetizzata da Calore: "arrivare ad ottenere la disarticolazione del potere colpendo le cinghie di trasmissione del potere statale".
    Come si vede il baricentro si sposta verso una scelta spiccatamente antisistemica. L?indicazione data in quella sede da Delle Chiaie proclamando che "Occorsio era un nemico da abbattere" fornisce una tragica esemplificazione del nuovo atteggiamento, ed avrà l?anno successivo puntuale esecuzione per mano dell?ordinovista Concutelli.
    Naturalmente si potrà e si dovrà discutere a lungo sulla reale vocazione "antisistemica" di due organizzazioni che, nei fatti, rappresentavano il braccio armato dell?ufficio Affari riservati del Viminale e del Sid, nonché erano organici a quegli apparati atlantici ? agli americani, per intenderci ? i quali erano invisi a settori non marginali della destra radicale in quanto responsabili della sconfitta del nazi-fascismo.
    Questa falsa vocazione "antisistemica" avrebbe poi portato Vincenzo Vinciguerra ad organizzare l?attentato di Peteano, proprio quale gesto di rottura rispetto alle collusioni istituzionali dei suoi ex camerati.
    Recenti contributi istruttori su Avanguardia nazionale, Ordine nuovo e apparati dello Stato
    Negli ultimi anni le novità di maggior rilievo sono venute dall?inchiesta di Bologna (cd. processo Italicus bis) e di Milano (inchieste sull'attività del gruppo La Fenice e sugli attentati fascisti degli anni Sessanta e Settanta, nonché la nuova inchiesta sulla strage di piazza Fontana oggi a dibattimento).
    Straordinari contributi sono venuti anche dalla nuova inchiesta sull?attentato alla questura di Milano per il quale è già stato condannato all?ergastolo Gianfranco Bertoli e dall?istruttoria sull?abbattimento dell?aereo del Sid, Argo 16.
    Si è ancora in attesa delle risultanze della nuova indagine sulla strage di Brescia la quale, dai pochi elementi finora emersi, sembra inserirsi perfettamente nello schema interpretativo che si è delineato nelle altre inchieste.
    Le ricostruzioni istruttorie ? pur essendo opera di diverse autorità giudiziarie - hanno confermato un disegno che nelle grandi linee era già tracciato, e cioè quello di una sostanziale contiguità tra On e An, ma soprattutto della stabilità dei rapporti di entrambe con settori dei servizi di informazione e alcuni apparati militari, di un loro coinvolgimento già dalla fine degli anni ?60 (a livello operativo, cioè concretizzatosi attraverso fatti delittuosi) nei progetti golpisti succedutisi fino al 1974. Naturalmente, è stata confermata la riconducibilià a quei gruppi della preparazione e dell?esecuzione delle stragi di piazza Fontana, di piazza della Loggia, della questura di Milano e di altri episodi minori che hanno contribuito ad alimentare la strategia della tensione. Tali ricostruzioni hanno anche introdotto elementi di novità che qualitativamente mutano il quadro precedente.
    Per meglio spiegare il livello di organicità tra destra eversiva e strutture dello Stato è necessario analizzare nel dettaglio ? e alla luce dei nuovi documenti e delle nuove testimonianze ? alcune vicende esemplari:
    a) i contatti tra An, il Sid e l'Ufficio affari riservati del Ministero dell'interno,
    b) i rapporti tra On, il Sid e ufficiali dell'Esercito,
    c) le coperture fornite dal Servizio e le fonti (interne alle strutture eversive) mai utilizzate per un'azione di contrasto;
    d) le attività di provocazione e/o i delitti commessi dalla destra eversiva o dal Servizio, da attribuire alla sinistra.
    I rapporti di Avanguardia Nazionale con i servizi di informazione, prima con l?Ufficio affari riservati, poi con il Sid, hanno origini risalenti ai primi anni ?60, quando l?area di An, tramite il giornalista Mario Tedeschi, fu coinvolta dall?Ufficio affari riservati del Ministero dell'interno nell?attività di affissione dei " manifesti cinesi", una campagna di attacco al partito comunista apparentemente proveniente dalla sua sinistra. Tale attività fu ammessa dallo stesso Delle Chiaie che la ricondusse ad una iniziativa dell?Ufficio affari riservati, condivisa tatticamente da An come valida manifestazione di "guerra psicologica" nei confronti del partito comunista. A prova della "copertura" fornita all?operazione da parte delle forze dell?ordine, secondo quanto riferisce Vinciguerra, Delle Chiaie avrebbe appreso da un funzionario della Questura che la immediata liberazione di alcuni avanguardisti fermati durante l?affissione dei manifesti era stata frutto di un preciso intervento in tal senso. Nell?operazione fu coinvolta An a livello nazionale e non soltanto a Roma. Infatti, oltre a Vinciguerra numerosi altri ex militanti dei gruppi eversivi di destra hanno parlato dell?operazione. Significative sono le testimonianze di Salvatore Francia, Paolo Pecoriello, Carmine Dominici e Roberto Palotto.
    Vale la pena riportare alcuni passaggi dell?interrogatorio di Vinciguerra: "Indico in questa operazione il primo momento concreto dell?avvio della strategia della tensione, che deve quindi essere anticipata ai primi anni ?60 e non, come erroneamente si fa, fissata al maggio del 1965, data di svolgimento del ?Convegno Pollio?.
    Dell?operazione Manifesti Cinesi venni direttamente a conoscenza da Stefano Delle Chiaie a seguito dell?intervista apparsa nel 1974 fatta a Robert Leroy da un giornalista dell?Europeo. Di questa intervista ho già parlato ed anche delle reazioni negative di Delle Chiaie nei confronti di Leroy espresse a Ives Guerin Serac. Delle Chiaie si preoccupò di smentire parzialmente le responsabilità di Avanguardia Nazionale in questa operazione, negando il collegamento consapevole fra Avanguardia e l?Ufficio Affari Riservati del Ministero dell?Interno che ne era stato l?organizzatore. Pur confermando la veridicità delle affermazioni di Leroy al giornalista dell?Europeo, Delle Chiaie mi raccontò che ad affidargli l?incarico di affiggere i Manifesti cinesi era stato Mario Tedeschi, direttore de "Il Borghese", e che nell?operazione era coinvolto anche un esponente del Movimento Sociale Italiano, tale Gaetano La Morte.
    Il Delle Chiaie confermò la responsabilità di Federico D?Amato dicendomi che a rivelargliela era stato il Dirigente dell?Ufficio Politico di Roma, tale D?Agostino, a seguito del fermo e dell?immediato rilascio di alcuni giovani di Avanguardia che erano stati fermati mentre affiggevano i manifesti.
    Il D?Agostino ebbe un incontro con Stefano Delle Chiaie dopo il rilascio di questi ragazzi nel corso del quale evidenziò, sempre per quanto mi disse Delle Chiaie, il suo stupore per il fatto che gli Avanguardisti ignorassero che dietro l?operazione Manifesti Cinesi c?era il Ministero degli Interni nella persona di Federico D?Amato. Il Delle Chiaie concluse il suo racconto affermando che, appresa la verità e preso atto che era stato ingannato da Mario Tedeschi, si era distaccato da questo tipo di operazioni".
    Successivamente, Gaetano La Morte avrebbe ricoperto incarichi di un certo prestigio all?interno del Msi, transitando poi ad Alleanza Nazionale.
    I rapporit tra Stefano Delle Chiaie e Federico Umberto D?Amato
    La testimonianza di Vinciguerra sulle collusioni tra D?Amato e Delle Chiaie ? e quindi tra An e Affari riservati ? ha trovato una straordinaria e autorevole conferma in quella di Guglielmo Carlucci, ex dirigente degli Affari Riservati, nonché stretto collaboratore di D?Amato, recentemente scomparso.
    E? utile riportare integralmente il contenuto delle dichiarazioni di Carlucci citando ampi brani della sentenza-ordinanza del GI di Venezia, Carlo Mastelloni:
    "Sulla gestione di fonti, fonti interne o infiltrati coltivati dai funzionari del Ministero dell?Interno in servizio alla Div. AA.RR., nel corso della deposizione del 15 maggio 1997 il dr. Carlucci ha ricordato che il Delle Chiaie era solito frequentare il dr. D?Amato sia quando il funzionario era vice direttore che nei tempi successivi in cui era assurto alla carica di direttore della Divisione, trattenendosi con il prefetto nei locali dell?ufficio. In alcune occasioni lo stesso Carlucci aveva assistito ai colloqui intercorsi tra i due.
    Secondo le percezioni del Carlucci cui il Delle Chiaie era stato presentato, D?Amato, la Divisione Aa.Rr., agevolava il capo indiscusso di Avanguardia Nazionale per il rilascio di passaporti per concessioni del porto d?armi e di quant?altro interessando in discesa gli organi competenti della Questura di Roma ed estendendo questo tipo di intervento anche a qualche amico dell?estremista.
    Nel corso degli incontri il Delle Chiaie forniva notizie che il D?Amato dopo essersi fatto descrivere le singole personalità degli appartenenti al gruppo di A.N. trasfondeva in Appunti che poi inoltrava, per lo sviluppo, alla Sezione competente al fine di stimolare i conseguenti controlli da espletare in direzione dei militanti attraverso la Squadra centrale o ufficio politico o direttamente al Capo della Polizia che, ove del caso, a sua volta li inoltrava al Ministro.
    Era dunque Delle Chiaie "un suo confidente nonché infiltrato" nella struttura di estrema destra. Si trattava di un rapporto personale ed esclusivo di D?Amato: "un contatto rischioso" ma ritenuto dallo stesso D?Amato e dal Carlucci "indispensabile".
    Anche se il teste ha risposto di non aver mai sviluppato appunti provenienti dal Delle Chiaie all?esito di ogni commiato, cui egli aveva modo di assistere, il commento seguito alla visita espresso dal prefetto era sempre nel senso che il contatto con Delle Chiaie "poteva essere utile per noi".
    Si tratta di un riscontro diretto fornito dal dr. Carlucci pertinente a un rapporto di cui si è eternamente sussurrato ma anche dibattuto spesso nelle aule di Giustizia e che nel corso di questa istruttoria ha avuto un?autorevole conferma processuale caratterizzata da una ricchezza di particolari e ben inquadrata nello spazio e nel tempo: "Nel 1966 allorché io pervenni al Viminale il rapporto tra D?Amato e Delle Chiaie era già in corso", nonché logicamente articolata: "il predetto, anche se si diceva che era un violento, non è mai stato arrestato anche se inquisito".
    Delle Chiaie, dunque, era un "confidente e un infiltrato" di D?Amato. Una circostanza che, da sola, induce a riflettere con gravità sulle collusioni istituzionali e, da sola, dà buona parte della risposta sul perché i responsabili delle stragi siano in gran parte riusciti a sottrarsi alla giustizia.
    Ma se le testimonianze di Vinciguerra e del dottor Carlucci sembrassero insufficienti per poter fare affermazioni così categoriche, ogni elemento di residuo dubbio viene tolto dalla ulteriore testimonianza di Gaetano Orlando (ritenuto attendibile dall?autorità giudiziaria di Milano e di Bologna) già capo, con Carlo Fumagalli, del Movimento di Azione Rivoluzionaria, rifugiato in Spagna durante la sua latitanza ed entrato nel "giro" di Delle Chiaie, che in quel periodo fungeva da padre-padrone della colonia dei fascisti italiani e manteneva i rapporti con le autorità franchiste spagnole, le quali utilizzavano gli avanguardisti e gli ordinovisti in "operazioni sporche" contro i baschi.
    Orlando è stato testimone diretto di un incontro in Spagna tra il latitante Delle Chiaie e Federico Umberto D?Amato.
