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  1. #1
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    arf...arf.. Guzzanti si guadagna l'osso

    Guzzanti si guadagna l' osso


    Anche in F.I. è tempo di stilare le liste elettorali
    Chissà se il senatore Guzzanti ci rientrerà. Io dico di si. A Berlusconi, si sa, piacciono tanto gli adulatori di professione come Bondi quanto gli yes men come lui. E quindi il senatore ha alte probabilità di entrare in lista.
    Del resto, d' impegno per compiacere il Capo lui ce ne ha messo, e tanto. Non è colpa sua se non è riuscito ad incastrare manco un rosso, se la Mitrokhin si è risolta con un nulla di fatto Tutti lo sapevano che il rapporto Impedian era un bidone, in F.I. per primi. Ma bisognava pur che Silvio premiasse la fedeltà di uno dei suoi più fedeli pit bull, quel Guzzanti tanto distintosi al Giornale nell' azzannare gli avversari del Padrone. E quindi ecco l' osso della Mitrokhin, che oltre ad un extra bonus mensile di 1900 euro sulla già lauta retribuzione da parlamentare (e la Mitrokhin è durata 5 anni) dà anche il diritto di farsi chiamare presidente dagli uscieri di Montecitorio. Vuoi mettere?

    Insomma fino a 6 mesi fa il senatore era abbastanza soddisfatto dei servigi resi al Capo e mediamente tranquillo su una sua riconferma. Ma l' approvazione del proporzionale, con le sue liste boccate e la cancellazione delle preferenze, lo ha messo in agitazione. E con l' agitazione sono arrivati i primi dubbi, le prime domande: e se Lui non fosse soddisfatto di me, se fosse contrariato per il fallimento della Mitrokhin?
    Chissà se prima della fine della legislatura avrebbe fatto ancora in tempo ad inventarsi qualcosa, qualche accusa contro Prodi, al fine di battere l' agguerrita concorrenza dei colleghi azzurri facendosi cosi inserire nella lista dei candidati al Senato?
    Qualunque accusa sarebbe andata bene, anche la più inverosimile, la più fantasiosa, la più ridicola, tutto pur di gettare qualche schizzo di fango addosso all' avversario del Padrone, meritandosi cosi un altro osso.

    Si, ma cosa? L' "abuso d' ufficio" per il passaggio della Bertolli all' Unilever? La "svendita" Sme a De Bendetti? Troppo sfruttati, troppo usati ed abusati
    Bisognava andare ancora indietro, più indietro nel tempo.
    Ed un bel giorno, al senatore gli si accese la luce. Ma certo! Come aveva fatto a non pensarci prima? La seduta spiritica di Prodi, con il famoso equivoco tra Gradoli paese e via Gradoli a Roma! Si poteva insinuare che l' equivoco fu voluto a bella posta per sviare le indagini e coprire qualche fiancheggiatore delle BR.
    Si poteva persino arrivare ad accusare Prodi di corresponsabilità nell' uccisione di Moro!
    Vi sembra una balla troppo grossa quest' ultima, cari amici lettori?
    Non stupitevi, per Guzzanti nessuna balla è mai troppo grossa purché serva ai suoi scopi.
    Ed infatti nell' esposto presentato alla Procura di Roma prima di Natale da 40 parlamentari della CDL, si ipotizza proprio se la condotta di Prodi non abbia agevolato il gravissimo atto terroristico delle BR ai danni di Moro, impedendo la liberazione dell' uomo politico pugliese.

    Capirete anche voi, cari amici, come dopo una tale prova di sprezzo del ridicolo, una simile genuflessione agli interessi del Capo, il posto nella lista elettorale al sen. Guzzanti ormai non lo tolga più nessuno.
    Ibrahim

  2. #2
    Bergamark
    Ospite

    Predefinito buona lettura (fino a che sarà permessa)

    COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA
    SUL DOSSIER MITROKIN
    RELAZIONE RISERVATA DEL COLLABORATORE DELLA
    COMMISSIONE DOTT. AGOSTINO CORDOVA
    SUL DOSSIER MITROKHIN E SULL’ATTIVITÀ DEGLI ORGANI
    COMPETENTI PER LA SUA TRATTAZIONE
    ooooooOoooooo
    I

    IL PRESIDENTE PRODI
    1. Il Presidente Prodi fu interrogato il 29.10.1999 dalla Procura della Repubblica di Roma, cui dichiarò, pur non mettendo in dubbio la correttezza del gen. Siracusa, di non avere alcun ricordo dell’incontro con esso in cui si fosse parlato del dossier Mitrokhin e di spionaggio, facendo riferimento ed adeguandosi alle affermazioni del Dirigente del SISMI secondo cui detto incontro aveva avuto per oggetto anche altri argomenti, e la vicenda ancora matura per informare gli organi giudiziari. Escluse che gli fossero stati mostrati atti, aggiungendo che per tutti gli argomenti ritenuti importanti si usava vistare un rapporto stilato e inoltrato per iscritto dalla Direzione del SISMI attraverso il CESIS: ed è significativo che ciò non sia avvenuto nell’importantissimo caso in esame.
    Tutto ciò nonostante l’appunto vergato a mano dal gen. Siracusa sulla nota del SISMI datata 9.10.1996, e quanto dallo stesso dichiarato l’8.10.1999.
    2. Ascoltato il 5.4.2004 dalla Commissione, esibì la relazione del COPASIS in data 9.2.2000, evitando di specificare la parte da lui avuta. Ammise questa volta di essere stato informato da Siracusa e dal Ministro della Difesa, ma asserì di non ricordare niente del contenuto.
    Il Ministro Andreatta, in data non precisata, gli aveva fatto cenno di una lista di presunte spie sovietiche ricevuta dalla Gran Bretagna, senza menzionargli il nome di Mitrokhin.
    Come risultava dalla relazione del COPASIS, dei cui passi l’ex Presidente Prodi diede lettura, ad essi riportandosi, il 2.10.1996 (o in data 26.10.1996 o successiva ?) il gen. Siracusa aveva riferito al Ministro Andreatta alla presenza dell’amm. Battelli, allora Capo Gabinetto di detto Ministro e, per singolare coincidenza, dopo poco tempo (4.11.1996) nominato Dirigente del SISMI, recando con sé le 175 schede fino allora pervenute e la lettera per detto Ministro predisposta -ma poi non inviata né consegnata- contenente i profili generali della vicenda e l’opinione che per carenza di elementi di prova non dovevano essere informati gli organi giudiziari: opinione condivisa dal Ministro Andreatta, come dall’annotazione in calce a tale lettera dallo stesso apposta.
    Con ulteriore contraddizione, davanti alla Commissione Mitrokhin ammetteva il 3.4.2004 di aver saputo dell’operazione Impedian e di avere detto al gen. Siracusa di proseguire nelle indagini.
