Fonte: il mio blog



BANCOPOLI: PARLA CARLO NORDIO, MAGISTRATO VENEZIANO
QUEI DEBITI RIPIANATI CON LE CASE

Nel 1999, indagando sulle coop rosse, aveva scoperto che il Pci-Pds possedeva immobili per mille miliardi di lire, intestati a prestanome. Oggi dice: «Con quei soldi il partito ha riempito il buco dei suoi bilanci. E io mi ero limitato al Veneto: ma la vera ricchezza era altrove».
di MAURIZIO TORTORELLA

E’ uno dei pochi pubblici ministeri italiani che hanno indagato sulle coop rosse e che possono dire dì avere ottenuto qualche serio risultato: Car*lo Nordio, sostituto procuratore di Vene*zia, nel 1999 aveva chiesto il rinvio a giu*dizio di oltre 100 amministratori di coo*perative venete, finite sotto inchiesta per associazione a delinquere, falso in bilan*cio, bancarotta, finanziamento illecito del Pci-Pds. «Gli indagati» ricorda oggi Nordio a Economy «furono quasi tutti con*dannati o patteggiarono la pena».

Dottor Nordio, otto anni fa lei aveva accertato l’esistenza di un immenso patrimonio immobiliare fittiziamente intesta*to a prestanome, ma in realtà riconduci*bile al Pci-Pds: quanto valeva?
Circa mille miliardi di lire. Per la veri*tà, il patrimonio fu scoperto dalla procu*ra di Milano, che già nel settembre 1993 aveva fatto perquisire Botteghe Oscure e vi aveva trovato una stanza piena di fa*scicoli relativi agli immobili posseduti. Ma non si procedette al sequestro e il giorno dopo i fascicoli erano stati fatti sparire. Questo è emerso al di là di ogni dubbio o contestazione.
Lei ipotizza che quell’immenso patrimonio sia stato poi «incamerato» dalle cooperative rosse?
Io non ipotizzo nulla. I dati erano questi: trovammo migliaia di immobili inte*stati a persone fisiche, fedeli militanti del partito, che ne era il vero proprietario. Il Pci-Pds si giustificò di questa interposi*zione fittizia dicendo che non avrebbe po*tuto iscrivere gli immobili a bilancio. Ma la circostanza ovviamente non era vera: anzi, avrebbe potuto e dovuto.

Come si conclusero le indagini?
L’aspetto giuridico era controverso: avremmo potuto contestare il falso in bilancio sulla costituzione societaria. Ma poi questo aspetto è stato modificato e abrogato. Quindi penalmente non c’era nulla. Resta il dato, politico ed econo*mico, che il partito non ha mai spiegato come fosse venuto in possesso di questo gigantesco patrimonio, con quali soldi lo avesse acquisito e perché lo avesse tenuto nascosto.

Che cosa ha pensato quando nell’estate scorsa è stata lanciata l’Opa miliardaria di Unipol sulla Bnl?
Nulla: primo perché ero in vacanza, secondo perché non sposo le mie inchieste e ormai delle cooperative non mi in*teressavo più.

E che cosa ha pensato quando, in dicembre, si sono scoperti i conti esteri, e milionari, dei due uomini al vertice di Uni-poi: Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti?
Esattamente lo stesso: nulla.

Nemmeno quando poi sono emersi rapporti stretti fra Consorte e il teso*riere dei Ds, Ugo Sposetti, o quelli con Piero Fassino?
Qui l’interesse si è ridestato: perché mi ricordavano le mie inchieste e le mie durissime critiche sull’abuso delle intercettazioni telefoniche. Quelle su Fassino, nemmeno depositate, sono vergognose. Ma censurabili sono quelle che polizia e magistrati inseriscono negli atti senza che abbiano rilievo probatorio.

Ci sono differenze tra le coop sotto in*chiesta dieci anni fa e quelle di oqqi?
Credo che oggi il vincolo economico e finanziario tra coop e Ds si sia molto affievolito. A quell’epoca, invece, era as*solutamente organico.

Ma dieci anni fa le coop come finanziavano il Pci-Pds?
In modo diretto e indiretto. Le coop avevano una riserva rigorosa di appalti pubblici, frutto di accordi politici spartitori a livello nazionale e regionale. In questo senso non c’era alcuna differenza tra Dc, Psi e Pci: si erano divisi equamente tutto, con qualche briciola per gli alleati minori: Dc e Psi sponsorizzavano le im*prese amiche, il Pci le coop. Ma i finanziamenti erano diversi.

