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  1. #1
    SENATORE di POL
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    Predefinito Nonostante Tutto...meglio Berlusconi

    dal quotidiano LIBERO di oggi...........un ottimo articolo di Feltri, da non perdere. Una cronaca esattissima di una commemorazione patetica di un'ideologia infame e del mito mistificante della "diversità" dei comunisti italiani.....

    " SÌ, CI TOCCA RIVOTARE SILVIO

    di VITTORIO FELTRI


    Pagina 1 - Siparietto in tv da Lerner mi dà la certezza: la sinistra non è cambiata né cambierà. Restano comunisti anche all'ombra di Prodi. Per cui...
    Un programma televisivo di nicchia su una rete minore, anche se si avvale di collaboratori di alto lignaggio, può essere utile a capire in quale razza di Paese viviamo e dove tira il vento. Mi riferisco all'Infedele, condotto da Gad Lerner; l'ultima puntata è andata in onda mercoledì (La7), ed era dedicata al libro di Rossana Rossanda, "Una ragazza del secolo scorso", pubblicato da Einaudi, la Casa editrice acquistata da Silvio Berlusconi in punto di morte e riportata in salute (detto per completezza d'informazione). Mi accomodo in poltrona con uno spirito particolare: vediamo un po' cosa c'è ancora da dire sul Comunismo. Difatti il saggio della Rossanda di questo tratta: il marxismo c'è o ce fa? Mi scuso per la banalizzazione, ma aggiungo che le grandi tragedie dell'umanità si compiono sempre per motivi banali, nel caso specifico: utopia, sacrificio della ragione in nome di alti ideali, paura. Che dico, terrore. Comincia la trasmissione, le telecamere inquadrano gli ospiti e ho subito la sensazione di trovarmi in un raduno di ex combattenti e reduci. Combattenti e reduci di una grande battaglia finita da cani non perché il comunismo fosse sbagliato, ma perché hanno sbagliato i generali ai quali era affidata la sua realizzazione. Come tutti i reduci, gli ospiti di Lerner (buona parte) parlano tra loro da iniziati e non si preoccupano di fornire spiegazioni ai profani né di giustificare i propri errori, gli abbagli, l'assoggettamento pieno agli ordini crudeli delle dittature. Hanno l'aria di saputi, voi volgari borghesucci non potete comprendere, noi eravamo animati da nobili ideali di giustizia, volevamo riscattare il popolo, strapparlo allo sfruttamento, dargli dignità eccetera. Parterre autorevole: attorno alla protagonista Rossanda, autrice del libro in discussione nonché tra i fondatori del Manifesto, uno dei fogli più boriosi dell'universo, spiccano Paolo Madera, docente universitario, talmente innamorato del comunismo da baciarne le spoglie; Paolo Silienti (collaboratore del fu Mattioli); De Rita, noto sociologo; Gianni Riotta, ex Manifesto e vicedirettore del Corriere della Sera; Massimo D'Alema, già, proprio lui; il nostro Renatone Farina e il professor Ernesto Galli della Loggia, penna illustre, testa lucida. Ma il dibattito non decolla. I reduci si commemorano. Abbiamo perso eppure siamo i migliori, semo bravi, semo bèi, semo fotomodèi. Non potrebbe essere diversamente in un convegno di gente che ha sempre avuto il monopolio della moralità superiore e mantiene di diritto il ruolo di giudice, questo è bene e questo è male. Ci aspettiamo un'analisi e un'autocritica, visto che il comunismo è imploso ed è fallito quasi dovunque si fosse materializzato. Invece niente. Sì, d'accordo, Stalin non era correttissimo, dei gulag probabilmente si poteva fare a meno, l'invasione dell'Ungheria forse non era necessaria, la Cecoslovacchia andava magari risparmiata, però il comunismo va assolto e, se ci sono dei colpevoli, bé, questi vanno ricercati fra i traditori della idea. Chiara l'antifona? A un dato momento Galli della Loggia con estremo garbo segnala alla Rossanda: gentile signora, non dubito delle eccellenti intenzioni dei compagni italiani, tuttavia è scontato che il comunismo è stato un disastro che coinvolse e coinvolge mezzo mondo, e un milione e mezzo di compagni italiani onesti non ne attenuano la portata. Un discorso sensato, non