Maurizio Blondet
02/02/2006
Il riscaldamento climatico è un fatto.
Ovviamente, la causa è l'industria umana, che provoca l'effetto serra.
Da qui la soluzione: aderire subito al protocollo di Kyoto, che impone la riduzione delle emissioni industriali, con grandi costi e incerti esiti.
E' una delle verità del tempo, mediatico e di massa, così corale che chi scrive non si sente di sfidare.
Solo che mi è capitato sotto gli occhi un sarcastico articolo di Emmanuel Le Roy Ladurie, il grande storico francese, che staglia l'attuale verità nello sfondo dei secoli, inserendola in una categoria storica inedita: la politicizzazione del clima (1).
Come si ricorderà, l'agosto 2003 fu canicolare in Francia, portando alla morte di 15 mila francesi (anziani per lo più) oltre la media statistica.
Le proteste dell'opinione pubblica portarono al licenziamento del ministro della Sanità, Jean-François Mattei.
Ladurie si domanda se questo comportamento sia davvero più razionale di quelli dei francesi del XIV secolo, che per vendicarsi delle intemperie frustavano, o perfino affogavano e bruciavano, le statue di santi ritenuti responsabili del clima, come (chissà perché) san Matteo e san Medardo.

Ma quella canicola del 2003 fu davvero, come assicurò la stampa che produce le verità di massa, «senza precedenti».
Poiché però gli storici francesi dispongono di precise serie metereologiche (le registrazioni termometriche che un dottor Morin, medico ai tempi del re Sole, annotò per decenni; e per epoche più antiche, la serie delle date delle vendemmie), Ladurie è in grado di citare un «precedente».
Vi furono estati alla fine del XIV secolo che furono ancora più calde di quella del 2003.
Ma la calura non era ancora diventata politica.
Nel 1719, una canicola eccezionale - che sarà difficile attribuire all'eccesso di industria umana - fece morire non i 15 mila anziani del 2003, bensì 450 mila persone.
E i sudditi del re (Luigi XV) erano allora solo 22 milioni; come se nella Francia d'oggi, che di abitanti ne ha il triplo, il caldo uccidesse 1,2 milioni di persone.
Per lo più, i morti erano bambini, colpiti da diarrea: le falde freatiche, prosciugate a metà, erano diventate infette.
Eppure, non ci furono scoppi di rabbia popolare, proteste presso la corona, dimissioni di ministri. Altre dissenterie canicolari si produssero nel 1706 e nel 1747, e ciascuna fece 200 mila morti, nel silenzio pubblico.



La politicizzazione della meteorologia comincia, secondo lo storico, nel contestatario 18mo secolo, attraverso la via indiretta della rarefazione delle granaglie che gli sbalzi climatici producevano.
Ad ogni raccolto scarso, con rialzo dei prezzi del pane, la gente diventa pronta ad accusare «il complotto della fame» organizzato in segreto dal re, o dalle sue favorite o da qualche suo ministro.
La siccità canicolare del 1788, che devasta le messi e fa rincarare il pane, provoca rivolte contro «gli affamatori del popolo» che sono considerate l'inizio della Rivoluzione Francese, o almeno del suo clima - non meteorologico ma psichico - di rabbia e di rivolta.
Nel 1815-16, l'esplosione del vulcano Tambora, nella remota Indonesia, sparge polveri nella stratosfera dell'intero pianeta: un effetto serra al contrario che riduce l'irraggiamento solare e provoca miseri raccolti.
Ma la gente scende in piazza furiosa contro i Borboni, che rincarano il pane.
Un'altra siccità prolungata, che comincia nel 1846, è tra le cause scatenanti della grande rivoluzione del 1848, il famigerato «Quarantotto» che incendia l'Europa intera.



Gelate o piogge non hanno effetto diverso: la plebe si stima sotto-alimentata (lo è dal Medio Evo) e non lo tollera più.
E dal 1860 in poi, quando il problema del pane è per sempre risolto (il grano arriva dall'Ucraina e dall'America) la furia popolare da clima si sfoga per il caso opposto: la sovrapproduzione che abbassa i prezzi.
Nel 1904-1906 si susseguono estati splendide, con conseguenza di vendemmie troppo buone; in più, arriva vino dall'Algeria a fare concorrenza a quello francese (per di più, i viticoltori della Douce France hanno da poco permesso di zuccherare il mosto per rafforzarne il grado alcolico): la furia dei vignaioli fa tremare il governo Clemenceau.
Da allora le proteste e le manifestazioni per sovrapproduzione (di grano, latte, frutta) come noto non si contano.
Ah, la grande scuola degli Annales, che registra la cosiddetta «microstoria»!
Quante lezioni può insegnarci.
Ma quali?
Forse, la constatazione che il clima diventa problema politico in un'umanità via via sempre meno cristiana, sempre meno disposta a rassegnarsi alla volontà di Dio che «fa piovere sui giusti e sugli ingiusti».



E l'esito estremo è quello che vediamo oggi con la verità dell'effetto serra: è l'uomo, il demiurgo onnipotente, che ha sostituito in tutto Dio, e si considera responsabile anche del clima.
Non sono i profondi e mal conosciuti mutamenti delle correnti oceaniche, non l'inclinazione dell'asse, non il moti sismici, non le eruzioni vulcaniche che vomitano milioni di tonnellate di gas più di tutti gli altiforni, non le trasmigrazioni ignorate dei poli magnetici, inspiegate, misteriose, più volte prodottesi nei millenni, con conseguenza di glaciazioni grandi e piccole; no, sono i gas, le emissioni, l'industria, insomma l'uomo stesso.
Ora che è padrone totale del suo «io», fermamente contento del suo destino zoologico, lo vuole - il destino - perfetto.
Sicuro.
E crede di averne i mezzi: il Protocollo di Kyoto, la gestione totale della totalità….
Torneremo un giorno alla ragione?
Ad accusare i veri colpevoli di tutto, san Medardo e san Matteo?

Maurizio Blondet




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Note
1) Emmanuel Le Roy Ladurie, «Le climat, un aléa très politique», Le Monde, 1 febbraio 2006.




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