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    Post Come «soffrirono» gli ebrei in Polonia

    Maurizio Blondet
    03/02/2006





    E' un luogo comune accusare i polacchi, e in generale gli slavi dell'Est di «antisemitismo».
    Non mancano mai le occasioni perché ci vengano descritte le «sofferenze degli ebrei nell'Est», i pogrom, le persecuzioni zariste e così via.
    Ora, un lettore mi manda un lungo saggio di un autore americano, E. Michael Jones, che fa una luce sorprendente sulla natura e le cause dell'antisemitismo slavo.
    Jones ha avuto la costanza di leggersi gli undici volumi della monumentale «Storia degli ebrei» di Heinrich Graetz (1819-1891), un ebreo tedesco considerato fondatore della storiografia ebraica. Illuminista e razionalista, Graetz è fra l'altro un critico inflessibile della gnosi kabbalistica, alla cui egemonia nel mondo giudaico attribuisce le più dissennate speranze messianiche (incarnate da «messia» come Sabbatai Zevi e Jacob Frank) e, peggio, i vizi della mentalità giudaica, fra cui «una sorta di trionfale delizia nell'ingannare e frodare» (sic).
    Graetz ricorda che con lo statuto di Kalisz (1251) la Polonia diede ai suoi ebrei diritti ignoti a tutte le altre comunità giudaiche europee: l'amministrazione autonoma della comunità e un sistema giudiziario indipendente dalla magistratura cristiana polacca, il Kahal, che aveva l'esclusiva giurisdizioni sulle liti fra ebrei.

    E' dal Kahal che si sviluppa la «sapienza» talmudica (il Talmud è essenzialmente un codice penale) e la cultura casistica delle dispute rabbiniche, con la caratteristica tendenza (riporto parole di Graetz) a «contorcere e distorcere, all'ingegnosa sofisticheria, e all'ostilità per tutto ciò che non entrava nel loro campo di visione».
    Ciò che secondo lo storico ebraico «ha minato il loro senso morale» creando una vera abitudine alla «sofisticheria e alla vanteria».
    A causa dello Statuto di Kalisz, la Polonia fu definita in Europa «paradisum judaeorum». Inevitabilmente, nel corso delle fiammate di persecuzioni che avvennero nella cristianità tra l'undicesimo e il 16mo secolo, una quantità di ebrei, per lo più tedeschi, emigrarono là, portando la loro lingua, il «juedische Deuych» o Yiddish: subito approfittando della totale indipendenza che la Polonia consentiva loro per non integrarsi affatto alla popolazione, evitare di impararne la lingua, astenersi da ogni contatto con essa a parte il commercio e (dice Graetz) occasionali e illecite attività sessuali.
    Quanto soffrirono gli ebrei in Polonia, lo suggerisce la loro demografia.
    Tra il 1340 e il 1772 la popolazione polacca cristiana aumenta di cinque volte; quella ebraica di 75 volte.
    Nel 1795, al tempo della terza ed ultima spartizione della Polonia, viveva là l'80 % degli ebrei askenazi, ossia non medio-orientali.