    Ecco l?eloquente racconto dell?ex capo del Mar sull?incontro Delle Chiaie-D?Amato e, più in generale, sul ruolo del capo di Avanguardia Nazionale in Spagna e sui contatti con il piduista-fascista Mario Tedeschi e con Romualdi, a loro volta legati al capo degli Affari riservati: "In Spagna ho appreso che Delle Chiaie aveva eseguito azioni terroristiche attribuite ai baschi. Non dico che le abbia eseguite materialmente Stefano Delle Chiaie, ma che lui era l'organizzatore e che utilizzava la sua gente. Godeva dell'appoggio della Guardia Civil, come ho avuto modo di constatare relativamente alle vicende di Montejura. Venivano eseguiti attentati, sequestri di persona ed altri fatti criminosi che poi venivano addebitati all'Eta. Gli uomini di Delle Chiaie non operavano solo a Madrid, ma anche a San Sebastiano, a Barcellona ed in altre località della Spagna. Queste notizie apprese circa l'azione di Delle Chiaie in Spagna hanno formato in me la convinzione che anche in Italia dev'essere successo qualcosa di analogo [...] Spontaneamente aggiungo, poi che il Delle Chiaie mi condusse a Monteyura, nell'anniversario della vittoria carlista. Ricordo che era presente anche il Maggiore De Rosa della Guardia Forestale che io stesso accompagnai a Monteyura in macchina. Là Stefano mi presentò a Sisto Quinto a Monteyura c'era anche Cauchi. Per l'occasione Delle Chiaie era stato rifornito di jeep cariche di armi affidategli dalla Guardia Civile spagnola. Io e De Rosa rimanemmo in albergo. Ricordo che era l'albergo "Monteyura" dove dovremmo essere stati registrati. [?] Anche Delle Chiaie stava nel nostro stesso albergo. Non so invece se ci fosse anche il Cauchi. Io e De Rosa rimanemmo in albergo, mentre Delle Chiaie, Cauchi e un'altra decina di italiani i cui nomi non sono mai emersi andarono via a bordo delle jeep. Quello che è successo poi è stato riportato su tutti i giornali. Il Delle Chiaie, inoltre, in Spagna ha fatto delle altre operazioni che sono state attribuite ai baschi, ma io non ho assistito a queste. Ho inoltre appreso che sarebbe coinvolto nell'omicidio di alcuni baschi [?] Delle Chiaie, in Spagna, incontrava anche il Senatore Tedeschi, che io stesso ho conosciuto in occasione di una di queste visite. Vinciguerranon era al corrente del rapporto fra Delle Chiaie e Tedeschi e ne ha avuto conoscenza solo recentemente [?] Non ricordo a quale delle riunioni di cui ho parlato fosse presente il Fachini, persona che comunque ho certamente incontrato e conosciuta a Padova, appunto in una di quelle riunioni [...] I deputati italiani che venivano in Spagna e dei quali ho parlato nei precedenti verbali venivano a trovare Delle Chiaie. Io ho conosciuto personalmente il Tedeschi e il Romualdi e non me la sento di fare i nomi degli altri".
    "[?] Lei G.I. mi chiede di approfondire il tema, già accennato nel mio precedente verbale, dei rapporti tra i fuoriusciti di destra che vivevano a Madrid e uomini politici italiani. A tal proposito ricordo che il Delle Chiaie mi portò con sè, in una occasione, ad un suo incontro all'Hotel Melia Castiglia con il Romualdi. Giunti all'albergo il Romualdi ci raggiunse al bar ed il Delle Chiaie me lo presentò. Bevemmo qualcosa insieme e poi i due si allontanarono. Questo incontro risale al '76, ma so, pur senza avervi partecipato, che il Delle Chiaie ha avuto numerosi altri incontri col Romualdi [?].
    In Spagna non ci furono solo incontri con politici da parte di Delle Chiaie. Ricordo anche delle riunioni. Ho partecipato ad alcune di queste e ne ricordo una, in particolare, durante la quale mi venne presentato Federico Umberto D?Amato. Oltre a me il Delle Chiaie e il D?Amato, a questa riunione prese parte circa una trentina di persone, cileni, francesi, argentini ed italiani, oltre che degli spagnoli che facevano gli onori di casa. Fui invitato a questa riunione per consentirmi di illustrare la mia posizione su come comportarsi con le autorità locali nel Paese che ci offriva ospitalità [...]".
    Il racconto di Orlando, sul punto della conoscenza tra Delle Chiaie e Tedeschi, si integra con quello di Vinciguerra, il quale apprende i retroscena dell?operazione "Manifesti cinesi" solamente nel 1974. E sarebbe ben strano che Delle Chiaie ? il quale in quell?occasione riferisce di essere stato ingannato da Tedeschi ? avesse mantenuto così a lungo e in maniera così stretta i rapporti con il direttore del "Borghese" se tra i due ci fosse stato un motivo di così grave conflitto.
    Alla luce di quanto esposto, non vi possono essere dubbi circa i rapporti tra Delle Chiaie e D?Amato, ampiamente dimostrati.
    E? interessante, tuttavia, dare conto di altre testimonianze che dimostrano come, all?interno dei servizi segreti e della stessa destra missina, i rapporti tra Avanguardia Nazionale e Viminale fossero considerati un dato di fatto.
    A tal proposito è interessante la testimonianza del capitano Antonio Labruna ? recentemente scomparso ? che era stato uno degli uomini del Sid che aveva indagato sui retroscena del golpe Borghese e non poteva non aver notato che, all?epoca, fu fatto di tutto per tenere fuori il gruppo di Delle Chiaie dall?inchiesta della magistratura:
    "[?] Mi accorsi già nel corso dell?istruttoria che non erano stati denunciati alla A.G. i soggetti denuncianti e di cui alla copia in mio possesso: per esempio i componenti di Avanguardia Nazionale: Delle Chiaie, Maurizio Giorgi; aggiungo che tutti i componenti di Avanguardia Nazionale non furono denunciati per il Golpe benché ne fosse stata evidenziata una struttura palese ed una occulta e operativa in funzione del Golpe.
    Avanguardia nazionale figurava come la parte operativa del Fronte, struttura che faceva capo al principe Borghese".
    Labruna ha anche riferito dei contatti di Delle Chiaie con D?Amato e del suo ruolo di fonte e agente provocatore: "Capo di Avanguardia Nazionale era Stefano delle Chiaie, che, ripeto, era una fonte dell?Ufficio Affari Riservati: tanto mi fu confermato anche dall?avv. Degli Innocenti, dal Nicoli, nostra fonte, da Orlandini in Svizzera [?].
    Chi fosse in realtà Delle Chiaie, come detto, era noto anche in alcuni settori del Movimento sociale meno compromessi con i servizi segreti e con i gruppuscolo eversivi.
    Interessante, a tal proposito, è la testimonianza di Romolo Baldoni (attivo nel Msi fino al 1980), che dimostra non solo il ruolo di provocatore di Delle Chiaie, ma anche l?ambiguità di un personaggio come Guido Paglia, dirigente di Avanguardia Nazionale e, come vedremo in seguito, definito dall?autorità giudiziaria di Milano e di Bologna ? a seguito di risultanze processuali ? informatore del Sid con il nome di copertura "Parodi".
    A differenza di altri avanguardisti, Paglia sarebbe riuscito a riciclarsi nel mondo del giornalismo (famoso il suo scoop sull?arsenale di Camerino, funzionale al depistaggio organizzato dai servizi segreti, di cui si dirà più avanti) e, più recentemente, nel mondo manageriale.
    Ha raccontato Romolo Baldoni: "Fino al 1976 ho militato nel Movimento Sociale Italiano e ciò dal 1948. Sono stato Consigliere per la Provincia di Roma svolgendo due mandati dal 1972 al 1980.
    Nel 1969, 1970 ero Segretario Giovanile della Giovane Italia ed avevo, in quanto Dirigente, rapporti diretti con la dirigenza del Partito.
    Non ho mai avuto rapporti con il Sid. Ho conosciuto Guido Paglia nel 1969.
    Era egli dirigente di una formazione giovanile universitaria.
    Ricordo che, nei primi mesi del 1970, invitai il predetto a casa mia, a pranzo, perché intendevo portarlo con me a Strasburgo acché partecipasse ad una manifestazione contro le costituende Regioni. In quel frangente io, sapendo che egli era amico del Delle Chiaie, detto Caccola, lo misi sull?avviso che questi era elemento pericoloso coinvolto in strani episodi: strage di piazza Fontana. Mi disse il predetto che lui era vicino a Delle Chiaie e che non poteva venire a Strasburgo, al Parlamento Europeo. Al che io, che avevo rapporti con dirigenti quali Almirante, De Marzio, Romualdi, ero al corrente, per averlo saputo nel corso di riunioni con i predetti, che Delle Chiaie sarebbe stato interrogato per i fatti di strage avvenuti a Milano.
    Dopo due o tre giorni Delle Chiaie fuggì all?estero.
    Contestatami la deposizione del Paglia sui punti relativi ai rapporti tra Delle Chiaie ed il Ministero dell?Interno, rapporti su cui mi diffusi e per i quali io subì la reazione, la sera, del Paglia e dello stesso Delle Chiaie.
    Ricordo che la sera dello stesso giorno il Delle Chiaie, assieme al Paglia e ad altre cinque o sei persone, venne presso casa mia. Il Paglia suonò al campanello e mi fece scendere. Delle Chiaie mi chiese spiegazioni su quanto avevo riferito al Paglia. Fui evidentemente minacciato e risposi che non potevo dare spiegazioni di ciò che avevo detto perché non potevo rivelare la fonte che, come ho detto testé, era l?Onorevole Almirante che si era in tal guisa espresso nel corso di una riunione ristretta adducendo che Delle Chiaie sarebbe stato ascoltato dall?A.G. circa i fatti di strage. Almirante aveva in più occasioni detto che il Delle Chiaie era un provocatore al servizio del Ministero dell?Interno ed in particolare del Prefetto Federico Umberto D?Amato.
    Almirante diceva di essere in possesso delle fotografie che rappresentavano Delle Chiaie mentre sortiva dal Ministero dell?Interno. E? vero che il Delle Chiaie faceva attaccare manifesti del candidato della Dc Petrucci nella zona tuscolana impiegando anche propri elementi che io conoscevo.
    Tutto questo io riferii al Paglia a colazione ma il discorso principale fu da me incentrato sul coinvolgimento asserito da Almirante del Delle Chiaie nei fatti di Piazza Fontana.
    Era noto da anni, dal 1965 in poi, nel contesto del Msi, che il Delle Chiaie era un provocatore che agiva per conto del Ministero dell?Interno, della Democrazia Cristiana e tanto al fine di alzare i livelli di scontro nelle manifestazioni. Fui io a invitare a pranzo il Paglia concretizzando un tentativo di sottrarlo all?area del Delle Chiaie. Il gruppo la sera tentò di aggredirmi fisicamente cercando di sapere le mia fonti circa le attribuzioni fatte da me nei confronti dell?operato del Delle Chiaie. Almirante sosteneva esplicitamente che Delle Chiaie era finanziato dal Ministero dell?interno. Nel partito ciò però costituiva notizia corrente da anni pertanto la direttiva era quella di non far frequentare le sedi di Avanguardia Nazionale dai nostri elementi. Devo dire comunque che, coevamente, a noi risultava che Delle Chiaie aveva anche rapporti diretti con lo stesso Almirante e che nel 1975 da latitante, il Delle Chiaie si recò presso il predetto, presso la abitazione parlamentare. Tanto mi disse lo stesso Almirante dopo questo episodio, aggiungendo che la Ps, che sorvegliava la sua abitazione, aveva riconosciuto il Delle Chiaie ma non lo aveva arrestato, tale confidenza l?apprendemmo io e mia moglie a casa di Almirante. Non ricordo chi altro fosse presente. Almirante sostenne che la Ps non voleva prendere Delle Chiaie perché non si voleva che parlasse.
    La Polizia aveva chiesto conferma allo stesso Almirante della identità dell?ospite.
    Tanto ci riferì l?Onorevole.
    Sono sicuro che almeno due volte, e sempre nel 1975, Almirante ricevette il Delle Chiaie. Tanto disse conversando con noi a pranzo".
    Il racconto di Baldoni, oltre a mostrare i lati poco nobili ? per usare un eufemismo ? della personalità di Guido Paglia, dimostrano ulteriormente l?ambiguità di fondo dei dirigenti del Msi nei confronti dei terroristi, che riuscivano a tenere insieme "condanne" formali ed apparenti, denunce di un?attività di provocazione e contatti stretti, fino alla decisione di incontrarsi con latitanti.
    La collaborazione tra An e l?Ufficio affari riservati è ulteriormente riferita dal capitano Labruna, il quale ha affermato di averla appresa da Giannettini e da Guido Paglia. Tale circostanza trova conferma nelle dichiarazioni di Giannettini e nella nota relazione su "attività di Avanguardia nazionale e gruppi collegati" consegnata da Guido Paglia al Sid e non trasmessa all?autorità giudiziaria. La relazione fu invece utilizzata, secondo Vinciguerra, proprio come prova di affidabilità del servizio nei confronti di Delle Chiaie, con il quale Labruna si incontrò in Spagna poco dopo la ricezione della nota. Labruna faceva così sapere a Delle Chiaie che il Sid sapeva che il coinvolgimento di An nel golpe Borghese era passato proprio attraverso la struttura di intelligence del Ministero dell?interno, ma teneva la cosa segreta.
    I rapporti tra Ordine nuovo e i Servizi italiani e statunitensi
    Altrettanto numerosi sono i riferimenti a contatti tra Ordine Nuovo e ambienti informativi e militari; tali contatti devono collocarsi nel quadro della mobilitazione della destra eversiva al servizio dei progetti di destabilizzazione cui facevano riferimento le dichiarazioni di Spiazzi e di Vinciguerra già negli anni '80 e che ora sono andate delineando un quadro sempre più completo.
    In particolare, come è emerso nel corso delle ultime attività della magistratura, il legame tra Ordine Nuovo, servizi segreti e rete informativa all?interno delle basi Nato (sostanzialmente riferibile agli Stati Uniti) è il nodo attorno al quale si è sviluppata, tra il 1969 ed il 1974, la strategia delle stragi fasciste, o ? secondo una definizione diffusa e certamente non priva di fondamento ? stragi di Stato.
