DI NORMAN G. FINKELSTEIN

La recente proposta della Norvegia di boicottare le merci israeliane ha stimolato un appassionato dibattito. Dal mio punto di vista, un analisi razionale della questione solleverebbe due domande:
1) Le violazioni dei diritti umani da parte di Israele giustificano un boicottaggio economico ?
2) Un tale boicottaggio può dare un significativo contributo per porre fine a queste violazioni?
Io sostengo che per tutte e due le domande la risposta dovrebbe essere affermativa.
Nonostante le numerose relazioni sull’argomento delle organizzazioni per i diritti umani, il vero comportamento di Israele nella gestione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati generalmente non è ben conosciuto all’estero. Tutto ciò è dovuto principalmente alla formidabile industria delle pubbliche relazioni messa su dagli apologeti di Israele, unita alla efficacia delle loro tattiche di intimidazione come quella di etichettare i critici delle politiche israeliane come anti -semiti. Eppure è un fatto incontestabile che Israele abbia commesso una vasta gamma di violazioni dei diritti umani, molti delle quali si elevano al grado di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità.

Fra di esse vi sono:

UCCISIONI ILLEGALI (LEGGASI OMICIDI)

Mentre gli attacchi suicidi dei palestinesi verso i civili israeliani si sono guadagnati molta attenzione dai media, il ben peggiore record (quantitativamente parlando) di Israele nell’uccidere civili (o non combattenti) è molto meno noto. Secondo i più recenti dati del Centro Informazioni Israeliano per i Diritti Umani nei Territori Occupati (B’Tselem), 3386 Palestinesi sono stati uccisi dal settembre 2000, dei quali 1008 sono stati identificati come combattenti, contro i 992 Israeliani, dei quali 309 erano soldati. Ciò significa che sono stati uccisi il triplo dei soldati Palestinesi rispetto agli Israeliani e più del triplo di civili palestinesi rispetto ai civili Israeliani. Gli apologeti di Israele sostengono che c’è differenza fra avere come obiettivo i civili ed ucciderli inavvertitamente. B’Tselem discute questo: “Quando un così alto numero di civili vengono uccisi oppure feriti, la mancanza di volontarietà non fa differenza: Israele rimane responsabile”. Per di più Amnesty International rende noto che molti Palestinesi non sono stati uccisi accidentalmente ma sono stati presi di mira deliberatamente, mentre il vincitore dell’oscar per il giornalismo Chris Hedges denuncia che i soldati israeliani “attirano i bambini come topi in trappola e li uccidono per diletto” (letter sport)





TORTURA
“Dal 1967 – dichiara Amnesty – i servizi segreti israeliani hanno sistematicamente torturato i politici Palestinesi sospetti, nei Territori Occupati”. B’Tselem ha scoperto che l’85% dei Palestinesi interrogati dai servizi segreti israeliani sono stati sottoposti a “trattamenti costituenti vera e propria tortura” mentre, già un decennio fa, lo Human Rights Watch calcolava che “il numero di Palestinesi torturati o severamente maltrattati fosse nell’ordine delle 10.000 unità, un dato che diviene particolarmente significativo se si considera che l’insieme dei maschi adulti o adolescenti nella West Bank ed a Gaza non supera le 750.000 unità”. Nel 1987 Israele divenne “l’unico paese al mondo ad aver completamente legalizzato la tortura”(Amnesty). Sebbene la Corte Suprema Israeliana apparentemente proibì la tortura in una sentenza del 1999, il Comitato Pubblico contro la Tortura in Israele nel 2003 denunciava che le forze di sicurezza israeliane hanno continuato ad utilizzare la tortura in maniera “metodica e sistematica”. Uno studio del B’Tselem del 2001 documentava come le forze israeliane spesso torturassero duramente persino i minori palestinesi”.

