Maurizio Blondet
15/02/2005
Flemming Rose, direttore culturale del giornale danese, il mandante delle vignette anti-islamiche, è dunque stato messo «in congedo illimitato».
Ma non per «quelle» vignette, bensì per altre, che non ha pubblicato.
Il suo licenziamento, vale la pena di ricordarlo, segue a una sua intervista alla CNN: in cui Rose, per dimostrare il suo attaccamento alla libertà d’espressione costi quel che costi, ha lasciato intendere: sì, lui sarebbe disposto a pubblicare sul suo giornale, il Jyllands-Posten, anche le vignette contro gli ebrei che si stanno preparando in Iran, grazie a un concorso indetto da Teheran.
«E’ un errore di giudizio», s’è precipitato a dichiarare il direttore di Rose, Carsten Juste: ed ha messo in congedo illimitato il suo confuso sottoposto.
Rose, l’eroe della libertà, ha persino ringraziato, ammettendo che aveva bisogno di un «lungo periodo di riposo».
Non sentiremo più parlare di lui.
Come dice un lettore: di colpo ci è passata la «freedom of speech».
Ma non è tutto.
L’amico Webster Tarpley (l’autore dell’inchiesta più completa sull’11 settembre: «9/11: Synthetic Terror, Made in Usa», Progressive Press) richiama l’attenzione su alcuni fatti che possono essere stati i preliminari della provocazione-complotto danese. Webster addita, ad esempio, la riunione del gruppo Bilderberg tenutasi in Baviera, al Sofitel di Rottach-Egern presso il lago Tegernsee tra il 5 e l’8 maggio 2005.
A porte chiuse, come al solito.
Ma la lista degli ammessi alla riunione segreta è alquanto istruttiva.
Oltre a varie teste coronate di Olanda, Belgio e Spagna (del resto il Bilderberg fu creato come consesso «atlantista» dal principe Bernardo d’Olanda, e ne è alto patrono Filippo d’Inghilterra), oltre ai soliti banchieri dei Rockefeller e dei Rotschild e ai soliti eurocrati cooptati, oltre a Kissinger, vi hanno partecipato altre persone significative.
Il segretario generale della NATO, Jaap Hoop de Scheffer; e il petroliere danese Anders Eldrep, presidente della Danish Oil and Natural Gas (DONG).
Questo miliardario è il marito di Merete Eldrep, che comanda la casa editrice JP/Politiken Hus: insomma l’azienda che pubblica il Jylland Posten, il giornale delle vignette contro Maometto: controllato evidentemente dagli interessi petroliferi danesi.
Direte: è poco, come indizio.
Il fatto è che gli iniziati del Bilderberg pendevano dalle labbra di tre personaggi notori, anch’essi ammessi alla riunione esclusiva: Richard Perle, Michael Leeden e William Luti.
I tre più attivi dei neocon che, per amore d’Israele, hanno portato gli USA all’invasione dell’Iraq a forza di false informazioni (la parte di Leeden nella falsa storia dell’uranio del Niger, che Saddam avrebbe comprato, è stata più volte raccontata, e ancora più insabbiata).
Ora, i tre falchi di Giuda erano certamente lì a raccomandare la prossima fase: l’aggressione dell’Iran.
E come prepararla psicologicamente.
Quanto alla libertà di stampa della Danimarca: Webster, che ci ha abitato per anni per farvi lavoro di organizzazione politica, può testimoniare di persona «la sorveglianza pervasiva sulle pubblicazioni, i raduni politici e i pubblici discorsi» che vi esercita il Servizio di Intelligence danese, Politiets Efterretningstjeneste (PET): un’organizzazione fra le meno aperte e controllabili del mondo, piena di membri fedelissimi alla monarchia danese, i cui poteri sono stati ulteriormente ampliati dalla nuova legislazione danese sul terrorismo, varata ovviamente dopo l’11 settembre (1). Oggi al governo della Danimarca c’è una coalizione neocon che ha mandato truppe in Iraq.
Quanto all’eroe (ed ora desaparecido scandinavo) Flemming Rose, già abbiamo parlato della sua relazione speciale con Daniel Pipes, l’ebreo-americano che ora dirige l’US Institute for Peace: l’organo del Dipartimento di Stato dal nome sinistramente orwelliano, dato che tutte le energie di Pipes sono dedicate ad attizzare la guerra di civiltà contro gli arabi e l’Islam in generale.