    Tra le tante dichiarazioni e testimonianze, appaiono significative le puntuali affermazioni di Graziano Gubbini, ordinovista perugino che tra il 1971 ed il 1972 si era trasferito in Veneto ed era entrato nelle formazioni ordinoviste locali. Questi riferisce di incontri con militari e di una riunione nella caserma di Montorio, cui Gubbini partecipò come rappresentante del centro Italia unitamente ad un rappresentate per il sud e per il nord per "dar vita ad una struttura di civili di ispirazione ordinovista che, in collegamento con ambienti militari, avrebbe dovuto organizzarsi con basi, armi ecc. [?] con finalità anticomuniste" [...] "L?operazione venne denominata "Operazione Patria" e prevedeva la costituzione di una struttura organizzata in modo analogo al F.N.L., con a disposizione basi, armi ed il nostro addestramento. Avremmo avuto a nostra disposizione per il nostro addestramento delle basi militari cioè la creazione di una struttura mista di militari e civili che avrebbe potuto avvalersi dei supporti logistici e addestrativi dell?esercito". L'operazione si sarebbe arenata per la resistenza degli ordinovisti del centro e del sud alla consegna dell?elenco completo dei militanti dell?organizzazione.
    Anche il gruppo perugino di O.N. risulta aver avuto contatti con il servizio di informazione tramite Maurizio Bistocchi e Luciano Bertazzoni (indicato agli atti del servizio come fonte CAPE) , contatti non negati dagli interessati i quali tuttavia cercano di sminuirne la portata, ma collocati invece da Graziano Gubbini in un contesto ben più articolato: "Effettivamente mi risulta che il Bistocchi venne contattato da un ufficiale dei carabinieri e sia lui che il Bertazzoni mantennero contatti con questa persona. Io stesso fui avvicinato, precedentemente, da un sedicente ufficiale dei carabinieri che mi propose di collaborare organicamente nell?ambito di una struttura anticomunista. Questa persona mi disse che avremmo avuto a disposizione armi e quant?altro fosse servito [...]".
    Per quanto riguarda poi i rapporti con ufficiali dell?esercito per il procacciamento di esplosivi ed altro analogo materiale, occorrerà ricordare quanto emerge dal documento Azzi sulla possibilità, confermata da più fonti, di prelevare materiale proveniente dalle caserme di Pisa e di Livorno e sulla messa a disposizione di esplosivo da parte del colonnello Santoro, che a tal fine era in stretto contatto con l?industriale Magni.
    Degna di grande rilievo, a proposito delle collusioni tra fascisti e ambienti militari ? in particolare quelli di Pisa e di Livorno ? è la testimonianza di Andrea Brogi, chiamato durante il servizio militare a svolgere un ruolo informativo di tipo cospirativo.
    Brogi aveva militato in Ordine Nuovo e poi in Ordine Nero ed era uno dei fascisti più legati alla cellula eversiva di Cauchi, tra le più inquinate per i suoi legami con la massoneria ? in particolare la P2 ? i servizi segreti, i carabinieri e la federazione del Msi di Arezzo.
    Il racconto di Brogi, a tratti, è soprendente: "Allorchè prestai servizio alla Smipar (la scuola dei paracadusisti di Pisa) ero militante del Fuan e negli ultimi cinque mesi della leva ebbi contatti con il Capitano De Felice il quale si qualificò come Ufficiale di collegamento tra il Sid e il Sios Esercito. Io avevo già fatto la Scuola trasmissioni a S. Giorgio a Cremano e mi ero specializzato in tale materia, già peraltro perito industriale. In questo contesto funsi da collaboratore informativo e coevamente ero impiegato presso il centralino della Scuola. Confermo che fui in tal guisa impiegato dal 19.11.1972, io incorporato il 3.6.72. Contesto il contenuto e il tenore dell?appunto declassificato secondo cui "in seguito alla pendenza penale" fui "allontanato dal Centralino". Il De Felice continuò a fruire della mia collaborazione perché si disse in sintonia ideologica con me e ciò a me stette bene. Mi promise che mi avrebbe mandato a Camp Derby nei mesi e anni futuri. Senonchè io non ottenni la rafferma a causa di incidenti che accaddero a Pisa ma l?atteggiamento di De Felice non mutò. Finito il periodo di leva mi disse che ci dovevamo rivedere nei giuramenti successivi perché aveva delle proposte da farmi. Io mi recai in particolare a una cerimonia, la prima successiva dopo il mio congedo e in tale occasione lo rividi e lì mi disse che il nostro rapporto avrebbe avuto uno sviluppo. Infatti il De Felice, dopo un paio di mesi dalla cerimonia, mi cercò a casa, a Firenze, ma mi trovò solo la terza volta chiedendomi di vederlo perché aveva da propormi di lavorare "per la nostra causa" favorevole alla svolta autoritaria in virtù di un golpe militare. Io non mi presentai all?appuntamento perché inserito nel Gruppo aretino e perugino di Ordine Nuovo. Contesto il tenore e le circostanze di fatto recitate dal De Felice il 22.9.92: egli si esprimeva in funzione anticomunista e parlava sempre in funzione di "noi"; egli favoriva il nostro sviluppo ideologico all?interno della Caserma. Ritengo che su di noi camerati il De Felice non inviasse informative bensì lavorasse solo su quanti gli andavano riferendo sugli extraparlamentari di sinistra. (?) Confermo che il De Felice si definì elemento di collegamento tra il Sid e il Sios Esercito e che mi propose, finito il militare, di lavorare per l?Ufficio I in quanto in tale settore "eravamo padroni della situazione". Dei miei reali rapporti con il De Felice ebbi a parlare con Cauchi, nonché con il Tuti e con Francesco Bumbaca, deceduto. Nel memoriale rimase distrutta una lista di Ufficiali dell?E. I. sia della Smipar che della Brigata Vannucci di Livorno che pur nei tempi precedenti il De Felice" [aveva] "avuto modo di leggere. Tali nominativi li aveva siglati perché risultati favorevoli alle nostre idee politiche: ricordo del Ten. Celentano della Smipar, del Ten. Meiville, del Mar.llo Iorio, aiutante in Smipar, uomo simbolo".
    Secondo il giudice istruttore di Venezia, dr. Carlo Mastelloni, è assai verosimile che De Felice ? il quale nel 1992 era diventato capo Ufficio Affari Territoriali e Presidiari in ambito Brigata Paracadutisti Folgore - abbia svolto doppio incarico informativo, privilegiando i suoi rapporti con il Sid. Il magistrato, inoltre, ha ritenuto la testimonianza di Brogi pienamente attendibile.
    Giova ricordare ? perché di pertinenza della Commissione ? che nei confronti di De Felice non fu mai preso alcun provvedimento e che all?ufficiale, contro ogni minimo buon senso, fu rilasciato anche negli anni successivi il Nulla Osta di Sicurezza.
    Lo stesso tenente Celentano è stato identificato dalla Digos di Venezia quale Enrico Celentano, diventato negli anni succesivi generale comandante della brigata Folgore, al centro di polemiche e interpellanze per la nota vicenda del cosiddetto "Zibaldone".
    Anche questi due episodi ? forse minori ? dimostrano da un lato l?organicità tra settori degli apparati dello Stato e neofascisti, dall?altro l?assoluta inerzia degli apparati stessi di fare chiarezza e pulizia, in questo modo recando grave danno e offesa all?Istituzione stessa. Che avevano cercato maldestramente di difendere.
    Sui rapporti tra la cellula neofascista aretina (il cosiddetto gruppo Cauchi) i servizi di sicurezza e la P2 rimandiamo al paragrafo relativo alla strage del treno Italicus.
    Come s?è ampiamente visto, la quantità e la qualità degli ufficiali dei servizi segreti, delle forze di polizia, delle forze armate impegnata in questo tipo di attività è stata tale da non permettere ? come è stato fatto per lungo tempo - la fuorviante definizione di servizi o apparati "deviati", che prevederebbe l?inaffidabilità democratica di un piccolo settore, rispetto ad un corpo sano.
    Purtroppo, negli anni della strategia della tensione, i rapporti erano inversi e la condizione per poter accedere a incarichi delicati e strategici era, appunto, l?adesione all?impianto ideologico dell?oltranzismo atlantico.
    Non a caso, nel corso delle vecchie istruttorie, sono stati scoperti depistaggi sistematici, coperture e connivenze con i terroristi, attività filo-golpiste, nonché una presenza costante di uomini iscritti alla loggia P2. Gli stessi vertici dei servizi segreti o alte personalità degli altri apparati sono stati più volte coinvolti ? e talvolta condannati ? nelle indagini sull?eversione.
    Si può e si deve quindi parlare più correttamente di uso deviato dei servizi segreti e degli altri apparati dello Stato.
    Le coperture per l?espatrio di Giannettini e di Pozzan, le falsità dibattimentali suggerite a Labruna, le risposte evasive provenienti dai massimi vertici dello stato, le produzioni documentali monche ed elusive fornite frequentemente alle più diverse autorità giudiziarie da parte dei servizi appartengono ormai alla consolidata conoscenza collettiva; ma molti altri episodi possono essere ricordati.
    Il servizio di informazione militare ha costantemente disposto di informatori e di infiltrati nei gruppi ordinovisti ed in Avanguardia Nazionale. La fonte "Tritone", interna a O.N. di Padova riferì tempestivamente sul contenuto di riunioni tenute poco dopo la strage di piazza della Loggia nel corso delle quali Maggi ebbe a spiegare agli intervenuti come l?attentato non dovesse costituire altro che il primo passo di una programmata escalation di attentati che dovevano rendere ingovernabile il paese.
    L?istruttoria milanese ha poi portato alla luce ? come vedremo meglio in seguito - il gravissimo episodio della chiusura, da parte del generale Maletti, della fonte Casalini (fonte "Turco" negli atti del servizio) proprio nel momento in cui questi stava per "scaricarsi la coscienza" riferendo quanto a lui noto sulle implicazioni di Freda e dei suoi negli attentati della primavera del 1969 a Milano e nella strage del dicembre successivo. Oltre alla intrinseca gravità di tale fatto, è allarmante il modo in cui l?intervento di Maletti fu reso possibile. Risulta infatti che i sottufficiali che tenevano i contatti con Gianni Casalini ne informarono il responsabile del centro CS di Padova, colonnello Bottallo, che non investì l?ufficio D della questione anche per timore "che le notizie contenute potessero essere distorte". Agli atti del centro CS non fu conservato alcun appunto, ma fu informata la polizia giudiziaria che procedette ad un ulteriore esame della fonte con la partecipazione di un sottufficiale (il brigadiere Fanciulli) della divisione Pastrengo di Milano, il quale riferì il contenuto del colloquio con una relazione al generale comandante la divisione, relazione che non fu mai trasmessa alla polizia giudiziaria e scomparve dagli atti della divisione, ma che fu tempestivamente seguita, secondo l?appunto trovato presso Maletti, dalla tassativa indicazione di chiudere la fonte.
    La stessa cosa era avvenuta per gli accertamenti su Gelli attivati nel 1974 e bloccati perentoriamente sempre da Maletti, che ne viene trasversalmente informato dal capitano Tuminiello (anch?egli della P2) o dallo stesso Labruna tramite Viezzer, con la minaccia della restituzione all?arma territoriale di chiunque avesse continuato a svolgere accertamenti sul personaggio. Anche nell?episodio della fonte Casalini scatta una catena di comando di matrice piduistica che ha una sua determinante articolazione nel gruppo di ufficiali che facevano allora capo alla divisione Pastrengo. Occorre in proposito rinviare alle circostanziate dichiarazioni rese dal generale Bozzo in più sedi giudiziarie, a Roma, Bologna, Venezia, Palermo e tenute in così scarsa considerazione dalla Corte di Assise che ha escluso la cospirazione politica per la loggia P2, e alle affermazioni fatte a suo tempo in proposito dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. L?appunto rinvenuto tra le carte di Maletti si chiude con l?indicazione di conferimento del compito di "procedere" al capitano Del Gaudio (anch?egli piduista e di sicura affidabilità per Maletti) ottenendo così la sterilizzazione di una importante fonte investigativa.
    Per le sue false dichiarazioni in merito all?appunto e all?incarico avuto da Maletti il capitano Del Gaudio è già stato condannato con rito abbreviato ad un anno di reclusione dal tribunale di Venezia all?esito dell?istruttoria nata dallo stralcio di parte degli atti relativi alla strage di Peteano.