    Il 30.10.1996 il gen. Siracusa aveva riferito ad esso Presidente Prodi, presente anche il Sottosegretario Micheli, le stesse cose già dette al Ministro Andreatta (cioè il contenuto della lettera di cui sopra), senza dargli in visione i rapporti per mancanza di tempo, ed apponendo poi, nell’analoga lettera predisposta e non inviata, l’annotazione dell’incontro avvenuto e della non condivisione di esso Prodi di non informare gli organi giudiziari.
    Secondo la versione del gen. Siracusa, il Presidente Prodi, da lui verbalmente informato della situazione, gli avrebbe detto che era inutile mandargli la nota di cui sopra, essendo d’accordo sulla sua proposta di verifiche. Per tale motivo non avrebbe ritenuto di richiedere esplicitamente che siglasse la nota: c’è da porsi la domanda se non voleva che ne restasse traccia presso il suo ufficio.
    3. Secondo il Presidente Prodi, non gli sarebbe stata illustrata la rete spionistica del KGB. Non “ricordava specificamente” se durante l’incontro si parlò dell’archivio Impedian. Ma successivamente, su domanda di un membro della Commissione, asserì che gli fu riferito “di una fonte di informazioni [dei Servizi inglesi, come poi aggiunto] su cui vi erano dei problemi di tipo spionistico che bisognava esaminare”, questione esauritasi in qualche secondo.
    4. A suo dire, l’incontro col gen. Siracusa del 30.10.1996 aveva solo per oggetto le sue intenzioni di nominarlo Comandante Generale dell’Arma dei C.C. Il Ministro Andreatta, in data non precisata, gli aveva fatto cenno di una lista di presunte spie sovietiche ricevuta dalla Gran Bretagna, senza menzionargli il nome di Mitrokhin (ma che rilevanza poteva avere se la fonte fosse stata indicata come Impedian ?). Non fu mai informato dal sen. Dini né dall’amm. Battelli, che sostituì il gen. Siracusa. Nell’incontro con il secondo, non gli fu chiesto di siglare alcunché. Tutte le dichiarazioni dell’on. Prodi sono costellate da “può darsi che”, da contraddizioni, da asserzioni non concludenti e da asserzioni di non essere stato informato e che era sufficiente che Andreatta e Siracusa gli avessero detto che la materia era stata approfondita e che non vi era nulla di grave ecc.
    5. Il 5.10.1999, in coincidenza con il clamore sorto per la pubblicazione del libro, l’ANSA trasmise una dichiarazione del Presidente Prodi e del Sottosegretario Micheli, secondo cui, con vistosa contraddittorietà, non avrebbero mai avuto notizia del dossier Mitrokhin.
    Il 7.10.1999 si ebbe, sempre tramite l’ANSA, una smentita di tali dichiarazioni da parte dell’on. Andreatta, che affermava di essere stato a sua volta informato, per cui era impossibile che non lo fossero stati i primi due; anzi, egli stesso aveva fatto cenno al Presidente Prodi di una lista di presunte spie sovietiche ricevuta dalla Gran Bretagna.
    Sempre il 7.10.1999 e sempre tramite l’ANSA, gli on. Prodi e Micheli confermarono la smentita, e precisando di non avere mai ricevuto alcuna documentazione, fascicolo, incartamento, dossier o nota scritta sulla vicenda, fatto che sarebbe stato confermato dal gen. Siracusa contattato telefonicamente, secondo cui questi avrebbe accennato, tra i tanti argomenti, “ad una operazione dello spionaggio britannico su una rete di presunte spie sovietiche” senza fare il nome di Mitrokhin, ancora non conosciuto, esprimendo il parere che la fonte era inattendibile in mancanza di elementi di prova, donde la decisione di non informare gli organi giudiziari. Secondo la nota degli on. Prodi e Micheli, era stato contattato telefonicamente anche l’ex Ministro Andreatta, il quale aveva confermato di avergli fatto cenno ad una lista di presunte spie sovietiche -anch’egli senza fare il nome di Mitrokhin- e che le istruzioni da lui date al SISMI erano di proseguire nelle indagini senza informare gli organi giudiziari, per acquisire gli elementi di prova.
    Altra nota ANSA dell’11.10.1999 riportava quanto dichiarato da R.F. Levi, portavoce dell’on. Prodi, secondo cui quest’ultimo aveva ricostruito la vicenda grazie ai colloqui con Siracusa ed Andreatta, poiché non ne ricordava nulla: ma, contraddittoriamente con l’originaria versione, confermava di avere avuto su di essa “vaghi cenni”.
    Quanto alle dichiarazioni alla stampa (ANSA), confermò che, in quelle del 5 e 7.10.1999, aveva affermato di nulla sapere circa la vicenda Mitrokhin in quanto tale nome non gli era mai stato fatto (ma neppure quello di Impedian ?), né aveva mai ricevuto atti scritti relativi a presunte spie sovietiche (ma non era stato informato oralmente ?). Al riguardo aveva interpellato telefonicamente sia Andretta che Siracusa, il quale ultimo gli aveva confermato che il nome di Mitrokhin era allora sconosciuto e che (contraddittoriamente) si era solo parlato di una presunta rete di spie sovietiche. Quindi si era parlato di tale spionaggio, e la questione è stata “spostata” nel non avere ricevuto informazioni scritte e nell’essere allora sconosciuto che Impedian era Mitrokhin: ma, ripetesi, che differenza c’era se si conosceva solo il nome di copertura ?
    Quanto alle dichiarazioni rese l’11.10.1999 dal suo portavoce di aver avuto solo vaghi accenni su un’operazione dei Servizi britannici e su generiche reti spionistiche, la ritenne conforme alla realtà dei fatti. Ammetteva di essere stato impreciso allorquando aveva riferito che della vicenda si era parlato assieme a molti altri argomenti, accreditando la versione del gen. Siracusa secondo cui l’esclusivo oggetto dell’incontro era detta vicenda.
    Quanto alla lettera spedita a Paolo Mieli e pubblicata dal Corriere della Sera il 14.11.2002, in cui aveva affermato di avere convocato per il 30.10.1996 il gen. Siracusa solo per comunicargli la sua sostituzione con l’amm. Battelli, circostanza ripetutamente esclusa dal gen. Siracusa, addusse postumamente che in effetti aveva intenzione di convocarlo nelle more tra il suo spostamento dal SISMI al nuovo incarico che si intendeva affidargli (quello di Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, formalizzato il 20.12.1996): intenzione che si sarebbe incrociata con la richiesta del gen. Siracusa di essere ricevuto per parlare della vicenda Impedian, donde le diverse motivazioni date alle ragioni dell’incontro. Appare vistosa la contraddizione di tale postuma “spiegazione”, atteso che, comunque, nella prima versione, aveva asserto di averlo convocato.