    Alla crescita demografiche corrispose, come dubitarne?, una crescita della ricchezza e del potere dei sofferenti figli di Giuda.
    E la loro età d'oro polacca coincise con l'espansione «imperiale» della Polonia, avvenuta tra il 1500 e il 1650.
    Nel 1634 la Polonia era infatti divenuta lo Stato più vasto d'Europa, esteso dal Baltico fin quasi al Mar Nero, dalla Slesia tedesca a quella che oggi è nota come Ucraina, 200 chilometri oltre il fiume Dnepr. Il 60 % della popolazione della Polonia non era polacca e nemmeno cattolica ma, ampiamente, ortodossa.
    In questi territori conquistati, oggi parte di Ucraina e Bielorussia giù fino alla Crimea, la nobiltà polacca (esempio storico di inconcludenti vanitosi) si ritagliò proprietà vaste a volte come l'attuale Svizzera: immensi latifondi in mano a una microscopica oligarchia nullafacente, sulle cui zolle lavorava, mal compensato e sull'orlo della miseria perenne, il contadiname polacco.
    Questi contadini, originariamente cittadini-soldati delle immense conquiste imperiali, furono rovinati dalle guerre che erano stati costretti a fare; passarono dunque ai latifondisti nella condizione di servi.
    Per di più nel 1633 il parlamento polacco dominato dai nobili, il Sejm, vietò per legge all'aristocrazia polacca di occuparsi di affari e commercio di ogni genere; non parve decente a lorsignori dedicarsi ad attività produttive o anche volgari come vendere la vodka.
    Perciò, affidarono l'amministrazione dei loro immensi latifondi, di cui non potevano occuparsi (avete indovinato?) agli ebrei.
    Di fatto glieli affittarono con contratti a breve termine, in cambio di un canone fisso e anticipato; stava poi agli ebrei rifarsi sui contadini con esazioni e prelievi.
    E' il sistema detto dell'«arenda»; nella lingua dei contadini polacchi, «arendarz» (o esattore) e «ebreo» divennero sinonimi.
    Di fatto, l'80 % dei capifamiglia ebrei nelle campagne, e il 15 % nelle città, erano impiegati come «arendarz».
    A peggiorare la situazione, il kahal ebraico aggiudicò i contratti d'arenda agli ebrei più ricchi, che poi li subappaltavano agli ebrei più poveri e perciò più famelici.
    L'oggetto dell'arenda («affitto di beni o diritti immobiliari») potevano essere i terreni agricoli, ma anche le taverne, i mulini, l'esazione di pedaggi su strade e ponti, il diritto di raccogliere pagamenti di ogni tipo di monopolio.
    I nobili polacchi (cattolicissimi ovviamente) giunsero a locare agli ebrei le chiese di loro proprietà, ossia quasi tutte le chiese di campagna.
    Ciò significa che l'ebreo aveva le chiavi della chiesa, che apriva solo per le cerimonie richieste dai contadini - matrimoni, battesimi e funerali - ovviamente a pagamento.

    E poiché il contratto d'arenda era a breve termine e poteva non essere rinnovato, gli ebrei locatari avevano tutto l'interesse ad estrarre dalle loro vittime quanto più denaro possibile nel più breve termine.
    L'incentivo del cuore ebraico a rendersi umani o almeno miti verso i contadini, odiati cristiani, era già debole; l'incentivo finanziario, così importante per loro, mancava del tutto.
    Tanto più che lo Stato polacco - che dall'arenda ricavava il 70 % dei suoi introiti fiscali - poneva tutta la forza della legge dalla parte degli ebrei (i suoi esattori) anziché del popolo.
    Dal 1633, quando gli ebrei assunsero il controllo dello spaccio dell'alcol, contadini che osavano distillarsi la vodka di nascosto nelle loro isbe, non pagandovi le tasse, subivano l'irruzione degli esattori: ebrei armati, che parlavano una lingua semi-tedesca, autorizzati a spaccare le storte e le botti e ad imporre multe esose, cosa che faceva con delizia un popolo che - come sanno
    i palestinesi - tratta il resto dell'umanità con disprezzo e, quando può, con l'angheria più gelida e insensibile.
    L'arenda e il modo in cui gli ebrei la gestirono è la causa profonda della perenne miseria e secolare arcaismo dell'agricoltura polacca.

    Gli esattori «arendarz», affittuari a breve, non avevano nessun interesse a mantenere in buono stato le fattorie, gli attrezzi agricoli, a non sfruttare oltre i limiti i terreni e i lavoratori.
    Per di più, acquisirono la lucrosa abitudine di manipolare i prezzi del grano in modo tale da sottrarlo all'uso alimentare per destinarlo alla distillazione, più lucrosa per loro; e naturalmente promossero intensamente il consumo della vodka, che dava profitti alti e che si dovevano ricavare a breve termine.
    Col tempo fra i contadini polacchi, «non si sa perché», si sviluppò un certo sentimento «antisemita». Non così fra i nobili cattolicissimi della Polonia, Cristo delle nazioni.
    Scrive Graetz: «l'ebreo in qualche misura controbilanciava i difetti nazionali: l'incostanza impulsiva, la leggerezza, la prodigalità della nobiltà polacca trovavano il loro contrappeso nella prudenza, sagacia economica e cautela ebraica. Per il nobile polacco l'ebreo era più che un finanziere; era il suo consigliere prudente, quello che lo cavava dai debiti, il suo tutto in tutto…un'alleanza utilitaristica unica fu formata tra il latifondista polacco e l'elite finanziaria giudaica».
    Nel 1572, alla morte di re Sigismondo (che aveva abbandonato loro la gestione del regno: rabbi Mendel di Brest era chiamato «il segretario del re»), gli ebrei sofferenti avevano raggiunto abbastanza potere da decidere il successore.

