ELZEVIRO - Un saggio su Piazza Fontana - Le bombe di ieri e i giovani di oggi - di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI - Corriere della Sera - 27/01/06
La strage del 1969 vista dalla parte di un anarchico
E' arrivato un breve messaggio sul mio indirizzo elettronico. È un ragazzo di liceo cui hanno dato a scuola una ricerca sui segreti e le bombe di trenta-trentacinque anni fa. Mi chiede: lei, che era già nel giornalismo, che cosa ricorda?
Quel pomeriggio del 12 dicembre 1969, strage di Piazza Fontana, il punto più fondo del nero pozzo della nostra storia contemporanea, ero al piano terra di via Solferino con Arrigo Benedetti, il maggior direttore del dopoguerra, venuto a trovarmi nelle stanze della redazione culturale del «Corriere». «Povera Italia!»: avemmo lo stesso commento. Le prime notizie scivolavano dal piano di sopra. Intorno a Giovanni Spadolini c'era un animato vai e vieni di cronisti e analisti. Quasi mezzo secolo dopo sono state fatte tante indagini, pronunciate tante sentenze, scritti tanti articoli da essere tornati all'anno zero e alla pagina bianca con l'ultima decisione giudiziaria del 3 maggio 2005, riassunta drasticamente dai titoli dei giornali: «Tutti assolti».
Diciassette morti (una delle vittime morì per le conseguenze dell'esplosione anni dopo) e quasi cento feriti non hanno un colpevole che paghi una pena definitiva. Come rispondi a un giovane che chiede indicazioni per fare storia? Impossibile a me chiosare per lui: questo è il nostro Paese. Non è vero, non è cosi il nostro Paese. Anche se l'Italia si porta in seno l'enigma ben custodito di molte trame tessute in nome del potere. È una biscia viscida che ho sentito strisciare altre volte in questi trentacinque anni; altre stragi, imbrogli, agguati terroristici, gente che con quegli agguati manovrava, logge ladrone e faccendieri del crimine politico. E troppi violenti. Ogni tanto le storie si intrecciavano, le vicende finivano in teorie cospi-ratorie. C'erano false testimonianze, infiltrati, provocazioni. E fanatici che vedevano un assassino di Stato in ogni brigadiere. E poi poveri cristi accusati, incarcerati e alla fine liberati senza scuse. E vittime, molte, talune uccise prima dall'odio che da una pallottola.
Un giovane di oggi che voglia semplificare la ricerca dovrebbe leggere molti libri, senza fermarsi nel risvolto di copertina a chiedersi da che parte vengano. Oggi cade opportuna la pubblicazione di un libro dichiaratamente schierato, ma esemplare nella paziente ricostruzione: «Bombe e segreti» (Eleuthera, pp 173, € 12) di Luciano Lanza, con una intervista a Guido Salvini, l'ultimo giudice che per lunghi anni ha lavorato al caso. E un libro dalla parte degli anarchici di Milano, che per quella strage di piazza Fontana furono sospettati, incriminati ma obiettivamente alla fine risultarono fuori dal disegno criminale. Oggi, storicamente, possono di quei giorni essere considerati vittime anche loro.
Nessuno ha mai chiesto scusa a quelle vittime. Luciano Lanza, un giornalista dell'establishment, anche se la definizione lo irriterà, redattore di importanti testate «borghesi», è stato un testimone diretto di quel dicembre 1969. Condivise la sua attività politica con Giuseppe Pinelli e partecipò attivamente alla campagna di liberazione di Pietro Valpreda. Avverte con lealtà il lettore: «Sono coinvolto, anche sul piano emozionale. Ma ho cercato, anche grazie ai quasi quattro decenni trascorsi, di pormi un traguardo: raggiungere il massimo di obiettività possibile».
Il tentativo è utile, oltre che apprezzabile. Resta nelle conclusioni la forzatura dello storico di parte, che comprensibilmente vuole ad ogni costo strappare la vicenda dalle nebbie care al potere. Se non lo fa un cuore anarchico, chi dovrebbe farlo? Inaccettabile è finire sugli scogli del «non si sa». Non è vero che «non si sa». Un giornalista aiuta a rispondere che invece «si sa». Quasi quarant'anni dopo sappiamo tutti che lo Stato molto ha da arrossire. L'intervista a Salvini fa meglio intendere il meccanismo «non solo politico ma anche psicologico che ha permesso sino alla metà degli anni Settanta l'esecuzione di stragi e attentati in una condizione di impunità e di sicurezza quasi garantita per i loro autori». Questo meccanismo, annota il giudice, era «a gradini». Risalire quelle scale: lo potranno fare i nostri figli?
Un articolo abbastanza interessante. Si pone gli interrogativi che io pongo a me stesso da anni. Vorrei sapere se qualcuno di voi conosce il libro e cosa ne pensa. Grazie