troppo polemico. Chiunque avrebbe abbozzato. Viceversa i nostri reduci si ostinano. Si intorcinano in una serie di elocubrazioni. I morti ammazzati, le stragi, le iniquità delle dittature rosse passano in secondo piano, incidenti della storia. Madera nel suo candido delirio sostiene che comunque, ecatombe a parte, l'applicazione pur difettosa del marxismo ha aiutato l'umanità più di quanto l'abbia ferita. La catasta di cadaveri sotto cui si è infranto il sogno collettivista non conta. Contano i pensieri alati dei fondatori del Manifesto, giornale tutt'ora in edicola con una scritta significativa in prima pagina: quotidiano comunista. Come se nell'Unione Sovietica non fosse accaduto niente di grave, come se i carriarmati marchiati falce e martello non avessero schiacciato qualsiasi anelito di libertà, come se Pol Pot e Mao fossero stati dei boy scouts. Sia lodato Farina che ha provato a scuotere la granitiche certezze dei reduci orgogliosi della loro cecità: come avete fatto a rimanere comunisti dopo aver letto Solzenicyn, quello di Una giornata di Ivan Denisovic, di Il primo cerchio, di Arcipelago Gulag? Alla domandina facile facile non c'è stata risposta, anche perché il reduce (di Lotta Continua) Gad Lerner ha preferito interrompere chi l'aveva posta e deviare la conversazione sulla bella gente del Manifesto, così colta, così raffinata e chic. Ecco il vero problema del comunismo italiano: si è smarrito nel cachemire e nella vigogna, intento non a interpretare le esigenze delle classi sfortunate, della maggioranza sofferente, bensì quelle della borghesia, alla quale si è rivolto col desiderio di sedurla rimanendone sedotta. Non è per fatalità che ancora oggi gli intellettuali col birignao siano di sinistra e abbiano atteggiamenti snobistici. Il Pci puntava alle folle per strapparne il voto, ma lisciava il pelo alla borghesia e la voleva con sé, blandendola, coccolandola, imitandola, assumendone i vizi e le debolezze. Ciononostante non ha mai smesso di essere filosovietico, tant'è che ai funerali di Breznev la delegazione italiana fu praticamente una comitiva, capeggiata da Pertini e composta dai vertici di Botteghe Oscure ben allineati dinanzi alla bara del dittatoreburocrate e leggermente assassino. Altro che strappo fra Pci e Pcus, una semplice smagliatura. Quando gli Stati Uniti risposero all'Urss (che aveva installato missili pronti a colpire l'Italia) armando Comiso, gli intellettuali del nostro simpatico Paese organizzarono un corteo naturalmente antiamericano. Slogan: meglio rossi che morti. Nella circostanza nacque il pacifismo-spaghetti. Eccoli i comunisti perbenino ospitati da Gad Lerner a La7 perché si dessero pacche sulle spalle: coraggio, siamo ancora la crème, l'intellighenzia, celebriamoci, semo bravi, semo bèi, semo fotomodèi. Chissenefrega dell'Ungheria, della Cecoslovacchia, dell'Afghanistan, di Cuba, della Corea del Nord. Obietta la signora Rossanda, così dolce, così educata: ma io non ero filosovietica. Vero. Eri tifosa della Rivoluzione culturale di Mao, che fece più vittime di cento bombe atomiche. Una serata televisiva istruttiva. Sotto i maglioncini di cachemire i cuori comunisti si sono salvati e battono sul quadrante della vergogna: a conclusione dell'Infedele non hanno cantato bandiera rossa solo perché non sanno cantare. Galli della Loggia e Farina esterrefatti. A me veniva da ridere. Pensare che sfottono Berlusconi perché vede comunisti dappertutto. Ha ragione. Si vedono anche in tivù mentre partecipano alla festa della nostalgia. Belli eleganti chic. E D'Alema? Ha detto la verità: abbiamo cambiato l'insegna della bottega perché la ditta era in dissesto. Peccato che prima del Pci fosse crollato il Muro di Berlino. Peccato che l'Urss fosse evaporata nel 1991. Insomma, l'avanguardia berlingueriana è arrivata in ritardo, apré la music, Intellettuali dei miei stivali. Sono talmente sicuri della loro forza da farsi rappresentare alle prossime elezioni da Prodi, un dossettiano molle e sfiatato. E magari sono capaci di vincere. Ma non ci credo.
    "