    E lo fecero in consultazioni con la «sublime porta» di Costantinopoli, la Francia ugonotta e i protestanti britannici, interessati anch'essi alla successione polacca.
    Il grande mediatore in quest'affare (in cui si distribuirono miliardi) fu Solomon ben Nathan Askenazi, già medico di Sigismondo, poi emigrato a Costantinopoli dove servì il sultano così fedelmente come aveva servito il re polacco.
    Presso la «porta», del resto, Solomon non fece altro che succedere a Joseph Nasi, consulente del sultano e sorta di capo non-ufficiale dell'ebraismo mondiale di quei tempi.
    Ma quell'età d'oro fu anche l'inizio in cui sul «paradisus judaeorum» polacco cominciò ad addensarsi qualche nube minacciosa.
    Ciò, a causa di una delle etnie che l'espansionismo imperiale polacco aveva incorporato: i cosacchi. Anche ad essi fu esteso, tanto per cominciare, il regime latifondista dell'arenda.
    Anche i cosacchi scoprirono di dover pagare una tassa per entrare nelle loro chiese ortodosse. Subire il dominio dei signori polacchi cattolici, pazienza; ma dover pagare vodka e battesimi agli ebrei, non è da cosacchi.
    I polacchi, questi antisemiti civilizzati, subivano.
    Ai cosacchi, selvaggi, cominciarono a prudere le mani.

    Presto fra loro nacque un capo, Bogdan Chmielnicki.
    Il suo grido: «i polacchi ci hanno reso schiavi della razza maledetta dei giudei» non fu accolto con sospiri di rassegnazione «à la polonaise».
    Rapidamente, Chmielnicki si trovò a guidare un'orda di cosacchi e tartari alleati che sconfisse l'armata polacca il 16 maggio 1648: da allora l'orda ebbe davanti una strada sgombra fino al cuore della Polonia, e la percorse in un'orgia di saccheggi, stupri, massacri «à l'asiatique», come usa (e gli americani in Iraq lo stanno imparando) da quelle parti.
    Cosacchi e tartari dedicarono una speciale attenzione agli ebrei; pare che ne abbiano fatti fuori 100 mila.
    Allora, per ammissione dello storico ebreo Henryk Grynberg, «le armate polacche (in ritirata) furono la sola difesa degli ebrei».
    Quando l'armata cosacca investì le mura di Lwow, Chmielnicki intimò agli assediati: consegnateci gli ebrei che avete in città, e noi leviamo l'assedio.
    Che cosa fecero gli antisemiti polacchi in gravi difficoltà, assediati e affamati?
    Risposero di no.
    Non consegnarono alcun ebreo, resistettero, e così salvarono quelli che erano rimasti chiusi a Lwow.
    Ecco fino a che punto i polacchi hanno perseguitato gli ebrei.
    Ecco quanto hanno fatto soffrire i loro benefattori (1).

    Maurizio Blondet


    --------------------------------------------------------------------------------
    Note
    1) Non voglio guastare lo stile aulico di questo excursus storico con un'espressione rivoltante della volgarità napoletana e romanesca. L'espressione però mi viene alle labbra, e perciò la metto in nota: si vede qui ancora una volta applicata la metodologia che Israele ha adottato verso gli arabi, anzi verso il mondo intero dei goym: «chiagni e'ffotti». Perseguita, e strilla che sei perseguitato. Opprimi, e lamentati che soffri.



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  2. #2
    Totila
    Ospite

    Predefinito

    La Polonia non dovrebbe esistere. Metà alla Russia e metà alla Germania.

 

 

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