    E, sempre secondo il Presidente Prodi, il gen. Siracusa sarebbe stato sostituito al SISMI (d’intesa con il Ministro Andreatta) perché non era stato prescelto dal suo Governo, essendo “abitudine” che “i Servizi segreti siano di assoluta fiducia del Presidente del Consiglio”: quindi, egli non era di sua assoluta fiducia, ma non ha chiarito il perché. Non solo, ma tale asserita mancanza di fiducia contrasta vistosamente con quanto dichiarato dal medesimo Presidente Prodi, secondo cui egli l’aveva l’avrebbe proposto per la promozione a Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri: quindi, era inaffidabile quale Direttore del SISMI, ed era affidabile quale Comandante dell’Arma ? Resta inesplicato il motivo della sostituzione e della promozione: sostituzione peraltro avvenuta dopo ben 51 giorni dalla convocazione e dopo ben 7 mesi dall’insediamento del Presidente Prodi.
    6. Asserì di non sapere se il CESIS fosse stato informato: asserzione contraddittoria in quanto, per l’art. 3 della l. n.801\77, tale organo è alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio che deve da esso venire obbligatoriamente informato di tutti gli elementi comunicati dai Servizi: e non lo fu. Quindi, non era stato informato. Ma nessuna iniziativa adottò il Presidente Prodi sia per la mancata informazione, sia per sopperire egli a tale omissione; né ritenne di informare egli il Comitato interministeriale, che aveva proprio funzioni di consulenza e proposta proprio per detto Presidente del Consiglio.
    7. Nulla gli riferì l’on. Dini al cambio di Governo, né egli lo fece al suo successore on. D’Alema.
    8. Nessuno gli aveva mai parlato di Silvestri o comunque di un Sottosegretario menzionato nei rapporti.
    9. Alla contestazione di un membro della Commissione sulla inconciliabilità tra l’avere il gen. Siracusa chiesto il colloquio con lui per parlare esclusivamente della vicenda Impedian e l’asserita negatività sui contenuti delle informazioni, incontro conclusosi con l’invito ad “andare avanti”, replicò che ancora non c’era nulla di concludente, per cui disse: “Credo sia opportuno e doveroso andare avanti”.
    Si tralasciano altri particolari, tutti basati sul “non ricordo” e sulla ripetizione che Siracusa ed Andreatta avevano concordato quel che c’era da fare e che egli aveva dato il proprio consenso, invitando il primo ad “andare avanti”.
    10. Orbene, risulta che, per metterlo al corrente dell’operazione Impedian, il 15.10.1996 la I Divisione del SISMI -VII Sezione di controspionaggio- aveva indirizzato al Direttore del Servizio un appunto, con allegate le due già menzionate note di identico contenuto, una per il Presidente del Consiglio ed una per il Ministro della Difesa, oltre il materiale Impedian fino a quel momento pervenuto, le schede di lavorazione sui report e copia della documentazione relativa a casi analoghi (Rodo, Pravo e Isba).
    Come già riportato, in tale appunto si era riferito che i rapporti riguardavano politici (21), diplomatici e dipendenti dal Ministero per gli Esteri (26 a quella data, poi 37), giornalisti (23), ufficiali (6) e funzionari vari (5 del Ministero per gli Interni, 2 della Presidenza della Repubblica e della Presidenza del Consiglio, 1 agente del SISMI), docenti, ricercatori, imprenditori, ecc. (64): tutti indicati nei rapporti con i loro nomi o con i nomi di copertura, di cui alcuni già oggetto di informative alla polizia giudiziaria ed al P.M. (dal luglio 1990 al luglio 1991), e tutti abilitati all’accesso ad informazioni sensibili e posti in aree vitali della struttura politico-amministrativa.. L’attività di verifica era consistita in ricerche d’archivio senza attivazioni esterne, per cui si proponeva, avuto riguardo alla preminente rilevanza politica della vicenda, e pur non potendosi escludere possibili ma non ancora emergenti elementi di prova, di avvalersi del disposto dell’art. 9, II comma, della l. 801\19977, riferendo al Ministro della Difesa ed al Segretario generale del CESIS, quest’ultimo per l’ulteriore seguito nei confronti del Presidente del Consiglio.
    L’anzidetta nota, in duplice esemplare, fu consegnata al Dirigente la I Divisione, col. Masina, il quale appose la sua firma in calce al secondo, così come poi fece anche il gen. Siracusa, con l’annotazione di avere informato il Ministro della Difesa Andreatta il 25.10.1996 (quindi, non il 2.10.1996 né il 26.10.1996: v. f. 50 della relazione Mitrokhin), il quale aveva concordato sulla soluzione proposta.
    Fu predisposta la già menzionata lettera formale recante la data del 26.10.1996 che, come l’appunto, su 21 politici, 26 diplomatici o appartenenti al Ministero per gli Esteri, 23 giornalisti e 64 personaggi vari menzionava solo 2 politici (Cossutta e Cappelloni), 2 diplomatico (Aillaud), 5 giornalisti (Gozzano, Lizzardi, Longo, Orfei, Sferrazza), 1 dei “vari” (Manfré): indicati come “oggetto in passato di informative alla PG\AG”.
    Su asserite indicazioni del Ministro della Difesa, relativa ai politici, la lettera venne, rispetto all’appunto, “depurata” del seguito, in cui si diceva che i predetti, diplomatici erano stati segnalati all’autorità giudiziaria nel 1990-91 nell’operazione Rodo, così come Aillaud (diplomatico, nome di battesimo Enrico), segnalato anche nell’operazione Pravo e Manfré (nome di battesimo Giovanni), segnalato nel 1991 nell’operazione Isba. Venne anche “depurata” della possibilità di non informare la polizia giudiziaria avvalendosi del disposto di cui all’art. 9, c. 2, della l. 801\1977.
    Dall’appunto del 31.10.1996 indirizzato al Direttore del Servizio, comprensivo degli allegati e da due lettere, predisposte una per il Presidente del Consiglio e l’altra per il Ministro della Difesa, risulta che esso fu consegnato al Capo di Stato Maggiore
    del Servizio perché a sua volta lo consegnasse al Direttore di detto Servizio. Secondo tale appunto, tutti gli originali (e, prima, anche le copie) della documentazione Impedian furono restituiti, dopo essere stati trattenuti dal Direttore del Servizio per informare il Presidente del Consiglio Prodi ed il Ministro della Difesa Andreatta.
    Ciò significherebbe che solo dal 15 al 31.10.1996 l’intera documentazione sarebbe stata messa nella disponibilità del Presidente e del Ministro perché ne prendessero cognizione: e cioè successivamente al 2.10.1996, al contrario di quanto asserito. Non solo, ma l’informativa per il Ministro Andreatta è stata retrodatata quanto meno dal 26 al 2.10.1996, quando ancora non esisteva, poiché la minuta dell’appunto era stata scritta solo il 15.101996.
