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    Gaeta resiste ancora!
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    Predefinito Giochi olimpici Fenestrelle

    Ieri è stata citata la località di Fenestrelle, relativamente ai giochi olimpici, ma lo sapete che lì c'era un lager per i soldati napolitani '?!!?

    LEGGETE:
    Le vicende dei campi di deportazione dei soldati napoletani e pontifici all'indomani della campagna per l'Unità, rappresentano un'altra tessera - completamente rimossa dalla memoria e dagli archivi - che serve a svelare il vero volto del Risorgimento.
    Decine di migliaia di prigionieri vennero concentrati nei campi di Fenestrelle e San Maurizio, nel lontano Piemonte, e sottoposti a rieducazione forzata tra stenti e sofferenze indicibili.
    Ciononostante il Soldato Napoletano, fedele alla sua Nazione e sordo alle lusinghe nemiche, rifiuta di collaborare, si ribella e, sottrattosi al giogo della prigionia, da vita alla resistenza armata. Di queste odissee, ne da testimonianza il diario rinvenuto dall'Autore e pubblicato, inedito, in appendice.
    Ma la pianificazione dell'arbitrio e della violenza da parte della rivoluzione borghese va oltre i "momenti di eccezione" e, nei decenni successivi, l'Italia post-unitaria da vita ad un sistema di repressione e ad un universo carcerario così disumano, da far impallidire quell'apparato borbonico che tanto scandalizzò il liberale Gladstone.
    Col passare del tempo le tecniche per soffocare il dissenso si affinano e, falliti i tentativi di "fondare" colonie penali in Patagonia, disfarsi della sua gente con l'emigrazione risultò essere la soluzione definitivamente più conveniente per la nuova Italia risorta.



    "...In Italia, o meglio negli Stati sardi, esiste proprio la tratta dei Napoletani. Si arrestano da (Caldini soldati napoletani in grande quantità, si stipano ne' bastimenti peggio che non si tarebbe degli animali, e poi si mandano in Genova. Trovandomi testé in quella città ho dovuto assistere ad uno di que' spettacoli che lacerano l'anima. Ho visto giungere bastimenti carichi di quegli infelici, laceri, affamati, piangenti; e sbarcati vennero distesi sulla pubblica strada come cosa da mercato. Alcune centinaia ne furono mandati e chiusi nelle carceri di Fenestrelle: un ottomila di questi antichi soldati Napoletani vennero concentrati nel campo di S. Maurizio".
    "...Da un giornale di Milano si narra che un certo avvocato ed un ufficiale, iti a vedere i prigionieri della Cittadella, appressarono ad un gruppo di essi... e quando i due curiosi vollero persuader loro che, per trarsi di quella miseria, si risolvessero d'ingaggiarsi al servizio del Governo sardo, quelli recatisi in atteggiamento nobilmente altiero, che faceva singolare contrasto coi cenci ond'erano coperti, risposero ricisamente: Uno Dio ed uno Re!... "
    "Nella nuova realtà italiana la pratica e i metodi concentrazionari verranno eletti a sistema e si delineerà una costante ben consolidata che farà da motivo conduttore alla politica dell'ordine pubblico sino alla fne del secolo. Da ciò deriva che nel Meridione d'Italia la politica di repressione non trae la giustificazione dall'eccezionaiità della guerra civile, ma è l'originario e convinto approccio colonialista che porta il Piemonte a tenere il Sud in un permanente stato di soggezione sia militare che economico, dal momento che esso è semplicemente considerato territorio di conquista, il cui inserimento nella realtà nazionale ha solo carattere subalterno".

    PrefazionePag.7
    Introduzione"21
    Ringraziamenti"29
    Parte prima
    L'identità negata:
    II soldato napoletano tra deportazione,
    rieducazione e resistenza."31
    I - La lunga marcia"33
    II -II sistema concentrazionario: l'organizzazione"51
    III - L'apparato concentrazionario: i campi"61
    IV -I refrattari"75

    Parte seconda
    La finzione della libertà:
    Pianificazione dell'arbitrio e sistemi carcerari
    nell'Italia post-unitaria"91
    V - Torni in Italia Signor Gladstone!"93
    VI - La soluzione finale"145

    Appendice"153
    1Con lagrime agli occhi e veleno nel cuore.
    Il diario inedito di un soldato napoletano."155
    2 II Piemonte.
    In pericolo di diventare napoletano."169
    3 I prigionieri di Napoli dopo la libertà.
    La protesta di 50 avvocati del Foro napoletano."175
    4 La verità riguardo a Napoli.
    Una lettera ad un giornale inglese."181
    Bibliografia"187
    Indice dei luoghi"193
    Indice dei nomi"199

    I LAGER DEI SAVOIA
    ( Storia infame del Risorgimento nei campi di concentramento per meridionali)
    Fulvio Izzo
    Un doveroso pugno nello stomaco. La farsa risorgimentale mostra finalmente il suo volto di tragedia immane per la popolazione meridionale, l’esercito Duosicilianonon solo sconfitto ma umiliato in campi di prigionia che potevano, quasi un secolo prima, competere per ferocia repressiva con quelli nazisti di triste fama. Il fatto che nella storiografia ufficiale non si sia mai accennato alle deportazioni e alle sofferenze dei prigionieri meridionali, dei quali moltissimideceduti nei campi di Finestrelle e San Maurizio in Piemonte, non è comprensibile e soprattutto non è giustificabile. Pur a distanza di tempo se ne deve chiedere conto e l’autore, attraverso la Sua appassionata e coerente esposizione, fornisce gli elementi storici necessari e sufficienti.

    SE SIETE INTERESSATI AL LIBRO, 10€, CONTTATEMI IN PVT !!!

  2. #2
    Gaeta resiste ancora!
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    Predefinito