    Gli uomini del Sid: infiltrati dei Servizi nei gruppi della destra eversiva
    E? stato accertato presso gli archivi del Sismi - e attraverso alcune ammissioni dirette degli interessati - che il Sid disponeva di diverse fonti interne al gruppo ordinovista o inserite negli ambienti della destra eversiva, senza considerare coloro i quali, come Carlo Digilio e Marcello Soffiati, facevano parte del gruppo ed erano nel contempo agenti informativi per conto degli americani, e senza considerare l?ambigua posizione di Delfo Zorzi, eversore ma frequentatore del Viminale.
    Gli infiltrati del Sid erano:
    A) Guido Negriolli, fonte dei Cc di Padova facenti parte del Sid. Negriolli fu tra i primi, dopo la strage di via Fatebenefratelli, a riferire che l?"anarchico" Gianfranco Bertoli altro non era che un personaggio legato a On;
    B) Gianfrancesco Belloni;
    C) Dario Zagolin;
    D) Gianni Casalini, fonte Turco;
    E) Maurizio Tramonte, fonte Tritone;
    F) Giampietro Montavoci, fonte Mambo.
    Lo stesso Gianfranco Bertoli, autore materiale della strage del 1973, è risultato informatore del Sifar con il nome in codice Negro. Si vedrà oltre come il suo fascicolo sia stato manomesso per non far apparire che la sua collaborazione con il servizio fosse continuata anche negli anni successivi, e che la sua permanenza in un kibbutz israeliano sia spiegabile solo con uno scambio di favori tra servizi amici.
    Tutte le fonti hanno riferito notizie importantissime, a lungo nascoste all?autorità giudiziaria. Ma ? circostanza assai più grave ? si è potuto accertare che gli informatori del Sid hanno svolto anche direttamente attività terroristica.
    In pratica alcuni episodi della strategia della tensione sono stati direttamente provocati dai fascisti stipendiati dal Sid.
    Significativo è il racconto del collaboratore Carlo Digilio a proposito dell?attentato al Gazzettino di Venezia avvenuto il 21 febbraio 1978 nel corso del quale fu uccisa una guardia notturna, Franco Battagliarin.
    All?alba di quel giorno, la guardia giurata aveva notato un ordigno deposto su un gradino dinanzi alla sede del quotidiano, ma appena egli si era avvicinato e aveva tentato di rimuovere l?ordigno, questo era esploso uccidendolo quasi sul colpo. L?attentato era stato rivendicato telefonicamente da Ordine Nuovo e gli accertamenti tecnici avevano consentito di appurare che l?innesco dell?esplosivo (rinchiuso all?interno di una pentola a pressione al fine di aumentarne la potenzialità offensiva) era caratterizzato dalla presenza, come temporizzatore, di una sveglia di marca Ruhla, vero "marchio di fabbrica" della struttura di Ordine Nuovo sin dai tempi degli attentati ai treni dell?agosto 1969, commessi appunto, come molti altri successivi, utilizzando orologi o sveglie Ruhla.
    Digilio ha raccontato i retroscena di quell?azione terroristica:
    "[?] parecchio tempo dopo, durante un incontro con Giampietro Montavoci sulla riva degli Schiavoni, questi, in un contesto di vari discorsi sulla destra, mi confessò di essere l?autore dell?attentato al Gazzettino.
    Durante questo incontro, quando Montavoci fece il primo accenno all?episodio, avevo fatto in modo che si aprisse ed egli, oltre alla sua responsabilità personale, aggiunse che l?attentato era stato una ritorsione contro il Gazzettino che da tempo aveva fatto una campagna di stampa contro la destra".
    Dunque Giampietro Montavoci, fonte Mambo del Sid, era stato l?autore materiale di un attentato che era costato la vita ad una guardia notturna.
    Partecipava ad azioni terroristiche e nel contempo riceveva i compensi da parte di un?istituzione dello Stato democratico.
    Anche questa vicenda deve essere severamente stigmatizzata. Rappresenta un?ulteriore spiegazione del perché, così a lungo, non sono stati scoperti i responsabili delle stragi e degli attentati. Tra l?altro, come è stato ricordato in più testimonianze, Giampietro Montavoci era figlio di un poliziotto. E il gruppo di On riusciva ad essere avvisato in tempo reale di eventuali perquisizioni o controlli della Questura contro i gruppi della destra.
    Gli uomini della Nato e il caso di Richard Brenneke
    A questo punto è necessario un inciso per comprendere la "qualità" degli informatori dei Sid (e della struttura militare in ambito Nato) inseriti negli ambienti ordinovisti. Non si trattava, infatti, di semplici confidenti e/o provocatori più o meno disinvolti, ma di veri e propri agenti info-operativi, i quali agivano ? con margini di autonomia ? ricevendo precise istruzioni. Agenti che si sono mossi su scala internazionale. Infatti, dal fascicolo del Sid intestato a Montavoci è emerso che il fascista-informatore aveva stabilito alcuni contatti in Cecoslovacchia "anche a fini di addestramento".
    Una circostanza che è stata in parte confermata da Digilio, il quale ha riferito di essere a conoscenza di continui viaggi di Montavoci nei paesi dell?Est, segnatamente la Romania e la Jugoslavia: "L?ufficio fa presente a Digilio che Montavoci Giampietro risulta dalla documentazione acquisita essere stato informatore del Sid a partire dal 1978, fornendo informazioni sugli ambienti di estrema destra di Venezia.
    Risulta anche che egli avesse contatti in Cecoslovacchia anche a fini di addestramento.
    Posso dire che non sono mai stato a conoscenza di rapporti fra il Montavoci e il Sid. Sicuramente il Montavoci viaggiava molto nei Pesi allora denominati dell?est europeo, sicuramente in Romania e Jugoslavia e probabilmente anche in altri Paesi".
    Oltre a Montavoci, anche uno dei capi della cellula americana, Sergio Minetto, aveva organizzato una serie di missioni all?Est europeo. Sul punto Digilio è stato molto puntuale: "Mi è venuto in mente un altro particolare proprio relativo alle leghe metalliche e cioè che Minetto, grazie a missioni in Cecoslovacchia presso elementi croati che stavano in quel Paese, era riuscito ad avere notizie circa le formule di trattamento delle leghe metalliche, attività tecnica in cui le industrie cecoslovacche, in particolare quelle a Brno, erano molto avanzate".
    Minetto, va aggiunto, era colui il quale ? per conto della struttura Nato ? manteneva i contatti con gli Ustascia croati che continuavano ad agire in Jugoslavia e in Cecoslovacchia, nonché con i fuoriusciti che avevano una loro base a Valencia, nella Spagna franchista.
    Quste circostanze rappresentano una clamorosa conferma di quanto a suo tempo dichiarato dall?ex agente americano (a contratto) Richard Brenneke, che operava avendo la sua base nel nord-est italiano, il quale intervistato dall?inviato speciale del Tg1, Ennio Remondino, nel 1990 sostenne di essere più volte andato a Praga per conto del servizio segreto americano a rifornirsi di armi ed esplosivi destinati ? se così si può dire ? agli arsenali del terrorismo atlantico e dei gruppi neofascisti vicini alla P2.
    A suo tempo, la vicenda venne considerata poco credibili anche in virtù di una a dir poco burocratica smentita delle autorità statunitensi circa l?appartenenza di Brenneke all?intelligence degli Usa.
    E? stato lo stesso Digilio, proprio grazie alla suo patrimonio "interno" di conoscenze, a confemare che Brenneke, effettivamente, era un agente americano: "(?) Posso aggiungere in questa sede che il mio superiore David Carrett, di cui ho già ampiamente parlato, mi disse, poco prima il subentro al suo posto di Teddy Richards, che uno dei soggetti impiegati in operazioni speciali nel nord-est italiano per la loro struttura era tale Richard Brenneke, che aveva fatto servizio in particolare a Trieste e nel Friuli fino al 1974".
    Tutte queste circostanze stanno ad indicare non solo l?alto livello degli informatori dei diversi servizi segreti che hanno operato all?interno delle strutture neo-fasciste, ma anche la loro operatività nell?est europeo, nei campi d?addestramento e nel traffico di armi. Ciò dovrebbe indurre a maggior prudenza coloro i quali ritengono in maniera fin troppo semplicistica, che la sola presenza di un?arma proveniente da Est stia ad indicare in maniera categorica le responsabilità degli apparati di quei paesi.
    Probabilmente lo scenario è assai più complesso e sul punto bisogna aggiungere che poco o nulla si conosce sulle eventuali connivenze e/o convergenze dei servizi segreti dei due blocchi per mantenere focolai di tensione utili al mantenimento dello status quo nell?ambito dei due diversi schieramenti.
    Pur senza la pretesa di giungere a conclusioni definitive, occorre sottolineare come un approfondimento a parte meriterebbe la vicenda delle missioni ad Est, partendo proprio dall?enorme materiale fornito da Brenneke al giornalista Remondino, a suo tempo liquidato come poco rilevante sia in sede politica che dall?autorità giudiziaria.
    Per quanto riguarda la cellula ordinovista veneta, altre considerazioni devono essere fatte sulla figura di Carlo Maria Maggi ? sotto processo per la strage di piazza Fontana e condannato in primo grado all?ergastolo per la strage di via Fatebenefratelli ? e su quella di Delfo Zorzi.
    Il primo, Maggi, risulta dalle testimonianze molto legato a Sergio Minetto, l?ex repubblichino componente della rete informativa attiva presso il comando Ftase di Verona.
    Tra l?altro, secondo la testimonianza di Digilio, Maggi ? pur non essendo organico alla struttura ? era a conoscenza del fatto che molti suoi camerati in realtà lavoravano per gli americani e, secondo una consuetudine ripetuta nel tempo, faceva conoscere in anticipo quali fossero le intenzioni del suo gruppo.
    La figura di Delfo Zorzi
    Delfo Zorzi, secondo numerose testimonianze, risulta legato ? al pari di Stefano Delle Chiaie ? all?ufficio Affari Riservati del ministero dell?Interno.
    Ecco cosa ha riferito l?ex ordinovista Martino Siciliano: "In merito alla conoscenze di Delfo Zorzi con funzionari del Ministero dell'Interno, confermo innanzitutto quanto ho già dichiarato in data 5.8.1996 in relazione alle notizie che appresi dallo stesso Zorzi circa il fatto che eravamo ?coperti? da funzionari del Ministero dell'Interno in occasione del nostro viaggio a Trieste per essere interrogati dal Giudice sull'attentato alla Scuola Slovena. Poiché l'Ufficio mi fa il nome del Viceprefetto Sampaoli Pignocchi quale contatto di Delfo Zorzi al Ministero, accertato giudizialmente anche attraverso le dichiarazioni di Federico Umberto D'Amato dinanzi alla Corte d'Assise di Venezia nel 1987, rispondo che effettivamente ricordo il nome Sampaoli come quello di un funzionario del Ministero dell'Interno in contatto con Delfo Zorzi; questo nome mi fu fatto nell'ambiente mestrino di Ordine Nuovo non dallo stesso Zorzi, bensì da Maggi, Molin e da Bobo Lagna.
    In particolare quest'ultimo mi fece cenno al nome Sampaoli come una delle persone che lui e Zorzi frequentavano a Roma allorchè anche Bobo Lagna sì era iscritto all'Università.
    Nello stesso contesto Lagna mi disse che sempre a Roma frequentavano il professor Pio Filippani Ronconi, esperto di dottrine esoteriche e orientali e di cui Delfo Zorzi mi regalò due dispense appena pubblicate sulla filosofia induista [?]".
    Di particolare rilievo è, tuttavia, la dichiarazione sui dei rapporti tra Zorzi e il Ministero dell?interno, emersi a proposito della tranquillità con la quale Zorzi si era presentato ai giudici di Trieste che avrebbero dovuto interrogarlo sugli attentati di Gorizia e Trieste, da lui realizzati con Martino Siciliano e Giancarlo Vianello: "Io gli chiesi perché ne era tanto sicuro (che l?interrogatorio sarebbe stato una formalità, nda) ed egli mi rispose tranquillamente che ne aveva avuto la conferma a Roma nell?ambiente dell?Ufficio Affari Riservati del Ministero dell?Interno con cui era in contatto e presso cui aveva ottime entrature".
    Come s?è visto, una prima ammissione ? o forse allusione ? ai rapporti tra Zorzi e un alto funzionario del Viminale, era stata formulata dallo stesso Federico Umberto D?Amato, nel 1987, davanti alla corte d?Assise di Venezia:
    "[?] Una volta ero andato nell?ufficio di Sampaoli, Vice Prefetto, capo dell?Ufficio Stampa della Direzione Generale di Polizia, e questi mi presentò un signore che era nel suo ufficio, relativamente giovane, come amico di origine veneziane, me lo presentò come Zorzi. Poi successivamente a questo incontro mi ricordai che esisteva nella mia memoria questo nome collegato ad una qualche attività ideologica di destra e per accertarmi della sua esatta collocazione chiesi se ci fosse qualche fascicolo a nome Zorzi, e debbo aver trovato una qualche conferma di un attività che all?epoca era allo stato iniziale. Colloco l?incontro al Ministero nel settantuno o primi anni settanta. Dagli atti risultava che lo Zorzi avrebbe fatto parte di O.N [?].
    Preciso che Sampaoli non ha mai avuto un rapporto funzionale e di collaborazione col mio ufficio. Escludo però che fino a quando io fui Capo del Sigsi lo Zorzi abbia potuto svolgere una qualche attività informativa in favore del mio ufficio. Quando poi io fui interrogato dal G.I. e mi fu chiesto se mi ricordassi di un qualche tipo di rapporto che ci fosse stato tra Zorzi ed il Ministero io gli riferii l?episodio di cui ho già detto. Poi chiesi notizie ai miei ex colleghi e appresi che lo Zorzi era latitante ed emigrato all?estero. Date le funzioni che Sampaoli allora svolgeva (Capo Ufficio Stampa) il suo ufficio era un "salotto culturale" frequentato da giornalisti, scrittori, intellettuali, e Sampaoli era appunto un uomo di particolare cultura. Sampaoli e Zorzi parlavano di qualche cosa di culturale ed in quella occasione appresi, mi sembra, che Zorzi studiava a Napoli. Quindi escluderei che tra Zorzi e Sampaoli ci potesse essere un rapporto che fosse di natura diversa da quella culturale. Io ignoravo quale fosse all?epoca la attività dello Zorzi".
    Nel 1971 ? al di là della sua presunta partecipazione alla strage di piazza Fontana ? Zorzi aveva già realizzato gli attentati alla Scuola slovena di Trieste e al cippo di confinte italo-jugoslavo a Gorizia.
    Ma nello stesso tempo frequentava il Viminale per "scambi culturali".
    Altre testimonianze riguardano il ruolo di Zorzi quale elemento di contatto con ambienti istituzionali favorevoli al dispiegarsi della strategia della tensione.
    Una prima, generica, viene da Carlo Digilio, il quale ha riferito di alcune confidenze ricevute da Giovanni Ventura: "Diceva (Ventura) di avere avuto dei finanziamenti per queste attività dei Servizi da Roma. Mi disse che lo stesso ruolo di agente dei Servizi era anche di Delfo Zorzi".
    Oltre a questo c?è la lucida testimonianza di Vincenzo Vinciguerra il quale, molto tempo prima che le nuove istruttorie sulla strategia della tensione fossero avviate, aveva scritto cose assai significative sul punto (e su molte altre cose) dell?ambiguo ruolo di Zorzi.
    In particolare, Vinciguerra ha riferito della proposta, a lui fatta da Maggi e Zorzi, di assassinare Mariano Rumor: "La proposta di Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi di liquidare Rumor con la garanzia che non avrei avuto problemi con la scorta, oltre a rivelare una grossolana mancanza di psicologia, dimostrò l?esistenza di legami insospettati con funzionari di polizia che dovevano trovarsi a ben alto livello per poter disporre dell?omicidio di un personaggio politico come Rumor, assicurando la neutralizzazione o la complicità della scorta.
    La conferma venne qualche anno più tardi, quando Cesare Turco, oramai arruolato a mia insaputa nelle forze di polizia dello stato democratico e antifascista, mi rivelò che Delfo Zorzi era amico di un altissimo funzionario del ministro degli Interni. Seduto davanti a me, con aria compiaciuta, Delfo Zorzi valutò la reazione, che fu di gelo [?]".
    Per quanto riguarda il progettato attentato contro Rumor, la testimonianza di Vinciguerra è stata considerata del tutto attendibile nel corso del processo per la strage di via Fatebenefratelli a Milano.
    Naturalmente, la credibilità complessiva di Vinciguerra non è mai stata ? né avrebbe potuto esserlo ?messa in discussione da alcuna autorità giudiziaria.
    Le provocazioni e l?inquinamento da parte dei Servizi
    Che i servizi fossero in possesso di altre fondamentali notizie, cui non dettero il legittimo sbocco processuale, emerge anche e soprattutto dal documento Azzi. In esso si fa riferimento alla attribuibilità al gruppo La Fenice (e a Rognoni personalmente) dell?attentato alla Coop (individuato in quello avvenuto il primo marzo del 1973) e all?idea di convincere Fumagalli e l?avanguardista Di Giovanni a prendervi parte, come pure si fa riferimento al progetto, confermato da altre fonti, di far rinvenire nelle adiacenze della villa di Giangiacomo Feltrinelli nei pressi di Casale Monferrato una cassetta di esplosivo e parte dei timers residui dalla strage di Piazza Fontana per avvalorare l?attribuibilità della strage a quell'area. La cassetta fu poi rinvenuta in una località dell?appennino ligure subito dopo il fallito attentato al treno Torino-Roma dell?aprile del 1973.
    A proposito di questo progetto, l?ex terrorista di destra, Edgardo Bonazzi ha aggiunto un particolare di grande interesse e cioè che tale provocazione era stata personalmente ispirata da Pino Rauti, anch?egli coinvolto nelle prime indagini sviluppatesi a Treviso e a Milano sulla strage e quindi obiettivamente interessato ad azioni diversive che creassero difficoltà all?istruttoria in corso. In carcere, poi, Bonazzi aveva appreso a seguito delle confidenze di Nico Azzi, che Pino Rauti, capo di Ordine Nuovo, era da molto tempo in contatto con i servizi di sicurezza e di conseguenza l?attività di Ordine Nuovo era in qualche modo eterodiretta.
    Dallo stesso documento sono ricavabili indicazioni sulle responsabilità per l?attentato alla scuola Italo-Slovena dell?aprile del 1974 (ultimo degli episodi riferiti nell?appunto e l?unico verificatosi quando Azzi era già detenuto), fatto per il quale il Sid tentò una attribuzione alla sinistra, nonostante si collocasse temporalmente in una fase di estrema tensione tra la destra locale e la comunità slovena triestina. Agli atti del servizio è stato infatti ritrovato un appunto, anche questo di pugno di Maletti, nel quale egli fa riferimento ad una "fonte diretta mia" che indica una matrice di sinistra per l?attentato e, riprendendo una nota pervenuta dal centro CS locale, incarica Genovesi di predisporre un appunto in tale senso per il direttore del servizio, consigliandone l?inoltro al Ministero dell'interno.
    Altro tema di estrema importanza è quello dell?opera di inquinamento e di ostacolo svolta dai gruppi eversivi e da settori dei servizi per pilotare politicamente gli avvenimenti di quegli anni determinando un deterioramento della situazione dell?ordine pubblico così da alimentare una reazione dell?opinione pubblica nei confronti della sinistra.
    Alcuni di essi sono, allo stato, collocabili tra i depistaggi successivi agli eventi e destinati ad impedire che venissero individuati i veri responsabili.
    Altri episodi invece dimostrano una volontà di precostituzione di prove a carico della opposta fazione: la strage di piazza Fontana costituisce, in quest?ambito, un capitolo a se? per la straordinaria gravità dell?evento e per la complessità delle implicazioni, ma lo stesso attentato, già richiamato, in cui rimase ferito Nico Azzi doveva essere attribuito alla sinistra e, per tale ragione, era stata ostentata la copia di "Lotta continua" nella tasca dell?impermeabile dell?attentatore. Alla sinistra doveva essere attribuito anche l?attentato al treno Brennero-Roma, attentato che doveva avvenire presso Bologna e che avrebbe dovuto determinare una situazione di panico generale destinata a sfociare in una richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza nel corso della manifestazione della maggioranza silenziosa prevista per il 12 aprile (cinque giorni dopo) a Milano. Lo stesso disegno - cioè la creazione di una situazione di intollerabile allarme e la precostituzione di una situazione favorevole ad iniziative autoritarie - proseguirà peraltro con la campagna di attentati ai treni del 1974 che avrebbe dovuto avere inizio a Silvi Marina (29 gennaio 1974) e svilupparsi in un crescendo di atti delittuosi, alcuni dei quali programmati, altri portati a termine, che doveva tragicamente raggiungere l'acme nello attentato dell?Italicus del 4 agosto.
    E' emerso che anche l?attentato avvenuto nel novembre del 1971 e che provocò il danneggiamento delle mura di cinta dell?università Cattolica a Milano, doveva essere attribuito alla sinistra.
    Il depistaggio istituzionale di Camerino
    Nell?ambito di una sofisticata azione di provocazione si collocò poi l?operazione di Camerino, dettagliatamente ricostruita sia nell?ultima istruttoria di Bologna che in quella di Milano. In quella occasione furono fatti rinvenire armi ed esplosivi unitamente a moduli di documenti in bianco e materiale cifrato che ne consentissero l?attribuzione ad esponenti di sinistra, coinvolgendo così gruppi politici di diversa provenienza geografica e anche uno studente greco. L?operazione fu compiuta con materiale esplosivo fornito, secondo quanto affermato da Delle Chiaie, da Massimiliano Fachini, mentre i documenti ed il cifrario furono chiesti a Guelfo Osmani dall?allora tenente D?Ovidio che comandava il presidio territoriale dei carabinieri a Camerino. L?indicazione che fece scattare formalmente l?operazione di polizia giudiziaria partì dalla compagnia Trionfale dei Carabinieri di Roma ed in particolare dal capitano Servolini. Questi rese a tal proposito al giudice istruttore una deposizione che lo stesso magistrato ha severamente valutato ("si caratterizza per le contraddizioni e l?assoluta inattendibilità") mentre, secondo il racconto di Guelfo Osmani, sarebbe stato proprio l?ufficiale a consegnare a D?Ovidio, in presenza dello stesso Osmani, la canna di fucile poi ritrovata insieme all?esplosivo, alle bombolette di gas e all?altro materiale nell?arsenale. La matrice di "sinistra" del deposito fu raccolta e rilanciata con sospetta tempestività dal giornalista Guido Paglia, che aveva da non molto lasciato i vertici di A.N., e che, in un articolo pubblicato nella stessa data del rinvenimento, riferisce dati che la decrittazione del cifrario, operazione anch?essa di facciata, avrebbe reso disponibili agli inquirenti solo qualche giorno dopo. La vicenda vede pesantemente implicato il Servizio se è vero che tra le carte sequestrate al generale Maletti nel novembre del 1980 è stata trovata, in uno degli appunti relativi agli incontri con il direttore del servizio, alla data del 7 gennaio 1973, l?annotazione, accanto alla indicazione "Eversione di sin.": "Camerino (armi dx)". Ciò dimostra la consapevolezza dei vertici del servizio della operazione di provocazione che sarebbe costata l?incriminazione di alcuni esponenti dei gruppi di sinistra, prosciolti definitivamente dalla Corte di Assise di Macerata solo il 7 dicembre del 1977. Alla data dell?appunto Maletti non doveva essere soddisfatto dello sviluppo degli accertamenti giudiziari tanto che l?annotazione prosegue con una indicazione, non perfettamente comprensibile, ma dalla quale si capisce la volontà di inviare un anonimo alla Procura Generale della Repubblica di Ancona, secondo una prassi della quale le istruttorie relative alla strage di Bologna , a quella di Ustica, all?omicidio Pecorelli hanno dato non edificanti esempi.
    Si noti che l?operazione non nasce da una estemporanea iniziativa della periferia, ma è nota e meticolosamente sorvegliata dagli uffici centrali che ne controllano attentamente gli effetti pronti ad intervenire con aggiustamenti di tiro e correzioni; l?operazione obbedisce inoltre ad un principio di economicità, ponendosi allo stesso tempo più obiettivi ugualmente utili al servizio: dal coinvolgimento di dissidenti greci alla polarizzazione dell?attenzione sulla violenza e la pericolosità dei gruppi della sinistra in concomitanza con il depistaggio operato per la strage di Peteano. Osmani afferma inoltre di aver consegnato anche un rilevante numero di moduli di patenti al capitano D'Ovidio, moduli poi rinvenuti nel deposito di Camerino. I 604 documenti consegnati al capitano D'Ovidio facevano parte di uno stock di 4.700 moduli rubati al Comune di Roma il 14 maggio 1972 e da quello stesso stock proviene il modulo del falso documento intestato a Enrico Vailati rinvenuto sulla persona di Sergio Picciafuoco a Bologna il giorno della strage. Questo particolare impone inquietanti interrogativi sui mai chiariti rapporti di Picciafuoco con i Servizi di informazione