    Infatti, come già rilevato e come deve ripetersi a causa delle altrui contraddizioni, essa reca la data del 26.10.1996, ma in calce vi è un’annotazione a penna, a firma del Ministro Andreatta con la data del 2.10.1996: “Prendo atto e concordo con le proposte del Direttore del Servizio”: annotazione siglata anche dal gen. Siracusa, che appose anch’egli la data del 2.10.1996. A tale incontro era presente anche l’amm. Battelli, che il 4.11.1996 avrebbe sostituito il gen. Siracusa.
    Inoltre, come già precisato, è stata acquisita dalla Commissione una fotocopia di tale informativa, recante l’identica data del 26.10.1996 con l’identica grafia, ma senza l’attestazione del Ministro Andreatta e senza la controfirma del gen. Siracusa: fotocopia palesemente estratta prima dell’incontro, la qual cosa comprova che detto incontro avvenne successivamente al 2.10.1996.
    In calce alla nota del 26.10.1996, predisposta per il Presidente del Consiglio, il gen. Siracusa annotò con la data del 31.10.1996 che essa non era stata inoltrata in quanto l’on. Prodi era stato informato (oralmente) della questione il 30.10.1996 alle ore 20,30, alla presenza del Sottosegretario Micheli, e che detto Presidente aveva condiviso l’analisi e le proposte.
    11. Durante il Governo Prodi, del dossier Impedian erano pervenuti 84 rapporti, che si aggiungevano ai precedenti 152.
    È significativo il mutamento delle versioni dell’on. Prodi, calibrate di volta in volta di fronte alle altrui affermazioni.
    12. Pur non essendo direttamente pertinenti col caso in esame, ai fini della valutazione complessiva delle dichiarazioni del Presidente Prodi vanno considerate anche quelle da esso rese il 18.6.1981 alla Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul caso Moro e sul terrorismo in Italia.
    Tali dichiarazioni riguardano il sequestro Moro, avvenuto il 16.3.1978, ed il luogo in cui questi era custodito, erroneamente indicato da detto Presidente Prodi -come sarà appresso specificato- a Gradoli (in provincia di Viterbo), mentre in realtà Moro era sequestrato altrove, ed a Roma, in via Gradoli n. 96, interno 11, si trovava un “covo” delle Brigate Rosse che avevano eseguito il sequestro.
    13. Prima di essere interrogato dalla Commissione Moro, il prof. Prodi aveva ad essa inviato in data 3.2.1981 una lettera “collegiale”, firmata cioè anche da altri dieci partecipanti (oltre l’undicesima che ne condivise telefonicamente il contenuto) ad un “gioco del piattino”, che si sarebbe svolto in campagna, vicino Bologna, e che sarebbe consistito nel porre una domanda (nella specie, dove si trovasse Moro) ad un piattino da caffé, sfiorarlo, dopo di che detto piattino avrebbe cominciato a girare su un foglio di carta in cui erano state scritte le lettere dell’alfabeto, soffermandosi progressivamente su quelle indicative del nome della località. Tutto ciò sarebbe avvenuto per ingannare il tempo, essendo una giornata piovosa, “in un’atmosfera assolutamente ludica senza alcuna predisposizione di tipo parapsicologico”, e con continue interruzioni da parte di alcuni bambini presenti nella stanza. Testualmente:
    “Tra le diverse indicazioni che emersero dal gioco, accanto ad alcune del tutto prive di significato, ve ne furono altre di senso compiuto che si riferivano a località geografiche come Viterbo e Bolsena. Verso la fine del gioco emerse anche l’indicazione di Gradoli, che risultava tuttavia a tutti ignota sia come località geografica che come altro significato. Da un successivo riscontro su una cartina geografica, individuammo l’effettiva esistenza di tale località proprio nei pressi di Viterbo. Questa considerazione non poté che colpire i presenti. All’indomani fu quindi normale che della cosa si sia venuto a parlare con amici e conoscenti. Essendone stato informato, per il tramite del prof. Prodi, anche il dr. Umberto Cavina, allora segretario dell’on. Zaccagnini, egli ritenne utile rivolgere la indicazione Gradoli agli organi impegnati nelle indagini sul sequestro Moro. In questi termini il prof. Romano Prodi e il prof. Alberto Clo’ riferirono, a distanza di tempo, ai giudici inquirenti di Roma, mentre agli uffici di polizia di Bologna furono fornite tutte le indicazioni sui partecipanti alla riunione in questione. Questo è tutto ciò di cui siamo a conoscenza”.
    14. Interrogato “in sede di testimonianza formale” dalla medesima Commissione Moro il 10.6.1981, secondo la sua versione, in una giornata piovosa trascorsa in campagna [il 2.4.1978, a Zappolino, vicino Bologna] con diversi amici (per 2\3 colleghi dell’Università di Bologna, dove anch’egli insegnava) e 5 bambini, per non annoiarsi, su iniziativa del padrone di casa (prof. Alberto Clo’), si era fatto il predetto “gioco del piattino”, consistente nello stendere su un tavolo un foglio di carta con le 21 lettere alfabetiche sparse a caso, collocarvi sopra il piattino di una tazza da caffé, fare delle domande, dare impulso al piattino non spingendolo, ma solo sfiorandolo assieme con un dito da parte di diversi dei partecipanti: dopo di che il piattino ruotava “spontaneamente” e talvolta vorticosamente per il tavolo, soffermandosi sulla varie lettere in modo da comporre una parola.
    Testualmente: “Vi era un piattino su un foglio, e il piattino, muovendosi, formava le parole e indicava si o no”; si metteva un dito sul piattino, per cui il piattino si spostava ed andava in una lettera; verso la fine furono interrogati La Pira o don Sturzo, ”ma le prime risposte, in un primo momento, erano soltanto sì o no”; all’inizio l’interlocutore era ignoto “poi vi furono anche interlocutori vari, tra cui per quel che ricordo, don Sturzo”; il piattino aveva segnalato i nomi di Bolsena, Viterbo e Gradoli, e poiché nessuno dei presenti conosceva quest’ultimo paese, egli aveva “per ragionevolezza” pensato di informare il dott. Umberto Gavina [funzionario della Segreteria nazionale della D.C., il cui vertice era allora l’on. Zaccagnini, e che a sua volta informò gli organi di polizia], ed occasionalmente il proprio collega prof. Balloni, criminologo (perché aveva conoscenze in Questura); non trattavasi di una seduta spiritica (o parapsicologica come definita dal Presidente della Commissione Moro).
    Le domande erano: “Dov’è?”, “Perché?”, “Moro è vivo o è morto?”, “Come si chiama il paese, il posto in cui è?”, “In quale provincia?”, “E’ nell’acqua o nella terra?”.
