Il vocalist della band di Maroni. Il grafico di An. Amici e conterranei.
Tutti dirigenti nei posti-chiave dei ministeri. Dal centro-destra una
raffica di nomine
di Marco Damilano
L'Espresso
Per colpa di quella nomina al ministero delle Comunicazioni è saltato
perfino il brindisi di Natale. Troppo imbarazzante per Mario Landolfi
festeggiare con alti burocrati, dipendenti e sindacalisti che lo avevano
accusato di «maleducazione istituzionale» dopo un burrascoso incontro con il
sottosegretario Paolo Romani. Così il ministro di An ha preferito disertare
la cerimonia: «Gli auguri ve li faccio dopo la Befana». Dopo la Befana,
invece, è arrivata la nomina: nuovo direttore generale alle comunicazioni
l'uomo che risolve le faccende più delicate per conto del ministro, il vice
capo-gabinetto Giovanni Bruno. Un personaggio che non aveva i requisiti di
legge per accedere alla carica ma che vanta un titolo eccezionale: la sua
nomina ha messo d'accordo tutti. Tutti contro di lui, perfino l'Ugl, il
sindacato della destra.
Vice-prefetto aggiunto, sherpa della corrente di Destra protagonista
Landolfi-Gasparri-La Russa, Bruno dirigerà il dipartimento-chiave del
ministero di largo Brazzà, da cui passano le concessioni televisive, il
digitale terrestre, il contratto di servizio Rai. E resterà al suo posto
anche in caso di vittoria del centro-sinistra. Ma il caso Bruno è solo uno
dei tanti. Arrivati a fine legislatura in tutti i ministeri c'è un solo
imperativo: sopravvivere. Salvarsi, restare inchiodati alla scrivania
nonostante il temuto grande cambio di governo.
Non è un fenomeno inedito: anche nel 2001, al passaggio delle consegne con
il Polo, il governo di centro-sinistra fu generoso nella promozione dei
dirigenti fedeli. Ma l'assalto delle ultime settimane è senza precedenti.
Con una norma esplosiva («eversiva», la definisce un grand commis) che la
maggioranza intende far passare in zona Cesarini, un emendamento al decreto
sulla pubblica amministrazione: se approvato dal Parlamento trasformerebbe
in dirigenti dello Stato un esercito di portaborse, capi segreteria,
galoppini elettorali. Amici di infanzia del ministro. Fedelissimi del
sottosegretario. Grafici di partito, cantanti, indagati per droga,
segretarie. Paracadutati al vertice dell'amministrazione statale, senza
concorso. Dirigenti di prima fascia (stipendio tra i 5.500 e i 6000 euro
netti al mese) o di seconda (tra i 2.700 e i 3500 euro). Lasciati in eredità
al governo successivo.
L'ufficio legislativo del Quirinale, per mano del consigliere giuridico
Salvatore Sechi, ha già fatto conoscere la sua perplessità. Ma il tentativo
è in pieno svolgimento. E chi ha potuto si è già messo al sicuro. Al
ministero dell'Economia sono ruotati tre direttori generali su quattro. Con
qualche carriera sorprendente: come quella di Pietro Fagiani, già
sindacalista della Uil, quindi fondatore dell'associazione Midas, i
dirigenti pubblici di Forza Italia, messo alla guida della direzione più
delicata, il Personale: concorsi, trasferimenti, assunzioni. Al ministero
dei Beni culturali, chez Rocco Buttiglione, il 2006 si è aperto con un
valzer di caselle e una bella sorpresa per il potente capo dipartimento
Francesco Sicilia: grazie all'articolo 15 del famigerato decreto in
discussione alla Camera potrà posticipare l'età della pensione. Con tanto di
notazione a penna sul testo del decreto, pubblicata sul sito del ministero e
poi ritirata, ha rivelato "Il Sole 24 Ore".
E poi ci sono quelli baciati dalla fortuna. Basta vedere la prodigiosa
carriera dell'impiegato comunale Giovanni Daverio. Da ragazzo, tanti anni
fa, si esibiva come vocalist della band Distretto 51, dalle frequenze di
Radio Varese, «l'unica radio libera dell'occidente occupato», come l'avevano
ribattezzata. Da grande si è dedicato a un'altra occupazione, quella delle
cariche ministeriali. Grazie all'aiuto dell'ex tastierista della band, un
tipetto dall'aria furba, Roberto "Bobo" Maroni. Arrivato al ministero del
Welfare Bobo ha ricomposto il complessino. E "Johnny" Daverio si ritrova ora
a capo della cruciale direzione generale per le politiche sociali, la
famiglia, i minori e la responsabilità sociale delle imprese. Un mese fa,
per beneficenza, i due sono tornati a esibirsi al teatro tenda di Varese,
repertorio di Bruce Springsteen e Joe Cocker. Uno spettacolo che ha sciolto
il cuore dei ruvidi redattori della "Padania": «Eccolo il Distretto 51
vent'anni dopo, per nulla imborghesito. Ecco Johnny Daverio, neanche il
caschetto di capelli fa dispetti, si è solo imbiancato...».