DEMOLIZIONE DELLE CASE

“Israele ha implementato una politica di demolizione di massa (su larga scala) della case dei Palestinesi nei Territori Occupati”. B’Tselem comunica che “sono state distrutte, a partire dal settembre del 2000, circa 4170 case dei Palestinesi”, da quando, proprio recentemente, Israele è ricorso in modo sistematico alla demolizione delle case come forma di punizione collettiva. Secondo il Middle East Watch, escluso Israele, l’unico altro paese al mondo che ha utilizzato una pena così draconiana è stato l’Iraq sotto il regime di Saddam Hussein. Inoltre Israele ha demolito migliaia di case abusive che i Palestinesi avevano edificato a causa del rifiuto di Israele di concedere i permessi di costruzione. Il motivo della distruzione di queste case, secondo Amnesty, è stato quello di massimizzare il territorio disponibile per i coloni ebrei: “I Palestinesi sono bersagliati solamente per il fatto che sono Palestinesi”. Infine Israele ha distrutto centinaia di case con il pretesto della sicurezza eppure una relazione del Human Rights Watch su Gaza ha rivelato che “il modello della distruzione fa capire chiaramente che le forze israeliane hanno demolito le case indiscriminatamente a prescindere dalla reale minaccia da esse rappresentata. Allo stesso modo Amnesty ha scoperto che “la distruzione su larga scala delle abitazioni e delle proprietà da parte di Israele nella West Bank ed a Gaza non è giustificata da necessità militari” e che “ alcuni di questi atti di distruzione costituiscono una grave violazione del quarto principio della Convenzione di Ginevra e sono da considerare crimini di guerra”.





Oltre alla vastità delle violazioni dei diritti umani, l’unicità delle politiche di Israele merita menzione: “Israele ha instaurato nei Territori Occupati un regime di segregazione basato sulla discriminazione, applicando nello stesso territorio due differenti codici giuridici e basando i diritti degli individui sulla nazionalità” ha concluso B’Tselem. “Questo sistema è unico nel suo genere in tutto il pianeta ed è evocatore di regimi esecrabili del passato, come l’apartheid in Sud Africa”. Se scegliere il Sud Africa come destinatario di un boicottaggio economico internazionale era giustificabile, sembrerebbe altrettanto giustificabile farlo con Israele che assomiglia particolarmente al regime dell’apartheid.

Benché un boicottaggio economico sia giustificato per ragioni morali, la domanda resta se invece la diplomazia possa occuparsi più efficacemente della questione. Tuttavia il record documentato a tal proposito non è molto incoraggiante. Le condizioni fondamentali per risolvere il conflitto Israele-Palestina sono incarnate nella risoluzione dell’ONU n. 242 e nelle susseguenti risoluzioni, che richiedono un completo ritiro di Israele dalla West Bank e da Gaza e la costituzione di uno Stato Palestinese in questi territori in cambio del riconoscimento per Israele del diritto di vivere in pace ed in sicurezza con i propri vicini. Ogni anno la maggioranza schiacciante dei Paesi membri votano a favore dell’instaurazione dei due Stati e sempre ogni anno gli USA ed Israele (e poche isole del Sud del Pacifico) vi si oppongono strenuamente. Analogamente, nel marzo 2002, tutti i Paesi membri della Lega Araba hanno proposto il modello dei due Stati sovrani come pure hanno caldeggiato i “rapporti corretti con Israele”. Israele ha ignorato l’offerta.

Non solo Israele ha rifiutato ostinatamente il modello a due Stati, ma le politiche che sta attualmente portando avanti chiudono la porta alle possibilità della nascita di uno Stato Palestinese. Mentre l’attenzione mondiale si è rivolta al ritiro delle truppe israeliane da Gaza, Sara Roy dell’Università di Harvard osserva come il “Piano di Disimpegno da Gaza è, in fondo, uno strumento nella mani di Israele per perpetrare l’annessione dei territori della West Bank al fine di integrarli fisicamente nei confini dello Stato israeliano”. In particolare Israele sta costruendo un muro nel cuore della West Bank che comporterà l’annessione delle terre più fertili e delle risorse idriche come pure di Est Gerusalemme, il centro della vita dei palestinesi. Tale muro avrà anche l’effetto di tagliare (e separare) in due parti la West Bank. Sebbene Israele abbia inizialmente sostenuto che il muro fosse stato costruito per combattere il terrorismo, l’opinione generale fra le Organizzazioni dei Diritti Umani è che esso costituisca un metodo per accaparrarsi del territorio al fine di annettere ad Israele gli stanziamenti abusivi dei coloni ebrei. Recentemente il Ministro della Giustizia israeliano ha candidamente riconosciuto che il muro servirà a stabilire “i futuri confini dello Stato israeliano”.





Le attuali politiche del Governo israeliano condurranno o ad un infinito spargimento di sangue o allo smembramento della Palestina. “Rimane virtualmente impossibile conciliare uno Stato Palestinese senza la sua capitale a Gerusalemme” ha concluso recentemente il rispettato Crisis Group e di conseguenza le politiche israeliane nella West Bank “sono in contrasto con la possibile soluzione del modello a due stati e non rinforzeranno la sicurezza di Israele; infatti non faranno altro che inasprire la situazione, indebolendo i Palestinesi eversivi e gettando i semi per la crescita del fondamentalismo”.

