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Risultati da 41 a 50 di 57
  1. #41
    fumo_di_londra
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    Citazione Originariamente Scritto da paolor_it
    Ma Prodi chi? Lo stesso specchiatissimo dott. Prodi che è stato ministro nel governo Andreotti ai tempi in cui Andreotti, come ci insegnano le ragazze ponpon del csx, aveva significative relazioni con ambienti mafiosi (sulle quali è calata la prescrizione)??
    Tanto Prodi è uno che nemmanco sa parlare, a stento farfuglia qualche parola incomprensibile, ma come può uno così fare il capo del centro-sinistra? Porterà tutta l'Unione allo sbando e alla sconfitta più nera.

  2. #42
    a.k.a. tolomeo
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    Citazione Originariamente Scritto da Nelson
    Ho letto: una bella sequenze di "se" escrementizi. Chiamarle calunnie sarebbe un torto ai calunniatori.
    Non riesci proprio a distinguere tra palate di sterco e materia di critica, o, peggio, materia penale?
    Quando Berlusconi verrà condannato, magari in Spagna, per qualcosa di più concreto di queste nullità a quale orologeria ti appellerai?
    ripeto: sono note biografiche.
    non sono calunnie altrimenti Prodi avrebbe sicuramente querelato.
    ha minacciato di farlo, ma non lo ha fatto.
    ha dimenticato di farlo?
    gli sta capitando troppo spesso di dimenticare le cose, come ad esempio di inserire la Tav nel programma.
    .

    A fool and his money can throw one hell of a party.

  3. #43
    TREMENDISTA
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    Le tre grandi sconfitte dell’ammonitore
    Mette zizzania nell’Ue e nella Commissione, lavora contro l’America.
    Così Prodi ha fallito in Europa

    Schierato, distratto sui dossier, bislacco nel comunicare. Malinconico, pensa ad altro Una stanca sudditanza (mal ripagata) ai franco-tedeschi - Milano. Negli ultimi mesi, Romano Prodi, presidente della Commissione europea, ha perso tre volte. Primo caso di mira mancata: voleva essere un elemento di unione, un pacificatore tra i membri dell’Ue, e tra i vecchi soci e i nuovi, invece “meno male che l’euro è uno e indivisibile, sennò a quest’ora Prodi sarebbe riuscito a dividere pure quello in due, per poi scegliere la moneta meno preziosa”, anonima ma netta la battuta di un alto funzionario a Bruxelles. Secondo obiettivo fallito: la testa della Commissione non pare un esecutivo forte, ma un consiglio d’ordinaria amministrazione comunitaria, privo di rilevante slancio politico, strattonato (o accantonato) dalle risorgenti voglie di protagonismo degli Stati. Terzo traguardo sfumato, quello offerto dallo scenario post 11 settembre e post Saddam: avrebbe potuto ritagliarsi (e giocarsi) il ruolo di ponte tra l’Unione europea e la potenza americana alle prese con crisi internazionali che qualcuno dovrà pure tentare di risolvere. Non lo ha fatto, anzi.
    Con questi tre risultati negativi che pesano, se per caso Prodi sta pensando di restare a Bruxelles, scrive il Financial Times (3 aprile 2003), beh, “non ci pensi nemmeno”: perfino “molti governi che lo sostennero con entusiasmo quattro anni fa vedrebbero un secondo mandato come impensabile. Lamentano l’influenza ondivaga della Commissione, la carenza di una leadership strategica e lo stile di comunicazione lunatico del signor Prodi”; uno stile che, via via, lo ha portato a litigare con il premier belga Guy Verhofstadt, a punzecchiarsi con il presidente francese Jacques Chirac, poi a pestare i piedi al rappresentante della politica estera e di difesa dell’Ue Javier Solana (mister Pesc), poi a inimicarsi gli inglesi, di Oxford e non solo, e la maggior parte della sua Commissione (Mario Monti compreso, con Chris Patten e Antonio Vitorino) per aver presentato, senza consultazioni, la proposta di riforme dell’Ue dell’esecutivo di Bruxelles. Ci sono tre meriti che anche i critici riconoscono alla Commissione Prodi: l’avvio della riforma della burocrazia, l’arrivo tutto sommato morbido dell’euro e il raggiungimento della fase finale dei negoziati per l’allargamento dell’Ue. Eppure Prodi è riuscito a deludere pure i suoi sostenitori.