Pipes è stato persino trascinato in giudizio per «hatred and bigotry», per odio razziale, dall’associazione degli arabo-americani.
Flemming Rose andò a trovare Pipes a Washington nell’autunno del 2004, e sull’incontro scrisse un articolo entusiasta: dove ammise che avevano discusso di come mobilitare l’Europa contro il pericolo islamico. «Pipes», scrisse Rose, «è sorpreso che in Europa non viga un allarme maggiore sul pericolo che l’Islam rappresenta [per gli stessi europei], a causa del tasso di fertilità calante [europeo] e dell’indebolirsi del senso della propria storia e cultura [europea]» (Jylland-Posten, 29 ottobre 2006).
Bisognava provvedere a «allarmare» gli europei più di quanto non siano: e Rose ha provveduto.
Come nota Webster, l’affare dei cartoon ha dato voce e forza alle forze xenofobe europee, allo spirito-Fallaci prima tenuto ai margini: ora l’opinione pubblica maggioritaria vede lo scontro di civiltà come inevitabile.
E stranamente, le manifestazioni musulmane (quanto infiltrate da Mossad e MI-6 non sapremo mai) sono state dirette contro ambasciate europee, anche di quei Paesi che non hanno affatto sottoscritto la politica neocon di Bush, come Francia e Germania.
Ovviamente, tutto ciò serve a far accettare agli europei l’attacco all’Iran.
Ormai anche i giornali ufficiosi ammettono che l’attacco avverrà.
Probabilmente a marzo.
Prima di essere fulminato dal coccolone, Sharon aveva ordinato alle sue armate di prepararsi a colpire l’Iran a marzo.
Vladimir Zhirinovsky, il russo di destra, assicura che la data precisa sarà il 28 marzo, giorno delle elezioni in Israele.
Ad essere più preciso - e agghiacciante - è stato Scott Ritter, l’ex ispettore ONU (ex Marine) demonizzato e diffamato per aver sostenuto che Saddam non aveva armi di distruzioni di massa (le aveva, si sa; e Ritter era stato pagato da Saddam, lo hanno scritto i giornali).
La Casa Bianca non aspetterà che il Consiglio di Sicurezza ONU si pronunci sul programma nucleare di Teheran.
Jonh Bolton, l’ambasciatore degli USA all’ONU (necon, ebreo) ha già scritto il discorso che pronuncerà.
«Dirà che l’America non può permettere che l’Iran minacci gli USA [sic], e che l’America perciò deve agire unilaterlamente». Come lo sa Ritter?
«Ho parlato con chi scrive i discorsi di Bolton», ha risposto.
Ritter ha illustrato le fasi della strategia americana.
Prima, le forze USA bombarderanno alcune installazioni-chiave del programma nucleare iraniano; con la speranza che il colpo basti a provocare la rivolta popolare che detronizzerà gli ayatollah.
Se non accade, è probabile che il regime di Teheran risponda con un attacco a Israele: in tal caso, gli americani lanceranno sull’Iran la bomba atomica.
E’ a questo che bisognava preparare gli europei.
Maurizio Blondet
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Note
1) Ciò vale in vari modi per tutti i paesi scandinavi, il cui stato sociale «totale» si basa, fra l’altro, su un controllo sociale ferreo dell’autonomia economica della popolazione. Di fatto, i cittadini s’indebitano fin dall’adolescenza per pagarsi gli studi, aprendo un mutuo per le spese universitarie che dovranno pagare per il resto della loro vita; a ciò si aggiunga il mutuo che accendono per comprarsi la casa, e la seconda casa sui fiordi; debiti a cui se ne aggiungono altri via via. E sul salario, intanto, deve pagare imposte del 50% e più. Legato a questa catena, senza riserve proprie, lo svedese, o il norvegese o il danese tiene la testa bassa tutta la vita: non parla di politica sul posto di lavoro, e nemmeno con gli amici; non esprime idee anticonformiste o controverse; non suscita né partecipa a polemiche, perché l’etichetta di «strano» può danneggiare la sua posizione economica, e la sua capacità di servire il suo debito. Certo, nessuno obbliga lo scandinavo a tacere e a servire: lo fa «liberamente». Tanto più che le libertà trasgressive (sessuali, ecc.), quelle che non mettono in pericolo il potere, gli sono concesse ampiamente.
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