    Saluti liberali

  2. #2
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    La politica oggi è berlusconizzata

    di Davide Giacalone

    Appena dodici anni fa, nel 1994, i sondaggi erano considerati, dalle menti fini e ben cresciute, roba da baluba. Berlusconi “scendeva in campo” (sovvertendo l’idea che la politica stesse in alto) armato di sondaggi, ricerche di mercato, focus group, e tutti i possessori di almeno un libro edito da Adelphi lo guardarono con sussiego: inguaribile venditore di prosciutti. Sono passati solo dodici anni, ed una volta esaurito l’alato dibattito su fascisti e trotzkisti, adesso non si parla altro che di sondaggi. Dodici anni dopo la politica è berlusconizzata, specie nel suo versante che pretende d’essere antiberlusconiano. Solo che quando si subisce l’influenza culturale di altri, inevitabilmente, si perde di personalità e di lucidità. Se così non fosse, i signori della sinistra avrebbero già percepito che c’è un solo modo per rimettere l’avversario sulla via della rimonta, c’è un solo modo per aiutarlo in modo decisivo, e consiste nel far credere che Prodi & D’Alema hanno già vinto. Se è vero che a Berlusconi non si attaglia l’abito del perdente, è anche vero che la vittoria ad un tandem di quel tipo disturba più di un elettore. I sondaggi non sono roba demoniaca, solo che si deve saperli utilizzare. A poco più di un mese dalle elezioni non serve a nulla farsi dire di quanto si è in vantaggio, servirebbe capire qual è l’umore che determina un quarto degli elettori a mandare tutti a quel paese, decidendo di non votare.

    A che servono due, tre, quattro punti di vantaggio se poi il 25 per cento se ne sta in bilico sul burrone? Quel quarto d’italiani è composto da gente che non ci crede più, che non si entusiasma per quei brodi riscaldati che sono i programmi elettorali. Non sono i soli, perché dello stesso umore è anche gran parte di quelli che a votare ci andranno, e ci andranno non a manifestare un voto “per” qualche cosa o qualcuno, ma “contro” le cose e gli uomini degli altri. Ma mentre il fronte degli elettori contro Berlusconi è saldo e compatto da tempo, quello di chi voterà contro Prodi si va ricomponendo mano a mano che la campagna elettorale procede e la vittoria della sinistra s’annuncia imminente. Se la sinistra avesse veramente il “polso del Paese”, se disponesse realmente del vantato rapporto con i cittadini, la smetterebbe di accettare lo scucuzzarsi percentualistico e trascinerebbe il confronto sulle proprie buone ragioni programmatiche. Ad avercele! Perché io le 281 pagine del programma le ho lette, e sono rimasto atterrito dalla confusione, contraddittorietà, conservatorismo, corporativismo e cattivo italiano. Voteremo il 9 di aprile, come fosse un sondaggio sui sondaggi. Ed il giorno dopo si aprirà il vero conflitto politico, fra i vincitori.

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da Pieffebi
    dal quotidiano LIBERO di oggi...........un ottimo articolo di Feltri, da non perdere. Una cronaca esattissima di una commemorazione patetica di un'ideologia infame e del mito mistificante della "diversità" dei comunisti italiani.....