  3. #53
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    Predefinito

    e la rivista telematica non è imparentata in nessun modo con rinascita.
    il direttore di rinascita aveva dato il suo nome come direttore responsabile.
    la rivista ha tra i suoi collaboratori Spiazzi. la cosa era stata abbondantemente chiarita anche alle prese di posizione apparse sul quotidiano, proprio su Spiazzi

  4. #54
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    Predefinito Il segreto della repubblica

    Il Segreto della Repubblica
    Premessa alla 2a edizione
    Gianfranco Bellini
    Tratto da: Il Segreto della Repubblica. La verità politica sulla strage di Piazza Fontana di Fulvio e Gianfranco Bellini. A cura di Paolo Cucchiarelli, Selene Edizioni, 2005, pag. 182, euro 13 (c) 2005 Selene Edizioni
    Information Guerrilla ringrazia l'Editore per la gentile concessione

    Molti anni fa, il compianto Primo Moroni (leggendario animatore della Libreria Calusca di Milano) mi fece sapere che un giornalista romano lo aveva contattato per chiedere notizie del libro "Il Segreto della Repubblica" a firma Walter Rubini. Primo sapeva perfettamente chi si celasse sotto lo pseudonimo di Walter Rubini: aveva “spinto” il libro attraverso una distribuzione speciale destinata ai compagni del movimento, che numerosissimi frequentavano la libreria. Fu così che incontrai Paolo Cucchiarelli.
    Paolo era interessato al libro e a capirne gli antefatti. Voleva inoltre incontrare mio padre, cosa che puntualmente avvenne. Dopo un periodo di reciproca cautela, iniziammo a sentirci regolarmente. Oggi, quel lontano incontro si è concretizzato nella richiesta di Paolo di procedere alla ristampa de Il Segreto della Repubblica.
    Ho accettato la proposta con una certa fatica: si trattava di riprendere una storia di per sé non piacevole (si parla comunque di bombe) e per me particolarmente gravida di ricordi. Al pari di tutta la generazione di cui faccio parte, la mia gioventù (la mia vita) è stata violentemente segnata dalla bomba di Piazza Fontana e dalla “strategia della tensione” nei suoi due momenti: “stragismo nero” e tentativi golpisti con la guerra tra bande degli “opposti estremismi”, terrorismo “chirurgico” e guerra civile strisciante della lotta armata.
    Il tutto si concluse con la repressione di massa e con la grande normalizzazione dell’epoca craxiana, l’ottundimento di un’intera generazione zittita da un consumismo basato sui debiti.
    Ricordo perciò perfettamente i morti, gli arresti, i furibondi scontri di piazza, i giovani di allora caduti nelle trappole (astutamente tese) degli opposti estremismi, dell’eroina, del terrorismo nero prima e rosso poi.
    E ricordo la fortissima motivazione che mi spinse, nel periodo a cavallo tra il 1977 e il 1978, a spendere un anno di vita per scrivere, insieme a mio padre, questo libro.
    Un libro che ha una sua storia che vale la pena di raccontare.

    Come nacque "Il Segreto della Repubblica"
    1975: momento culminante della grande avanzata della sinistra, iniziata nel 1968 con la rivolta studentesca e continuata nel 1969 con la grande stagione rivendicativa e unitaria delle lotte operaie dell’autunno caldo. Nel mezzo, la grande lotta di resistenza per bloccare quella che sembrava esclusivamente una controffensiva “di classe”: le bombe (utilizzate con spietata puntualità ogni cinque-sei mesi), l’aggressività delle squadracce missine, i tentativi di colpo di stato, più o meno dichiarati e credibili.
    Il Paese aveva reagito e si era rafforzato nella grande battaglia difensiva. L’ultimo baluardo da espugnare era quello della minaccia della sedizione militare. Un anno prima, il 1974, il referendum sul divorzio aveva dimostrato come il Paese si fosse ormai liberato dalla pesante ipoteca confessionale su cui si era basato il potere della Dc per trenta lunghi anni, aprendo così la strada alla vittoria delle sinistre e a una reale speranza di cambiamento.
    Fu proprio allora che si registrò l’ultimo vero tentativo golpista.
    Un complotto molto articolato e pericoloso, anzi il più pericoloso, perché ordito fuori dalla Dc e contro la Dc stessa. Fu bloccato in extremis dall’intervento di Giulio Andreotti che, alcuni giorni prima che scattasse l’“ora x”, nell’agosto 1974, fece spostare una decina di alti ufficiali da un incarico all’altro. Il “Drago Scarlatto” (questo il nome in codice del complotto) confermava pienamente le preoccupazioni espresse da Enrico Berlinguer, allora segretario del Pci, sul rischio del ripetersi in Italia del sanguinosissimo colpo di stato organizzato l’anno prima in Cile dagli americani (sotto la direzione di Henry Kissinger).
    Inoltre, nel 1974, moltissimi giovani del baby boom, già testimoni e protagonisti del 1968 e del 1969, nonché in parte provenienti dai vari gruppi di autodifesa della sinistra (servizi d’ordine), stavano esaurendo le possibilità di rinvio per ragioni di studio della leva obbligatoria.
    Centinaia di sperimentati militanti dell’estrema sinistra, migliaia di ex studenti e laureati, semplicemente di sinistra, e molti altri simpatizzanti furono, così, incorporati nelle forze armate come soldati e ufficiali di complemento. La presenza nei corpi militari di questi giovani sui ventiquattro-venticinque anni fu decisiva: essi disponevano di una consolidata coscienza politica, di un’elevata disponibilità alla lotta e al sacrificio e dell’attitudine organizzativa ereditata dai periodi precedenti. Gli “anziani” politicizzati si collegarono con le reclute diciottenni sulla base comune del giuramento reso alla carta costituzionale.
    Tanto bastò per trasformare l’esercito di leva in una forza non solo aliena a qualunque mena golpista, ma anche un baluardo della democrazia in grado di reagire con determinazione a un tentativo eversivo. Non si trattava certo di una svolta rivoluzionaria come quella che il 25 aprile del 1975 aveva portato il Portogallo nella “rivoluzione dei garofani”, ma era sicuramente una svolta in senso democratico.
    Nel dicembre 1975, si tenne a Roma l’assemblea generale del movimento dei soldati, ove si riunirono (clandestinamente ma non troppo) i rappresentanti di tutti i corpi delle forze armate: dai paracadutisti ai lagunari e agli artiglieri, dai granatieri di Sardegna ai bersaglieri e ai carristi, dagli alpini ai pontieri e alla brigata missili. La sola eccezione fu quella dei carabinieri.
    Questa assemblea, a mio avviso, segnò la conclusione della prima fase della “strategia della tensione”: quella basata sullo stragismo e i colpi di stato militari.
    Fu così che il periodo della grande avanzata elettorale delle sinistre, con le elezioni regionali e amministrative del 1975 e le politiche anticipate del 1976, si svolse in una relativa calma sotto l’attenta garanzia dei giovani del ’68 in armi. Purtroppo, però, molte delle attese di cambiamento (tra le quali c’era, a buon diritto, la verità sulla strage di Piazza Fontana) andarono rapidamente deluse.
    I nuovi rapporti politici ed elettorali usciti dal “biennio rosso” 1975-1976, benché estremamente favorevoli alla sinistra, non produssero quel rinnovamento e quella modernizzazione della realtà italiana, ormai non più procrastinabile. Durante il periodo del governo della “non sfiducia”,(
    1) maturò il disincanto di moltissimi militanti e simpatizzanti di sinistra.
    Alcuni di questi, per reazione (e in piena buona fede), andarono a formare la base di massa della cosiddetta “lotta armata”. Essi furono l’inconsapevole “brodo di cultura” della seconda fase della strategia della tensione basata sulle tecniche dell’infiltrazione nel terrorismo di sinistra.
    L’unico elemento costante nelle due fasi della strategia della tensione fu l’obiettivo: l’onorevole Aldo Moro. E questo, a mio modesto avviso, non perché Moro fosse un pericoloso sovversivo o un agente di Mosca, ma semplicemente perché era troppo imprevedibile, intelligente, spregiudicato, furbo e, in ultima analisi, indipendente per i padroni (americani) dell’Italia.