    15. Interrogato subito dopo il prof. Alberto Clo’, riferì quanto segue:
    - nell’Aprile 1978 aveva invitato diversi amici nella sua casa di campagna, sita a circa 30 km da Bologna; pranzarono e nel pomeriggio, essendo peggiorate le condizioni atmosferiche e non potendo uscire, si trovavano in una stanza in 17 persone (12 adulti e 5 bambini), e per passare il tempo fu fatto il “gioco” del piattino;
    - “vennero fuori delle indicazioni, alcune prive assolutamente di senso compiuto, altre con senso compiuto, anche se queste non furono logicamente connesse; insomma vennero fuori indicazioni di tipo geografico come Viterbo, che venne in maniera
    chiara; voi sapete che il piattino si muove su una carta su cui sono segnate le lettere e nei punti in cui appare che il piattino si fermi, più o meno a lungo, si prende nota della lettera. Alcune indicazioni, quindi, avevano un senso compiuto, altre assolutamente no; oltre le indicazioni tipo Viterbo o Bolsena, note, venne fuori anche questa espressione, Gradoli, a tutti ignota, sia come entità geografica, sia per qualsiasi altro significato. Ad un riscontro che si fece successivamente (e qui ci fu l’elemento di sorpresa) si vide che esisteva questa località geografica nel viterbese. Questa coincidenza certamente colpì i presenti e fu la ragione per la quale ne parlammo, nei giorni successivi, come ne parliamo adesso”;
    - le domande fatte erano di carattere geografico;
    - il piattino si spostava, anche velocissimamente e si bloccava, magari su una lettera; delle volte passava su una lettera e pareva che si fosse fermata su di essa;
    - fu chiesto dove si trovava Moro e venne la parola Viterbo; poiché trattavasi di una zona vasta, evidentemente fu chiesta la località e venne fuori Bolsena;
    - “non è che noi spingiamo il piattino; noi ci fermiamo quando si ferma il piattino”;
    - il piattino si poggiava su un foglio di circa cm. 80 x 80 in ci vi erano 21 lettere in ordine sparso;
    - il piattino (di una tazzina di caffé) non si toccava, bastava sfiorarlo leggermente senza fare pressione da parte di 4, 5 o 6 dei partecipanti al gioco (essendo piccolo l’oggetto, non potevano farlo in 12); proposta la domanda, tendeva a muoversi, cominciava a girare, e gli si andava dietro, il dito restava sempre nelle vicinanze; quando si fermava si prendeva nota della lettera, e se il piattino ritornava a muoversi si andava dietro fino a che non si muoveva più, in quanto la parola era finita;
    - poteva “testimoniare con certezza che nessuno poteva muovere il piattino;
    - non sapeva dare una risposta precisa su che cosa facesse muovere il piattino;
    - furono poste domande a La Pira e a don Sturzo, che però non risposero tramite il piattino, anzi risposero a domande generiche;
    - finito il gioco, mentre stavano andando via, trovarono una carta geografica, e constatarono l’esistenza di un paese chiamato Gradoli;- ritennero che Moro si trovasse a Gradoli e non a Viterbo o a Bolsena “perché ci aveva colpito il fatto di riscontrare l’esistenza di un paese con un nome che nessuno di noi conosceva”;
    - rimisero allora il piattino sulla carta geografica (“di quelle che si usano andando in autostrada: non era una carta geografica da boy-scout o comunque analitica”) “e forse qualcuno ha provato ancora a fare delle domande, ma eravamo proprio nella fase finale. Forse è stata fatta una o due domande su questo, e forse il piattino si è leggermente mosso, forse nella direzione di Gradoli”; forse qualcuno era già andato via;
    - tra i presentì non vi era alcun;
    - la cosa fu poi raccontata a tutti coloro che frequentavano normalmente, oltre che ad amici e parenti.
    16. Le altre persone presenti al “gioco” tra quelle (12 in tutto) interrogate dalla Commissione confermarono la versione di cui sopra, anche se il prof. Fabio Gobbo parlò di un posacenere e non di un piattino, che girava “toccando delle parole disegnate sopra un foglio di carta; F. Gobbo, Flavia Prodi, Carlo Clo’, Adriana Clo’, Gabriella Bernardi e Gabriella Baldassarri esclusero che fosse presente qualche parapsicologo o persona che avesse particolari poteri magnetici; e la Baldassarri confermò che alla fine fu fatto girare il piattino sulla carta geografica.
    17. Interrogato il 5.4.2004 dalla Commissione Mitrokhin, il Presidente Prodi si riportò integralmente alla sua audizione da parte della Commissione Moro, non avendo inteso aggiungere altro
    18. Come prima precisato, l’on. Moro non veniva tenuto sequestrato nel paese di Gradoli, ma in luogo non individuato (si ipotizzarono anche via Laurentina 501 e via Montalcina 8, di Roma); a Roma, in via Gradoli n. 96, interno 11 vi era un covo delle Brigate Rosse autrici del sequestro, occupato da tali Moretti e Balzerani, ma non sussistono prove per ritenere che ivi venisse custodito Moro; il covo di via Gradoli fu abbandonato o proprio dopo i rastrellamenti eseguiti nel paese di Gradoli il 6.4.1978, divenuti il medesimo giorno di dominio pubblico, e conseguenti alle informazioni fornite dal prof. Prodi, o, come è più verosimile per il mancato asporto del materiale poi sequestrato, addirittura allorquando esso fu assai stranamente scoperto il 18.4.1978 (cioè 16 giorni dopo il “gioco del piattino”) a seguito di infiltrazioni idriche nell’appartamento sottostante dovute al flusso di una doccia lasciata altrettanto stranamente in funzione, donde l’intervento dei Vigili del fuoco, che scoprirono armi e documentazione compromettente, per cui chiamarono la polizia; lo stesso giorno le Brigate Rosse annunziarono che il corpo di Moro si trovava nel Lago della Duchessa, dove invece non venne rinvenuto; e si aggiunge che, da quanto appreso dal dott. Gavina durante l’incontro con Prodi allorquando questi gli riferì del “gioco”, unitamente al nome di Gradoli vi era l’indicazione di due numeri che corrispondevano sia a quello civico e dell’interno di via Gradoli [96 e 11], sia (contraddittoriamente) alla distanza tra il paese di Gradoli e Viterbo, come comunicato alla Commissione Moro dall’on. Anselmi, cui l’aveva riferito Gavina.