    " SÌ, CI TOCCA RIVOTARE SILVIO

    di VITTORIO FELTRI


    Pagina 1 - Siparietto in tv da Lerner mi dà la certezza: la sinistra non è cambiata né cambierà. Restano comunisti anche all'ombra di Prodi. Per cui...
    Un programma televisivo di nicchia su una rete minore, anche se si avvale di collaboratori di alto lignaggio, può essere utile a capire in quale razza di Paese viviamo e dove tira il vento. Mi riferisco all'Infedele, condotto da Gad Lerner; l'ultima puntata è andata in onda mercoledì (La7), ed era dedicata al libro di Rossana Rossanda, "Una ragazza del secolo scorso", pubblicato da Einaudi, la Casa editrice acquistata da Silvio Berlusconi in punto di morte e riportata in salute (detto per completezza d'informazione). Mi accomodo in poltrona con uno spirito particolare: vediamo un po' cosa c'è ancora da dire sul Comunismo. Difatti il saggio della Rossanda di questo tratta: il marxismo c'è o ce fa? Mi scuso per la banalizzazione, ma aggiungo che le grandi tragedie dell'umanità si compiono sempre per motivi banali, nel caso specifico: utopia, sacrificio della ragione in nome di alti ideali, paura. Che dico, terrore. Comincia la trasmissione, le telecamere inquadrano gli ospiti e ho subito la sensazione di trovarmi in un raduno di ex combattenti e reduci. Combattenti e reduci di una grande battaglia finita da cani non perché il comunismo fosse sbagliato, ma perché hanno sbagliato i generali ai quali era affidata la sua realizzazione. Come tutti i reduci, gli ospiti di Lerner (buona parte) parlano tra loro da iniziati e non si preoccupano di fornire spiegazioni ai profani né di giustificare i propri errori, gli abbagli, l'assoggettamento pieno agli ordini crudeli delle dittature. Hanno l'aria di saputi, voi volgari borghesucci non potete comprendere, noi eravamo animati da nobili ideali di giustizia, volevamo riscattare il popolo, strapparlo allo sfruttamento, dargli dignità eccetera. Parterre autorevole: attorno alla protagonista Rossanda, autrice del libro in discussione nonché tra i fondatori del Manifesto, uno dei fogli più boriosi dell'universo, spiccano Paolo Madera, docente universitario, talmente innamorato del comunismo da baciarne le spoglie; Paolo Silienti (collaboratore del fu Mattioli); De Rita, noto sociologo; Gianni Riotta, ex Manifesto e vicedirettore del Corriere della Sera; Massimo D'Alema, già, proprio lui; il nostro Renatone Farina e il professor Ernesto Galli della Loggia, penna illustre, testa lucida. Ma il dibattito non decolla. I reduci si commemorano. Abbiamo perso eppure siamo i migliori, semo bravi, semo bèi, semo fotomodèi. Non potrebbe essere diversamente in un convegno di gente che ha sempre avuto il monopolio della moralità superiore e mantiene di diritto il ruolo di giudice, questo è bene e questo è male. Ci aspettiamo un'analisi e un'autocritica, visto che il comunismo è imploso ed è fallito quasi dovunque si fosse materializzato. Invece niente. Sì, d'accordo, Stalin non era correttissimo, dei gulag probabilmente si poteva fare a meno, l'invasione dell'Ungheria forse non era necessaria, la Cecoslovacchia andava magari risparmiata, però il comunismo va assolto e, se ci sono dei colpevoli, bé, questi vanno ricercati fra i traditori della idea. Chiara l'antifona? A un dato momento Galli della Loggia con estremo garbo segnala alla Rossanda: gentile signora, non dubito delle eccellenti intenzioni dei compagni italiani, tuttavia è scontato che il comunismo è stato un disastro che coinvolse e coinvolge mezzo mondo, e un milione e mezzo di compagni italiani onesti non ne attenuano la portata. Un discorso sensato, non troppo polemico. Chiunque avrebbe abbozzato. Viceversa i nostri reduci si ostinano. Si intorcinano in una serie di elocubrazioni. I morti ammazzati, le stragi, le iniquità delle dittature rosse passano in secondo