    Altro che pacificatore
    All’inizio dell’anno, in piena discussione Onu sull’Iraq, Prodi era “felice” che il motore franco-tedesco fosse ripartito: mantenendo il suo tradizionale schieramento al fianco dei due poteri forti e stanchi della Vecchia Europa, spiegava però che la proposta franco-tedesca di riforma dell’Ue non va bene, perché un’Ue con due presidenti è più complicata, non meno. Manca una voce vera e unica in politica estera, ha ripetuto spesso Prodi, grande ammonitore, nel senso che ama continuamente avvertire tutti dei rischi futuri: no a scorciatoie belliche in Iraq, guai a sforare i bilanci in Europa, attenti ad aprire alla Russia, la Nato non basta, cautela ché il Medio Oriente esplode.
    Se l’Europa parlasse con una voce sola potrebbe “avere una grande influenza nella politica mondiale”, e invece “ci ridono dietro”, è stato il suo fresco e disilluso esame della situazione. Quelle del recente minivertice sulla minidifesa di Bruxelles erano quattro, di voci: francese, tedesca, lussemburghese, belga. Tutte sulla linea anti interventista in Iraq e diffidente, se non ostile, nei confronti dell’Amministrazione Bush. Erano quattro voci, di parte, ma con il sostegno di Prodi. Il quale, al termine del summit, che pretendeva di tracciare le linee guida di un gruppo di pionieri dell’eurodifesa – senza Londra, Roma e Madrid, tanto per notare alcune pagliuzze – ha detto di essere molto soddisfatto, perché il gruppo, bontà sua, ha porte aperte a chi vorrà farne parte. Il presidente della Commissione, però, si è schierato subito. Eppure a quel verticino, “che va nella direzione giusta”, Prodi nemmeno partecipava. Eppure tutto questo schierarsi non giova certo al premier inglese Tony Blair – grande elettore prodiano nel ’99, con il tedesco Gerhard Schroeder – che ora prova a convincere i suoi scettici connazionali che Ue è bello.
    Ancora prima, in febbraio, il presidente era sempre molto soddisfatto della proposta franco-tedesca per evitare, con ispezioni “rafforzate”, la guerra in Iraq. Si era precipitato a stare, “nella giusta direzione”, al fianco di Parigi e Berlino, “anche se non si sa nemmeno se esiste un vero e proprio piano”, ammetteva. Del resto, la “rottura” in Europa, nella pagella del professore, non l’hanno creata i franco-tedeschi, che prima di tutti e senza consultare gli alleati hanno scelto il no a Bush, spacciandolo per linea europea. La rottura, per Prodi, viene più dagli otto paesi che hanno deciso di manifestare il loro sostegno e la loro amicizia all’alleata America con una lettera, ma ancora peggio: il presidente si è detto “molto deluso” dai paesi candidati all’Ue che hanno firmato dichiarazioni di solidarietà agli Stati Uniti senza coordinarsi con l’Europa. Perché “non si possono – sostiene – condividere le questioni economiche con l’Europa e quelle sulla sicurezza con l’America”. Questi paesi “hanno dimostrato – ha detto Prodi sulla falsariga (rispettosa della presunta grandeur parigina) degli altrettanto duri rimbrotti di Chirac, che pure non ha mai tanto amato l’ex premier emiliano – di non aver capito lo spirito dell’Unione, che non è solo economica, ma anche politica”. Manco fossero America e Ue alleate nella lotta al terrorismo, non sia mai. Ed era ancora “molto soddisfatto” Prodi perché “tenere l’Europa unita e ancorata alle decisioni dell’Onu, era quello che mi premeva”. Così ha riassunto la sua linea dopo il summit di Bruxelles del 17 febbraio, pochi giorni prima di mettere nero su bianco che la priorità dell’ultimo anno del suo mandato, fino al 31 ottobre 2004 salvo sorprese, è proprio l’allargamento a quei dieci paesi cui Prodi e Chirac hanno da poco dato il loro cordiale “benvenuto”.

