Originariamente Scritto da
Pieffebi
dal quotidiano LIBERO di oggi...........un ottimo articolo di Feltri, da non perdere. Una cronaca esattissima di una commemorazione patetica di un'ideologia infame e del mito mistificante della "diversità" dei comunisti italiani.....
" SÌ, CI TOCCA RIVOTARE SILVIO
di VITTORIO FELTRI
Pagina 1 - Siparietto in tv da Lerner mi dà la certezza: la sinistra non è cambiata né cambierà. Restano comunisti anche all'ombra di Prodi. Per cui...
Un programma televisivo di nicchia su una rete minore, anche se si avvale di collaboratori di alto lignaggio, può essere utile a capire in quale razza di Paese viviamo e dove tira il vento. Mi riferisco all'Infedele, condotto da Gad Lerner; l'ultima puntata è andata in onda mercoledì (La7), ed era dedicata al libro di Rossana Rossanda, "Una ragazza del secolo scorso", pubblicato da Einaudi, la Casa editrice acquistata da Silvio Berlusconi in punto di morte e riportata in salute (detto per completezza d'informazione). Mi accomodo in poltrona con uno spirito particolare: vediamo un po' cosa c'è ancora da dire sul Comunismo. Difatti il saggio della Rossanda di questo tratta: il marxismo c'è o ce fa? Mi scuso per la banalizzazione, ma aggiungo che le grandi tragedie dell'umanità si compiono sempre per motivi banali, nel caso specifico: utopia, sacrificio della ragione in nome di alti ideali, paura. Che dico, terrore. Comincia la trasmissione, le telecamere inquadrano gli ospiti e ho subito la sensazione di trovarmi in un raduno di ex combattenti e reduci. Combattenti e reduci di una grande battaglia finita da cani non perché il comunismo fosse sbagliato, ma perché hanno sbagliato i generali ai quali era affidata la sua realizzazione. Come tutti i reduci, gli ospiti di Lerner (buona parte) parlano tra loro da iniziati e non si preoccupano di fornire spiegazioni ai profani né di giustificare i propri errori, gli abbagli, l'assoggettamento pieno agli ordini crudeli delle dittature. Hanno l'aria di saputi, voi volgari borghesucci non potete comprendere, noi eravamo animati da nobili ideali di giustizia, volevamo riscattare il popolo, strapparlo allo sfruttamento, dargli dignità eccetera. Parterre autorevole: attorno alla protagonista Rossanda, autrice del libro in discussione nonché tra i fondatori del Manifesto, uno dei fogli più boriosi dell'universo, spiccano Paolo Madera, docente universitario, talmente innamorato del comunismo da baciarne le spoglie; Paolo Silienti (collaboratore del fu Mattioli); De Rita, noto sociologo; Gianni Riotta, ex Manifesto e vicedirettore del Corriere della Sera; Massimo D'Alema, già, proprio lui; il nostro Renatone Farina e il professor Ernesto Galli della Loggia, penna illustre, testa lucida. Ma il dibattito non decolla. I reduci si commemorano. Abbiamo perso eppure siamo i migliori, semo bravi, semo bèi, semo fotomodèi. Non potrebbe essere diversamente in un convegno di gente che ha sempre avuto il monopolio della moralità superiore e mantiene di diritto il ruolo di giudice, questo è bene e questo è male. Ci aspettiamo un'analisi e un'autocritica, visto che il comunismo è imploso ed è fallito quasi dovunque si fosse materializzato. Invece niente. Sì, d'accordo, Stalin non era correttissimo, dei gulag probabilmente si poteva fare a meno, l'invasione dell'Ungheria forse non era necessaria, la Cecoslovacchia andava magari risparmiata, però il comunismo va assolto e, se ci sono dei colpevoli, bé, questi vanno ricercati fra i traditori della idea. Chiara l'antifona? A un dato momento Galli della Loggia con estremo garbo segnala alla Rossanda: gentile signora, non dubito delle eccellenti intenzioni dei compagni italiani, tuttavia è scontato che il comunismo è stato un disastro che coinvolse e coinvolge mezzo mondo, e un milione e mezzo di compagni italiani onesti non ne attenuano la portata. Un discorso sensato, non troppo polemico. Chiunque avrebbe abbozzato. Viceversa i nostri reduci si ostinano. Si intorcinano