    Le vicende del libro
    Tornando a casa dal servizio militare, alla fine del 1976, ero quindi convinto che la “strategia della tensione” fosse un capitolo ormai archiviato e che fosse giunto il momento di partecipare alla ricostruzione dei fatti.
    Per questa ragione, convinsi mio padre, con il quale avevo a lungo discusso degli eventi del 1969, a mettere “nero su bianco” una ricostruzione basata sulle molte informazioni inedite di cui egli disponeva.
    Il lavoro di preparazione, raccolta e vaglio dei documenti, iniziò subito e durò alcuni mesi. In seguito, procedemmo alla stesura del testo, un lavoro particolarmente accurato e sofferto. Bisognava infatti evitare assolutamente qualunque appiglio formale e una qualsiasi querelle legale che potesse innescare un processo di disinformazione sul libro. Fu un lavoro snervante, di massima concentrazione, mentre intorno a noi il panorama politico cambiava rapidamente. Era l’epoca in cui le “nuove Brigate rosse” iniziavano l’escalation militare che culminerà col rapimento di Aldo Moro.
    Infatti, quando il libro era ormai pronto arrivò il primo inaspettato ostacolo: il rapimento di Moro, appunto.
    Visto che il libro stesso si imperniava sulla figura del politico democristiano, il rapimento ci obbligò a un rinvio forzato: non era possibile pensare alla pubblicazione del Segreto durante la lunga agonia dello statista pugliese. Alcuni mesi dopo la tragica fine di Moro ci decidemmo, e il libro venne presentato alla casa editrice Feltrinelli (che, tra l’altro, aveva pagato un anticipo). Ma con la morte di Moro e la coda di polemiche (e operazioni dei servizi segreti) che ne era scaturita, la situazione si era ormai fatta complicata. Fu così che l’allora responsabile editoriale decise di non pubblicare il libro, probabilmente per non esporre direttamente la casa editrice. In cambio, propose una soluzione di compromesso: un’edizione indipendente del libro e la sua diffusione su scala nazionale, utilizzando la distribuzione della Feltrinelli stessa.
    In effetti, alla fine del 1978, in piena caccia alle streghe e con i servizi segreti scatenati, pubblicare un libro sui mandanti della strage di Piazza Fontana e sul ruolo di Moro e Andreotti era una cosa veramente da pazzi.
    Per chi non abbia vissuto quei momenti, è bene ricordare quanto fosse facile allora morire in un attentato, e come dietro le sigle terroristiche si potesse nascondere qualunque cosa, come dimostra l’esecuzione del giudice Emilio Alessandrini, il 29 gennaio 1979, da parte di un commando di Prima Linea (seconda formazione terroristica del Paese dopo le Brigate Rosse).(
    2)
    L’omicidio di Alessandrini, oltre a essere assolutamente oscuro nel movente,(
    3) ebbe delle conseguenze fondamentali nel tormentato panorama politico dell’epoca. La notizia della morte del coraggioso giudice, verso il quale il rispetto della sinistra, anche rivoluzionaria, era assoluto (e ben riposto), provocò un moto di reazione da parte di tutta la magistratura, che da quel momento non fece più alcun distinguo tra chi propugnava e conduceva la cosiddetta “lotta armata” e chi in Italia si dichiarava “né con lo stato né con le brigate rosse”, cioè coloro che si rifiutavano di considerare eroi quei personaggi che appena dieci anni prima avevano incominciato a “colpire obiettivi civili in stato di pace”, obiettivi del loro stesso paese. Quindi, l’omicidio Alessandrini potrebbe indicare il passaggio a una nuova fase della “strategia della tensione” che persegue obiettivi “secondari”, quelli legati all’annichilimento della sinistra antagonista in Italia e alla repressione giudiziaria di massa quali premessa della “normalizzazione” del Paese, nonché del rinvio a tempo indeterminato della verità sulle stragi di Stato.
    Ripensandoci dopo anni, la proposta della Feltrinelli di distribuire il libro fu veramente coraggiosa e decisiva, e confermava anche la sua tradizione “militante”. Purtroppo non potemmo rallegrarcene con il propugnatore dell’idea perché morì poco dopo in un incidente stradale.
    Con la disponibilità della Feltrinelli in tasca, mi assunsi il ruolo di editore e stampai Il Segreto della Repubblica grazie ai soldi raccolti tra compagni, amici e amiche. Il primo passo dell’operazione fu l’acquisizione (a titolo gratuito) della Flan, la piccola casa editrice di Alessandro Previdi. Vale la pena di raccontare cosa fosse la Flan.
    Alessandro Previdi (coraggioso partigiano combattente, giornalista e amico di famiglia) aveva creato la Flan qualche anno prima per permettere la stampa del libro "L’assassinio di Enrico Mattei" a firma sua e di Fulvio Bellini, mio padre. Il libro, rifiutato da ogni editore, aveva riaperto il caso del presidente dell’ENI, caduto col suo aereo nel 1962 alle porte di Milano, a Bascapè. Il libro uscì nel 1970. Oggi, si sa che Mattei fu ucciso e che probabilmente gli ispiratori e organizzatori dell’attentato furono gli aderenti al “partito americano”. Ma, nel 1969, Mattei non era annoverato tra le pur tante vittime del “terrorismo di Stato” targato USA. Anzi i collaborazionisti nostrani avevano deciso che il capo dell’ENI doveva, per tutti, esser stato vittima di un fortuito incidente. Fu così che intorno al libro si distese subito una vera e propria cortina del silenzio durata due anni, a dir la verità non perfetta e certe volte persino comica.(
    4)
    L’ostracismo del potere fu infine lacerato da un lungimirante produttore cinematografico che acquistò i diritti del libro e produsse l’ottimo film, Il caso Mattei (1972), interpretato da Gian Maria Volonté. Con nostra grande sorpresa, il successo travolgente del film non mutò però di molto la situazione del libro della Flan che, ovviamente, doveva restare nell’oblio del silenzio di Stato.
    Ma poiché il caso era ormai aperto, si scatenarono i ben noti profittatori italici. A partire da un cineasta che cercò addirittura di accreditarsi come autore della storia, fino alle “grandi firme” del giornalismo italiano che, copiando di sana pianta il libro, senza però citarlo, cercarono di inserire dubbi e “variazioni sul tema”.
    Un vecchio metodo della disinformazione, inventato dai servizi segreti inglesi, in particolare dalla sezione della guerra propagandistica del Foreign Office inglese, l’IRD(
    5). Vale la pena ricordare che l’IRD all’epoca raggruppava un bel po’ di giornalisti e scrittori inglesi autori di una gloriosa storia di falsi, disinformazioni e interventi culturali anticomunisti. Nel meno recente passato, il più famoso collaboratore a tempo pieno dell’IRD fu certamente l’“anarchico” George Orwell, l’autore di 1984, quello del “grande fratello”. La lista dei collaboratori dell’IRD nel periodo 1968-1978 è, comunque, rintracciabile.(6) Come vedremo dopo, almeno una delle testate “influenzate” dall’IRD, The Observer, ebbe un ruolo centrale nelle vicende italiane legate alla bomba di Piazza Fontana. Ma torniamo a noi.
    Dopo l’esperienza de "L’assassinio di Enrico Mattei", in famiglia eravamo ormai assolutamente smaliziati e privi di eccessive illusioni sulla sorte del nuovo libro. E non avevamo torto: puntualmente, l’arrivo nelle librerie de Il Segreto della Repubblica fu accolto dalla ormai sperimentata congiura del silenzio. A dir la verità, questa volta più drastica della precedente, e con una copertura quasi assoluta: dall’estrema sinistra “rivoluzionaria” ai grandi partiti popolari, fino alla stampa indipendente. Sorpreso nella mia ingenuità e buona fede, ottenni la conferma dell’esistenza di un “ordine di servizio superiore” da un amico, un giornalista della redazione di Panorama ora ai vertici della televisione. Oggi, quindi, apprezzo ancor di più l’unica recensione dell’epoca: quella di Ottobre, quotidiano dell’estrema sinistra filosovietica diretto da Antonello Obino. Un giornale importante che, purtroppo, uscì per un mese soltanto.
    Comunque, con grande costernazione dei molti attivisti del silenzio di Stato, la distribuzione del libro garantì la vendita di oltre cinquemila copie, consentendo così di coprire le spese, ma soprattutto di innescare quella catena di eventi che oggi ha portato a questa ristampa.
    Fu così, magari anche per un po’ ripicca, che qualche tempo dopo mi fu recapitato a casa un libro svuotato contenente una bomba, predisposta per esplodere al momento dell’estrazione dalla custodia di cartone. La mia buona stella, una certa dose di prudenza e di addestramento mi fecero scoprire il trucco (il che probabilmente mi salvò la pelle). Dato che personalmente non avevo nessun dubbio sulla provenienza del gentile omaggio, ben mi guardai dal chiamare organi dello Stato e denunciare il fatto.
    Insieme ad alcuni compagni del Casoretto (in particolare “Bongo” che mi accompagnò con la sua 500, io non possedevo auto) gettai, quindi, la bomba nel fiume Lambro (laddove attraversa l’omonimo parco di Milano). Il tutto si concluse con una bella colonna d’acqua (biologicamente pura, tanto il fiume era inquinato!).
    Decisi, infine, un ultimo tentativo per rompere la cortina del silenzio. Un tentativo basato sul fatto che Sandro Pertini, socialista, partigiano, era diventato presidente della Repubblica. In quanto presidente della Repubblica Pertini presiedeva il Consiglio Superiore della Magistratura, e una sua “parola”, circa i mandanti della strage di piazza Fontana, non poteva andare nel vuoto. Feci, perciò, appello ad alcuni compagni della disciolta banda (“vecchietti” sempre ben disposti quando si trattava di “rompere le scatole” al potere), per l’occasione integrati con giovani del centro sociale Argelati. Feci preparare due manifesti, in bianco e nero: il primo con una lettera aperta al compagno Pertini in cui si riassumeva il libro e si denunciava il fatto che gran parte dei “segreti” su piazza Fontana erano a disposizione di tutti, bastava cercarli in alcune librerie (nascosti negli scaffali, certo). Nel secondo, organizzai una compilation con una decina di fotografie, da Saragat in giù, appartenenti a coloro che ormai potevo indicare, a chiare lettere, tra i “mandanti” della strage e del tentativo di colpo di Stato. Una specie di scheda segnaletica di gruppo, una sorta di Wanted all’americana. Un libraio fece poi stampare una sovracopertina con la lettera aperta da un lato e “i faccioni” (li chiamavamo così) dall’altro. Ripensandoci, eravamo proprio una bella banda di Pazzi!
    Quindi, aspettammo. Arrivò la notizia che il Presidente-Partigiano sarebbe venuto a Milano per la Prima della Scala: era il momento giusto. Una delle notti precedenti alla Prima, uscii con i compagni ad attacchinare i manifesti – anni di serate passate con colla e pennello ci permisero di fare un lavoro rapido e accurato, un’affissione sufficientemente estesa e numerosa (un migliaio di pezzi), ma soprattutto difficile da staccare.
    Pensavamo di aver raggiunto l’obiettivo: secondo le nostre intenzioni, Pertini, nella sua libera passeggiata per le vie di Milano (il Presidente-Partigiano amava ritornare “normale” durante le puntate nella città che lo aveva visto trionfatore il 25 aprile 1945) avrebbe potuto vedere uno dei manifesti e, data la sua innata curiosità, magari incuriosirsi e informarsi. Poi, da cosa nasce cosa... Ma tutto andò in fumo: la prevista visita di Pertini era stata annullata. Così, senza altre spiegazioni. Organizzai così una “seconda” uscita del libro, questa volta nelle librerie militanti e con la sovracopertina (oggi, non dispongo più di questo “reperto”, avendo distrutto tutto per evitare di facilitare il compito della polizia in caso di perquisizione; forse qualche lettore, in un angolo buoi della propria soffitta potrebbe ancora avere questo vecchio cimelio).
    Questo ultimo episodio segnò la fine degli sforzi miei e dei compagni per fare luce su piazza Fontana. Del resto, all’epoca ero sufficientemente sicuro che in tempi brevi me l’avrebbero fatta pagare e non volevo rischiare più di tanto. Ma, fortunatamente, non incappai in nessuna retata, che all’epoca erano all’ordine del giorno (mio fratello Andrea sì, si fece nove mesi di carcere preventivo e poi arrivederci e un grazie, con una bella assoluzione). Né subii altri attentati. Comunque, tutto finì lì, in un’ovattata coltre di nebbia, come di quelle che a Milano (ahimé) non si vedono più.
    Poi il silenzio, per una ventina d’anni, interrotto da qualche sporadico riferimento alla tesi del Segreto e da qualche intervento dei successori della IRD.(
    7) Questa è, in breve, la storia de Il Segreto della Repubblica.
    Vediamone ora le conseguenze.