    Altro che esecutivo forte
    Per spiegare al Foglio la seconda batosta di Prodi, una gola profonda molto vicina alla Commissione di Bruxelles, dice che il presidente ha una scusante, ma ha anche commesso un errore ormai irrimediabile. Da questi due elementi, scusante ed errore, nasce la debolezza della Commissione. Scusante: quando Prodi fu scelto alla guida dell’esecutivo di Bruxelles i governi europei gli fecero credere che stava davvero per nascere un altro governo: quello dell’Ue, cioè il suo. Perché dopo la crisi della Commissione Santer, sfiduciata, serviva un colpo di reni. Che però non c’è stato, anzi: il “pendolo” del potere europeo, con l’avvio della fase di costruzione dell’Unione politica e con la crisi internazionale, è tornato dalla parte dei governi, c’è stata dunque una ripresa del protagonismo degli Stati membri. “Mai un presidente della Commissione era stato tanto illuso”, ma come leader di un supremo organo amministrativo-burocratico la Commissione avrebbe comunque potuto – dice la fonte del Foglio – smuovere e influenzare i governi con un sapiente uso dei dossier, dei finanziamenti, delle risorse, del linguaggio diplomatico. Invece di continuare a tentare di esercitare un ruolo politico inesistente, esternando e ammonendo – il patto di stabilità non si tocca, però è stupido, anche se si adatta; serve una voce per l’economia e una per la politica estera, ma mister Pesc dev’essere nella Commissione, mentre l’idea del super presidente non va; l’Onu deve avere un ruolo centrale nella ricostruzione in Iraq, l’Europa forse, sì, no – insomma, invece di comportarsi come se l’Unione politica esistesse già e fosse salda, Prodi avrebbe potuto indurre i governi a rafforzare l’Unione, non solo economica, utilizzando la conoscenza dei dossier, dei capitoli di spesa e di programmazione e di accordo, tutti atout che Prodi non ha avuto, ma che possono essere appuntite armi di convincimento nei confronti dei leader europei. “Prodi ha sbagliato tutti o quasi i collaboratori, ha sottovalutato l’importanza di conoscere i dossier e si è affidato alle sue qualità di leader bonario”, che forse, come ha scritto il Financial Times il 23 dicembre scorso, possono anche andare bene in Italia, non in Europa. Infatti non ha funzionato: i vertici europei del suo mandato saranno ricordati per le trattative estenuanti, fino all’ultimo secondo e oltre, a notte fonda. Il presidente, invece di arrivare al summit con una proposta di compromesso, utile a metter d’accordo i Quindici, aggiungeva la sedicesima posizione, peraltro spesso soggetta a repentini ripensamenti, la sua.
    L’ultima occasione persa è aver optato per il sostegno al mini vertice che nonostante le dichiarazioni di circostanza nasceva con un’ispirazione di bilanciamento, contro-bilanciamento, in sostanza con velleitarie aspirazioni di futura alternativa alla Nato o alle alleanze militari in stretta e indispensabile relazione con l’America. Prodi poteva tentare di favorire il riavvicinamento tra le due sponde dell’Atlantico? Non l’ha fatto, anzi. Si è detto preoccupato dell’antiamericanismo in Europa, ma ha dovuto scrivere al Corriere della Sera per spiegare meglio il senso di una sua intervista a Repubblica: l’Ue deve crescere per collaborare con gli Stati Uniti, da alleata con pari dignità, non da nemica. Evidentemente, c’era bisogno di dirlo.
    Questi fallimenti danno il segno di un presidente non sopra le parti, non pacificatore, non protagonista. Che pensa d’interpretare, come ha fatto ieri, l’opinione dei popoli, uniti per la pace, mentre sarebbero i governi, quelli che la Commissione dovrebbe contribuire a far andare d’accordo, a essere divisi. Quelli che l’hanno visto nelle ultime riunioni a Bruxelles, in quella recente sulle riforme dell’Ue, spiegano che ormai si nota una “negligenza finale”: Prodi pare disinteressato, sembra dire “fate voi”, mentre lui – raccontano – “malinconico” pensa ad altro.
    (07/05/2003

  4. #44
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    Citazione Originariamente Scritto da tolomeo
    ripeto: sono note biografiche.
    non sono calunnie altrimenti Prodi avrebbe sicuramente querelato.
    ha minacciato di farlo, ma non lo ha fatto.
    ha dimenticato di farlo?
    gli sta capitando troppo spesso di dimenticare le cose, come ad esempio di inserire la Tav nel programma.
    O come che di fronte non ha avversari i cui sostenitori siano capaci di senso critico, invece che essere solo le pale del ventilatore che deve spargere sterco.

    Le tue note biografiche che cosa dicono? Che non è provato che tu non abbia stuprato il gatto del tuo vicino, che non può riferrire che sia successo perché nessuno l'ha visto accadere e lui non ha il dono della parola?