Perché?
Alla Dc e Psi arrivavano contributi in denaro, con i quali si pagavano i funziona*ri e le altre spese. Nel Pci i funzionari era*no pagati dalle coop, ma lavoravano per i! partito. Il risultato finale è identico, però lo strumento è diverso. E lo è anche dal punto di vista penale: la mazzetta integra il reato di corruzione, il sistema del Pei no. Un altro modo era quello della pubblicità inesistente: le coop pagavano cifre enormi per farsi pubblicità sui giornaletti dei partito. Spesso le inserzioni, pagate, non ve*nivano neanche pubblicate.

Giuliano Peruzzi, il consulente finanzia*rio che fu uno dei suoi testimoni, sostene*va che nel 1991 l’Unipol finanziaria e altre coop attraversavano una «paurosa crisi finanziaria». Com’è stata ripianata, tanto da consentire all’Unipol l’Opa su Bnl?
Sulle vicende attuali non voglio e non posso rispondere: perché non ne ho conoscenza diretta e per rispetto verso i procedimenti in corso. Nella mia emerse che il Pci-Pds aveva iniziato il risanamento dei debiti conferendo il suo immenso patrimonio immobiliare nella società Beta, che ne avrebbe garantito la solvibilità. Ma io non indagai oltre in quel settore, perché esulava dalla mia competenza. Vorrei ricordare, però, che ancora oggi si dice che io indagai per anni sulle finanze del Pci-Pds ma non trovai nulla. A parte il fatto che trovammo molto, io mi limitai a indagare sulle cooperative agricole del Veneto, che per operazioni e sviluppo territoriale erano secondarie rispetto alle grandi coop edilizie di altre regioni.

E lei come provò ì legami tra coop e Pds?
Interrogando i protagonisti e acquisendo gli organigrammi. Risultò che i vertici delle coop erano di rigorosa nomina politica e che quasi sempre, dopo un’esperienza al vertice di un’azienda, il funzionario rientrava nel partito. Era un rapporto, come si disse, «organico».

Rileggendo le sue carte di anni fa compaiono storie che ricordano quelle di oggi: come quella di Renato Morandina, che riceve dalla Fiat 200 milioni di lire su due conti svizzeri e, scoperto, giura che sono compensi per consulenze e che il partito non c’entra. Un Consorte ante litteram?
Di Consorte non posso dire nulla. Di Morandina è stato accertato che un alto dirigente della Fiat gii aveva pagato in Svizzera, in quanto esponente del Pci, due tranche di 100 milioni di lire per una «consulenza». Morandina era un mode-sto maestro elementare, ma era anche il «cassiere» del partito e non aveva alcuna competenza tecnica. La consulenza non fu mai trovata perché non era stata mai fatta. Tuttavia Morandina non toccò mai quel denaro, che in effetti non era suo. Quando vennero scoperti i due conti, Morandina si precipitò a ritirare i soldi, li restituì, evitò l’arresto, però disse che erano soldi suoi. Ma, allora, perché restituirli? In realtà, nei pochi casi acclarati di finanziamento diretto al Pci-Pds, il sistema era sempre lo stesso e ben collaudato: un versamento estero su estero, in conti separati, con successiva confluenza in un terzo conto diverso. Onore all’onestà dei militanti, però: nessuno di loro ha mai fatto la cresta. Quanto a Consorte, ognuno può vedervi le analogie che crede.

Consorte è stato allontanato dall’Unipol, ma non è mai stato «rinnegato» dal partito. Anzi, tra i Ds c’è chi lo ha difeso. La sua sorte non ricorda quella riservata al funzionario del Pci torinese, Primo Greganti?
Greganti fu accolto come un trionfatore e anche questo smentiva la sua difesa. Se avesse incassato soldi millantando credito e spendendo fraudolentemente in nome del Pci sarebbe stato, ragionevolmente, cacciato con ignominia dal partito.
Perché dieci anni fa è stato tanto difficile indagare sul finanziamento illecito del Pci-Pds, e oggi sui conti dei manager della cooperazione?
Per due ragioni. La prima: il sistema di finanziamento occulto del Pci era completamente diverso da quello degli altri partiti, anche se ubbidiva a una logica uguale. Una cosa è ricevere una mazzetta, e con quella pagare gli stipendi dei funzionari di partito,un’altra è ricevere in prestito i lavoratori, i cui stipendi vengono pagati dalle coop. Anche l’impatto mediatico della notizia è diverso. La seconda è l’assoluta mancanza di collaborazione: non è vero che la procura di Milano abbia usato due pesi e due misure. Ha tenuto in cella Greganti per mesi, ma non gli ha scucito una parola. Gli hanno trovato i denari, e lui ha detto che con quelli si era comprato una casa. Verissimo. Sarebbe semmai interessante vedere se non si tratti di una delle tante case intestate ai militanti, ma di proprietà del partito. E con le quali, appunto, si stanno ripianando i suoi debiti.
(Fonte : ECONOMY)