    19. Su tutto quanto sopra devono farsi le seguenti considerazioni.
    a). Va anzitutto preso in esame l’assorbente argomento della natura e della credibilità in sé del gioco del “piattino”, cioè di una sorta di “dischetto volante”, rectius di “piattino strisciante”, dotato non solo di automatismo robotico, ma anche di facoltà intellettive e di poteri divinatori, atteso che si sposterebbe autonomamente, recepirebbe le domande dei “giocatori” e fornirebbe le risposte nei modi sopra descritti. Ciò sulla base del semplice sfioramento iniziale di esso con un dito da parte di alcuni dei partecipanti, ma solo per provocare l’impulso d’avviamento senza spingerlo materialmente, seguendo poi il piattino ciascuno con un proprio dito, ma sempre senza toccarlo, per cui dovrebbe intendersi che l’impulso iniziale e “l’accompagnamento” col dito di poco distanziato comporterebbe la trasfusione magnetica dell’energia motoria. Ma, quanto ai poteri divinatori, a farlo sostare in corrispondenza delle lettere alfabetiche indicative della risposta dovrebbe provvedervi un’entità soprannaturale, donde, nonostante i dinieghi degli interrogati nel caso specifico, la sussistenza di poteri medianici producenti fenomeni metapsichici simili alla tiptologia; donde una nuova forma di spiritismo, quella della…. “piattinologia”.
    Tale ipotesi appare del tutto irreale, anche se taluni credono in tale “gioco” ed asseriscono di averlo praticato: ma, ove fosse reale, non si vedrebbe perché tale sistema non sia mai stato utilizzato dalla polizia giudiziaria, magari istituendo un Corpo specializzato, per individuare tutti i luoghi in cui vengono custoditi i sequestrati, o dove si trovino le persone scomparse, o i corpi di reato, ovvero i posti in cui si nascondono i latitanti: e le entità medianiche, come nel caso Moro, dovrebbero essere ben disponibili ad aiutare la Giustizia, anziché i delinquenti. E, facendo altra ipotesi di assai più basso livello, sarebbe utilissimo adoperare il “disco strisciante” per
    farsi preannunziare i numeri del Lotto, dell’Enalotto e del Superenalotto, o i risultati delle partite per le schedine del Totocalcio….
    b). Tuttavia, nella mera ed astratta ipotesi dell’attendibilità del “gioco del piattino”, non si vede perché, all’univoca domanda su dove fosse custodito Moro, detto piattino avrebbe indicato in ordine imprecisato tre località diverse: Viterbo, Bolsena, Gradoli, e non subito quest’ultimo paese.
    c). Dando poi per scontato che avesse indicato prima la provincia e poi il Comune (e perché non anche prima ancora la regione ?), non si vede perché abbia indicato anche Bolsena.
    d). A parte ciò, l’attenzione dei “giocatori” si sarebbe accentrata su Gradoli unicamente perché era un nome ad essi sconosciuto (ma non era notissimo il vino aleatico di Gradoli ?): spiegazione del tutto inconsistente perché irreale e priva di qualsiasi nesso logico, atteso che si sarebbe irrazionalmente individuata la “prigione” a Gradoli anziché a Bolsena solo ed unicamente perché il primo luogo era sconosciuto.
    e). Quanto al riscontro effettuato alla fine della “seduta” (ma non menzionato dal Presidente Prodi, che, come si desume implicitamente ma inequivocabilmente dalle dichiarazioni della moglie Flavia, era sul posto anche al termine di detta seduta), costituito dall’aver fatto circolare sulla carta geografica il piattino, che si sarebbe soffermato su Gradoli, è del tutto inverosimile che ciò sia avvenuto, date le dimensioni medie di tale oggetto (avente un diametro di circa 12-13 cm) e quelle della carta geografica (del tipo ad uso degli automobilisti), e dato che, consultando una qualsiasi carta dello stesso tipo (si fa riferimento per la comparazione ad una carta Agip stradale ed autostradale, presa a caso, e delle dimensioni, dispiegata, di cm. 29 x 38, con rapporto di 1 cm/7,5 km) attorno a Gradoli vi sono (in ordine approssimativo di vicinanza topografica e non chilometrica), Latera (a brevissima distanza, cm 0,9, corrispondenti a meno di 7 km in linea d’aria), Valentano, Onano, S. Lorenzo Nuovo, Castel Giorgio, Bolsena (a cm. 1, 5, corrispondenti a poco più di 11 km), Capodimonte, Marta, Piansano; e, dall’altro lato del lago, vicino a Bolsena vi sono S. Lorenzo Nuovo, Orvieto, Castiglione in Teverina, Bagnoregio, Civitella d’Agliano, Castel Viscardo, S. Lorenzo Nuovo, Graffignano, Montefiascone, Vitorchiano, Viterbo (a 4,4 cm, corrispondenti in linea d’aria a poco più di 30 km da Gradoli): come poteva il piattino aver indicato Gradoli se, date le sue dimensioni e quelle della carta avrebbe coperto tutte tali località o buona parte di esse, o sfiorato col suo bordo più di esse ? E, come dichiarò A. Clo’ tra i tanti ”forse”, “il piattino copre diverso spazio sulla cartina”…
    Aggiungesi che accanto all’indicazione topografica di Gradoli vi è quella della strada statale 489.
    f). Sarebbe stato utile se la Commissione Moro, che agiva con i poteri della magistratura, avesse disposto un esperimento giudiziale, invitando il prof. Prodi e tutti gli altri che furono interrogati al riguardo a ripetere dinanzi a tale organo il “gioco del piattino”, magari ponendo come argomento proprio il caso Moro, per verificare anzitutto l’automatismo dell’oggetto.
    g). Il Presidente Prodi avrebbe quindi preso sul serio le informazioni del “piattino”, riferendone subito al dott. Cavina.
    h). Si è ipotizzato da taluni che egli avrebbe fatto ricorso all’espediente del gioco per non rivelare la fonte e l’identità della persona da cui in realtà avrebbe appreso il luogo di custodia del sequestrato. Ove così fosse, non si vede perché non abbia fornito in via confidenziale quanto meno solo gli estremi del posto in cui si sarebbe trovato Moro alla polizia giudiziaria od addirittura ai Servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica, atteso che, per l’art. 203 C.p.p., il giudice non può
    obbligare gli ufficiali e gli agenti della prima nonché il personale dipendente dai secondi a rivelare i nomi dei loro informatori.
    i). Comunque, resta il fatto certo che Gradoli (paese) non aveva nulla da vedere con le Brigate Rosse e con Moro, atteso che si mise subito in opera una serie di ricerche che non diedero esito alcuno, se non l’allarme per le Brigate Rosse del covo di via Gradoli, sito a Roma, dopo la pubblica notizia delle operazioni eseguite nel paese di Gradoli, avente cioè lo stesso nome dell’anzidetta via: quindi, come è possibile che la misteriosa entità invocata (si parlò addirittura di La Pira o don Sturzo, anche se Clo’ escluse risposte pertinenti), che faceva ruotare e che pilotava il piattino, nonostante i suoi poteri sovrannaturali si sia sbagliata. -proprio essa, dotata di poteri soprannaturali- nell’indicare Gradoli vicino Bolsena e Viterbo? Era “inesperta”, o poco “affidabile”, od addirittura ingannò i “giocatori”?