  5. #45
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    ANTEFATTO: Il 3 aprile 1978, nel corso di una seduta spiritica a cui partecipa il futuro presidente dell’Iri, Romano Prodi, una “entità” [nella fattispecie, e come risulterà dal verbale, gli spiriti di Don Sturzo e La Pira, n.d.r] avrebbe indicato “Gradoli” come luogo in cui era tenuto prigioniero Aldo Moro.
    Sulla base della segnalazione dall’aldilà, il 6 aprile viene organizzata una perlustrazione a Gradoli, un paesino in provincia di Viterbo. Al ministero dell’Interno, che aveva in precedenza ricevuto la segnalazione su via Gradoli, nessuno mette in collegamento le due cose. E’ la moglie di Moro, Eleonora, a chiedere se non potrebbe trattarsi di una via di Roma. Cossiga in persona, secondo la testimonianza resa in commissione da Agnese Moro, risponde di no. In realtà via Gradoli esiste, e sta sulle pagine gialle.
    In seguito alla seduta il professor Prodi si reca a Roma - solo due giorni dopo, il 4 aprile -, per trasmettere l’indicazione ad Umberto Cavina, capo ufficio stampa dell’on. Benigno Zaccagnini.
    E’ la seconda volta che viene fuori il nome “Gradoli”. La prima fu una manciata di giorni prima. Il 18 marzo, alle 9 e 30 del mattino, gli agenti del commissariato Flaminio Nuovo si presentano al terzo piano della palazzina al numero 96 di via Gradoli, una stradina residenziale sulla via Cassia. Una “soffiata” molto precisa, forse proveniente da ambienti vicini ai servizi segreti, ha segnalato che lì, all’interno 11, c’è un covo delle Br. Gli agenti bussano alla fragile porta di legno, ma nessuna risponde. Apre invece l’inquilina dell’interno 9, Lucia Mokbel, e racconta di aver sentito provenire dall’appartamento sospetto dei ticchettii simili a segnali Morse. Secondo le disposizioni vigenti i poliziotti dovrebbero a quel punto sfondare la porta, o quantomeno piantonare il palazzo. Invece vanno via. Al processo Moro presenteranno un rapporto di servizio grossolanamente falso, costruito a posteriori, stando al quale i vicini avrebbero fornito “rassicurazioni” sull’onestà dell’inquilino dell’interno 11, il ragionier Borghi, alias Mario Moretti. Saranno sbugiardati pubblicamente, ma mai puniti.
    Il 18 aprile la porta dietro cui forse era stato nascosto, fino a qualche giorno prima, lo stesso Aldo Moro, viene finalmente sfondata. Non da polizia e carabinieri però, ma da pompieri; che ci arrivano a causa di un allagamento. Anche se i brigatisti lo hanno sempre negato, si tratta di una messinscena organizzata perché il covo venga scoperto: il telefono della doccia è sorretto da una scopa e puntato contro una fessura nel muro aperta con uno scalpello in modo da far filtrare meglio l’acqua lungo i muri fino all’appartamento dei vicini, che infatti daranno l’allarme.
    L’allagamento si verifica lo stesso giorno in cui un falso comunicato delle Br spedisce migliaia di carabinieri e poliziotti a cercare il cadavere di Moro nel lago gelato della Duchessa. Si tratta di due episodi di difficile lettura. Alcuni brigatisti del gruppo dirigente dichiareranno, molti anni dopo, che la scoperta del covo e il falso comunicato li spinsero ad affrettare i tempi dell’operazione Moro verso la decisione di sopprimere l’ostaggio; proprio come voleva Moretti, rappresentato della cosiddetta “ala dura” delle Br.
    Il 10 giugno 1981 Romano Prodi viene chiamato a testimoniare davanti alla Commissione Moro per rispondere degli avvenimenti che sarebbero occorsi durante la seduta spiritica.
    Il caso viene riaperto nel 1998 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi, al fine di chiarire le motivazioni che avrebbero portato su un’altra pista le ricerche della prigione di Moro ed escludere che l’utilizzo del nome “Gradoli” fosse stato un modo per informare le stesse Brigate Rosse dell’avvicinamento delle forze di polizia all’omonima via, sita nei pressi della via Cassia di Roma. Il professor Prodi non si rende disponibile per essere ascoltato dalla Commissione parlamentare, contrariamente a Mario Baldassarri e Alberto Clò (ministro dell’Industria nel governo Dini e proprietario della casa di campagna nella quale si svolsero i fatti), entrambi presenti alla seduta spiritica.
    Il 5 aprile 2004 Romano Prodi viene ascoltato come testimone dalla “Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il dossier Mitrokhin e l’attività d’intelligence italiana”. Secondo il presidente della commissione, Paolo Guzzanti, Prodi “non ha avuto il coraggio di pronunciare le parole seduta spiritica, piattino o tazzina”. Nel corso della seduta, l’On. Fragalà ha ricordato all’ex presidente dell’Iri un articolo del settimanale “Avvenimenti”, secondo il quale Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto, agente del Kgb con nome in codice Dario, aveva ospitato Valerio Morucci e Adriana Faranda, brigatisti contrari al sequestro di Moro. Un’amica di Conforto, Luciana Bozzi, aveva affittato la casa di via Gradoli al commando delle Br. Secondo questa tesi, non commentata da Prodi, fu il Kgb a far sapere del covo di via Gradoli e la messinscena della seduta spiritica fu organizzata per coprire la vera fonte.
    Una seconda tesi, supportata tra l’altro dal senatore Francesco Cossiga - che riguardo al caso Moro ha sempre rilasciato dichiarazioni quantomeno ambigue -, identifica l’informatore in “qualcuno appartenente all’area dell’eversione tra Autonomia Operaia e Potere Operaio. Dicono fosse un professore universitario”.
    Va da sé che Paolo Guzzanti e Francesco Cossiga siano politicamente più inclini a fare passare la tesi dell’omicidio deciso e pilotato dai servizi segreti dell’Est, in contrapposizione all’altra ipotesi prevalente, ovvero che la segnalazione della parola “Gradoli” alle forze dell’ordine rappresentasse un doppio avvertimento a Mario Moretti, figura di terrorista controversa e più volte descritta come infiltrato vicino ai servizi segreti italiani. Il primo: che il covo di via Gradoli era ormai “bruciato”. Il secondo: che la questione doveva essere chiusa il più presto possibile con l’assassinio di Aldo Moro e il tramonto del progetto che voleva un “Governo della non sfiducia”, inviso agli Stati Uniti in quanto sorretto, tra gli altri, dal Partito Comunista