    Le conseguenze
    La conseguenza più evidente di questo libro è contenuta nel rinvio a giudizio per la strage di Piazza Fontana predisposto dal giudice Guido Salvini. E questo ha mutato completamente la storia del libro.
    Normalmente, i libri-inchiesta partono da qualcosa di assodato, magari il lavoro di qualche magistrato, se non altro per evitare spiacevoli conseguenze legali, querele e danni che certe accuse possono causare. Prendono atto delle evidenze assodate e dei fatti riconosciuti in sede penale, li collegano e cercano di inquadrarli nel contesto storico per arrivare a conclusioni di tipo generale. Nel caso de Il Segreto della Repubblica è avvenuto il contrario. La ricostruzione storica fatta nel libro (che in trent’anni non ha prodotto nessuna querela) è stata in parte valutata e recepita nella ricostruzione penale. Ci sono voluti decenni, ma è successo. Ed è successo anche, seppure con minore clamore, per il primo libro della Flan, L’assassinio di Enrico Mattei. Ambedue i testi hanno prodotto profonde conseguenze nel mondo giudiziario. Ambedue sono stati letti e studiati da magistrati. Niente male per la vecchia Flan, una ratio del 100 per cento. Ne è valsa la pena. Vediamo, dunque, come la Procura della Repubblica ha citato il libro:
    Tale complessiva ricostruzione trova corrispondenza in un documento molto particolare e precisamente un volumetto, riguardante gli attentati del 12.12.1969 e soprattutto quanto sarebbe avvenuto, sul piano politico/istituzionale, dopo gli attentati stessi, quasi sconosciuto anche agli studiosi del settore e mai preso in considerazione ed analizzato durante le precedenti istruttorie. [ecco qui una conferma successiva della “cortina del silenzio”, N.d.A] Si tratta del breve saggio politico-giudiziario Il Segreto della Repubblica, edito nel 1978 dalle sconosciute Edizioni FLAN e firmato da tale Walter RUBINI.
    [...]
    Chiave di volta della ricostruzione operata nel volume pubblicato nel 1978 (che comunque non contiene, in merito all’esecuzione degli attentati, nulla che non fosse già noto alle indagini) è il compromesso, appunto Il Segreto della Repubblica, che sarebbe stato raggiunto il 15.12.1969, subito dopo il solenne funerale delle vittime della strage di Piazza Fontana, fra due ampie aree politiche, una autoritaria e quasi filo-golpista e una più cauta e non disponibile a ridurre gli spazi di democrazia, compromesso che comportava che il Presidente del Consiglio, on. Mariano Rumor, non si adoperasse per la dichiarazione dello stato di emergenza e non decidesse di sciogliere le Camere e che tuttavia in cambio, quale condizione posta dalla componente autoritaria, si desse via libera alla prosecuzione della pista anarchica voluta dal Ministero dell’Interno e si rinunziasse ad approfondire la “pista nera” che il nucleo di p.g. dei Carabinieri di Roma aveva cominciato a battere con successo.
    … e come Guido Salvini ha riassunto la tesi del complotto contenuta nel libro:
    - scissione del P.S.I. e formazione del P.S.U. nel luglio 1969, presuntivamente appoggiata e finanziata da ambienti americani, e ruolo di tale Partito nei successivi eventi di spinta verso soluzioni autoritarie, noti come “strategia della tensione” conseguenti agli attentati;
    - prevista disponibilità, all’interno della medesima strategia (di cui braccio operativo sarebbero stati Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale), del Presidente del Consiglio, on. Mariano Rumor, a decretare lo stato di emergenza e a sciogliere le Camere nella prospettiva della formazione di un governo di centro-destra con l’esclusione del P.S.I.;
    - fallimento di tale strategia a seguito dei dubbi e dei tentennamenti a mettere in opera tali scelte da parte dell’on. Rumor, in particolare dopo i funerali delle vittime della strage del 12.12.1969, e conseguente venir meno dell’obiettivo politico degli attentati;
    - formazione comunque di un accordo a livello dei più alti vertici politici, compreso l’on. Moro allora Ministro degli Esteri, affinché non fosse sviluppata la pista riguardante l’Aginter Press e Avanguardia Nazionale, delineata nell’appunto del S.I.D. del 16.12.1969 e inizialmente sviluppata da alcune indagini del Nucleo di p.g. dei Carabinieri di Roma (in particolare nei confronti di Delle Chiaie) e di conseguenza avesse sviluppo a livello di indagine di p.g. solo la c.d. pista rossa o anarchica avviata in particolare dal Ministero dell’Interno.
    La descrizione della congiura, un vero e proprio colpo di stato, anche se più soft di quelli che normalmente gli americani organizzavano all’epoca, è chiara e lineare.
    Ma oggi, rivedendo il tutto, questa impostazione necessita di qualche precisazione: il fenomeno inquadrato solo su scala nazionale non tiene conto di quel contesto internazionale che, oggi, ho imparato a conoscere e valutare. In altre parole non basta più dire che gli americani “ci hanno provato” in Italia, ma bisogna capire anche perché. Domanda alquanto interessante visto che gli inglesi, da parte loro, alla fase “bombarola” della strategia della tensione si sono opposti. Non solo: le successive scoperte, quali la storia di Gladio e del suo referente sovranazionale Stay Behind, inquadrano la strage di Piazza Fontana in una più articolata strategia su scala europea, facendone un argomento di estremo interesse anche per gli altri membri dell’UE. In altri termini, dobbiamo capire il movente, il movente politico vero che ha originato la strategia della tensione: in Italia, certo, ma anche in molti altri paesi europei. E questo, anche dovessimo aspettare altri trent’anni per sentirci dare ragione!

    Ringraziamenti
    Oltre a Paolo Cucchiarelli, senza il quale questo libro non sarebbe stato ristampato, i miei personali ringraziamenti vanno a tutti i compagni che in questi decenni hanno contribuito, in un modo o nell’altro, a mantenere in vita la storia di questo libro. Per quel che riguarda questa ristampa, un ringraziamento particolare a:
    Angelo Colli, preziosissimo Quality Control, Aldo Rota “Merenda”, Marco Colombo “Kolombo”, Enrico Revello “Stanco”, Giovanni Franceschi “Tovarish”, Angelo Chiarot “Cugino”, Alberto Basso “Generale”, mio fratello Andrea, cui debbo tutte le inchieste non ufficiali sugli eventi del periodo, Vincenzo Colacicco “Il marxista”, e poi Bruno Chiodi, tutti quelli della “Banda Bellini” che mi hanno aiutato in questa impresa e, se permettete, i miei familiari che mi hanno sopportato per così tanto tempo nei miei ricordi sul 12 dicembre 1969 e in particolare mia madre, purtroppo deceduta.

    Note
    (1) Il Governo Andreotti – 29.07.1976-11.03.1978 –, basato sull’appoggio indiretto del Pci e giudicato dal suo stesso premier come il più impresentabile della pur lunga e discutibile storia dei governi democristiani.
    (2) Prima linea, principale gruppo terroristico di “sinistra” in Italia dopo le Brigate Rosse; il gruppo reclutava militanti (in piena buona fede) nelle frange “armate” dei servizi d’ordine che negli anni settanta avevano sostenuto il confronto di piazza contro fascisti e organi repressivi dello stato. Secondo una formulazione inedita, il gruppo era da considerarsi una struttura creata ad hoc per permettere l’infiltrazione delle allora, apparentemente, impermeabili e misteriose Brigate Rosse, ripetendo in questo il copione utilizzato dai servizi segreti in Argentina nei confronti dell’Ejercito Revolucionario del Pueblo (Erp). L’imprendibile gruppo terroristico trotskista era stato infatti avvicinato dalla formazione concorrente Monteneros (peronisti di sinistra) ampiamente infiltrata e teleguidata. Dopo un periodo di accorta e giustificata cautela ogni sospetto cadde e la direzione dell’Erp accettò di condurre un’azione militare congiunta con i Monteneros. Ovviamente di trattava di una trappola organizzata dai servizi segreti militari che portò alla completa distruzione dell’Erp e dei Monteneros presenti.
    Durante l’attacco al Batallón de Arsenales 601 de Monte Chingolo, 23/24 dicembre 1975, su duecentocinquanta partecipanti tra Monteneros e membri dell’ERP ben centoventicinque furono uccisi. Nel caso italiano le BR erano già ampiamente infiltrate (vedi le opere di Sergio Flamigni e, in particolare, La Sfinge delle Brigate Rosse, Kaos edizioni, e Le borse del presidente, di Gianfranco e Fulvio Bellini, inedito) nonché eterodirette. Prima linea si dedicò così alla “politica” di epurare a colpi di pistola pericolosi “democratici” annidati negli organi dello Stato. Tra questi sicuramente il giudice Alessandrini, tra i più grandi conoscitori della cosiddetta “strategia della tensione”, avendo letto e studiato le migliaia di pagine processuali relative a Piazza Fontana. Così, se l’eliminazione di Alessandrini produsse sull’immediato lo stop a una pericolosissima avanzata delle inchieste sui mandanti della strage, ben più grave fu la conseguenza sul medio periodo: si crearono le condizioni per un rinvio ventennale della capacità della magistratura di far luce sugli eventi del 1969.
    (3) Ufficialmente il giudice fu ucciso per fermare alcune sue inchieste sulle radici del terrorismo rosso. Questo, secondo gli esecutori materiali e secondo alcuni specialisti. Secondo un’altra versione pubblicata nella primavera del ’79, pochi mesi dopo l’efferato omicidio e prima dell’arresto del commando stesso, avvenuto nel 1980 (vedi Spirali n. 5, Maggio 1979), Alessandrini fu ucciso perché aveva ripreso a lavorare sulla parte “politica” dell’inchiesta sulla strage di Piazza Fontana, di cui era stato artefice insieme a Rocco Fiasconaro e Gerardo D’Ambrosio. Non entriamo nel merito. Poiché Il Segreto della Repubblica esce nel novembre 1978 è possibile che Alessandrini possa averlo letto, ne abbia apprezzato qualche spunto, come accadde molti anni dopo al giudice Guido Salvini, abbia condotto qualche atto che lo avvicinava pericolosamente al “livello dei mandanti”: magari qualche sequestro di documenti nel dicembre 1978.
    (4) Il giornalista Indro Montanelli impegnò due pagine sul Corriere della Sera per confutare la tesi dell’attentato, ovviamente senza mai citare il titolo dell’opera che la sosteneva.
    (5) Information Research Department (1945-1976) del Foreign Office.
    L’IRD era l’erede del PWE Political Warfare Executive (1939-1945 ).
    (6) Di certo l’IRD contava su tre “attivi” al Financial Times, cinque per il Times, due per l’Observer, cinque per il Telegraph e così via. Compito di questi personaggi era condurre la battaglia della informazione (e disinformazione) del governo inglese.
    (7) Tra i testi che citano l’opera segnaliamo, Puppetmasters.
    The Political Use of Terrorism in Italy , Philip Willan, 1991.



  5. #55
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    La discussione è morta così?!

  6. #56
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    Ciao Outis se ti può interessare proprio l'altra giorno ho trovato in un a libreria antiquaria "Le mani rosse sulla forze armate" (non l'originale ma la ristampa che fece Lotta continua) : ho potuto dargli solo uno sguardo veloce (sto lavorando...) ma non mi sembra niente di particolarmente sconvolgente: una volta che l'avrò letto se ti interessa posso prestartelo.
    Bazooka!!!

  7. #57
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    Benissimo!!! Non conosco il testo, spero di poterlo leggere quanto prima!

 

 
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