Rifacendosi ad un principio dello statuto dell’ONU che stabilisce che è inammissibile acquisire un territorio attraverso la guerra, la Corte Internazionale di Giustizia ha decretato in una sentenza-cardine del 2004 che gli stanziamenti di Israele nei Territori Palestinesi Occupati ed il muro che è stato costruito per annettere tali territori, sono illegali per il diritto internazionale. Essa invitava inoltre Israele ad interrompere la costruzione del muro, smantellare quelle parti già completate e risarcire i palestinesi per i danni subiti. Infine la sentenza ha anche sottolineato le responsabilità legali della comunità internazionale:

“Tutti gli Stati hanno l’obbligo di non accettare la condizione antigiuridica risultante dalla costruzione del muro nei Territori Palestinesi Occupati oltre che a Gerusalemme e dintorni. Essi hanno anche l’obbligo di rifiutare aiuto ed assistenza nel perpetrare la condizione creata dalla costruzione del muro. Tutti gli Stati infine hanno il dovere di impegnarsi affinché sia rimosso ogni impedimento per i Palestinesi, derivato dalla costruzione del muro, di esercitare il loro diritto di autodeterminazione, tutto ciò sempre nel rispetto dello statuto dell’ONU e del diritto internazionale”.

Una susseguente risoluzione dell’ONU che supportava la Corte Internazionale di Giustizia, è stata approvata in maniera schiacciante. Tuttavia il Governo israeliano ha ignorato la sentenza della Corte, continuando la costruzione tranquillamente, mentre la Corte Suprema Israeliana ha decretato che il muro è perfettamente legale.

A causa dell’ostruzionismo degli USA, l’ONU non è stato in grado di fronteggiare efficacemente le pratiche illegali di Israele. In verità, benché sia vero che l’ONU utilizzi con Israele due pesi e due misure, è esattamente il contrario di ciò che gli apologeti di Israele asseriscono: Israele è messo su un piano inferiore rispetto agli altri Paesi. Uno studio di Marc Weller dell’Università di Cambridge che confrontava Israele ed i Territori Palestinesi Occupati alle analoghe situazioni della Bosnia e dell’Erzegovina, del Kosovo, dell’isola indonesiana di East Timor, del Kuwait occupato e dell’Iraq e del Rwanda, ha scoperto che Israele ha goduto di una “virtuale immunità” dalle misure di coercizione come l’embargo militare e le sanzioni economiche normalmente adottate dall’ONU contro gli Stati membri condannati per le stesse violazioni del diritto internazionale. Anche a causa di un aggressiva campagna mediatica che accusa l’Europa di una nuova ondata di antisemitismo, l’Unione Europea ha fallito nel suo dovere di far rispettare il diritto internazionale nei Territori Palestinesi Occupati. Sebbene tale accusa di “neo antisemitismo” non abbia alcun fondamento, (tutti gli elementi a disposizione indicano una diminuzione del fenomeno antisemita in Europa) l’EU ha reagito accontentando Israele. E’ stata persino annullata la pubblicazione di uno studio dei suoi analisti politici poichè gli autori – come il Crsisi Group e molti altri – affermavano che a causa delle politiche di Israele “le possibilità di adottare il modello a due Stati con capitale Palestinese a Gerusalemme stanno svanendo”.

La responsabilità morale di evitare l’incombente catastrofe deve essere ora accollata ai singoli stati che devono essere disposti a rispettare le regole del diritto internazionale nonché alle coscienze individuali degli uomini e delle donne. In una coraggiosa iniziativa Human Rights Watch con sede in America ha recentemente richiesto al Governo statunitense di ridurre in maniera significativa l’assistenza finanziaria ad Israele finchè Israele non metta fine alle sue politiche illegali nella West Bank. Un boicottaggio economico sembrerebbe una iniziativa egualmente sensata. Una tattica non violenta il cui intento sia quello di ottenere una giusta ed equa risoluzione del conflitto Israele-Palestina non può essere legittimamente definita antisemita. In verità i veri nemici degli ebrei sono coloro che sminuiscono la loro sofferenza identificando l’opposizione di principio alle immorali ed illegali politiche dello stato israeliano con l’antisemitismo.

Norman G. Finkelstein
Fonte: www.informationclearinghouse.info
Link: http://www.informationclearinghouse....ticle11574.htm
15.01.06