piano, incidenti della storia. Madera nel suo candido delirio sostiene che comunque, ecatombe a parte, l'applicazione pur difettosa del marxismo ha aiutato l'umanità più di quanto l'abbia ferita. La catasta di cadaveri sotto cui si è infranto il sogno collettivista non conta. Contano i pensieri alati dei fondatori del Manifesto, giornale tutt'ora in edicola con una scritta significativa in prima pagina: quotidiano comunista. Come se nell'Unione Sovietica non fosse accaduto niente di grave, come se i carriarmati marchiati falce e martello non avessero schiacciato qualsiasi anelito di libertà, come se Pol Pot e Mao fossero stati dei boy scouts. Sia lodato Farina che ha provato a scuotere la granitiche certezze dei reduci orgogliosi della loro cecità: come avete fatto a rimanere comunisti dopo aver letto Solzenicyn, quello di Una giornata di Ivan Denisovic, di Il primo cerchio, di Arcipelago Gulag? Alla domandina facile facile non c'è stata risposta, anche perché il reduce (di Lotta Continua) Gad Lerner ha preferito interrompere chi l'aveva posta e deviare la conversazione sulla bella gente del Manifesto, così colta, così raffinata e chic. Ecco il vero problema del comunismo italiano: si è smarrito nel cachemire e nella vigogna, intento non a interpretare le esigenze delle classi sfortunate, della maggioranza sofferente, bensì quelle della borghesia, alla quale si è rivolto col desiderio di sedurla rimanendone sedotta. Non è per fatalità che ancora oggi gli intellettuali col birignao siano di sinistra e abbiano atteggiamenti snobistici. Il Pci puntava alle folle per strapparne il voto, ma lisciava il pelo alla borghesia e la voleva con sé, blandendola, coccolandola, imitandola, assumendone i vizi e le debolezze. Ciononostante non ha mai smesso di essere filosovietico, tant'è che ai funerali di Breznev la delegazione italiana fu praticamente una comitiva, capeggiata da Pertini e composta dai vertici di Botteghe Oscure ben allineati dinanzi alla bara del dittatoreburocrate e leggermente assassino. Altro che strappo fra Pci e Pcus, una semplice smagliatura. Quando gli Stati Uniti risposero all'Urss (che aveva installato missili pronti a colpire l'Italia) armando Comiso, gli intellettuali del nostro simpatico Paese organizzarono un corteo naturalmente antiamericano. Slogan: meglio rossi che morti. Nella circostanza nacque il pacifismo-spaghetti. Eccoli i comunisti perbenino ospitati da Gad Lerner a La7 perché si dessero pacche sulle spalle: coraggio, siamo ancora la crème, l'intellighenzia, celebriamoci, semo bravi, semo bèi, semo fotomodèi. Chissenefrega dell'Ungheria, della Cecoslovacchia, dell'Afghanistan, di Cuba, della Corea del Nord. Obietta la signora Rossanda, così dolce, così educata: ma io non ero filosovietica. Vero. Eri tifosa della Rivoluzione culturale di Mao, che fece più vittime di cento bombe atomiche. Una serata televisiva istruttiva. Sotto i maglioncini di cachemire i cuori comunisti si sono salvati e battono sul quadrante della vergogna: a conclusione dell'Infedele non hanno cantato bandiera rossa solo perché non sanno cantare. Galli della Loggia e Farina esterrefatti. A me veniva da ridere. Pensare che sfottono Berlusconi perché vede comunisti dappertutto. Ha ragione. Si vedono anche in tivù mentre partecipano alla festa della nostalgia. Belli eleganti chic. E D'Alema? Ha detto la verità: abbiamo cambiato l'insegna della bottega perché la ditta era in dissesto. Peccato che prima del Pci fosse crollato il Muro di Berlino. Peccato che l'Urss fosse evaporata nel 1991. Insomma, l'avanguardia berlingueriana è arrivata in ritardo, apré la music, Intellettuali dei miei stivali. Sono talmente sicuri della loro forza da farsi rappresentare alle prossime elezioni da Prodi, un dossettiano molle e sfiatato. E magari sono capaci di vincere. Ma non ci credo. "