  6. #46
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    AUDIZIONE DI ROMANO PRODI PRESSO LA COMMISSIONE MORO – 10 GIUGNO 1981
    • PRESIDENTE: Debbo richiamare la sua attenzione sul fatto che la Commissione assume le sue dichiarazioni in sede di testimonianza formale e sulle conseguenti responsabilità in cui ella può incorrere, anche in relazione al dovere della Commissione di comunicare all’Autorità giudiziaria eventuali dichiarazioni reticenti o false (…)
    • ROMANO PRODI: Ripeto quanto ho già scritto nella mia lettera. In un giorno di pioggia in campagna, con bambini e con le persone che penso vedrete successivamente, perchè sono tutte qui, si faceva il cosiddetto «gioco del piattino» (…) Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Naturalmente, nessuno ci ha badato; poi, in un atlante, abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno ne sapeva qualcosa e, visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa (…)
    • CORALLO: Per farla sentire meno ridicolo, dato che questa sensazione è un po’ comune a tutti … Mi scusi, professore, vorrei dirle che la scrupolosità della Commissione parte da un’ipotesi che dobbiamo accertare essere inesistente, e cioè - non credo molto agli spiriti - se ci possa essere stato qualcuno capace di ispirarli (…) Chi partecipò attivamente al gioco? Voi eravate tanti, però un ditino sul piattino chi lo metteva?
    • ROMANO PRODI: A turno tutti: c’erano 5 bambini; era una cosa buffa. Non crediamo alla atmosfera degli spiriti e che ci fosse un medium. Io le dico: tutti; anch’io ho messo il dito nel piattino (…)
    • PRESIDENTE: Non c’era un direttore dei giochi?
    • ROMANO PRODI: No. Bisogna vedere come se ne sono impadroniti i giornali; come di una seduta medianica, che non so nemmeno cosa sia, ma era un gioco collettivo invece, come tutti facemmo in quel momento; l’ho imparato dopo.
    • LAPENTA: Chi lanciò l’idea di questo gioco?
    • ROMANO PRODI: All’inizio il padrone di casa; non so… All’inizio ero in disparte con i bambini e dopo il gioco mi ha incuriosito.
    • FLAMIGNI: Come venne fuori la specificazione «casa con cantina»?
    • ROMANO PRODI: Ne sono venute fuori diecimila di queste cose: è venuto fuori «cantina», «acqua». In questo momento non lo ricordo nemmeno; il gioco è andato avanti per ore (…) Ripeto che non ho preso sul serio queste cose e, evidentemente, se non ci fosse stato quel nome, non avrei nè raccontato nè detto la cosa perchè cerco di essere un uomo ragionevole, onestamente.
    • FLAMIGNI: Nella testimonianza che lei ha reso al giudice dice: «Fui io a comunicare al dottor Umberto Cavina, nonchè il giorno prima alla Digos di Bologna attraverso un collega universitario, la notizia concernente la località: Gradoli, in provincia di Viterbo. A tale indicazione, con l’aggiunta che poteva trattarsi di una casa…»
    • ROMANO PRODI: Guardi, non me lo ricordavo neanche per il poco peso che gli ho dato. Ne sono saltate fuori tante di queste cose! Tutti hanno detto che non conoscevano questo paese; questo era importante.
    • PRESIDENTE: La notizia era talmente importante che se l’avessero ben utilizzata, le cose probabilmente sarebbero cambiate.
    • ROMANO PRODI: Non ho mai creduto a queste cose … sarà stato un caso.
    • COLOMBO: Tutte le persone parlavano di un paese…
    • ROMANO PRODI: Bolsena, Viterbo, Gradoli; si faceva la targa VT; i monti Volsini… ripeto, dopo si dava importanza perchè avevamo visto dove erano; con la carta geografica in mano, fa tutti i «ballottini» che vuole…
    • CORALLO: «Ballottini» sta per piccoli imbrogli.
    • ROMANO PRODI: Con la carta geografica davanti davanti, lei capisce non è più…Scusi l’espressione.
    • FLAMIGNI: Dopo la seduta spiritica…
    • ROMANO PRODI: No, era veramente un gioco.
    • FLAMIGNI: Non si può chiamare seduta spiritica.
    • ROMANO PRODI: Non me ne intendo; mi dicono che ci vuole un medium.
    • FLAMIGNI: Comunque il risultato, la conclusione è che almeno quando viene fuori la parola «Gradoli» le si attribuisce importanza perchè lo si comunica alla segreteria nazionale della Dc, al capo della Polizia; poi, si muove tutto l’apparato.
    • ROMANO PRODI: Quando l’ho comunicato a Cavina m’ha detto che ce ne sono state quarantamila di queste cose. Fino al momento del nome, non era stato molto importante; per scrupolo (…) lo comunichiamo (…)
    • FLAMIGNI: Lei venne appositamente a Roma per riferire a Cavina?
    • ROMANO PRODI: No, era un convegno…non ricordo su che cosa, e dovevo venire a Roma.