    LA FORTEZZA DI FENESTRELLE
    Hitler non inventò nulla che non fosse stato fatto prima dai Savoia
    (dal PeriodicoDueSicilie 11/1998)
    Quando il comitato di redazione di Nazione Napoletana - Edizione Nord - decise di fare
    questo inserto, le indicazioni per RIN, l'autore di questo pezzo, furono quelle di fare una
    ricerca sulla Fortezza delle Fenestrelle, dove vennero rinchiusi i prigionieri Napolitani
    nel 1860. In realtà ne è venuto fuori qualcosa di diverso e, piú che delle Fenestrelle,
    l'inserto parla delle terribili sofferenze che sono state inferte ai nostri soldati
    dall'aggressore piemontese.
    A questo punto avrei dovuto cambiare il titolo, poiché solo verso la fine, e solo con una
    breve descrizione, si parla delle Fenestrelle, che fu, come leggerete, la "soluzione
    finale" per tanti nostri sventurati soldati. Ho voluto, tuttavia, lasciare intatto questo
    titolo perché Fenestrelle è al di là della sua storia. Fenestrelle identifica, infatti, i Savoia
    e i Piemontesi. La fortezza è cioè una "costruzione simbolo di popolo": come lo è il
    Colosseo per i Romani, il Maschio Angioino per i Napolitani, la statua della libertà per
    gli Americani, cosí come i tanti monumenti in ogni città del mondo. Fenestrelle è un
    simbolo vergognoso, e identifica in modo esemplare quali sono stati i valori dei Savoia
    e dei Piemontesi, ma la costruzione è citata in un depliant turistico dalla Regione
    Piemonte come luogo da visitare, perché incarna lo "spirito europeo" (sic).
    Noi della redazione conosciamo benissimo le capacità dell'autore: paziente e
    instancabile ricercatore, puntiglioso nel trovare le prove delle vicende e, seppure
    appassionato patriota, equilibrato nei giudizi. Proprio per questo le notizie che sono
    venute fuori hanno suscitato in tutti noi un vero e proprio sgomento, indignazione e una
    profonda rabbia. Certo, dopo 138 anni da quegli avvenimenti, può far sembrare
    incredibile provare ancora questi sentimenti, ma vi accorgerete, leggendo, che queste
    sono le sensazioni che, frase dopo frase, montano dentro la mente di ogni lettore, anche
    non di parte.
    Antonio Pagano
    EUROPA : LA MADRE DI TUTTE LE STRAGI
    Quando si accenna a sterminii di guerra, l'immaginario collettivo fa prontamente
    riferimento ai campi di concentramento nazisti di Auschwitz, Buchenwald, Mauthausen
    ed altri che la televisione e i film hanno reso tristemente familiari. Un po' meno
    familiari sono gli sterminii compiuti dai sovietici contro le nazionalità dell'Europa
    orientale e dai Giapponesi contro il popolo cinese e i popoli del sud-est asiatico.
    In Europa, alla fine della II Guerra Mondiale, che causò una mattanza infinita, dopo
    parecchi anni di silenzio, ma soprattutto perché il padre Stalin tolse l'incomodo della sua
    presenza da questo mondo, a poco a poco cominciarono ad emergere, dagli archivi dei
    servizi segreti, i fatti agghiaccianti delle fosse di Katyn in cui i sovietici fecero macello
    dell'ufficialità polacca deportata dopo la spartizione della Polonia con la Germania
    nazista. Le foto dell'orribile massacro, migliaia di scheletri, oltre diecimila, riportati alla
    luce, fecero in un baleno il giro del mondo, il mostro, esaltato per parecchi lustri, cioè
    da quelli che non avevano degustato il paradiso sovietico, il mostro, dicevo, divino
    modello di protettore dei popoli contro l'imperialismo americano ed occidentale, era
    stato finalmente smascherato. Accortamente gli oppositori ideologici del sistema
    sovietico se ne servirono polemicamente per lunghi anni, ma oggi purtroppo quasi
    nessuno dei giovani sa di quell'infame genocidio e, forse, neppure gli anziani lo
    ricordano piú, tempestati come sono, in questo secolo cosí breve, da notizie sempre piú
    atroci.
    STRAGI NELLE DUE SICILIE
    Eppure il massacro di Katyn, finalizzato all'eliminazione di qualunque opposizione
    all'imperialismo sovietico, non era, sul piano storico, una novità nel panorama dei
    crimini di guerra. Senza far mente a Napoleone, che in fatto di sterminii fu un campione
    ineguagliato per oltre un secolo, basti al riguardo citare solo le stragi perpetrate dai suoi
    generali nella invasione delle Due Sicilie nel 1799 che però non piegarono il nostro
    popolo, come con lealtà ammise uno di essi, il Thièbault (i Napoletani ci insegnarono a
    temerli come uomini... Sebbene siano stati battuti dappertutto e, senza contare le perdite
    che subirono durante i combattimenti, piú di sessantamila di essi siano stati passati a fil
    di spada, sulle macerie delle loro città o sulle ceneri delle loro capanne, NON LI
    ABBIAMO MAI LASCIATI VINTI) [altro che tremila morti di cui parla Colletta,
    N.d.R.] sappiamo delle terribili stragi etniche nel nostro Sud dal 1860 in poi, tipo quelle
    di Scurcola Marsicana, Pizzoli, Isernia, Pontelandolfo, Casalduni, Montefalcione e tante
    altre, documentate sia da storici delle Due Sicilie che da memorie militari di alcuni
    criminali generali invasori protagonisti degli eccidii, per i quali, anche se post mortem,
    prima o poi dovrà essere istruito un Tribunale di Norimberga: "Le SS del 1860 e degli
    anni successivi si chiamarono, per gli abitanti dell'ex Reame, piemontesi, afferma con
    sacrosanta ragione Alianello in "La Conquista del Sud" (Rusconi, 1994, pag. 261) e
    inoltre (a pag. 257): "Morti a cataste. torme di schiavi ai lavori forzati, schiere di esuli,
    senza casa e senza pane, senza onore, si vanno aggirando per le strade d'Italia, d'un'altra
    Italia. ostile. beffarda, dovunque accolte dal sospetto che è anche terrore e ripugnanza
    persino. Il destino del Sud è ormai fissato per cento anni almeno" grazie anche a tutti gli
    scellerati collaborazionisti, tantissimi, di casa nostra.
    Antonio Ciano, nel suo libro
    ""I Savoia e il massacro del Sud", parla di un milione di
    morti "
    acc'si", cifra non inverosimile dal momento che il corpo di occupazione
    piemontese, "
    che disponeva ormai di tutta la forza d'Italia" (Francesco II), compresa la
    guardia nazionale di trista memoria, assommava nel 1865, anno del massimo sforzo
    contro la resistenza meridionale, a mezzo milione di uomini, cioè A TANTI QUANTI
    GLI AMERICANI NELLA GUERRA DEL VIETNAM.
    "Se si traesse il novero dei
    fucilati, dei morti nelle zuffe, dè carcerati dal Piemonte, per soggiogare il Regno di
    Napoli, senza fallo si troverebbe assai ma
    ggiore di quello dei voti del plebiscito,

    strappati con la punta del pugnale e colle minacce del moschetto..."
    riferisce La Civiltà
    Cattolica (Serie IV, Vol. XI, 1861, pag. 618). Come dire che i morti, nel 1861 mese di
    agosto, superavano già di gran lunga il milione trecentomila. Infatti i risultati del
    cosiddetto plebiscito, truccati ed estorti con i moschetti alla gola, risultarono essere:
    1.302.064 Sí contro 10.312 No. La menzogna di tali numeri è scolpita, per chi avesse
    ancora qualche dubbio in proposito, nella lettera da Napoli a Ruggero Bonghi n. 3298
    datata 20 marzo 1861 del Carteggio di Cavour,
    La Liberazione (!!!) del Mezzogiorno,
    vol.
    IV pag. 398, Zanichelli: " ... Ieri è stato il giorno piú solenne per dimostrare lo
    scontento di tutto il popolo. Il 14 fu la festa del Re ', non lumi, non feste, non un evviva
    :..
    il 18, proclamazione del Regno d'Italia, silenzio di morte..."

    SOLUZIONE FINALE PER L'ARMATA DEL SUD
    Poco o per nulla invece si è parlato dello STERMINIO DELL'ARMATA DELLE DUE
    SICILIE. Eppure, documenti che accennano a luoghi e cifre dei deportati
    "desaparesidos"
    nei campi di concentramento sabaudi (regolarmente dimenticati dagli
    "storici"
    prezzolati di regime) esistono e come! per esempio, la seguente lettera di
    Cavour a Farini, luogotenente a Napoli, datata 21 novembre 1860, n. 2551 del citato
    Carteggio, vol. III:
    "Carissimo amico. Io vi prego a nome pure dei miei colleghi a
    rifletterci ancora sopra prima di spedire qui tutte le truppe napoletane che il Papa e i
    Francesi ci restituiscono
    (si tratta di 12.000 soldati fatti prigionieri a Terracina, là
    inviati dal Re Francesco II perché tornassero nel Regno dalla parte degli Abruzzi,
    N.d.R.).
    è, a parer mio, atto impolitico sotto tutti gli aspetti. Il trattare tanta parte del
    popolo da prigionieri non è mezzo di conciliare al nuovo regime le popolazioni del
    Regno. Il pensare di trasformarli in soldati dell'esercito nazionale è impossibile e
    inopportuno. Pochissimi consentono ad entrare volontariamente nel nostro esercito, il
    costringerli a farlo sarà dannoso anziché utile almeno per ciò che riflette gran parte di
    essi
    . Ho pregato Lamarmora di visitare lui stesso i prigionieri che sono a Milano. Lo
    fece con quella cura che reca nell'adempimento di tutti i suoi doveri. Poscia mi scrisse
    dichiarandomi che il vecchio soldato napoletano era canaglia di cui era impossibile
    trarre partito; che corromperebbe i nostri soldati se si mettesse in mezzo a loro. Credo
    che bisogna fare una scelta, mandare a casa tutti quelli che hanno piú di due anni di
    servizio, dichiarando loro che al menomo disordine sarebbero richiamati sotto le armi
    e mandati a battaglioni di rigore. Tenere sotto le armi quelli che non hanno compiti due
    anni di servizio e quelli fonderli nei reggimenti, costringendoli a servire per amore o
    per forza. Vi prego di comunicare queste idee a Fanti,
    invitandolo a nome del
    Consiglio a soprassedere almeno per qualche tempo dallo spedire a Genova quegli
    ospiti incomodi
    ... Vi mando la lettera di Lamarmora sui prigionieri Napoletani... ".