    Saluti liberali

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    dal quotidiano LIBERO di oggi

    " L'Ulivo si straccia le vesti Poi in piazza brucia Israele

    di RENATO BESANA

    Pagina 1

    La sinistra spera in un effetto Zapatero per assicurarsi la vittoria
    S'è scoperta islamica, la sinistra: la testa del ministro Calderoli non le basta, Bertinotti pretende quella dell'intero governo, Rutelli, da aspirante moderato qual è, si accontenterebbe del cartellino rosso alla Lega, così da mandare in frantumi la maggioranza. Povera Italia, mai che resista alla tentazione scellerata di prendere a pretesto le crisi internazionali per regolare i conti in casa propria. L'assalto di Bengasi ha fatto breccia nella campagna elettorale, che tutto volge in propaganda, un tanto al pezzo, purché funzioni. L'eloquenza spumeggiante di Borghezio, se non fosse anch'egli d'accordo, saprebbe definire con indubbia efficacia la bravata da bar (mediatico, ma pur sempre bar) che ha dato fuoco alle polveri della protesta, chiunque siano i burattinai, palesi e occulti. Tentare di cavarne la solita tirata contro Berlusconi e la sua maggioranza è però un atto di sciacallaggio senza attenuanti. Questa è l'ora della coesione nazionale e dei nervi saldi, non della ripicca e del battibecco, costi quel che costi. In Cirenaica, un tempo, sventolava orgoglioso il Tricolore. I libici ancora non ce l'hanno perdonato. Allora, tuttavia, cristiani, ebrei e musulmani vivevano fianco a fianco, in un fecondo crogiuolo di civiltà. È venuto il momento di ricordarlo, beninteso senza nostalgie di sorta. L'Unione, forse, spera in una sorta di effetto Zapatero - per grazia ricevuta e almeno per noi incruento - che le consenta di assicurarsi un vantaggio sulla Casa della Libertà, fino a ieri l'altro in sicura rimonta. Prodi ha tirato un gran respiro di sollievo, gli stavano smontando pezzo per pezzo il programma dei miracoli e tutte le contraddizioni insanabili sulle quali si fonda, dalla Tav che si fa senza farla alle tasse sulla casa che si diminuiscono aumentandole. Senza muovere un dito, un punto a suo favore l'ha segnato: mi rimproverate di guidare per conto terzi una coalizione raccogliticcia e litigiosa, fondata sull'impossibile convivenza di Mastella con i no global? Zitti voi, che avete i padani, impossibili da ricondurre alla ragione; le responsabilità di governo comportano la completa rinuncia al ruspantismo greve delle origini, ma loro non ne sono capaci. Non è facile controbattere, a meno d'invocare, a propria scusante, l'intolleranza dell'estremismo islamista, con il rischio d'esasperare irresponsabilmente il meccanismo provocazionereazione, dalle imprevedibili quanto nefaste conseguenze. La risposta migliore l'ha data Fini, che da ministro degli Esteri si è recato in visita alla moschea di Roma, in nome del reciproco rispetto tra confessioni religiose. La sinistra dovrebbe imitarne la compostezza, che in altre occasioni è parsa perfino eccessiva. La parola Patria non rientra tra quelle che essa pronuncia volentieri, ma dovrebbe imparare a farlo. Avrà tutto tempo di dare sfo- go all'enfasi polemica; per adesso, rinunci a tirare sassi contro il Carroccio nella speranza di infrangere la coesione raggiunta dal centrodestra. Bossi non ha ceduto agli umori che ribollono in alcuni settori del suo movimento, li ha messi in riga senza compli- menti, conscio di sacrificare uno dei suoi uomini più in vista; chi sbaglia, paga. Giano Bifronte Prodi non ha mostrato l'identica fermezza, limitandosi a dispensare prediche ipocrite, nelle quali eccelle. Si occupasse piuttosto di Verdi, Comunisti Italiani e compagnia cantante che ieri, incuranti di tutto, hanno sfilato per le vie di Roma senza zittire chi, nelle loro fila, inneggiava allegramente a Nassiriya. Frange, si dirà, ma mica tanto, visto che sono parte integrante e vociante del gruppone; al punto che Rizzo ha censurato senza mezzi termini il segretario di Rifondazione per il suo rifiuto di candidare Ferrando. Non ci si può lamentare dell'altrui latitante senso dello Stato per poi blandire chi lo manda al macero. I dubbi sulla guerra in Iraq rientrano a pieno titolo nel dibattito politico, la si può giudicare un errore, ma il sacrificio dei nostri caduti no, non merita, e non tollera, d'essere deriso
    .
    "
    Saluti liberali

  5. #5
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    A Feltri "tocca" rivotare Berlusconi? Eh, lo farà con la morte nel cuore (e la lingua felpata)... Che liberale!

  6. #6
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    Vi tocca...e con lui vi tocca rivotare per Calderoli, per i fascisti di Saya, Tilgher e la Mussolini, per Previti, per Bondi.
    Che brutto destino, vi tocca!

  7. #7
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    Citazione Originariamente Scritto da informauro
    Vi tocca...e con lui vi tocca rivotare per Calderoli, per i fascisti di Saya, Tilgher e la Mussolini, per Previti, per Bondi.
    Che brutto destino, vi tocca!
    Ma non c'arrivano!!! A capire.