    • FLAMIGNI: E quanti giorni dopo il «giochetto»?
    • ROMANO PRODI: Due-tre, non ricordo (…)
    • FLAMIGNI: Chi interpretava le risposte del piattino?
    • ROMANO PRODI: Un po’ tutti. Era semplice, vi erano le lettere, si mettevano in fila e si scrivevano.
    • FLAMIGNI: Bisognerebbe capire qual era esattamente lo svolgimento del gioco (…) quali erano le domande poste.
    • ROMANO PRODI: Le domande erano: dov’è? perchè? Moro è vivo o morto? Del resto, persone che hanno fatto altre volte il «piattino» sanno di che cosa si tratta e possono darle spiegazioni più esaurienti.
    • BOSCO: Chi erano le persone che l’avevano fatto altre volte?
    • ROMANO PRODI: II professor Clò, ad esempio, ed altri che risponderanno perchè sono tutti qui (…)
    • FLAMIGNI: (…) sarebbe importante quantificare quali furono le domande.
    • ROMANO PRODI: Questo non ha niente a che fare con la tecnica del gioco ed è evidente che me lo ricordi. Le domande erano: dov’è Moro? Come si chiama il paese, il posto in cui è? In quale provincia? E nell’acqua o nella terra? E’ vivo o morto?
    • FLAMIGNI: Quali erano le risposte ad ognuna di queste domande?
    • ROMANO PRODI: Qui intervengono problemi tecnici sui quali potranno essere date spiegazioni più esaurienti delle mie; comunque, vi erano delle lettere su un foglio e il piattino, muovendosi, formava le parole e indicava sì o no.
    • FLAMIGNI: Che cosa succede: uno mette il dito su questo piattino?
    • ROMANO PRODI: No, tutti.
    • FLAMIGNI: Ad un certo momento parte un impulso per cui il piattino si sposta e va su una lettera?
    • ROMANO PRODI: Sì. Posso comunque dire che, dopo questa esperienza, ho trovato tanta gente che mi ha confessato di aver fatto la medesima cosa.
    • CORALLO: (…) Di solito, quando il piattino comincia a muoversi, la domanda che si fa è: chi è l’interlocutore, lo spirito con il quale ci si intrattiene.
    • ROMANO PRODI: Alla fine è accaduto anche questo, ma all’inizio no. C’è stato chi ha detto: interroghiamo Don Sturzo o La Pira, ma le prime risposte, in un primo momento, erano soltanto sì o no.
    • CORALLO: L’interlocutore era dunque ignoto.
    • ROMANO PRODI: All’inizio sì, poi vi furono anche interlocutori vari tra i quali, per quel che mi ricordo, Don Sturzo (…)
    • CORALLO: Si trattava dunque di un gioco in famiglia, tra amici. Un’ultima domanda professore: tra i partecipanti, vi era anche qualche esperto di criminologia?
    • ROMANO PRODI: No, assolutamente no (…) Tra i partecipanti alla seduta vi ero io, che sono un economista, il professor Gobbo, che ha la cattedra a Bologna di politica economica, il professor Clo, che ha l’incarico di economia applicata all’Università di Modena e che si interessa di energia, ma di petrolio, non di fluidi. Vi era anche suo fratello che è un biologo (non so di quale branca, anche se mi pare genetica) e vi era anche il professor Baldassarri che è economista, ha la cattedra di economia politica all’Università di Bologna. Tra le donne vi erano mia moglie, che fa l’economista, la moglie del professor Baldassarri, laureata in economia, ed altre che non so cosa facciano professionalmente.
    • SCIASCIA: Nella lettera che è stata mandata alla Commissione, firmata da tutti voi, si dice che la proposta di fare il gioco è partita dal professor Clo.
    • ROMANO PRODI: Perchè era il padrone di casa.
    • SCIASCIA: Nella lettera si aggiunge che tutti vi parteciparono a puro titolo di curiosità e di passatempo, che la seduta si svolse in un’atmosfera assolutamente ludica.
    • ROMANO PRODI: Vi erano cinque bambini al di sotto dei dieci anni!
    • SCIASCIA: Si dice anche che nessuno aveva predisposizione alcuna di tipo parapsicologico o, comunque, pratica di queste cose, ma una certa pratica di queste cose qualcuno doveva pur averla!
    • ROMANO PRODI: Certo, a livello di gioco, la tecnica era conosciuta; però pratica di queste cose direi che non vi fosse. Ripeto, a posteriori, mi sono reso conto che vi è gente che tutte le sere lo fa!
    • SCIASCIA: Tra i dodici, qualcuno aveva pratica di queste cose?
    • ROMANO PRODI: Intendiamoci sulla parola pratica, onorevole Sciascia. Se qualcuno lo aveva fatto altre volte voi lo potrete sapere chiedendo agli altri, ma nella nostra lettera abbiamo detto che non vi era nessuno che, con intensità, si dedicava a questo. naturalmente vi era qualcuno che, altre volte, l’aveva fatto.
    • SCIASCIA: Francamente, io non saprei farlo.
    • ROMANO PRODI: Anche io non sapevo farlo! Non ne avevo la minima idea e, infatti, mi sono incuriosito moltissimo.