C'era tutto il ministero ad applaudirli. Per forza: difficile trovare, ai
piani alti del Welfare, un dirigente che non sia nato a Varese o dintorni.
Varesotta è l'ingegnere Katia Marino, approdata al ministero come consulente
e appena premiata con un contratto quinquennale da dirigente. Varesotta è la
giovane Sonia Prevedello: ha cominciato come segretaria di un istituto
tecnico di Varese, è stata promossa alla Direzione del Fondo per le
politiche sociali che gestisce circa un miliardo di euro. Varesotto, caro
amico del ministro, è il presidente dell'Inps Gian Paolo Sassi. A completare
la squadra c'è capo segreteria di Maroni Serenella Ravioli: anche lei appena
sistemata alla direzione Comunicazione, con contratto quinquennale.
Nostalgici delle nebbie di casa, per consolarsi hanno aperto una sede del
ministero a Milano, nella centralissima via Mazzini. Una sede fantasma,
dicono al Welfare, che non risulta in nessun organigramma. Però pesa sul
bilancio dello Stato: dotata di modernissimi impianti di accesso dei
visitatori, con tanto di riconoscimento biometrico delle impronte digitali,
accoglie gli alti burocrati leghisti in trasferta. Da Roma, dove lavorano, a
Milano, dove vivono. Con tanto di rimborso per la missione, ovviamente. Deve
essere questo che intendono quando parlano di devolution.
Ma i più famelici sono gli uomini di Gianfranco Fini. Al ministero delle
Comunicazioni, dopo la nomina di Bruno, si respira un clima di terrore. A
largo di Brazzà raccontano che il potente direttore generale abbia piazzato
un paio di videocamere nel corridoio che conduce alla sua stanza. Per
controllare il passaggio, sussurrano gli avversari. Ma Bruno non è l'unica
nomina di Landolfi: ci sono i consulenti del ministero, tra cui spicca
Raffaele Chianese detto Lello, vice-sindaco di Mondragone, fortunata
località del casertano che ha dato i natali al ministro. C'è il
capo-segreteria del ministro Fabrizio Penna che è appena diventato
presidente di Poste e Trasporti Spa. E un altro intimo del ministro, Enrico
Pacifico, è stato nominato membro del collegio revisori dei conti di Ipost,
Istituto Postelegrafici. Risulta vacante da qualche settimana il comitato
per la tutela dei minori in tv, ma non c'è da temere: Landolfi provvederà.
Al ministero delle Attività produttive, a fianco di un altro colonnello di
An, il vice-ministro Adolfo Urso, si è piazzato Massimo Arlechino. Ex
professore di educazione tecnica, ha l'indubbio merito di aver inventato
graficamente il simbolo di An nel 1993. Nello stesso ministero è stato
reintegrato al suo posto da dirigente della divisione enti cooperativi il
calabrese Armando De Bonis, nonostante il coinvolgimento nell'operazione
anti-droga Cleopatra che gli costò l'arresto due anni fa. Al ministero dei
Lavori pubblici è stato da poco promosso direttore generale della
regolazione Domenico Crocco, capo segreteria del sottosegretario Ugo
Martinat. Anche il portavoce di Gianni Alemanno Cristiano Carocci si è
accaparrato una direzione generale alle politiche agricole: per i diritti
dei consumatori. E un tipo riconoscente come Francesco Storace? Non
dimentica gli amici: per questo il ministro della Salute spinge per
collocare il suo uomo di fiducia Alessandro Ridolfi alla direzione
dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, nonostante il parere
unanimemente contrario delle Regioni.
Il feudo indiscusso di An, indubbiamente, resta il dipartimento anti-droga
presso la presidenza del Consiglio. Un anno fa (quando era sotto il
controllo di Gianfranco Fini) ha sostituito l'omonima direzione generale
presso il ministero del Welfare. Con relativa moltiplicazione di poltrone:
al posto di un direttore generale e due dirigenti ci sono quattro direttori
generali e dieci dirigenti, più un capo dipartimento. Il deus ex machina è
l'ex militante del Fronte della Gioventù Andrea Fantoma, al suo attivo ha
campagne a favore di San Patrignano, un corso anti-droga per dj e cubiste
nella regione Lazio durante l'era Storace e l'organizzazione della recente
conferenza sulle tossicodipendenze di Palermo disertata da tutte le più
importanti comunità di recupero. Ad affiancarlo, di recente, è arrivata
Sofia Pain, già segretaria particolare di Fini. Dirigente di seconda fascia,
i posti di prima, come al teatro, erano già tutti occupati, ma assegnata
all'ufficio che gestisce gli interventi finanziari.
Adesso si attende l'ondata di piena. Cinquecento portaborse da assumere ope
legis, previo superamento di un esame colloquio su materie istituzionali,
«da tenersi entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge», recita
l'emendamento firmato dal senatore di Forza Italia Franco Asciutti. Trenta
giorni/ giusto prima delle elezioni. Il Quirinale assicura attenzione.
Basterà per fermare l'ultimo assalto?