    l). Inoltre, l’on. Tina Anselmi, nella sua lettera inviata il 20.12.1980 alla Commissione Moro comunicò di aver appreso dal dott. Cavina (collaboratore dell’on. Zaccagnini e nella cui Segreteria anche detta on. Anselmi lavorava), che egli era stato informato dal prof. Prodi nei termini che seguono: “Nella seduta parapsicologica tenutasi a Bologna, mi riferì il dott. Umberto Cavina, allora collaborare dell’on. Zaccagnini, che era stato informato dal prof. Romano Prodi, presente alla seduta. L’indicazione del messaggio era: “Gradoli, via Cassia, Viterbo”. Seguivano due numeri, che ora non ricordo con precisione. Ma che poi risultarono corrispondere alla distanza fra Gradoli paese e Viterbo, sia al numero civico di via Gradoli, dove fu scoperto il covo.” - - - “Lo stesso Cavina mi riferì che si era provveduto a riferire l’episodio alle autorità di Governo” - - - “La signora Moro non parlò con me di segnalazioni fatte alla polizia circa via Gradoli”.
    Devesi osservare al riguardo che; 1) nessuno dei partecipanti, e neppure il prof. Prodi ed il prof. Clo’, parlò della via Cassia, né dei numeri; e che, del resto, il dott. Cavina attribuì tale indicazione ad altra imprecisata fonte; 2) come da concordi dichiarazioni, sulla carta era state scritte le lettere alfabetiche e non anche numeri, a meno che il piattino non abbia complicatamente indicato detti numeri con le corrispondenti lettere; 3) come già rilevato, Moro non era custodito a Gradoli; 4) i numeri 96 ed 11 non potevano corrispondere alla distanza chilometrica di Gradoli rispetto a Viterbo, essendo troppo lontana quella corrispondente a 96 km, e troppo vicina quella corrispondente ad 11 km, il quale ultimo dato, se mai, poteva indicare la distanza approssimativa di Gradoli rispetto a Bolsena; 5) se i due numeri indicavano la distanza chilometrica, l’uno era incompatibile con l’altro, a meno che non coincidesse anche qui il numero civico e quello dell’interno; 6) ammesso che esistesse un fabbricato con tale numero, ignorasi a che distanza da Gradoli si trovasse; 7) come già rilevato, è significativo che né il Presidente Prodi né il prof. A. Clo’ abbiano fatto riferimento a tali numeri; 8) è del tutto inverosimile che il dott. Cavina se li sia inventati, o li abbia appresi da altri attribuendoli fittiziamente a Prodi, per cui dovrebbe desumersi che li abbia appresi da quest’ultimo, come del resto riferito all’on. Anselmi: ma come li conosceva il prof. Prodi, ove si escluda il tramite del piattino?; 9) resta il fatto assorbente che essi coincidevano col numero civico 96 di via Gradoli a Roma, e con l’interno 11, ove era sito un covo delle Brigate Rosse.
    m). Evidentemente la Commissione Moro non ritenne la sussistenza di reati nelle dichiarazioni del prof. Prodi (allora non parlamentare) e di coloro che l’avvalorarono prima con la lettera collettiva e poi con le dichiarazioni alla Commissione Moro, atteso che, pur essendo stati interrogati come testimoni, non vennero segnalati alla Procura competente.
    Dalla relazione di detta Commissione risulta quanto segue: a) le Forze dell’Ordine si recarono in via Gradoli una prima volta il 18.3.1978, cioè due giorni
    dopo la strage di via Fani ed il sequestro di Moro (quindi ancor prima del c.d. gioco del piattino, avvenuto il 2.4.1978; ed ignorasi in base a quale informazione ciò sia avvenuto), ma che, non avendo trovato nessuno, non forzarono la porta, anche perché due coinquilini aveva assicurato che vi abitavano persone tranquille; b) ciò sarebbe stato smentito anche in sede giudiziaria, in quanto detti coinquilini avrebbero formalmente dichiarato che avevano sentito una sorta di segnali “morse”, provenienti però da direzione opposta a quella dell’appartamento; c) nessuna iniziativa è stata stranamente adottata dai superiori di coloro che eseguirono l’intervento; d) secondo il P.M dott. Infelisi, l’operazione avrebbe riguardato non solo l’immobile di via Gradoli 96 (il cui numero non risultava), ma tutti i miniappartamenti ed i residence della zona, in tutto 30 o 40 edifici; e) laddove nessuno rispondeva non furono forzate le porte, dato il gran numero degli appartamenti chiusi e la necessità, in caso di effrazione, di poi presidiarli in attesa del rientro degli inquilini; f) su disposizione della magistratura fu disposto il contrario, limitatamente alla zona di competenza del Commissariato di Monte Mario, ma tale disposizione non sempre sarebbe stata eseguita per la difficoltà di attendere gli inquilini; g) il nome di Gradoli riapparve il 6.4.1978, ma non come via di Roma, bensì come paese, allorquando furono (con esito negativo) controllate dalla Questura di Viterbo alcune case coloniche nel Comune di Gradoli, e ciò su due indicazioni in data 5.4.1978 provenienti dal dott. Luigi Zanda Loi (in seguito alle informazioni del dott. Cavina) al Capo della Polizia; dette indicazioni riguardavano “Casa Giovoni – via Monreale 11 – scala D int. 1 piano terreno – Milano” e “lungo la statale 74, nel piccolo tratto in provincia di Viterbo, in località Gradoli, casa isolata con cantina”; i) la segnalazione del primo sito ebbe origine da fonte che Zanda Loi non ricordò, e quella del secondo da una segnalazione fatta al dott. Cavina dal prof. Prodi, che riferì di una seduta spiritica tenutasi in casa del prof. A. Clo’, come anche da detto Cavina confermato alla Procura di Roma; l) i vari partecipanti alla seduta avevano comunicato alla Commissione quanto già in precedenza riportato; m) la scoperta del covo di via Gradoli avvenne per la già menzionata infiltrazione idrica causata da una doccia “a telefono” con tubo flessibile lasciata aperta e rivolta verso il muro, in corrispondenza di una sconnessione tra le piastrelle del rivestimento; n) nessun collegamento con l’operazione del paese di Gradoli sussisteva, non essendo stata informata la Questura di Roma da quella di Viterbo; o) nell’appartamento furono rinvenuti centinaia di manifestini delle BR rivendicanti attentati (tra cui quelli al P.G. di Genova dott. F. Coco ed al m.llo R. Berardi), numerose armi (pistole, un fucile a pompa, un mitra), munizioni, esplosivi e documenti vari, tra cui istruzioni per l’uso delle armi e degli esplosivi, patenti automobilistiche, carte d’identità e tessere ferroviarie in bianco, strumenti per la falsificazione di essi, una divisa della P.S., altra di aviatore delle linee aeree, una tuta da operaio della SIP, un camice da impiegato delle PT, una piantina di un carcere imprecisato, la targa dell’autovettura usata per bloccare quella su cui transitava Moro all’atto del sequestro; p) locatario dell’appartamento era il sedicente Mario Borghi, poi identificato con il brigatista Mario Moretti, che l’occupava assieme con l’altra brigatista Barbara Balzerani; q) probabilmente costoro, tranquillizzati dall’esito negativo dell’operazione del 18.3.1978 di cui sub a) non avevano abbandonato il piccolo appartamento e non avevano rimosso quanto ivi rinvenuto; r) l’accesso a sirene spiegate dei Vigili del Fuoco e poi della Polizia e la presenza delle loro autovetture li avrebbe il 18.4.1979 resi edotti della situazione.