    Vediamo quale era la lettera che questo generalone aveva inviato al suo Hitler in
    sedicesimo il 18 novembre 1860 (non si meraviglino i lettori per tale accostamento:
    Hitler invase la Francia attraverso il Belgio e l'Olanda, il conte dracula il Regno
    attraverso lo Stato pontificio): "...
    Non ti devo lasciar ignorare che i prigionieri
    Napoletani dimostrano un pessimo spirito. Su 1600 che si trovano a Milano non
    arriveranno a 100 quelli che acconsenton a prendere servizio. Sono tutti coperti di
    rogna e di vermina, moltissimi affetti da mal d'occhi
    ... e quel che è piú dimostrano
    avversione a prendere da noi servizio. Jeri a taluni che con arroganza pretendevano
    aver il diritto di andar a casa perché non volevano prestare un nuovo giuramento,
    avendo giurato fedeltà a Francesco secondo, gli rinfacciai che per il loro Re erano
    scappati, e ora per la Patria comune, e per il Re eletto si rifiutavan a servire, che erano
    un branco di carogne che avressimo trovato modo di metterli alla ragione. Non so per
    verità che cosa si potrà fare di questa canaglia, e per carità non si pensi a levare da
    questi Reggimenti altre Compagnie surrogandole con questa feccia. I giovani forse
    potremo utilizzarli, ma i vecchi, e son molti, bisogna disfarsene al piú presto".

    Le condizioni igieniche erano spaventose, ma non per questo il soldato napolitano
    perdeva orgoglio e maestà. Da questa lettera emerge a tutto tondo il volto della vera
    canaglia, lui, il Lamarmora, il codardo che finché era al sicuro macellava a Gaeta il
    nostro esercito con i cannoni rigati francesi e i fucili inglesi, sostenuto dalle massime
    potenze mondiali di allora che erano venute a dichiararci una guerra altrettanto
    mondiale, ma che, nel 1866, a Custoza, nonostante che le sue forze fossero quattro volte
    superiori a quelle di Alberto d'Austria, fuggiva piú veloce di un coniglio in compagnia
    di tutti quegli altri scellerati come Cialdini, il boia numero uno, che si erano distinti nel
    crocifiggere prima i nostri fanti sul Volturno, a Gaeta, a Civitella e a Messina e poi il
    nostro popolo indifeso che gli si opponeva con le falci, coi forconi e con le pietre:
    tanti
    presi, tanti fucilati,
    questo era il motto di quegli assassini. Ma nonostante le fucilazioni
    a catena elargite con sadica disinvoltura dal barbaro aggressore, una fierissima
    resistenza antiunitaria dilagava in tutto il Sud. Resistenza che purtroppo solo
    sporadicamente era capeggiata da ufficiali fedeli alla Patria napolitana. La cosa fu
    messa in risalto dal Vice Ammiraglio Leopoldo Del Re, Incaricato del Portafoglio degli
    Affari Esteri del Governo Napolitano in esilio, in data 7 settembre 1861, cioè
    esattamente un anno dopo l'inizio della resistenza, in risposta al memorandum di
    Ricasoli: "...
    Ai numerosi soldati che si battono contro l'invasore non mancano, come
    invece pretende Ricasoli, capi volontari e non mancherebbero loro neanche i generali
    napoletani,
    se i proconsoli piemontesi, temendo ciò, non li avessero arrestati tutti, con
    pochissime eccezioni e inviati a Genova, ad Alessandria, a Fenestrelle
    ... Questa
    misura ha colpito generali e ufficiali superiori nonostante gli accordi di Capua, Gaeta
    e Messina, e che non erano tra quelli che il Piemonte avrebbe potuto decorare con
    l'ordine di S. Maurizio
    ... "

    I FEDELISSIMI
    Eppure, agli sforzi assassini che il bandito Cialdini compiva contro Gaeta, la
    Guarnigione della Cittadella rispondeva impavidamente, sotto l'uragano delle bombe,
    con un ri-giuramento di fedeltà alla Patria duosiciliana e al Re Francesco Il. Leggiamolo
    assieme.
    "Sire.
    In mezzo al deplorevoli avvenimenti, di cui la tristezza dè tempi ci rese spettatori
    dolenti e indignati,
    noi sottoscritti ufficiali della guarnigione di Gaeta, uniti in una
    ferma volontà,
    veniamo a rinnovare l'omaggio della nostra fedeltà dinanzi al vostro
    trono, reso piú venerabile e piú splendido dall'infortunio. Cingendoci la spada,
    noi
    giurammo che la bandiera affidataci da V.M. sarebbe da noi difesa anche a prezzo di
    tutto il nostro sangue
    . Ed è a questo giuramento che noi vogliamo rimanere fedeli
    qualunque sieno le privazioni, le sofferenze e i pericoli ai quali ci chiama la voce dè
    nostri capi;
    noi sacrificheremo con gioia le nostre fortune, la nostra vita e qualunque
    altro bene per il trionfo e pei bisogni della causa comune
    . Gelosi custodi di quell'onor
    militare che solo distingue il soldato dal bandito, noi vogliamo mostrare a V.M. ed
    all'Europa intera che, se molti dè nostri, col tradimento e colla viltà, hanno bruttato il
    nome dell'Armata Napoletana, fu pur grande il numero di coloro che si sforzano di
    trasmetterlo puro e senza macchia alla posterità. Che il nostro destino sia presto
    deciso, o che un lungo periodo di sofferenze e di lotte ci attenda ancora, noi
    affronteremo la nostra sorte con docilità e senza paura, colla calma fiera e dignitosa
    che si conviene ai soldati, noi andremo incontro alla gioia del trionfo o alla morte dei
    prodi, innalzando l'antico nostro grido di "Viva il Re".

    Il generale Tito Battaglini, nel suo libro
    "Il crollo militare del Regno delle Due Sicilie",

    vol. 2, pag. 63, riferisce circa i prigionieri: a Gaeta
    "la forza capitolata fu di 920
    ufficiali con 25 generali, avendo altri tre seguito il Re a Roma, e di 10. 600 uomini di
    truppa, fra i quali 800 ammalati e feriti
    ". Durante l'assedio, sempre secondo il citato
    generale, "
    le perdite, borboniche furono di 1079 uomini... fra cui 17 ufficiali... per tifo
    decedettero 9 ufficiali e 307 soldati".
    La costruzione dell'ITALIA UNA E
    INDIVISIBILE marciava su un oceano di cadaveri napolitani e di distruzioni infinite: i
    mali di oggi sono figli di quelli di ieri. Ma era solo l'inizio. Il popolo delle Due Sicilie
    avrebbe conosciuto ben altri orrori, ben altre distruzioni, per mano dei
    "fratelli
    liberatori"
    discesi dal nord, degni emuli dei loro barbari antenati del V e VI secolo.
    Ecco come lo stesso criminale di guerra Cialdini scrisse al suo degno compare il
    Generale Fanti il 18 febbraio 1861:
    "I danni alla piazza eccedono le nostre previsioni.
    Alcune zone ricordano Sebastopoli. Due o tre giorni di fuoco intenso, come era nella
    mia intenzione di fare, avrebbe letteralmente distrutto Gaeta".
    Ma Francesco II, che i
    parricidi unitaristi
    "o chiammavano scemo e Lasagnone" (ma annascunneva 'o core e
    nu lione)
    (F. Russo, '0 surdato 'e Gaeta, XII), aveva capito che la resistenza a Gaeta
    aveva i minuti contati e, quale Capo Supremo della fortezza e dell'esercito, essendosi
    raggiunto lo scopo politico della resistenza all'aggressione, prese la decisione suprema
    di trattare la resa per non far trucidare ormai inutilmente tutti i suoi soldati sotto le