in una serie di elocubrazioni. I morti ammazzati, le stragi, le iniquità delle dittature rosse passano in secondo piano, incidenti della storia. Madera nel suo candido delirio sostiene che comunque, ecatombe a parte, l'applicazione pur difettosa del marxismo ha aiutato l'umanità più di quanto l'abbia ferita. La catasta di cadaveri sotto cui si è infranto il sogno collettivista non conta. Contano i pensieri alati dei fondatori del Manifesto, giornale tutt'ora in edicola con una scritta significativa in prima pagina: quotidiano comunista. Come se nell'Unione Sovietica non fosse accaduto niente di grave, come se i carriarmati marchiati falce e martello non avessero schiacciato qualsiasi anelito di libertà, come se Pol Pot e Mao fossero stati dei boy scouts. Sia lodato Farina che ha provato a scuotere la granitiche certezze dei reduci orgogliosi della loro cecità: come avete fatto a rimanere comunisti dopo aver letto Solzenicyn, quello di Una giornata di Ivan Denisovic, di Il primo cerchio, di Arcipelago Gulag? Alla domandina facile facile non c'è stata risposta, anche perché il reduce (di Lotta Continua) Gad Lerner ha preferito interrompere chi l'aveva posta e deviare la conversazione sulla bella gente del Manifesto, così colta, così raffinata e chic. Ecco il vero problema del comunismo italiano: si è smarrito nel cachemire e nella vigogna, intento non a interpretare le esigenze delle classi sfortunate, della maggioranza sofferente, bensì quelle della borghesia, alla quale si è rivolto col desiderio di sedurla rimanendone sedotta. Non è per fatalità che ancora oggi gli intellettuali col birignao siano di sinistra e abbiano atteggiamenti snobistici. Il Pci puntava alle folle per strapparne il voto, ma lisciava il pelo alla borghesia e la voleva con sé, blandendola, coccolandola, imitandola, assumendone i vizi e le debolezze. Ciononostante non ha mai smesso di essere filosovietico, tant'è che ai funerali di Breznev la delegazione italiana fu praticamente una comitiva, capeggiata da Pertini e composta dai vertici di Botteghe Oscure ben allineati dinanzi alla bara del dittatoreburocrate e leggermente assassino. Altro che strappo fra Pci e Pcus, una semplice smagliatura. Quando gli Stati Uniti risposero all'Urss (che aveva installato missili pronti a colpire l'Italia) armando Comiso, gli intellettuali del nostro simpatico Paese organizzarono un corteo naturalmente antiamericano. Slogan: meglio rossi che morti. Nella circostanza nacque il pacifismo-spaghetti. Eccoli i comunisti perbenino ospitati da Gad Lerner a La7 perché si dessero pacche sulle spalle: coraggio, siamo ancora la crème, l'intellighenzia, celebriamoci, semo bravi, semo bèi, semo fotomodèi. Chissenefrega dell'Ungheria, della Cecoslovacchia, dell'Afghanistan, di Cuba, della Corea del Nord. Obietta la signora Rossanda, così dolce, così educata: ma io non ero filosovietica. Vero. Eri tifosa della Rivoluzione culturale di Mao, che fece più vittime di cento bombe atomiche. Una serata televisiva istruttiva. Sotto i maglioncini di cachemire i cuori comunisti si sono salvati e battono sul quadrante della vergogna: a conclusione dell'Infedele non hanno cantato bandiera rossa solo perché non sanno cantare. Galli della Loggia e Farina esterrefatti. A me veniva da ridere. Pensare che sfottono Berlusconi perché vede comunisti dappertutto. Ha ragione. Si vedono anche in tivù mentre partecipano alla festa della nostalgia. Belli eleganti chic. E D'Alema? Ha detto la verità: abbiamo cambiato l'insegna della bottega perché la ditta era in dissesto. Peccato che prima del Pci fosse crollato il Muro di Berlino. Peccato che l'Urss fosse evaporata nel 1991. Insomma, l'avanguardia berlingueriana è arrivata in ritardo, apré la music, Intellettuali dei miei stivali. Sono talmente sicuri della loro forza da farsi rappresentare alle prossime elezioni da Prodi, un dossettiano molle e sfiatato. E magari sono capaci di vincere. Ma non ci credo. "
Saluti liberali