Dure proteste per l’invito a Mosca di rappresentanti di Hamas, che il Cremlino non considera un’organizzazione terroristica

Il più esplicito è il capo di Gabinetto Meir Sheetit: «Putin ha pugnalato Israele alla schiena». Il più diplomatico il presidente Moshe Katsav, che ha parlato «di un passo assurdo». Il più incisivo il Mossad, che, tramite un sito internet di intelligence, ha dimostrato quante affinità e simpatie leghino i fondamentalisti islamici palestinesi ai terroristi ceceni, contro cui Mosca è impegnata da decenni. Tutto inutile: Putin non recede. Anzi, accelera: ieri non solo ha confermato l’invito rivolto a Hamas, ma ha lasciato intendere, tramite Al Jazeera, che l’incontro avverrà molto presto, forse già la settimana prossima.

Non c’è che dire: così come era accaduto a inizio gennaio, in occasione della prima crisi del gas con l’Ucraina, il presidente russo ha colto ancora una volta tutti di sorpresa. Un nuovo Putin. Remissivo e goffo fino all’anno scorso; imprevedibile e audace oggi. Aprendo le porte a Hamas, in decisa controtendenza rispetto alla comunità internazionale, tenta di riconquistare spazi in una regione dove, dai tempi dell’Urss, Mosca non esercitava più un’influenza credibile. Una mossa che di certo non è estemporanea. La Russia continua mantenere buoni rapporti con l’Iran, che è ai ferri corti con Usa e Ue. E da qualche tempo, senza dare nell’occhio, ha rinsaldato la cooperazione con la Siria, cancellando gran parte del suo debito e riprendendo le forniture militari. Damasco, come Teheran, è l’altro regime nel mirino degli Stati Uniti. Il disegno è chiaro: Mosca vuole approfittare dell’inconsueta debolezza di Washington, per tornare ad essere una delle potenze di riferimento in Medio Oriente.

È presto per dire se avrà successo, di certo gli Usa non si aspettavano tanta rapidità e spregiudicatezza. L’impressione è che il governo statunitense non abbia ancora deciso come replicare. Ieri si è limitato a chiedere «chiarimenti» al Cremlino e a insistere sulla matrice terroristica di Hamas, peraltro negata dai russi che non hanno mai inserito questa organizzazione nell’elenco di quelle eversive. E il fatto che la maggior parte delle cancellerie occidentali abbia deplorato la decisione di Putin, non è di grande conforto. La Francia ieri si è distanziata. Pur ammettendo che Mosca ha preso questa decisione senza consultarsi con gli altri membri del Quartetto impegnato nel processo di pace (Stati Uniti, Russia, Unione europea e Onu), Parigi ritiene che l’apertura del dialogo «possa indurre la dirigenza di Hamas ad assumere posizioni più moderate». Ed è questa, ufficialmente, anche l’intenzione di Mosca: «Insisteremo affinché cambino le loro idee», ha dichiarato l’inviato in Medio Oriente Alexander Kaligin.

Ma gli Usa e Israele temono che questa mossa produca l’effetto contrario. Se il gruppo fondamentalista palestinese si persuade che la comunità internazionale non è compatta, tenterà di approfondire la spaccatura dei grandi del mondo, anziché impegnarsi seriamente lungo il cammino di un negoziato con Israele; tanto più che anche la Spagna ha dato il via libera a Putin. E proprio a Madrid le polemiche sono veementi. Per il premier socialista Zapatero il ruolo di Mosca è «determinante» e «insostituibile». Per il Partito popolare, all’opposizione, si tratta invece di un «errore colossale», in un momento in cui l’Europa «deve mantenere una posizione unita e intransigente». Il Pp se la prende direttamente con Mosca: perché Putin dialoga con i terroristi di Hamas, ma rifiuta qualcunque contatto con quelli cecenni, che anzi dice di «di voler eliminare come ratti»? Un’osservazione perlomeno pertinente.