    fraterne
    bombe del Camillone e compari ("Primma 'e nce fa trattà peggio d' 'e cane, /
    pr'mma 'e nce fa murí mm'ezo 'e turmiente, / isso dicette: No! Basta! Fernimmo!
    Sarraggio Rre, ma ve so' patre, appr'mmo!)
    (F. Russo: '0 surdato 'e Gaeta, XXIX). Ma
    le forze che, con fedeltà ed eroico furore, si erano battute sul Volturno, questa Waterloo
    delle Due Sicilie, ascendevano ad oltre quarantamila uomini. Di questi circa dodicimila
    non potendo trovar rifugio nella fortezza erano stati inviati in territorio pontificio con la
    segreta speranza che i francesi che presidiavano
    "amichevolmente" quello Stato non
    impedissero il ritorno nel Regno dalla parte degli Abruzzi per dar inizio alla resistenza.
    Ma i transalpini erano alleati dei piemontesi per via della cessione del Nizzardo e della
    Savoia avvenuta tra la fine del 1859 e il 1860, per la quale cessione i piemontesi
    agognavano a un compenso. Perciò i francogalli erano nemici non tanto occulti delle
    Due Sicilie insieme agli inglesi nemici dichiarati
    (... L'Inghilterra apertamente, e la
    Francia sottomano, ci eccitano a finirla. Non si dia pensiero della diplomazia. Rimanga
    a Gaeta o se ne vada il Re [Francesco II], noi dobbiamo senz'esitare andare a Napoli)

    (lettera n. 1097 di Cavour a Fanti il 2 ottobre 1860, in Carteggio di Cavour, vol. III, pag.
    11). Ma i Francesi li fecero prigionieri e senza tanti complimenti li spedirono in regalo
    ai piemontesi.
    DEPORTAZIONE DEI PRIGIONIERI
    A Capua, da parte del Generale Enrico Morozzo Della Rocca, erano stati fatti altri
    11.500 prigionieri, altri 2.600 dal Garibaldone in due tornate sul Volturno. Siamo perciò
    ai quarantamila di cui il generale Fanti parla al suo astuto padrone nel dispaccio n. 2545
    datato Napoli 19 novembre 1860, riportato a pag. 347 del terzo volume della citata
    corrispondenza di Cavour: "
    Se V.E. non noleggia dei vapori all'estero e subito pel
    trasporto, è impossibile uscire da questo labirinto .
    .. ve ne vogliono ... altri pei 40mila
    prigionieri di guerra".
    Costui ritorna sull'argomento nella successiva lettera n. 2580 del
    25 novembre: " ...
    Mi pare che nella grande urgenza di molti trasporti sarebbe
    necessario noleggiarne e contrattarne in Genova od altrove pel trasporto a Genova da
    Civitavecchia o Terracina dei prigionieri di guerra Napolitani che rendono i
    Francesi...".
    Tali lettere affermano due cose: che i prigionieri devono essere deportati al
    nord e, implicitamente, che la flotta napolitana, regalata al nemico dai parricidi traditori
    e fusa con quella piemontese
    (Decret fusion marine Napolitaine et Sarde émané ...)
    (dispaccio di Cavour n. 2583 del 25 novembre 1860 al Vittorione), non ha equipaggi,
    perché i marinai hanno disertato in blocco per raggiungere il loro legittimo Re a Gaeta.
    A tali prigionieri bisognerà poi aggiungere i capitolati delle fortezze della Sicilia ultime
    a cadere: Augusta, Milazzo, Siracusa e Messina (solo in quest'ultima 152 ufficiali e
    4138 fra graduati e soldati; - v. C. Cesari
    L'assedio di Gaeta, pag. 172). Si arriva cosí
    alla cifra di cinquantaseimila prigionieri citati da quel degno figlio di Caronte, il
    generale Cialdini, nella polemica lettera del 21 aprile 1861 diretta al Garibaldone,
    pubblicata sulla Gazzetta di Torino: "...
    Generale, voi compiste una grande e
    meravigliosa impresa coi vostri volontari. Avete ragione di menarne vanto, ma avete
    torto di esagerarne i veri risultati. Voi eravate sul Volturno in pessime condizioni
    quando noi arrivammo. Capua, Gaeta, Messina e Civitella, non caddero per opera
    vostra, e
    CINQUANTASEIMILA borbonici furono battuti, dispersi e fatti prigionieri

    da noi, non da voi
    ... Nel vostro legittimo orgoglio, non dimenticate, o generale. che
    l'armata e la flotta nostra vi ebbero qualche parte,
    distruggendo molto piú della metà
    dell'esercito napoletano
    , e prendendo le quattro fortezze dello stato
    ...
    Le Armate di Terra e di Mare delle Due Sicilie ammontavano infatti a oltre centomila
    uomini, che bisognava calzare, equipaggiare, dotare di armi leggere, pesanti, di navi, etc
    ... La perdita di tali commesse, assegnate dal 1860 in poi solo ai nordisti, ha fatto
    precipitare nel nulla la nostra industria che da allora non conta nemmeno come il due di
    briscola. In qualunque Stato l'industria della armi, per quanto eticamente abominevole,
    rappresenta fin dall'epoca degli Ittiti il fulcro di qualunque ricerca industriale e di
    supremazia in tutti i campi. Nella nostra Patria, venuto a mancare tale volàno, era
    inevitabile che si cadesse nel sottosviluppo economico e culturale con conseguente
    oceanica emigrazione.

    DEPORTAZIONE DEI GENERALI
    Nella caduta di Gaeta erano stati fatti prigionieri 25 generali:
    Tenenti generali: Casella,
    Ritucci, Salzano, Sigrist, Milon;
    Marescialli: Schelembri, Afan de Rivera, Tabacchi;

    Brigadieri:
    Melendez, Marulli, Polizzy, Antonelli, Bertolini, Sanchez de Luna, Micci,
    D'Orgemont, Pelosi, Lovera, Muti, Albanese, Palumbo, De Dominicis, Paterna,
    Tedeschi e Vecchione.
    Già prima della resa di Gaeta si incomincia ad arrestare
    generali precedentemente capitolati.
    La notizia vien data dal generale piemontese
    Della Rocca in un telegramma del 2 gennaio 1861 al suo criminal superiore Cialdini:

    "Sono stati arrestati cinque generali borbonici"
    (colonnello Cesare Cesari: L'assedio di
    Gaeta, pag.
    115). Il 18 febbraio 1861, cioè appena cinque giorni dopo la caduta di
    Gaeta, il generale piemontese Fanti, capo di Stato maggiore generale nonché ministro
    della guerra, scriveva a Cialdini:
    "Approvo che V.E. abbia mandato i prigionieri di
    Guerra nelle isole".
    Era l'inizio delle deportazioni: isole, Livorno, Genova, Savona, poi
    a piedi per i campi di concentramento piemontesi di Alessandria, S. Maurizio Canavese,
    S. Benigno Canavese, Lombardore, S. Benigno di Genova, Fenestrelle e anche di
    Milano. Ma già prima della resa di Gaeta era pure cominciato il calvario dei nostri
    soldati prigionieri: " ...
    tra le parecchie migliaia di prigionieri, tramutati nell'Italia
    superiore,
    benché tentati colla fame, col freddo in clima per essi rigidissimo, e, con
    ogni genere, di privazioni, appena i tre o quattro sopra cento si piegarono ad arrolarsi
    nelle milizie di un altro Re, e quasi tutti, all'invito, non fecero altra risposta, che questa
    molto laconica:
    Il nostro Re sta a Gaeta" (La Civiltà Cattolica, serie IV., vol. IX pag.
    304, 25 gennaio 1861) e a pag. 306
    "i poveri fantaccini regnicoli che nella Cittadella di
    Milano
    [l'odierno Castello Sforzesco, trasformato da fortezza militare in monumento
    civile verso il 1898, N.d.R.],
    in questi rigori di verno, vestiti alla leggera come se
    fossero di state a Mergellina, vivono di due once di riso"
    e a pag. 367: "Per vincere la
    resistenza dei prigionieri di guerra,
    già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe
    ricorso ad uno spediente crudele e disumano, che fa fremere
    . Quei meschinelli, appena
    coperti da cenci di tela, e rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane
    e acqua e una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e
    d'altri luoghi posti nei piú aspri luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sí
    caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie,
    eccoli gittati, peggio che non si fa coi
    negri schiavi, a spasimar di fame e di stento fra le ghiacciaie!
    E ciò perché fedeli al
    loro Giuramento militare ed al legittimo Re! Simili infamie gridano vendetta da Dio, e
    tosto o tardi l'otterranno
    ". Il corrispondente ritorna, con parole ancora piú drammatiche,
    sull'argomento prigionieri nel vol. XI, serie IV, 14 settembre 1861, pag. 752: ...
    i
    Torinesi avevano corso un altro pericolo, di venire, cioè conquistati dai Napoletani e di
    vedere la bandiera di Francesco II sventolare sulla torre di palazzo Madama. In Italia

    ...
    esiste proprio la tratta dei Napoletani. Si arrestano da Cialdini soldati napoletani in
    gran quantità, si stipano nè bastimenti peggio che non si farebbe degli animali, e poi
    si mandano in Genova.
    Trovandomi testé in quella città ho dovuto assistere ad uno di
    què spettacoli che lacerano l'anima. Ho visto giungere
    bastimenti carichi di quegli
    infelici, laceri, affamati, piangenti;
    e sbarcati vennero distesi sulla pubblica strada
    come cosa da mercato. Spettacolo doloroso che si rinnova ogni giorno in Via Assarotti
    dove è un deposito di questi sventurati. Alcune centinaia ne furono mandati e chiusi
    nelle
    carceri di Fenestrelle, equi la
    malesuada fames et turpis egestas li indusse a
    cospirare; e se non si riusciva in tempo a sventare la congiura, essi 'mpadronivansi del
    forte di Fenestrelle, e poi unendosi con migliaia di altri napoletani incorporati
    nell'esercito, piombavano su Torino.
    Un OTTOMILA di questi antichi soldati
    Napoletani vennero concentrati nel campo di S. Maurizio, ma il governo li considera
    come nemici
    , e, dice l'Opinione, che "a tutela della sicurezza pubblica sia dei dintorni,
    sia del campo, furono inviati a S. Maurizio due battaglioni di fanteria". Ma si sa che
    inoltre vi stanno a Guardia qualche batteria di cannoni, alcuni squadroni di cavalleria,
    e, piú battaglioni di bersaglieri, tanto ne hanno paura! E cotestoro, cosí guardati e
    malmenati, pensate con che valore vorranno poi combattere pel Piemonte! Eccovi in
    che modo si fa l'Italia!".
    Intanto si va a caccia, con forsennata tenacia, di ufficiali
    Napolitani:
    "la polizia ... per mettersi al sicuro che, in caso di una sedizione popolare
    mancassero i capi militari atti a governarla ... arrestò di botto sei Generali
    dell'esercito napolitano.
    .. spacciando di averli scoperti complici d'una tremenda
    congiura; ed inoltre intimò a moltissimi ufficiali .
    .. che dovessero costituirsi prigionieri
    in varie castella
    ... ecco le centinaia d'innocenti oppressi e stretti in duro carcere".

    IL GRANDE SATANA
    Chi era il machiavellico e spietato Tigellino, il turpe proconsole che faceva arrestare
    ufficiali e generali delle Due Sicilie? Un piemontese forse? NO! Era lo scellerato
    rinnegato cerebroleso Silvio Spaventa di Bomba (Chieti), nominato, con decreto del 17
    gennaio 1861 in piena resistenza di Gaeta, ministro di polizia dalla famelica cariatide
    Carignano, obeso da medaglioni e collaroni alla maresciallo sovietico Jakubovskji
    (dispaccio n. 2966 di Nigra nel citato carteggio:
    "La nouvelle administration sera
    composée probable-ment demain. Poerio s'est chargé de proposer au Pr'nce les noms
    des nouveaux Conseillers; il a proposé Romano à l'Interieur, Avossa, Justice, Spaventa,
    Pol'ce, Imbriani, Instruction publ'que
    ...). Su questo maganzese kapò, condannato a
    morte da un tribunale del Regno, ma graziato da Ferdinando II, riferiamo un giudizio
    dell'eroico cappellano, reduce da Gaeta, don Giuseppe Buttà CHE LO CONOSCEVA
    PERSONALMENTE per averlo praticato per parecchio tempo
    (I Barboni di Napoli,

    1877, vol. II, pag. 507):
    "Io lo conobbi questo superbo pezzente di Bomba ... Si vendicò
    con perseguitare tanti onesti e valorosi uffiziali, capitolati di Capua e di Gaeta
    ... Lo
    Spaventa salí a' primi posti nel nuovo stato del regno d'Italia, sempre maledetto da'
    suoi stessi amici, se pure mai ne avesse avuti. Oggi, mentre scrivo, trovasi tra i Cesars
    declassès ma egli, son sicuro, rivenderebbe la patria e l'anima sua a Satana per riavere
    per un giorno, un'ora, un minuto di quel potere birresco per cui sembra nato".

    Sentiamo quel che ne dice La Civiltà Cattolica a pag. 503: "
    A reggere la cosa pubblica
    e rifare il Regno fu posto, come si sa, il sig. Silvio Spaventa, del quale si può ben dire
    che regna e governa; poiché del Principe Luogotenente
    [cioè il Carignano, N.d.R.] e del
    Segretario Generale Nigra appena è mai che si senta proferire il nome. Lo Spaventa,
    che per molte parti è degno successore di Don Liborio Romano, procede con mezzi
    molto diversi. Don Liborio avea sciolti i galeotti a centinaia e commessa loro la
    custodia dell'ordine pubblico; e la sicurezza cittadina, guarentita dai Camorristi,
    trionfava a quel modo che tutti sanno. Lo Spaventa ebbe ribrezzo di tale infamia, diede
    la caccia ai galeotti liberati ... Ma per farsi perdonare queste severità, procurò di
    offerire ogni quindicina di giorni, una bella ecatombe di realisti borbonici in sacrifizio
    della rivoluzione fremente. E gli caddero opportunamente sotto la mano certe denunzie
    di suoi cagnotti o di traditori, per dargli pretesto a carcerare, come cospiratori, il Duca
    di Caianiello, monsignor Trotta, e qualche centinaio di uomini dabbene, con riserva di
    trovare o fabbricare poi le ragioni giuridiche di condannarli.".
    Vediamo che cosa
    profferisce del suo avo-zio la pronipote Elena Croce, che certamente doveva sapere
    qualcosa dei vizi di famiglia:
    "La caricatura del persecutore di camorristi che assume,
    sembianze di capo camorrista, elaborata a Napoli durante la Luogotenenza, acquistava
    automaticamente, coi fatti di settembre, nuovo corso. Si disse che Spaventa, chiamati i
    suoi sgherri napoletani, aveva dato dal suo ufficio, con un colpo di pistola, il segnale
    perché la truppa aprisse il fuoco sui dimostranti, ed era restato a guardare
    freddamente, dietro i vetri, fumando un sigaro".
    Lo dice ma subito dopo lo nega (Elena
    Croce: Silvio Spaventa, Adelphi, 1969, a pag. 200). Il conte legittimista de Christen
    dice
    "Monsieur Spaventa, ancien chef des camorristi de Naples". Eufemisticamente la
    pronipote lo dice
    impopolarissimo (pag. 160). Una caricatura di Camillo Marietti, del 24
    gennaio 1865, rappresenta questo
    "augel notturno, sepolcrale e tristo" con corpo e
    zampe di rapace e testa con occhi di gufo. Ancora, nel 1863, all'epoca della Legge Pica
    di famigerata memoria
    (legge terribile, dai procedimenti sbrigativi e sommari ...