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da informauro
    Vi tocca...e con lui vi tocca rivotare per Calderoli, per i fascisti di Saya, Tilgher e la Mussolini, per Previti, per Bondi.
    Che brutto destino, vi tocca!
    E' ormai talmente notorio che Tilgher e la Mussolini non verranno candidati nella Cdl ( di 'sto Saia non c'è neppure bisogno di parlare anche perchè , al di fuori dei comunisti , nessuno ha capito chi sia...) che soltanto un ignorante o un bugiardo della peggior specie potrebbe continuare a postare stronzate del genere...

  9. #9
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    "L'Unione dovrebbe cacciare il Pdci "
    intervista a Riccardo Pacifici



    Dal quotidiano Il Giornale di oggi, 20 febbraio 2006, Pagina: 2

    " «Vergogna clima neonazista, l'Unione adesso cacci il Pdci»

    di Ariela Piattelli


    Per Riccardo Padifici, vicepresidente della Comunità ebraica di Roma, sabato sembrava di assistere a quelle manifestazioniche si svolgono abitualmente a Teheran, Ramallah e Beirut. Eppure, proprio sabato la stessa Comunità ebraica aveva espresso solidarietà al mondo islamico sul caso Calderoli. Pacifici, questo genere di manifestazioni in cui si bruciano le bandiere dello Statod’Israele non sonou nanovità. Checosa ha pensato sabato? «Che è tutto nella norma: non è certo la prima volta che assistiamo a questo tipo di manifestazioni vergognose, in cui si bruciano sempre bandiere di Paesi democratici. Insieme alle bandiere date al rogo lo slogan "Dieci/cento/mille Nassirya" è stato certamente l'atto più grave. Il clima in cui si alimentano questi slogan ci ricorda le manifestazioni dei neonazisti. Una volta a una partita di basket in cui giocava la squadra israeliana del Maccabi comparve uno striscione "Dieci/cento/mille Auschwitz", e sono questi gli episodi che ci tornano tristemente nella memoria. Lo slogan di sabato ci offende in primo luogo come italiani: èun affronto al ricordo di quelle vittime, noi abbiamo piantato un intero bosco sulle colline di Gerusalemme alla memoria delle vittime di Nassirya». In un clima di isolamento dei candidati«estremi» nei partiti, la presenza dell’onorevole Diliberto acquista un significato particolare? «Io non oso più chiamarlo“onorevole”, per me è il signor Diliberto: lui ha provato a dare la responsabilità di queste azioni vergognose a piccoli gruppi inviati da Calderoli: roba da ridere. Secondo le parole del signor Diliberto la piattaforma della manifestazione era “due popoli, due Stati”: ci sembra allora incomprensibile come sia potuto accadere tutto questo. Bruciare la bandiera di Israele significa proprio negare l’esistenza di uno dei due Stati. È triste vedere che nella nostra città accadano episodianaloghiaquelli di Teheran, Beirut e Gaza». Diliberto a suo giudizio dovrebbe essere escluso dall’alleanza del centro sinistra? «Certamente sì. Ricordiamoci cheil signor Diliberto h astretto la mano, un anno e mezzo fa, a un leader degli Hezbollah. Fazioni del genere non possono governare, non possono farlo partecipando a manifestazioni in cui si bruciano le bandiere di Paesi democratici come gli Stati Uniti e Israele». Cos'è cambiato nei rapporti tra ebraismo e sinistra? «Queste frange di sinistra estrema rappresentano un mondo che non comprende più l'ebraismo di oggi. È vero che con la sinistra abbiamo condivisomolte battaglie,madal1967(guerra dei sei giorni, ndr) qualcosa è cambiato. Una certa sinistra è con noi solo quando commemoriamo i morti della Shoah. Ma quando si tratta del sionismo, dei morti civili israeliani, degli ebrei che si devono difendere dal terrorismo che attanaglia Israele da 60 anni, allora le cose cambiano e le strade si dividono ». Perché? «Nella loro percezione queste non sono manifestazioni di antisemitismo, perché vedono solamente Israele come carnefice, mentre in realtà lo Stato ebraico cerca la pace da sempre. Ci conforta che nella sinistra ci sono uomini come Fassino e Veltroni: loro non solo non hanno aderito a quella manifestazione, ma condannano costantemente cortei di questo genere; anche se l'idea di un D’Alema, aspirante ministro degli Esteri, che dà la responsabilità ad Israele per la vittoria di Hamas ci preoccupa». Manifestazioni del genere rappresentano un reale pericolo per il mondoebraico? «Credo sia un mondo che si sta estinguendo: sabato a quel triste spettacolo erano presenti 1.500 persone,un numero irrisorio rispetto alle manifestazioni anti-israeliane precedenti». "