    • SCIASCIA: La contraddizione che emerge è questa: se c’è una seduta di gente che crede negli spiriti o, comunque, nella possibilità che si verifichino fenomeni simili, se c’è una seduta di questo genere - ripeto - e ne viene fuori un certo risultato del quale ci si precipita ad informare la Polizia ed il Ministero dell’Interno lo posso capire benissimo, ma che si svolga tutto questo in un’atmosfera assolutamente ludica, presenti i bambini, per gioco, e che poi si informi di ciò la Polizia attraverso la mediazione di uno che non era stato presente al gioco, e se ne informi quindi il Ministero dell’Interno, a me sembra eccessivo e contraddittorio.
    • ROMANO PRODI: Ma è venuto fuori, onorevole, un nome che nessuno conosceva! Anche se ci siamo trovati in questa situazione ridicola, noi siamo esseri ragionevoli. Ci siamo chiesti tutti: Gradoli nessuno di voi sa se ci sia? Se soltanto qualcuno avesse detto di conoscere Gradoli, io mi sarei guardato bene dal dirlo. E’ apparso un nome che nessuno conosceva, allora per ragionevolezza ho pensato di dirlo.
    • SCIASCIA: Direi per irragionevolezza.
    • ROMANO PRODI: La chiami come vuole. La motivazione reale è che con una parola sconosciuta, che poi trova riscontro nella carta geografica, a questo punto è apparso giusto per scrupolo…
    • SCIASCIA: Poteva far parte della insensatezza del gioco anche il nome Gradoli.
    • ROMANO PRODI: Però era scritto nella carta del Touring.
    • SCIASCIA: La signora Anselmi dice che seguirono dei numeri che poi risultarono corrispondere sia alla distanza di Gradoli paese da Viterbo sia al numero civico e all’interno di via Gradoli.
    • ROMANO PRODI: Questo proprio non mi sembra … c’era sul giornale…
    • SCIASCIA: La signora dice di aver sentito questo dal dottor Cavina.
    • ROMANO PRODI: Onestamente io non.. Non avrei difficoltà a dirlo.
    • CORALLO: Nell’appunto di Cavina c’è il numero della strada.
    • ROMANO PRODI: Può darsi che negli appunti ci sia perchè dopo abbiamo visto sulla carta, strada statale, i monti vicini. L’importante è che si trattava del nome di un paese che a detta di tutti nessuno dei presenti conosceva. Capisco che era tutta un’atmosfera irragionevole, però…
    • SCIASCIA: Non mi sembra determinante il fatto che non si conoscesse il nome. Viterbo si conosceva e poteva benissimo trattarsi anche di Viterbo.
    • ROMANO PRODI: Se fosse stato Viterbo, non ci avrei badato perchè si può sempre comporre una parola che si conosce.
    • SCIASCIA: Chi ha deciso di comunicare all’esterno il risultato della seduta?
    • ROMANO PRODI: L’ho fatto io perchè ero l’unica persona che conoscesse qualcuno a Roma. Ho parlato con tutti, con Andreatta etc. Non è che ho telefonato d’urgenza; ho detto vado a Roma e lo comunico. Questo è stato deciso una volta che si è saputo che esisteva questo paese che nessuno conosceva.
    • SCIASCIA: Ora le farò una domanda che farò a tutti. Lei ha mai conosciuto nessuno accusato o indiziato di terrorismo?
    • ROMANO PRODI: Mai.
    • COVATTA: II senso della domanda è se qualcuno aveva interesse ad ispirare gli spiriti.
    • ROMANO PRODI: E’ sempre la domanda che mi sono sempre posto anch’io.
    • BOSCO: All’interrogativo che si è posto, come ha risposto? Cioè se qualcuno poteva aver ispirato gli spiriti.
    • ROMANO PRODI: Lo escluderei assolutamente.
    • BOSCO: Quindi si è trattato di spiriti.
    • ROMANO PRODI: O del caso … Non so … Mi sembra che il senso della domanda dell’onorevole Covatta sia quello di chiedere se c’era qualcuno che voleva fare «il furbetto», spingendo in un certo modo o rallentando. Questo no. D’altra parte…
    • FLAMIGNI: Se avessimo ascoltato un riferimento di quella seduta in maniera molto impegnata e che i protagonisti credevano veramente allo spiritismo e alla possibilità di avere qualche forza in aiuto, allora mi darei una spiegazione, ma proprio perchè il professor Prodi parla di tutto ciò come un gioco, la mia curiosità si accentua. Ritengo che qualcuno potesse anche sapere. Parto da questa considerazione per dire che voglio conoscere le domande effettive e le risposte che sono venute fuori.
    • ROMANO PRODI: Ho detto le domande effettive e le risposte. Uno dei problemi che si pone per una cosa del genere è proprio quello contenuto nella sua domanda. Crede che quando è uscito il nome di via Gradoli io non mi sia posto il problema di chiedermi se c’era qualcuno che faceva il furbo? Altrimenti non sarei qui in questa situazione in cui mi sento estremamente imbarazzato ed estremamente ridicolo (…)