    strumento di dispotismo arbitrario e furibondo,
    secondo la Enciclopedia Italiana, voce
    Brigantaggio) formava al Ministero degli Interni, con Pica e Peruzzi che tale legge
    avevano ideato e firmato, una trimurti di scellerati delinquenti di Stato
    (Mmiezo a nui na
    rètena 'e farabbutte / ca tradevano 'a Patria) (F. Russo: '0 surdato 'e Gaeta).
    Orbene,
    costui, chiamato dal padrone piemontese C. Nigra a rapporto epistolare, cosí scriveva da
    Napoli il 19 febbraio 1861 (in allegato alla lettera del Nigra a Cavour n. 3161 del 22
    febbraio 1861):

    "Eccellenza, Rispondo al suo pregevole foglio del 13 corrente. Sin dal mese scorso ho
    mandato al Generale Della Rocca un ufizio, esponendogli le ragioni, per le quali
    io
    aveva ordinato l'arresto di alcuni Generali del disciolto Esercito Borbonico
    . Glielo
    accludo trascritto, e la prego di trasmetterlo a S.E. il Presidente dei Ministri ed al
    Ministro della Guerra, perché potrà convincerli che l'arresto di quegli officiali non è
    stato sotto alcun rispetto illegale, ed era reso indispensabile dalle condizioni
    eccezionali, in cui versava il paese. Non avrei a dirle altro, se non sentissi il debito di
    sottoporle che gli officiali arrestati non hanno il diritto d'invocare la speciale
    protezione del ministro della guerra, e quelle garanzie, onde sono rivestiti i soli militari
    riconosciuti dal Governo. Ed invero gli ufficiali, quando furono arrestati, erano in
    questa condizione. Alcuni, ed erano pochissimi, avevano già fatto adesione al governo
    del Re. Altri o ritornavano dagli Stati Pontificii ovvero forniti di congedo illimitato di
    Francesco 2i venivan da Gaeta. Né gli uni, né gli altri possono essere considerati come
    militari, e sotto la dipendenza immediata del Ministro della Guerra. Il grado d'ufficiale
    e i diritti che ne derivano, non possono esser conferiti che da un brevetto firmato dal
    Re. L'adesione che alcuni uffiziali avean fatto al nuovo ordine di cose, non dava loro se
    non la facoltà di chiedere d'essere ammessi nell'Esercito Italiano. Il che si ricava da'
    Decreti del 28 Novembre e del 9 dicembre 1860 per determinare la posizione dei
    Signori Uffiziali, impiegati amministrativi, etc. procedenti dallo Esercito regolare dello
    scaduto governo delle Due Sicilie, i quali giustificassero d'aver fatto regolare,
    adesione, al nuovo ordine di Cose
    .

    L'adesione, adunque non conferiva loro alcuna qualità. Era necessario che la
    Commissione istituita disaminasse la loro condotta ed i loro requisito, e desse il suo
    avviso, il quale quante volte fosse stato favorevole, sarebbe stato sottoposto
    all'approvazione del Ministro della Guerra ed alla sanzione del Re.
    Gli altri officiali,
    che tornavano da Gaeta o da Roma, non possono sotto alcun rispetto essere
    riguardati neanco essi come militari riconosciuti dal Governo. A prima vista parrebbe
    che si dovessero considerare come prigionieri di guerra. Questo Dicastero non crede
    dover fare una minuta discussione su questo proposito.
    è certo però che il Ministero
    della Guerra non ha preso verso di loro alcuno di quei provvedimenti che soglionsi
    verso i prigionieri di guerra adoperare, e quindi ha dimostrato col fatto che egli non
    riconosceva questo carattere negli officiali reduci da Gaeta e da Roma.
    Quanto a me,
    credo che costoro, anziché prigionieri di guerra, possano essere ravvisati come ribelli

    al Re ed alla Nazione; perocché persistettero a battersi dopo il plebiscito; dopo che il
    Re alla testa dell'esercito era venuto a prender possesso di questa parte d'Italia, dopo
    che il governo nazionale era costituito di fatto e di dritto su tutto il territorio di queste
    Provincie.
    Lo stesso Comando della Piazza di questa città non ha ravvisato sotto altro aspetto la
    condizione di cotesti officiali. Ed in vero, quando questo Dicastero lo richiedeva che
    provvedesse a' mezzi di sostenerli in carcere, si rifiutava con uficio del 7 Gennaio di
    questo anno, dichiarando di non poter riconoscere il carattere di ufficiali negli
    arrestati.
    Né dissimile è stato l'avviso del Direttore della Guerra, come appare, da un suo ufficio
    del 14 detto mese.
    Non tralascierò di scrivere al Generale della Rocca
    , perché avvalori presso il Ministro
    della Guerra della sua autorità le ragioni che giustificano il provvedimento di rigore
    contro i generali del disciolto esercito, e che egli medesimo aveva approvato".

    Vi sono infamie che non bisogna dimenticare e non stancarsi mai di ricordare
    come pure non bisogna mai dimenticare l'eroismo di quelli che tentarono l'estrema
    difesa della Patria con sacrificio della vita contro le carogne piemontesi e
    garibaldine.
    Questo furfante matricolato, datosi al nemico con tutta l'anima, vero clone
    del famigerato Manhès di trucida memoria, con le sue disquisizioni apparentemente
    logiche e dotte non solo si metteva sotto i piedi il trattato della resa di Gaeta, con cui
    Francesco II aveva tentato di garantire un minimo di sopravvivenza ai suoi soldati ed
    ufficiali, ma ne diventava pure l'aguzzino. è questo il motivo per cui pubblichiamo per
    intero la lettera summenzionata, perché il lettore possa rendersi conto di che briganti
    (verissimi) si impadronirono del nostro Stato. Ma già in un altro precedente rapporto dei
    10 gennaio 1861 al Nigra (lettera n. 2961 del citato carteggio) costui afferma: "...
    ho
    deliberato di prendere energici provvedimenti verso alcuni ufficiali del disciolto
    esercito Borbonico
    ... Era urgente ricorrere a mezzi energici specialmente contro gli
    Uffiziali Superiori, perché piú pericolosi per la loro influenza sovra l'esercito sciolto
    che era il nerbo delle reazioni. Ho creduto ordinare di arrestarli ed inviarli in Alta
    Italia
    ... Elenco dei Generali e Colonnelli del disciolto Esercito Borbonico arrestati per
    ordine di questo dicastero, e
    dei quali alcuni sono già partiti: Sig. Antonio Polizzy,
    Brigadiere; Sig. Girolamo De Liguori, idem; Sig. Giuseppe Ruggiero, idem, Sig.
    Gaetano D'Ambrosio, Colonnello; Sig. Nicola Gherardo Piazzini, Colonnello al ritiro;
    Sig. Generale Bartolo Marra; Sig. Generale Andrea Marra; Sig. Generale Giuseppe
    Palmieri; Sig. Generale Barbalonga".