    Shalom

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    Gli stalino-togliattiani, parte integrante dell'ULIVO di Prodi, vera vergogna del Parlamento italiano!!!!



    dal quotidiano di via Solferino (Non da LIBERO), ossia IL CORRIERE DELLA SERA
    del 21 febbraio 2006.......




    " La rabbia delle comunità ebraiche Reibman: impresentabile tutto il Pdci

    di Fabrizio Caccia

    ROMA — Candidati impresentabili? Per Riccardo Pacifici, vicepresidente della comunità ebraica di Roma, anche certi partiti lo sono. Dopo le bandiere Usa e d'Israele bruciate sabato in piazza e il coro «10-100-1000 Nassiriya», Pacifici — in un'intervista al Giornale — ha chiesto all'Unione di escludere dall'alleanza i Comunisti italiani, promotori del corteo. «Ai primi di marzo — annuncia ora Pacifici al Corriere
    — dovrò presentare a Washington, davanti alle principali associazioni ebraiche americane, una relazione sulla politica italiana. Ci sarà anche Condoleezza Rice. Cosa dovrò raccontare a un mese dalle elezioni? Dovrò raccontare che c'è un partito, i Comunisti italiani, che vuol candidare — almeno così pare — Hamza Piccardo dell'Ucoii, emanazione dei Fratelli Musulmani. E un altro partito, Rifondazione, intenzionato a presentare Ali Rashid, già esponente dell'Olp...». Comunisti italiani impresentabili? «È così — conferma Yasha Reibman, 31 anni, portavoce della comunità ebraica di Milano —. Ci vuole grande strabismo per non riuscire a vedere come il comportamento irresponsabile del Pdci fomenti l'antisemitismo. Ma per gli ebrei italiani ora soprattutto è importante sapere chi sarà l'eventuale ministro degli Esteri dell'Unione. Sarà Rutelli, Fassino, Veltroni o la Bonino? Questi sì, ottimi ministri. Ma come la mettiamo se sarà D'Alema? Che non perde occasione per attaccare i "sanguinari israeliani". Oppure Lamberto Dini, che non perde occasione per andare a trovare i suoi amici ayatollah iraniani in ambasciata? Escludere Ferrando è chirurgia estetica. Candidare Caruso è folclore. Ci interessa di più la politica estera dell'Unione: ma la spaccatura è profonda e il programma fumoso». «Diliberto? È sempre un errore scendere a patti col diavolo pur di prendere qualche voto — aggiunge Victor Magiar, assessore alla cultura della comunità capitolina —. Lo stesso errore che fa il centrodestra con Forza nuova. Almeno Bertinotti ha compiuto passi importanti». Bertinotti non c'era, sabato. E la comunità l'ha molto apprezzato. A sentire Pacifici, una sorta di «sdoganamento» di Rc — come avvenne per Fini e An — è già iniziato.
    «Ma attenti — avverte Amos Luzzatto, presidente dell'Ucei, l'unione delle comunità italiane — qui è in arrivo lo tsunami, qui si rischia lo scontro teologico: perciò occorre che le persone di buona volontà, ebrei, cristiani, musulmani, s'incontrino». Il rabbino capo di Roma presto sarà ricevuto alla moschea: visita storica. «È giusto — conferma Tullia Zevi, per quasi 20 anni a capo dell'Ucei — l'unica strada è il dialogo». Intanto, però, nel Ghetto di Roma, monta la rabbia. Angelo Sermoneta, presidente del «Circolo 48», giura che la prossima volta a un corteo come quello di sabato ci andranno anche loro, i «Cobas» della comunità. E se qualcuno tenterà di nuovo di bruciare la bandiera, «noi glielo impediremo».
    "

    Shalom

 

 
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