    20. Al riguardo, si osserva quanto segue:
    - come già rilevato, non è dato di conoscere donde sia pervenuta, 15 giorni prima della seduta in cui fu praticato il gioco del piattino ed addirittura due giorni dopo il sequestro, l’indicazione di via Gradoli e della zona circostante;
    - ciò potrebbe far desumere che tale indicazione circolasse ancor prima di tale seduta, e che non sia stata appresa dal piattino, ma da altra fonte, tanto più che in quel luogo non era custodito Moro;
    - è assai singolare che nessuna iniziativa sia stata adottata dopo le dichiarazioni dei due coinquilini circa i segnali simili a quelli “morse”;
    - il n. 74 della statale con Viterbo nulla aveva da vedere con il n. 96 di via Gradoli a Roma, né con la distanza chilometrica tra il paese di Gradoli e Viterbo, né si vede altra pertinenza del n. 11 se non con quello dell’interno di via Gradoli 96.
    21. Ritornando alla condotta tenuta nella vicenda Mitrokhin, anche per la seconda fase di essa si porrebbe il problema già evidenziato per il Presidente Dini, e cioè se rispondano alla realtà le dichiarazioni del gen. Siracusa, ovvero quelle del Presidente Prodi, secondo cui non si sarebbe parlato della rete spionistica, o se ne sarebbe parlato solo fuggevolmente: ma, in tal caso, non si vede perché fosse avvenuto l’incontro, e, per di più, solo su suggerimento del Ministro Andreatta. Comunque, anche se il gen. Siracusa avesse solo sfiorato l’argomento dello spionaggio, vanno valutate nei suoi confronti le conseguenze del non aver illustrato i particolari e la consistenza di una vicenda così clamorosa: e ciò ad un organo che, ex art. 3 della legge n. 801\1997, quale Presidente del CESIS, aveva il compito di coordinare il SISMI ed il SISDE, doveva conoscere tutti gli elementi in possesso del SISMI e del SISDE e l’elaborazione delle relative situazioni, e, quale Presidente del Comitato interministeriale, era competente per i rapporti di tali organi con in Servizi esteri. Donde le nuove ipotesi (sotto il profilo della continuazione) del reato di omissione di denunzia (art. 361 C.p.), di abuso d’ufficio (art. 323 C.p.) o di rifiuto (implicito) di (molteplici) atti d’ufficio per ciascuna delle singole omissioni di volta in volta rilevate, di favoreggiamento personale (art. 378 C.p.), di interruzione di un pubblico servizio (art 340 C.p.), salve altre, tra cui quella del falso ideologico in atto pubblico (art. 479 C.p.) per l’apposizione delle data non veritiera. Ma, come per il Presidente Dini, le identiche ipotesi, tranne l’ultima, dovrebbero riguardare il Presidente Prodi anche nel caso che sia stato fatto solo un accenno alla rete spionistica, essendo poco verosimile che, messo al corrente sommariamente di un’attività di spionaggio ai danni dello Stato italiano, non abbia immediatamente chiesto dettagliate informazioni e, nella sua qualità, non abbia dato tutte le disposizioni necessarie per verificare i fatti, e neutralizzare quelli ancora attuali (su ciò si rimanda nuovamente alle dichiarazioni del gen. Lombardo sub XXV): donde, l’eventuale applicabilità del concorso di cui al già citato art. art. 110 C.p. o, nella più tenue delle ipotesi, dell’art. 40 C.p. sulle conseguenze per chi non impedisce un evento che ha l’obbligo di impedire. Ciò attese le sue specifiche competenze al riguardo, sia quale Presidente del CESIS, sia per le funzioni attribuitegli dal citato art. 4 di dare direttive e disposizioni al Ministro per la Difesa, da cui dipende il SISMI, per cui era tenuto a richiedere una compiuta e dettagliata informazione sui fatti, e chiedere spiegazioni sullo scavalcamento del CESIS.
    Quanto all’obbligo di riferire agli organi giudiziari ove sussistesse il solo fumus di reato, si è già detto: e l’attività di spionaggio, nei modi descritti nel dossier, costituiva di per sé reato, indipendentemente dai risultati conseguiti. E quanto sopra varrebbe a maggior ragione ove le informazioni fornite dal gen. Siracusa siano state dettagliate, donde la “copertura” della vicenda ipoteticamente per non compromettere determinati personaggi politici, nel qual caso sussisterebbe ancor più il concorso nei medesimi reati ipotizzabili per l Direttore del SISMI.
    E si tace delle dichiarazioni rese alla Procura di Roma sul gioco del piattino: a meno che non si ritenga che trattisi di un reale fenomeno spiritistico e non di una fantasiosa invenzione, potrebbe ipotizzarsi il reato di falsa testimonianza (ora di false
    informazioni rese al P.M.); e di altra falsa testimonianza per quelle rese alla Commissione Moro, per cui andrebbe però affrontata la questione della sua potenziale qualità di indagato.
    Valgano anche per il Presidente Prodi le considerazioni già fatte per il Presidente Dini e per il gen. Siracusa: è verosimile che quest’ultimo si sia assunto di propria iniziativa l’enorme responsabilità di non riferire dettagliatamente anche al Presidente Prodi la realtà dei fatti, col rischio delle conseguenti responsabilità ? E quale sarebbe stato il motivo che l’avrebbe spinto a comportarsi così ? E come mai tale comportamento coincide con quello del Presidente Prodi che non ritenne di contestarglielo quando avrebbe appreso di tale sottostante aspetto della vicenda ?
    22. Ignorasi poi cosa abbia fatto l’amm. Battelli, succeduto al gen. Siracusa dopo il 4.11.1996, donde eventuali ipotetici altri reati dello stesso tipo, tranne quelli attribuibili autonomamente ed esclusivamente ad altri......

    ROMA, IL 20 DICEMBRE 2005.

    AGOSTINO CORDOVA

 

 

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