    GLI ALTRI COMPARI
    Allo Spaventa davan man forte il Carignano, il Della Rocca e Farini (dispaccio n. 2967
    del 16 gennaio 1861 del citato carteggio)
    : "L'arrestation des Generaux et Officiers a été
    faite par Farini de concert avec le General Della Rocca; ils sont plus ou moins
    compromis par correspondances et discours,
    aujourd'hui je les expédé à Génes
    . Je
    désire que de Turin on nous laisse liberté d'action
    ..."
    nonostante che il ministro della
    guerra gen. Fanti (n. 3046 ibidem), per evidenti motivi politici, scrivesse a Cavour "...

    questo Ministero non riconosce a quella Autorità alcuna facoltà per comandare siano
    arrestati generali e Ufficiali...".
    Superflua la traduzione, tanto è lampante. Possiamo
    osservare che gli invasori si esprimono quasi sempre e solo in francese. Che fratelli
    d'Italia!! Che comunanza di linguaggio! Non aveva torto il nostro popolo a ritenerli
    stranieri e a chiamarli francesi e a riversare contro di loro tutto l'odio che dal 1799
    veniva nutrito per tutto ciò che sapeva di transalpino.
    Il 6 giugno 1861 improvvisamente muore il tessitore dell'invasione, il conte dracula
    Cavour. Qualcuno mormora che sia stato avvelenato da quel brigante di Napoleone III. I
    banditi si sa si sbranano tra loro per la divisione del bottino. Il sospetto è legittimo
    perché quel volpone era intenzionato a mettere sul trono di Napoli suo nipote, il figlio di
    Murat. Al Cavour succede Ricasoli. Le cose non cambiano, il lupo cambia il pelo ma
    non il vizio, anzi si va sempre piú duri. Sentiamo che cosa riferisce ancora in proposito
    La Civiltà Cattolica del 21/9/1861 (Serie IV, Vol. XI, pag. 684) in riferimento al mese
    di agosto: "...
    Del resto, se Ricasoli non teme dei Generali ed Uffiziali superiori, perché
    ne fece, per soli sospetti, arrestare in Napoli oltre a TRENTA i quali furono condotti a
    Genova sopra un vapore e colà impediti dal ritornare nel Regno?"
    La notte dell'8
    agosto 1861 ci fu una retata ancora piú nutrita: " ...
    furono arrestati un centinaio di
    personaggi, contro i quali il dispotismo piemontese sarebbe assai impacciato se fosse
    costretto a produrre un tenuissimo indizio di prova che macchinassero qualche cosa
    colpevole; ma che,
    per la legge dei sospetti, furono trattati come rei d'alto tradimento.
    Quattro Marescialli, due Generali, sette Brigadieri, due Colonnelli, due Luogotenenti
    generali, un Maggiore, tre Capitani, un Luogotenente, ed altri uffiziali in numero di 35,
    di recente assaliti nelle loro case, suggetti ad una perquisizione effettuata nei modi piú
    brutali, poi condotti al forte del Carmine, e il giorno appresso, in mezzo a file di
    soldati, come si userebbe con ribaldaglia da galera, scortati al porto,
    cacciati sopra un
    bastimento con qualche centinaio di soldati sbandati caduti in mano a' piemontesi, e
    spediti a Genova
    ... tra i quali son da notare il Fergola, i due Afan de Rivera, il Sigrist,
    il cui delitto evidentemente consiste nella fedeltà e nel valore con cui difesero i diritti
    del loro Re Francesco ... In questo frattempo cinque altre grosse terre del Regno
    venivano barbaramente messe a fuoco e sangue, poi diroccate e distrutte dal furore
    piemontese
    ... Montefalcione, San Marco e Rignano sono anch'essi un mucchio di
    rovine fumanti e sanguinose, che gridano vendetta"
    (La Civiltà Cattolica, vol. XI, serie
    IV, 1861, pag. 617). Qualche pagina dopo (pag. 690) il periodico precisa ulteriormente i
    fatti:
    i piemontesi carcerarono nella città di Napoli piú di QUINDICIMILA persone;
    condussero per forza a Genova, in una sola volta, piú di TRENTA Uffiziali superiori
    dell'esercito napoletano;
    esiliarono o costrinsero colle vessazioni poliziesche ad
    esulare presso che l'intera aristocrazia
    ; il popolo è dato in balía ai fuoriusciti di mezza
    Europa, che sotto il nome di garibaldini, armati di pugnali e di stili, convennero colà,
    sotto la protezione dei Don Liborii e dei Cialdini, come gli sparvieri alla preda.

    L'Europa sa ancora che nella fedelissima città di Napoli vi sono certi cannoni sui
    forti, certi cannoni sulla piazza Reale, certi cannoni che infilano Toledo, certi
    cannoni in tutti i siti, certi battaglioni sempre armati, certe pattuglie sempre in giro,
    certi stili sempre affilati, certa sbirraglia sempre in moto, certi argomenti in somma di
    unità italiana e di concordia fraterna che, se li avesse usati il Re Francesco II, mai
    non sarebbero entrati in Napoli né Garibaldi né Vittorio Emanuele
    ...... E a pag. 726:
    "...
    i due carnefici dell'Italia Settaria, il Cialdini e il Pinelli, stanno mostrando nel
    Regno di Napoli l'effetto della Massoneria ai popoli conquistati.
    LE MIGLIAIA DI
    TRUCIDATI
    col grido sulle labbra di "Viva Dio e Francesco Il nostro Re", e le

    CENERI di MONTEFALCIONE, di CASALDUNI, di
    AULETTA e di
    PONTELANDOLFO,
    attestano quali s'eno le dolcezze che questi cavalieri della libertà
    ritengono in serbo..."

    Gli hitleriani non giunsero a tanti eccidii nella Polonia conquistata.
    Che calvario infinito, che campo di concentramento, che cimitero sconfinato per la
    nostra gente il periodo dal 1860 al 1868.
    Se i sindaci del Sud conoscessero almeno la
    centesima parte dei fatti che stiamo narrando, se serbassero in cuore un minimo di
    dignità e di orgoglio napolitano, se mente e sentimento fossero per la propria gente,
    provvederebbero patriotticamente a purgare le loro città dai nomi di quelle
    carogne assassine.
    Essi, i piemontesi, rifiutarono per ben due volte, perché avevano in
    mente la preda, di dar luogo ad una confederazione tra Napoli e Torino nel comune
    interesse dell'Italia, confederazione che sia Ferdinando Il che il figlio patrocinarono nel
    1848 e nel 1860. Ecco le parole di Ferdinando II:
    "Noi consideriamo com'esistente di
    fatto la Lega Italiana, dacché l'universale consenso dè Principi e dè popoli della
    Penisola ce la fa riguardare come già conchiusa, essendo prossimo a riunirsi in Roma
    il Congresso che
    Noi fummo i primi a proporre; e siamo per essere i primi a mandarvi
    i Rappresentanti di questa parte della gran famiglia italiana".
    Ma Carlo Alberto rispose
    che
    non era tempo di trattare o di conchiudere Leghe, allo stesso modo che
    successivamente farà il Camillone.
    Come fu diversa l'unità a cui pervennero i Tedeschi! Nel 1870, dopo la sconfitta di
    Napoleone III a Sédan ad opera del Bismarck, tutta la miriade di staterelli compresi tra
    il Reno e l'Elba si uní spontaneamente intorno alla Prussia, dando luogo al
    federale Il
    Reich.
    Da allora la Germania ebbe un'ascesa culturale ed economica tale che le disfatte
    di due guerre mondiali non hanno minimamente intaccato. Che cosa è avvenuto da noi
    quando il magnifico verbo dell'unità e del liberal progresso si disvelò? " ...
    nun nce sta
    manco cchiú nu mandarino! / Nun nce sta manco cch'ú na schiocca 'e rosa, / manco 'e
    ffronne nce stanno, int' 'o ciardino! ... Tutto è distrutto! E tuttuquante 'o ssanno..."
    (F.
    Russo:
    '0 ciardino abbandonato).