  7. #47
    a.k.a. tolomeo
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    Citazione Originariamente Scritto da Nelson


    O come che di fronte non ha avversari i cui sostenitori siano capaci di senso critico, invece che essere solo le pale del ventilatore che deve spargere sterco.

    Le tue note biografiche che cosa dicono? Che non è provato che tu non abbia stuprato il gatto del tuo vicino, che non può riferrire che sia successo perché nessuno l'ha visto accadere e lui non ha il dono della parola?
    seguo la tua metafora.
    io personalmente non ho a che fare coi gatti, ma mettiamo che ad esempio si stia narrando biograficamente alcuni eventi della vita di qualcuno che un giorno fu visto con le braghe calate insieme a un gatto: nessuno ha parlato di stupro, si è solo accennato all'episodio e al fatto che una nuova legge aveva stabilito che lo stupro non costituisce reato, e che quindi quella persona è stata assolta.
    dov'è lo sterco?
    ma tu che ne pensi di tutti questi fattarelli.
    non sono mai stati smentiti, la lettura è aperta a tutti,
    perchè non sono stati smentiti?
    .

    A fool and his money can throw one hell of a party.

  8. #48
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    Citazione Originariamente Scritto da Capitancoraggio
    ..............
    [/I][/LIST]
    Dopo usi la carta igienica o ti ci spalmi il viso?


  9. #49
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    Citazione Originariamente Scritto da tolomeo
    seguo la tua metafora.
    ...........
    perchè non sono stati smentiti?
    Perchè non c'è niente da smentire, o meglio, visto che nessuno l'ha visto con le braghe calate, non c'è da smentire la smentita che smentisce che tu smentisca che qualcuno non l'ha visto, però potrebbe averlo visto se fosse passato di lì.

    La calunnia generata in questo modo ha avuto un maestro che l'allievo Berlusconi, e i suoi tirapiedi, stanno superando: Goebbles.

    Non si denuncia niente, perché non c'è nulla da denunciare, però si fa capire che nessuno ha potuto smentire che, se ci fosse stato qualcosa da denunciare, nessuno l'ha denunciato.

    E' un'operazione così rivoltante e criminale, che solo epigoni di Goebbles potevano pensarla e attuarla e non ti stai dimostrando migliore di loro, se non sei solo molto ingenuo.

  10. #50
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    Affidiamo l' italia a quest' uomo che con un paio si sedute spiritiche )( interroghera' Fassino che sta' piu' di la' che di qua' ) e vedrete come risolvera' tutti i problemi nazionali

 

 
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