    Abbiamo cioè subíto stragi e rapine infinite, perso l'indipendenza, la moneta, le buone
    leggi filtrate da ben ottocento anni di ininterrotta unità statale, la nostra bandiera, ma
    soprattutto l'orgoglio napolitano che ci faceva decidere del nostro destíno: a tutto ciò fa
    da buon peso una emigrazione oceanica: le conseguenze nefaste sono sotto gli occhi di
    tutti.
    CAMPI DI CONCENTRAMENTO
    Abbiamo deciso di visitare uno dei Gulag in cui furono relegati i nostri fanti. Abbiamo
    optato per la fortezza di Fenestrelle, questa Grande Muraglia della Val Chisone,
    abbarbicata ad un costone del monte Orsiera (m 2893). Essa è composta da un
    imponente sistema difensivo costituito dal forte S. Carlo, forte Tre Denti, forte Elmo e
    forte delle Valli, collegati fra loro da una scala coperta di 3996 gradini. Per la sua
    costruzione occorsero quasi due secoli. Fu iniziata nel 1727 dopo la pace di Utrecht
    (1713), quando i piemontesi vennero in possesso di quel territorio, precedentemente
    appartenuto alla Francia. Avremmo potuto fare una visitina anche a
    S. Maurizio
    Canavese, San Benigno Canavese, a Lombardore
    (Quando nel settembre del 1861 il
    ministro Ricasoli e Bastogi lo visitarono vi erano rinchiusi oltre 3.000 soldati
    borbonici, tenuti come PRIGIONIERI
    ) (Rivista STORIA RIBELLE, n. 1, 1995), al forte
    S. Benigno di Genova, dove i prigionieri venivano
    "Gittati come branchi di bestie", ad
    Alessandria dove
    "una parte dei prigionieri fu ... chiusa nella cittadella e cacciata in un
    quartiere sotto strettissima guardia, che non li lasciava uscire neanco per le necessità.
    Entro quattro gironi di mura, con passi e contrafossi d'acqua corrente e rivell'ni e
    mezze lune tutto intorno, vedeansi le sentinelle su per le scale e nè corridoi il dí e la
    notte
    ..." (La Civiltà Cattolica, Serie IV, Vol. XI, pag. 589), tutte immagini da seconda
    Guerra Mondiale. Ma, dopo centotrenta e passa anni, avremmo ritrovato ben poco.

    FENESTRELLE, FENESTRELLE
    Siamo dunque arrivati alla fortezza del
    deserto dei tartari,
    in partibus infidelium, in

    una giornata di pioggia torrenziale che
    peggio non poteva essere. Le cime dei
    monti, tutt'intorno, mese di giugno, sono
    ancora imbiancate di neve. Il mesto
    pellegrinaggio conduce alla ricerca
    dell'anima dei nostri padri. Gli scalini che
    portano in vetta alla fortezza ti mozzano il
    fiato per la fatica, sono veramente tanti,
    occorre un allenamento da scalatori. Ci
    fermiamo ad un terzo della scalata vicino
    alla Garitta del Diavolo, da cui si può
    ammirare tutto il panorama della Val
    Chisone verso Pinerolo da un lato e fino al
    Sestriere dall'altro. Silenziosi e cupi ascoltiamo la Guida che, con voce monotona, ma
    chiara, sotto il fragore della pioggia e l'urlo del vento umido comincia a snocciolare
    notizie su questa Lubianka sabaudo-siberiana all'ennesima potenza, dove l'inverno dura
    quasi dieci mesi e il vento, la pioggia, la neve e il ghiaccio la fanno da padrone. I nostri
    occhi frugano le pietre, i muri alla ricerca di antiche tracce, tracce napolitane. Nella
    fioca luce del giorno tutto è spettrale. Una scritta quasi sull'ingresso "
    Ognuno vale non
    in quanto è ma in quanto produce"
    ci folgora, ci lascia di sasso. Ci ricorda che qui c'era
    un inferno: novelli Dante nella dolente città infernale, a testa alta come lui entriamo nel
    luogo degli strazi e del grido di dolore (quello vero, non quello metaforico, falso e
    propagandistico messo in bocca al Vittorione stragista dal suo primo ministro). Dicono
    che la scritta fu apposta durante la Il guerra mondiale, ma forse è lí da sempre, fin da
    quando la fortezza dei tartari assunse il sinistro ruolo di luogo di relegazione e di
    sterminio. Il brigante corso, Napoleone, esperto oppressore, vi relegò finanche un
    principe di Santa Romana Chiesa, il cardinale Bartolomeo Pacca, segretario del papa
    Pio VI, fatto morire in cattività a Valenza nel Delfinato il 29/8/1799.

    CALCE VIVA
    Ci rendiamo conto, e ce ne danno conferma le parole della Guida, che da qui nessun
    Conte di Montecristo poté mai evadere: la vita nella fortezza, anche per i piú robusti,
    non superava i tre mesi. Inoltre, palle di ferro di 16 kg ai piedi tenevano prigionieri i
    prigionieri; si usciva dalla fortezza, libertà nella morte, solo per essere dissolti in una
    grande vasca di calce viva. I tedeschi successivamente affinarono la tecnologia: forni
    crematorii invece dell'ossido di calcio.
    Ecco quale fu, orrore!, la tragica sorte, decretata dai mostri savoiardi, di quasi tutti gli
    ufficiali del Regno delle Due Sicilie deportati (a cui collaborò indefessamente il signor
    Silvio Spaventa) e di gran parte della nostra Armata, a parte quelli che furono
    immediatamente fucilati dopo la resa, come accadde a Civitella del Tronto, per mano
    del rinnegato generale napolitano Mezzacapo, uscito dai ranghi della Nunziatella.
    L'ascesa delle anime dei nostri poveri soldati verso l'aldilà veniva facilitata dalla "scala
    verso il cielo " coperta, che dal fortino Carlo Alberto (a 1154 m) come un gigantesco
    rettile dormiente s'arrampica verso l'alto fino a 1754 metri. Intorno, muraglioni spessi
    parecchi metri che dovevano resistere ad eventuali assedii. Lí e negli altri campi di
    concentramento "Le vittime dovettero essere migliaia anche se non vennero registrate
    da nessuna parte. Morti senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo. Morti di
    nessuno. Terroni" (Lorenzo del Boca, Maledetti Savoia, ed. PIEMME, 1998, pag. 146).
    L'orrendo genocidio ci porta a gridare insieme al poeta
    "
    O VENDETTA DI DIO PERCHÉ PUR GIACI ?"

    Pochi sono stati, eccetto gli storici borbonici, quelli che hanno parlato dei crimini
    savoiardi, come ad esempio il giornalista piemontese Del Boca. Il tanto decantato libro
    del De Cesare,
    La Fine di un Regno, tace assolutamente. Solo questo fatto deve metterci
    in guardia circa la sua presunta obiettività. Perciò leviamo riverenti la mente a Del Boca
    che dedica ben 4 pagine del suo libro ai campi di concentramento sabaudi.
    Il maledetto 1860 fu non solo il dramma di una dinastia, ma la tragedia di tutta una nazione.
    Il castello di lurido retoricume e becere menzogne sotto cui quel cadavere sanguinolento fu sepolto comincia a sfaldarsi.


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